Capitolo 5 - Viaggio
attraverso gli alberi
Per qualche attimo Arellon
dovette continuare a tenere gli occhi completamente chiusi. Fece qualche
tentativo di aprirli, ma ogni volta da fuori una luce potentissima glieli
abbagliava così forte da fargli male. Non sentiva più la terra sotto i suoi
piedi. Pensò che forse stava volando. Ma si rese conto di non percipire
assolutamente nessun vento nè una minima brezza sul volto. Provò a muovere la
mano destra che impugnava il bastone in modo da portarsela davanti al viso in
modo da farsi un po’ di ombra sugli occhi. Per qualche strana ragione però non
ci riuscì. Non solo la luce accecante continuava a impedirgli di aprire gli
occhi, ma nemmeno gli sembrava di aver mosso o di poter muovere il braccio e la
mano. Peggio ancora, non si sentiva più la mano. In effetti, si accorse di non
avere la benchè minima sensazione da nessuna parte del corpo. Nemmeno dalla
mano sinistra, con la quale doveva stringere la mano della driade. Arellon ebbe
paura, temeva di aver sbagliato qualcosa, di aver commesso uno sbaglio
involontario senza accorgersene. Cercò di aprire gli occhi di nuovo. Stavolta
gli risultò più semplice. La luce non faceva più tanto male. All’inizio non
vedeva quasi niente, per via della grande luminosità. Ma anche dopo che gli
occhi vi si abituarono, la visione che ebbe non fu chiara. Era tutto luce.
Variava dai toni del giallo più chiaro quasi bianco a quelli del verde. E non
c’era niente altro. Almeno, agli occhi di Arellon sembrava non ci fosse nulla.
In effetti non vedeva neanche sè stesso, nonostante muovesse la testa (o almeno
gli sembrasse di farlo) per guardarsi intorno. Abbassando lo sguardo non vedeva
nè il suo busto nè le sue gambe. Esitò ad alzarlo: non voleva che i suoi timori
diventassero realtà.
Ma, visto che a quanto pare
la vista era l’unica capacità di percezione rimastagli, guardò. Non c’era
nulla, a eccezione della luce. La sua mente fu attraversata da mille pensieri e
nessuno rassicurante. Perchè non sentiva più il suo corpo? Peggio ancora,
perchè non era più visibile? Cos’era successo? Dov’era la driade? Aveva
lasciato la sua mano? No, non gli sembrava di averlo fatto. Allora cosa aveva
sbagliato? Perchè doveva aver sbagliato qualcosa, altrimenti non si spiegava
come mai si trovasse in quella situazione.
Oppure poteva essere che la
driade lo avesse lasciato intenzionalmente. Il suo errore sarebbe stato quello
di fidarsi, allora. No, ma perchè mai Mahallonie avrebbe dovuto fargli questo?
Se voleva farlo morire, tanto valeva lasciarlo nella radura in balia degli
elfi.
“No, sono sicuro che lei non
avrebbe ragioni per abbandonarmi qua a morire.” pensò sicuro “Ma comunque non
capisco cosa stia succedendo. Dov’è? Dove sono? Questo abisso di luce... cosa
significa?”
“La verità è talmente
evidente e chiara. Ma chi non ha occhi per vedere non può coglierla.” sussurrò
la voce della driade nella testa di Arellon. Il mezzelfo ebbe un sussulto. Provò
a parlare, ma gli risultò impossibile, era come se non avesse più la bocca per
farlo.
“Mahallonie?” pensò allora
domandando speranzoso.
“Sì, sono io. Non sforzarti a
parlare: qui possiamo comunicare solo attraverso i pensieri. Scusami se ti ho
fatto spaventare, ma per me è tutto così naturale...”
“No, perdonami tu se ho
dubitato di te. Sono stato un ingrato.”
“Va tutto bene. Non avevo
pensato che non sapessi nulla di questo, del vero mondo di noi driadi.
D’altronde Lasdel stessa aveva fatto questa esperienza...” Arellon fu un po’
contrariato da questa affermazione: sua nonna aveva deliberatamente omesso di
dirgli anche questo. “Ma con che parole potrebbe descriverla uno di voi?” proseguì
la driade come per calmarlo.
“Uno di noi?” domandò
telepaticamente incuriosito.
“Un aeilaasom. Lo siete
tutti, mezzelfi, elfi, centauri, uomini, nani e tutte le altre razze di Laimoth.
Mortali o immortali non fa differenza. Siete costituiti tutti da anima e corpo.
E finchè vive il corpo la vostra anima è legata ad esso inscindibilmente. Per
questo vivete nel mondo dei sensi e solo raramente alcuni di voi riescono ad
allontanarsene. Tramite le visioni o altri vostri incantesimi cercate di
astrarvi dal mondo e percepire ciò che i sensi non possono.”
“Sì, questo lo so. Io stesso
ho provato qualche giorno fa a entrare in comunione con l’ambiente.”
“Ah, sei stato tu! Ecco chi
era che avevano sentito Raolaonie e Terassonie!”
Arellon fu sorpreso. “Sono
state loro due a...?”
“Minacciarti e rassicurarti?
Sì, è una cosa molto triste. Un tempo erano tanto amiche, la driade della
quercia e del platano. Sempre le prime a danzare per ogni primavera. Ma ora...
Ora hanno preso strade diverse. Una prova tanto odio, l’altra vorrebbe che
tutto questo finisse. Purtroppo Terassonie non è mai stata la più forte delle
due...” Seguì un attimo di silenzio.
“Comunque” continuò la driade
“noi dobbiamo prendere la forma di un corpo per entrare nel vostro mondo perchè
in realtà siamo ciò che voi definite spiriti. Non abbiamo sempre un corpo, ma
ci serve solo venire ad ammirare la Natura dall’esterno. Noi viviamo qui,
dentro.”
“Quindi io non vedo niente
perchè...”
“Non hai gli occhi adatti. La
tua anima non è ancora in grado di percepire con chiarezza e davvero raramente
accade che una delle vostre anime lo diventi. Anche il tuo incantesimo di
comunione, in realtà, è sì un’astrazione dal corpo, ma solo per poter avere
conoscenze comunque inerenti ai cinque sensi. In realtà non ti sei allontananto
così tanto. Forse Raolaonie avrebbe voluto che lo facessi: in quel caso non
credo che saresti sopravvissuto a lungo.”
“Per questo allora non vedo
nemmeno te che sei più vicina. Ma perchè non sento più il mio corpo?”
“Tu non puoi sentirlo. Non ce
l’hai più.”
“Cosa?”
“Non ti spaventare. Vedi, tu
non sei più nel tuo mondo, ora sei nel mondo delle driadi e niente non può
entrare qui appesantito dal corpo.”
“Che significa? Il mio corpo
è ancora nella radura?”
“No, questo non è un
incantesimo di divinazione o di comunione con la natura, come quelli che vi
dilettate a fare, te l’ho già detto. Tu sei proprio entrato nell’albero. Solo
che qui non si può stare se non in forma di spirito. Riacquisterai il tuo corpo
quando usciremo, come facciamo noi driadi. Ma stai attento: non dimenticarti
chi e cosa sei, altrimenti non potrai più uscire! Tu non puoi crearti un nuovo
corpo ogni volta come noi, perciò devi mantenere il ricordo.”
“Ma questo mondo... Cos’è?”
“Questa grande luce è quello
che Olidos definiva come ‘ineffabile e magnifica visione, che ti porta ad
abbandonare la spoglia mortale e a unirti ad essa, perchè così arriverai a un
passo dal comprendere cosa sia la luminosa sorgente di vita’.
“Allora... La luce... Come
posso dire? È...”
“Non credo esista la parola
giusta a definirla. Almeno non in una lingua che tu possa sentire. Chiamala
Natura, Essenza della vita, ciò che fa sì che ogni cosa nasca. Ma è luce
indistinta solo per te. Tu sei abbagliato dall’immensità e dalla grandezza che
ti si spalanca davanti, io ne sono la figlia. Ma, come ti ho detto, nessuna
parola potrà mai farti cogliere anche solo una parte di ciò che vedo.
L’aeilaasom che può vedere è il più fortunato fra tutti gli esseri che mai
nacquero. Ed è lui che, avendo visto cosa sia la vita e quanto essa sia al di
sopra di ogni bene, può veramente e a buon diritto comandare su tutti gli
altri. I saggi re del bosco lo potevano vedere. Ma questo non ha impedito loro
di morire tutti per mano di coloro che non sanno e perciò odiano la vita.” Ad
Arellon parve quasi di percepire un goccia sfiorarlo.
“Rammenta quello che hai
sentito, ti servirà. Tra non molto arriveremo a destinazione, ti lascerò fuori
dalla Foresta, in un boschetto proprio sul confine che gli elfi hanno tracciato
della loro terra. Ma non abbassare la guardia nel frattempo, perfino questo
luogo non è più sicuro.”
Il centauro entrò nella
radura un attimo dopo. I suoi possenti zoccoli scavalcarono cespugli e fiori
con un solo balzo. Nella parte inferiore del corpo aveva le fattezze di un
cavallo bianco con la coda bruna, mentre sopra le zampe anteriori partiva un
busto umano. Aveva possenti pettorali e muscoli anche nelle braccia che
stringevano un’ascia bipenne. Si guardò intorno muovendo la lunga chioma bruna
come la coda. Un smorfia di rabbia gli attraversò il volto dalla chiara
carnagione.
Non c’era più. Il viaggiatore
che aveva visto chiaramente intrappolato dagli alberi due giorni prima era
sparito.
-Che significa questo,
Traxian?- gridò un’irata voce femminile alle sue spalle -Dov’è lo zacrul? Dov’è
l’intruso?-
Ai margini della radura
comparvero una quindicina di elfi, altri tre centauri e due driadi. Gli elfi, sia
maschi che femmine tutti dalla pelle molto chiara, indossavano vestiti leggeri
verdi scuri, nessuna armatura, e portavano tutti un arco e una faretra di
frecce in spalla, ma qualcuno aveva anche una spada nel fodero legato alla
cintura.
A parlare era stata un’elfa
davanti a tutti gli altri. I suoi capelli biondi erano tagliati cortissimi, in
modo da mettere in risalto il suo viso leggermente allungato e le orecchie a
punta. La sua espressione era feroce nonostante le dolci fattezze femminili,
che gli abiti nascondevano completamente, e le mani stringevano le else di due
spade ricurve che portava ai fianchi, impaziente di sguainarle per mietere
vittime.
-Dov’è l’intruso, Traxian?-
ripetè fissando furiosa il centauro con i suoi occhi dalle pupille blu.
-Non lo so, Iselia! L’abbiamo
catturato qui due giorni fa grazie all’aiuto della quercia e del pino. Ma
ora...-
-Ora è sparito! Siete degli
incapaci!- gridò rivolta anche agli elfi alle sue spalle -Non riuscite neanche
a tenere imprigionato un miserabile uomo per due soli giorni!-
-Nessuno è mai riuscito a
liberarsi dagli alberi!- protestò Traxian.
-Non potevamo sapere che
questo zacrul ci sarebbe riuscito!- gli fece eco un elfo.
-Ma potevate almeno lasciare
una sentinella a controllare che non fuggisse!-
-Gli alberi sono le migliori
sentinelle!- gridò un’elfa.
-Perchè non l’hanno fermato?
Perchè l’hanno lasciato andare?- domandò un altro dei centauri.
-Basta!- ordinò Iselia
troncando sul nascere ogni discussione -È scappato. Questo è un fatto certo e
per ora è tutto ciò che dobbiamo sapere. Mi avete detto che probabilmente
andava verso il paese dei nostri cugini traditori e scellerati. Dunque dobbiamo
seguirlo in fretta. Cercate delle tracce.-
Obbedienti all’ordine, tutti
gli elfi cominciarono a osservare attentamente il suolo della radura. La stessa
Iselia si chinò a terra in cerca di orme. Quelle dell’intruso erano molto
evidenti. “Calpesta il terreno tanto forte che sarà un giochetto seguirlo e
catturarlo.” pensò Iselia con un sorriso, pregustando già la lenta morte dello
zacrul. Poi notò che accanto alle sue tracce ce n’erano delle altre, ma quasi
invisibili perfino ai suoi occhi. Dovevano essere state lasciate da una
creatura molto leggera, scalza e dal passo saltellante. Erano anche piuttosto
confuse, perchè andavano avanti per poi tornare indietro. Ma terminavano tutte,
insieme a quelle dell’intruso, davanti a una piccola betulla.
-Fedhagonie, Raolaonie!
Venite qua!- Le due driadi le si avvicinarono veloci. Erano simili a Mahallonie
per il colore della pelle e degli occhi, ma le somiglianze finivano lì. La
prima era più alta, superava Iselia di due spanne, ed aveva una veste di un
marrone abbastanza scuro, mentre i lunghi capelli erano verdi, ma anche questo
era di una tonalità più scura rispetto a quelli verde foglia della driade della
betulla. La seconda invece, più bassa, anche se comunque di un’altezza considerevole,
visto che era sempre più alta di Iselia, aveva capelli più corti di una
tonalità di verde ancora più scuro,
mentre la veste era uguale a quella dell’altra.
-Guardate queste orme.- disse
Iselia indicando a terra. Le due driadi osservarono accuratamente le tracce,
poi passarono a controllare la betulla.
-Per la sacra quercia!-
esclamò dopo un po’ Raolaonie.
-Che c’è? Cos’hai scoperto?-
chiese l’elfa impaziente. Nel frattempo tutti gli altri avevano smesso di
cercare e si erano radunati lì intorno.
-Nostra sorella Mahallonie è
stata qui poco fa. E ha aiutato l’intruso! L’ha liberato dalla morsa degli
alberi e... e l’ha fatto fuggire con sè!- gridò la driade furibonda. Al suo
urlo si unirono quelli di elfi e centauri.
-Non posso credere che
Mahallonie abbia potuto fare una cosa simile...- mormorò Fedhagonie.
-Non c’è altra spiegazione,
sorella! Le tracce dei suoi piedi non lasciano dubbi.-
-Ma perchè? Perchè avrebbe
dovuto aiutare un uomo? Perchè avrebbe voluto infrangere il tabù mostrandogli
il nostro mondo? E soprattutto perchè mai tradire così la memoria di Olidos?-
-Non è il momento di cercare
una spiegazione! Se stanno davvero viaggiando dentro gli alberi, allora non c’è
tempo da perdere! Inseguiteli e portatemi lo zacrul vivo!- ordinò severa Iselia
-Della driade della betulla fate quel che vi pare, non è di mia competenza il
suo tradimento. E ora andate! Nel nome di Olidos e della vendetta!!- L’elfa
alzò entrambe le braccia e tutti imitarono il suo gesto urlando, sfogando
momentaneamente la loro rabbia, una rabbia vecchia di secoli per alcuni di
loro. Le due driadi si accostarono l’una a un pino, l’altra alla quercia,
appoggiarono una mano alla corteccia, la sollevarono leggermente e ci si
infilarono dentro svanendo.
Mahallonie percepì subito
delle nuove presenze. Ma non ci fece caso. Erano sorelle driadi di certo, ma
non era detto che potessero rappresentare una minaccia. Questa sua convinzione
andò diminuendo a mano a mano che le sentiva sempre più vicine. Cercò di
affrettarsi, non mancava molto. Poi arrivò chiaro e forte: l’odio e la rabbia
erano così forti che quasi la stordirono.
“Traditrice! Come hai osato
liberare lo zacrul? Perchè l’hai condotto nella nostra dimora, maledetta
traditrice?” La voce così forte che risuonò nella sua mente non le lasciò alcun
dubbio: Raolaonie.
“Sorella, perchè l’hai
fatto?” mormorò dopo più supplichevole Fedhagonie.
“Lui non è un uomo! È un
mezzelfo!” rispose Mahallonie senza voltarsi aumentando la sua velocità.
“Razza di sciocca! Sarà uno
stregone, ti avrà incantata con le sue malizie!”
“Ti prego, sorella adorata,
consegnacelo. Iselia vuole solo lui. Tu non subirai alcun male!”
“No, mai! Mi stupisco di voi!
Avete dimenticato ogni cosa? Noi siamo le figlie della vita e vorreste
chiedermi di portare alla morte un essere vivente?”
“Mahallonie, è un uomo! Noi
non avevamo mai fatto nulla di male alla sua razza, ma loro fin da subito hanno
affilato le scuri e colpito gli alberi. Sono malvagi! Olidos si fidava e loro
cosa gli hanno fatto?”
“No, lui è un mezzelfo e deve...”
“Un mezzelfo? E anche se
fosse, cosa significa? Loro hanno attirato la sciagura su di noi! Sono degli
ibridi grotteschi: nelle loro vene scorre il sangue degli abbattitori di alberi
e della stirpe del maledetto assassino! Non sono meglio, non meritano la vita!”
“Non vuoi ascoltarmi,
Raolaonie! Il mezzelfo è discendente di Lasdel! Deve andare a Falesalai
perchè...”
“Visto? Cosa dicevo? Deve
andare dal popolo del massacratore! No, per il tuo bene, Mahallonie, devo
fermarti!”
Arellon ebbe una strana sensazione,
come se si fossero fermati. Era strano perchè in effetti non è che durante il
movimento sentisse qualcosa di molto diverso. Intorno a lui c’era sempre e
comunque solo luce uguale. Eppure gli sembrava che per qualche motivo
Mahallonie non si muovesse più.
Non poteva sapere nulla di
quello che era accaduto, perchè non aveva sentito nulla. Infatti le tre driadi
avevano parlato nella loro lingua, assolutamente impronunciabile e inudibile
nel mondo esterno. Ad Arellon non era giunto nessun suono, continuava a esserci
assoluto silenzio. Ma quella sensazione non se ne voleva andare e perciò decise
di togliersi il dubbio.
“Mahallonie” pensò cercando
di mettersi in contatto con la driade “cosa succede? Va tutto bene?”
“Arellon! Ascoltami: non
allentare la presa, tieni bene a mente chi sei! Hai capito? Ricordati chi e
cosa sei!” Queste parole piene di preoccupazione e paura giunsero veloci al
mezzelfo e gli fecero immediatamente capire che c’era qualcosa che non andava.
“Ma cosa sta succedendo?”
“Non dimenticare! Ricorda chi
sei e non abbandonare la mia mano!” gridò la driade col pensiero per poi
tornare alla sua lotta disperata. Raolaonie l’aveva attaccata. Stava cercando
di spezzare il legame spirituale tra lei e il mezzelfo. Mahallonie faceva del
suo meglio per contrastare il suo attacco, ma la driade della quercia era molto
più forte di lei. Il suo era stato un colpo a doppio taglio: mentre la
indeboliva cercava di rompere le difese mentali del mezzelfo, per dividerlo da
lei e poterlo portare via.
Nel suo mondo Arellon era un
bravo mago e si sarebbe saputo difendere bene, ma ora, in un terreno che
avvantaggiava il nemico e per di più lo nascondeva totalmente ai suoi occhi,
non era in grado di contrastare efficacemente un qualunque attacco.
Sentì come uno strano
torpore. Mahallonie gli gridò ancora qualcosa, ma non comprese quasi nulla. Con
un grande sforzo, cercò di evocare una barriera che lo proteggesse.
“Aesf! Aesf Osfìl!”
Per quanto ripetesse
mentalmente la formula della magia difensiva, sembrava non servisse a niente.
Il senso di torpore e sonno aumentavano.
“Aesf! Sallon Aesf Osfìl!
Sallon Aesf Osfìl! Sallon Aesf O...” Arellon si accorse atterrito di non
riuscire più a ricordare come finisse l’ultima parola.
“Ricordati il tuo nome!”
Queste parole sembrarono provenire da molto lontano, come una bassissima eco di
qualcosa gridato a voce molto alta. Il mezzelfo, visto che anche la parola base
dell’incantesimo gli era svanita dalla memoria, decise di seguire l’ordine alla
lettera. Cominciò a ripetersi mentalmente il suo nome, quello dei suoi parenti
più stretti ed amici, la sua razza e la sua missione. Ma inesorabilmente anche
questi svanivano. Uno ad uno venivano falciati da un mietitore invisibile e
inarrestabile.
“No... non posso
permetterlo... io sono Arellon... figlio di Erotlon e Arila... fratello di
Darila... nipote di... di...” Contemporaneamente gli sembrava che tutto si
oscurasse, come se la luce infinita si stesse spegnendo lentamente e con essa
sparisse ogni suo ricordo. Il torpore e il senso di sonno crescevano. Il
mezzelfo lottava disperatamente per contrastarli, ma alla fine dimenticò anche
il suo nome. No, non poteva essere quella la sua fine. “Io... non morirò
così... l’ha predetto... l’ha predetto... L... La... l’ha predetto mia nonna...
No... io sono... sono...” Un ricordo gli riaffiorò nella mente: di quando sua
madre, il giorno del suo quindicesimo compleanno, gli aveva spiegato il
significato del suo nome. -La mia saggia madre- aveva detto -ha ordinato di
chiamarti così, perchè tu, dopo tanti secoli, sarai colui che infrangerà la
promessa e porrà fine alla discordia.- “Sì” pensò nuovamente “io sono Arellon!”
Improvvisamente l’attacco si smorzò e l’oscurità diminuì. Ma non era tempo di
festeggiare: Raolaonie era ancora più furiosa di prima. Lo zacrul resisteva
bene e ciò era intollerabile.
“Mahallonie, per l’ultima
volta, consegnacelo!” sbraitò colpendola nuovamente. I suoi attacchi erano
totalmente invisibili, l’unica cosa che si poteva scorgere era solo un piccolo
fascio di luce che splendeva leggermente più del resto. Ma ciò non significava
che non fossero potenti. Colpivano direttamente lo spirito, sgretolandolo
lentamente. La driade della betulla, nonostante fosse molto ferita, non
demordeva dalla sua fuga.
“Mai! Non lo avrai mai, stupida
pazza accecata dall’odio!” rispose con rabbia.
“Allora mi costringi a
qualcosa che non avrei voluto fare. Mi dispiace, ma non mi lasci altra scelta.”
Raolaonie preparò il suo colpo più terribile contro Mahallonie. Ma non
l’avrebbe uccisa, le avrebbe solo fatto perdere totalmente conoscenza di sè.
Così la driade della betulla non sarebbe più potuta uscire dal loro mondo, se
non per sempre, per molto tempo, almeno finchè non avesse riacquistato la sua
memoria e con essa il ricordo della sua forma spirituale e sensibile.
“No! Sorella, non farlo!”
gridò Fedhagonie trattenendola.
“Lasciami, stupida! Vuoi
farlo scappare anche tu?”
“Io... Io non voglio che
succeda ancora!”
“Di cosa parli?” domandò la
driade della quercia sempre più infuriata.
“Lo sai bene: di Terassonie!”
“Non parlarmi di lei! Era
debole, sciocca! Ha avuto ciò che si meritava!”
“No, non si meritava di
diventare ciò che è ora! L’hai vista? Hai visto come l’hai ridotta? Vaga alla
cieca, senza meta, ripetendo parole senza senso! Si sta lasciando appassire!”
“Fa parte del ciclo della
vita che un fragile arbusto che non attecchisce debba lasciare il posto a un
più forte albero.”
“No, non è naturale, non fa
parte del ciclo della vita che una di noi sollevi le mani contro una sorella!”
“Basta, taci!”
“Io non ti permetterò di
farlo nuovamente!”
“Mi hai stancato! Levati!”
“No!” gridò la driade del
pino ponendosi di fronte a Raolaonie. La driade della quercia vide che
Mahallonie ne stava approfittando per allontanarsi.
“Stupida!” sbraitò colpendo
Fedhagonie.
Intanto la driade della
betulla era quasi arrivata a destinazione.
“Arellon!” lo chiamò con il
pensiero “Tra poco ti farò uscire. Tieniti pronto: rammenta bene chi sei.”
Il mezzelfo vide una specie
di buco che si apriva, un’apertura su una zona buia. Fece appena in tempo ad
accorgersene, che subito dopo ci fu scaraventato dentro. Precipitò verso
l’oscurità cercando di gridare senza riuscirci. Poi sentì la sua voce. Percepì
l’aria che gli entrava in gola e la dolce e fresca brezza della notte che gli
passava sulle guance e sui capelli. E subito dopo il duro contatto col suolo
coperto da poca erba secca. Alzò subito il viso da terra e si sfregò gli occhi.
Si guardò attorno. Sì, era di nuovo nel suo mondo. Per la precisione era in un
boschetto di notte. Poi osservò se stesso, le sue mani, i suoi abiti, il suo
bastone. Aveva riacquistato il suo corpo. La gioia per lo scampato pericolo
durò appena un attimo però. Si alzò in piedi e si voltò immediatamente verso la
betulla alle sue spalle. La corteccia era ancora scostata e ne usciva una forte
luce, in mezzo alla quale era possibile scorgere il viso di Mahallonie.
-Addio, nipote di Lasdel!
Vai, porta a termine la tua missione. Forse finalmente tornerà la Primavera...-
disse la driade sorridendo.
-Mahallonie!- gridò Arellon
notando due braccia che uscivano dietro di lei dall’albero. Le mani verde
chiaro la afferrarono e la trascinarono dentro. -No! Mahallonie!- Il mezzelfo
corse verso l’albero, ma la corteccia ormai si era richiusa. Battè dei pugni
sul tronco e lo colpì col bastone, chiamando il nome della driade ancora per un
po’. Ma era inutile, se n’era andata. Arellon non sapeva chi o cosa li avesse
attaccati e ora la avesse catturata. Di certo nulla di buono. Se solo le driadi
avevano accesso a quel mondo, allora doveva essere stata una di loro. Ma quanta
rabbia doveva provare per attaccare una della sua stessa razza?
“Moltissima, ma non contro la
gentile Mahallonie. Contro di me. O meglio, contro l’uomo che doveva pensare
che fossi.” pensò tristemente il mezzelfo appoggiandosi all’albero “E lei si è
sacrificata per me. Lei è un’altra che ha subito e che ora subirà terribili
patimenti per causa mia! Come tanti amici e parenti...” Arellon si sollevò e
scacciò quei tristi ricordi. “Ma se non voglio che il loro sacrificio sia vano,
non devo più esitare!” Deciso, sollevò lo sguardo al cielo che si intravedeva
fra gli alberi. La stella di Laila brillava molto luminosa quella notte
d’estate senza nuvole. Indicava la via per il Nord, per il ritorno. Ma anche
quella di Atascal era particolarmente lucente, dalla parte opposta rispetto alla
prima. Guidava verso il Sud, verso la meta.
Arellon, dopo aver dato un
ultimo triste sguardo alla betulla, si mise in cammino seguendo la seconda
stella.
Incredibile ma vero, ho
deciso di aggiornare! Spero che non siate furiosi con me per il ritardo, cari
lettori.
Ringraziamenti:
@Suikotsu: Non te preocupe,
mi impegnerò a leggerlo!
@giodan: I draghi sì. Comunque,
devo proprio ringraziarti: avevo qualche dubbio su come intitolare il capitolo e
il tuo commento mi ha aiutato. Grazie! E spero che il capitolo non ti sia
sembrato banale!
@CaMbAbOy: Beh, sei molto
gentile. Continua a commentare, perchè ti sei fermato al terzo cap?
@Rakyr il Solitario: Non
esagerare con le lodi o potrei montarmi la testa...