~~Ero incredibilmente consapevole; vedevo dentro e fuori di me con una chiarezza devastante; sentivo il sangue salire, pompato da cuore, fino al cervello. Il rosso del sangue si condensava in interminabili disegni di macabra soddisfazione, mentre le nuvole cerulee si addensavano sopra la mia testa come una gigantesca coltre di sogni infranti.
Lo sbaglio si era irrimediabilmente mescolato alla quotidianità, impastato in un’unica continuità immateriale di genuina sopravvivenza quasi dovuta.
O forse no.
Non lo dovevo a nessuno, in fondo. Non avevo scelto io la mia esistenza, né il mio linguaggio o i miei codici. Non volevo la mia casa, la mia famiglia, i miei amici. Non volevo la mia città grigia, priva di spontaneità, costruita sulle disgrazie di molti, sugli interessi di pochi. Quel mondo di convenzioni, inscatolate nel comune rigore di compatibilità e convivenza, una storia già scritta, appena modificata, perfettamente adattata al qui e ora senza mai uno spiraglio di libertà.
La libertà.
Libertà evitata, celata, rinchiusa. Mondo inesistente, solo teorizzato. Teorizzazione smentita, spogliata, ridicolizzata per paura di un’inattesa riuscita. Creduta ingestibilità del sogno utopico di chi, lungimirante, vede al di là del vero e del possibile, sognando l’impossibile, il tabù.
Intenzione che diventa ossessione, controllata pazzia del mondo che addita, indegnamente, il diverso come folle, nascondendo nella maggioranza il seme del male.
Richiesta d’aiuto ascoltata e ignorata per chi, come noi, soffre del male del mondo.