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Autore: As a butterfly    09/03/2015    4 recensioni
«E' così difficile?» E mentre io lo fissavo delusa e arrabbiata allo stesso tempo, lui avevo lo sguardo basso incapace di agire e di parlare.
«E' così difficile scegliere?» Non ricevetti nessuna risposta. Era lì, con lo sguardo fisso sui suoi piedi, le braccia molle lungo i fianchi e la mente chissà dove.
«Maledizione, Sulfus. Parla!» Sapeva che questo giorno sarebbe arrivato. Ora perché aveva così tanta paura?
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti, Raf, Sulfus | Coppie: Raf/Sulfus
Note: Cross-over, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Un caffè. Avevo bisogno di un buon lungo caffè. Magari due bicchieri. Uno per ora e uno mentre seguivo l’altra lezione. Erano diversi giorni che il mio interesse per le lezioni stava calando sempre di più, fino ad arrivare a non interessarmi di ciò che i professori spiegavano. Mi sentivo stanca, stressata, gli occhi pesanti e la mente che andava altrove molto facilmente. Eppure ho sempre condotto questa vita allo stesso modo, e nonostante tutto in questi mesi mi sentivo sempre più strana rispetto agli altri giorni. Stamattina ci mancava poco che mi addormentassi sul banco di fronte al professore. Se solo penso a cosa mi aspetta stasera, mi gira d’improvviso la testa e mi viene la nausea. Ormai ero entrata dentro questo circolo vizioso, da cui sarebbe stato al quanto difficile uscirne fuori viva e pulita.
«Raf? Mi stai ascoltando?» Premetti con forza le dita contro gli occhi e mi ripresi. Uriè mi stava guardando con un sopracciglio alzato e una faccia indagatoria, di qualcuno che tra un momento o l’altro avrebbe iniziato un lungo e straziante interrogatorio peggio dei detective. A volte mi domando perché non si fosse iscritta a giurisprudenza. Sarebbe diventata sicuramente un ottimo avvocato.
«S-si certo…» Mentì, come ormai facevo sempre. Tutto quello che volevo adesso non era un interrogatorio da parte sua, avevo la testa pesante e confusa già di mio, non avevo bisogno di altrettanta confusione a riempire la mente.
Raggiungemmo assieme il cortile della scuola, dove ci mettemmo in fila per prendere un caffè al piccolo chioschetto al centro del cortile, circondato da diversi tavolini i quali la maggior parte erano occupati da altri studenti. Sentì Uriè che aveva ripreso a parlare, mentre la mia mente era di nuovo altrove, i miei occhi che cercavano un posto libero dove sederci. In quel momento apparivo come un radar per tutti quanti. Posavo gli occhi su un tavolo qualcuno correva a sedersi e occuparlo.
«Raf…»
«Un tavolo libero. Prendimi un caffè lungo, con panna. Tanta.» Scappai prima ancora che Uriè potesse dirmi qualcosa. Scappai, letteralmente. Corsi, fino a gettarmi contro il tavolo e sedermici. Cercai di riprendere fiato, possibile che anche una semplice corsetta poteva sfinirmi così tanto? Tenevo la fronte poggiata contro la superficie fredda del tavolo, gli occhi chiusi e finalmente riuscì a rilassarmi. Mi estraniai completamente: le voci, i rumori di macchine, di passi, l’odore del caffè e di cibo ovunque. Mi concentrai solo sul vento. Respirai ed inspirai piano, il mio cuore in gola cominciò a scendere e a battere in modo regolare. Solo quando mi sentì calma e completamente rilassata che mi misi dritta con la schiena e gettai la testa all’indietro, così che si raggi del sole potessero riscaldarmi la pelle. Quanto vorrei rimanere qui per il resto della giornata…
«Ecco il tuo caffè.» Uriè mi strappò via dal mio momento di pace, posandomi davanti agli occhi un bicchiere di caffè, dal quale fuori usciva il dolce aroma mischiato con la panna. Ringraziai la mia amica e ne bevvi un lungo sorso. Il liquido caldo mi attraversò la gola e mi scaldò facendomi venire i brividi. Era una piacevole sensazione. Quasi come la droga. Per un attimo rimanemmo in silenzio, ma sentivo lo stesso sguardo di prima di lei puntato su di me. Non ne sarei mai uscita viva e illesa.
«Cosa c’è?» Poggiai entrambe le braccia incrociate sul tavolo e finalmente ero pronta per sorbirmi il terzo grado della ragazza. Cosa poteva capitarmi di peggio?
«Si può sapere cosa ti succede? Sono un paio di mesi che ti comporti in modo strano. In classe sei sempre stanca sul punto di addormentarti, ti ritiri tardi addirittura il mattino dopo. Raf, Gabi ti sta influenzando. Troppo. Ti sta facendo del male!» Maledizione, perché ogni volta doveva mettere sempre in mezzo lui? Si, sono esausta e mi sento strana, ma lui non c’entra nulla.
«Solo perché stiamo insieme non significa nulla. Siete state voi ad incoraggiarmi a dargli una possibilità. Sapete che io non ci so fare con le relazioni, sapete che dopo un po’ mi stanco e ho bisogno dei miei spazi. Ecco, con Gabi è diverso. Lui sa quello che voglio, sa di cosa ho bisogno.» Ed era vero. Dopo diversi appuntamenti Gabi mi sembrò quello giusto per me. Non era romantico, sapeva quando avevo bisogno di rimanere da sola e quando avevo bisogno di svagarmi. Anticipava sempre le mie mosse, era come se sapesse leggere nella mia mente e realizzava sempre ogni mio capriccio o desiderio. Chi non vorrebbe un ragazzo come lui?
«Si, è vero, ma non sapevamo i suoi particolari gusti. E ti sta trascinando insieme!» Non riuscivo a credere che pensava davvero che fossi così debole da essere soggiogata così facilmente. Non avevo alcuna intenzione di parlarne con lei. Quel che facevo io, i miei vizi, erano fatti miei. Così presi la mia borsa e con il bicchiere in mano e senza nemmeno rivolgerle la parola, me ne andai, lontana da lei. Sentivo la sua voce che mi chiamava, ma divenne un eco, sempre più lontano fin quando non sparì. In quel momento avevo bisogno solamente di una persona e sapevo dove trovarla. Raggiunsi correndo il retro della scuola, dove di solito si raggruppavano quelli che noi avevamo etichettato drogati o l’angolo delle coppie in astinenza. Vi lascio immaginare il motivo per cui sono qui. Ed eccolo. Gabi era proprio lì, appoggiato al muro, le mani in tasca che mi attendeva. Corsi verso di lui e dopo aver gettato borsa e bicchiere a terra gettai le braccia al suo collo e catturai le sue labbra famelicamente e con fare bisognoso. Avevo bisogno di un contatto con lui, avevo bisogno che mi facesse sentire bene. Avevo bisogno di lui. Rimanemmo così per chissà quanto tempo, fin quando il fiato ce lo permetteva. Ci staccammo solo un attimo, i nostri respiri affannosi si incrociarono e le nostre fronti erano l’una contro l’altra. Eccola, la mia medicina. Sorridemmo entrambi, il mio corpo si fece improvvisamente caldo e io all’improvviso avevo voglia di scappare da scuola e stare solamente con lui.
«Non posso piccola, il signor Tanner mi uccide se non mi presento a lezione.» E come al solito, lui mi lesse nella mente e mise fine ad ogni mia fantasia. Mi rabbuiai, mi imbronciai, e cercai di fargli cambiare idea. Ripresi a baciarlo, dedicandomi anche al suo collo. Ma lui mi rifiutò.
«Davvero. Non posso. Non posso permettere che mi bocci.» Fanculo questa maledetta scuola.
«E stasera?» Presi la sua mano e iniziai a far ondeggiare le nostre braccia. Rimanemmo lì più del dovuto, fin quando Gabi non si rese conto che era in ritardo per la lezione e mi fece rendere conto che anche io ero in ritardo per la lezione con il nuovo professore. Mi accompagnò davanti l’aula. Era chiusa e sentivo una voce giovane che irrompeva all’interno dell’aula. Nessuno fiatava. Era davvero così affascinante?
«Ti passo a prendere alla solita ora.» Sorrisi e dopo avergli dato un bacio fugace lo lasciai andare. Una parte di me voleva scappare via e non seguire la lezione, l’altra parte di me, quella responsabile mi costrinse a prendere la maniglia e aprire la porta. Ed ecco la scena che avrei voluto evitare.
Tutti quanti si girarono verso di me. Chiacchiericci del motivo del mio ritardo iniziarono a invadere la stanza. Scommettevo che riguardavano me e Gabi e una sveltina. Sbuffai ed entrai dentro l’aula e stranamente, c’era posto davanti, dove fui costretta a sedermi. Non uscì nulla, ne libri e nemmeno il quaderno.
«Lei sarebbe?» Cosa? Alzai di scatto lo sguardo e incontrai un paio di occhi ambrati e una chioma corvina che mi fissava. Mi sentì subito in soggezione e intimidita. Nei guai il primo giorno di lavoro del nuovo professore. Fantastico.
«Prince, signore.» Perché mi sentivo improvvisamente agitata? Perché avevo paura di parlare? Perché non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui? Deglutì cercando di mandar giù quell’improvviso nodo in gola. Ho bisogno di uscire da quest’aula. Ora.
«Bene signorina Prince, gradirei che alla prossima lezione non venga più in ritardo. Ora riprendiamo…» E da lì mi sconnessi col cervello. Volevo scivolare nel banco per la vergogna. Riuscivo sempre a cavarmela in queste situazioni, ma stavolta era diverso. Mi passai una mano tra i capelli e cercai di calmarmi. Per distrarmi presi il mio libro e il quaderno e feci finta di scarabocchiarci sopra. No, non stavo prendendo appunti, di tanto in tanto alzavo lo sguardo verso il nuovo professore che invece era concentrato a presentarsi e esporre il suo programma. Quando incrociava il mio sguardo anche se sapevo che non stava fissando me in particolare, io lo distoglievo spaventata. Potevano occhi come i suoi intimidirmi in quel modo?
 
Che mi stava succedendo?

Salve a tutte, eccomi qui con il primo capitolo.
Avete scoperto un lato nuovo di Raf, avete scoperto chi è il famoso nuovo professore. Ma il cambiamento d'umore di Raf è un mistero vero?
Spero che vi piaccia, buona lettura!
  
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