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Autore: bacionero    10/03/2015    5 recensioni
Candice si ritrova ad abitare nuovamente a villa Andrew. E' lontana da anni dal suo Terry ma qualcosa potrebbe riavvicinarli...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Londra, maggio 1913

-Cosa conosci veramente di me,eh?

-Se fosse stato Anthony…

-Ma davvero? E come ti avrebbe baciata Anthony? Doveva baciare molto dolcemente…

-Smettila!

-Come fai a sapere cosa penso e come mi sento? Anthony, sempre Anthony! Lui è morto! Vorresti vederlo? Coraggio, chiama il tuo Anthony! Non importa cosa fai, quel tipo non tornerà mai più. Anthony è morto!

-Smettila! Terry!

-Vieni! Ti farò dimenticare ogni cosa di lui! Te lo strapperò dal  cuore una volta per tutte!

-Dove stiamo andando? Smettila!

Cavalli…una corsa…Anthony! Ah!

-Theodora andiamo! Sali su, Candy!

Si guardava intorno e mi sorrideva…la foresta soleggiata…Anthony…smettila, Terence, smettila!

-Grida e piangi quanto ti pare! Vediamo se Anthony torna da te…

Il fruscio delle foglie…il profumo del bosco…come allora….come il giorno in cui Anthony morì…

-Chiama Anthony, chiamalo più che puoi! Non tornerà! I morti non ritornano! Dimenticalo! Devi dimenticarlo….apri gli occhi, e guardati attorno. Il bosco splende  di vta, i raggi del sole accarezzano la foresta…l’erba,gli alberi, le piante..

Anthony…vorrei sentire la tua voce, prenderti la mano, ma non riesco a raggiungerti ... ti sento sempre più lontano e invece…invece accanto a me c’è Terry…

-Terry….

Poco dopo….

-Siamo seduti qui da un po’…

-Stai sanguinando. Anche il vestito di Giulietta è danneggiato. Fa male? So di essere stato brusco, ma non me ne pento.
 
 
 
Chicago, luglio 1914
 
-Terence, Terence! Scommetto che cercavi me, sono qui!

-Iriza? Sei a Chicago? Allora anche Candy è tornata in America! Dov’è Candy? Dimmelo Iriza!

-Lasciami Terence sei un bruto! Lasciami!

-Signor Terence, abbiamo trovato il suo fazzoletto. Era a teatro, su una poltrona.

-Ma questo è uno dei fazzoletti che usavo a Londra! Lo avevo dato a Candy…allora era venuta a vedermi…Candy…devo trovarti, a qualsiasi costo!

 
New York,  novembre 1914 
 
-In questa foto non mi sembri neanche tu.

-Ma non è una foto, è un manifesto.

-Non è la stessa cosa? Comunque volevo dire che stai molto bene, ma…

-Ma cosa?

-Pensavo che fosse Susanna Marlowe a impersonare Giulietta e invece vedo che sarà Karen Kleis. Ne sarà felice, sai, l’ho conosciuta in Florida. Comunque sono contenta, perché devo confessarti che ero un po’ gelosa di Susanna.

-Candy, il thè è pronto.

-Mi piacerebbe cambiare il nome di Karen Kleis e scriversi quello di Candy Candy.

-Eh?

-Mi piacerebbe recitare nella parte di Giulietta.

-Ah ah ah così questa tragedia si trasformerebbe in una farsa!

-Terence ma come ti permetti!

-Oh! Candy!

-Candy ,ti ho fatto  venire qui perché desideravo che restassi qui per semrpe…ma ora…

-Guarda che disastro ho combinato…ora pulisco. Ho fatto rovesciare  le tazze con il thè.

-Lascia stare, sei mia ospite. Tieni, asciugati con questo fazzoletto.

-Grazie Terence.

-Non restituirmelo, voglio che lo tenga tu.
 
Chicago,  ottobre 1919
 
Seduta sulla poltrona di velluto dentro il palco riservatole dal suo amico attore, il lungo vestito a sfiorare il pavimento, la ragazza tormentava nervosamente il fazzoletto che da anni portava in borsetta senza usarlo. Il suo feticcio, l’oggetto magico che condensava anni di rimpianti, forse anche di speranze, il cui ricamo ella carezzava con tenerezza  come se le carezze  potessero  arrivare al suo antico proprietario. Lunghi guanti bianchi, un lucente  diadema sulla fronte e un vestito prezioso come  broccato non facevano di lei una principessa né  tantomeno una persona felice. La penombra nella quale era immersa e lo spazio ristretto del palco erano un piccolo rifugio che la isolava dal mondo. Guardava verso la scena  dominata  da quella figura di giovane uomo dal perfetto accento inglese che rendeva invisibili e insignificanti tutti gli altri attori. La sua  gestualità era misurata ma efficace, la voce piena ma non prevaricante, la fisicità scattante e perfetta solo all’inizio catalizzava l’attenzione del pubblico, per poi venire messa in secondo piano  dalle sue abilità attoriali.

La ragazza poteva udire il fruscio del vestito della signora in platea sotto di lei, tanta  era l’attenzione che il pubblico riservava a quella che era stata una promessa e ora era un’eccellenza di Broadway. Un altro giorno ancora e quell’attore sarebbe diventato solo un ricordo perso nel fiume impetuoso della sua vita, un ricordo triste come un germoglio non sbocciato, come una giornata grigia dall’alba al tramonto, che minaccia la pioggia senza rovesciarla, che promette il sole senza offrirlo.

La fine della rappresentazione segnò per lei il momento di abbandonare quel palco nel quale aveva sognato, immaginato e pianto. Piegò con amore il fazzoletto che teneva in mano e lo  poggiò sulla sedia, quindi aprì la porta che la separava dal mondo esterno e si immise nel flusso di gente che guadagnava le scale più vicine per scenderle. Il suo passo, cadenzato ma lieve, era un addio senza perdono. Tra poco avrebbe salutato Patty e raggiunto la carrozza che Albert le aveva mandato per fare ritorno a villa Andrew.

Ad una trentina di metri in linea d’aria, il giovane attore che tanto aveva infiammato il pubblico faceva ritorno in camerino.

-Dite ai giornalisti che per oggi non se ne parla affatto! Non ho alcuna voglia di starli a sentire né di dar loro confidenza!

-Ma..ci sono delle ammiratrici qui fuori, che attendono che almeno le saluti…

-Un’altra volta, oggi proprio no. Farò in modo di non essere riconosciuto.

Una barba posticcia, un cappello a tesa larga e un mantello era ciò che gli occorreva.

-Buonasera belle  fanciulle-disse alle giovani in attesa fuori dal camerino, con l’accento dei bassifondi di Chicago, ed esse lo fecero passare non senza un’espressione di disgusto.

Raggiunto il palco di Candy Terence tolse mantello, barba e cappello, e legò i capelli che improvvisamente avevano preso a dargli fastidio. Accuratamente ripiegato sulla sedia c’era un fazzoletto. Era il fazzoletto con il quale aveva fasciato il braccio di Candy il giorno della festa di maggio e che le aveva lasciato  quando  era venuta a trovarlo a New York, sapendo che quella forse era l’ultima volta che stavano insieme. Aveva voluto che lo tenesse lei come suo ricordo.

Quelle sensazioni dimenticate eppure familiari gli tornarono alla mente: lui e Candy giovanissimi che danzavano alla festa di maggio, la delusione per il mancato incontro di  Chicago  e infine le infauste e profetiche parole di Candy devo confessarti che ero un po’ gelosa di Susanna.

Abbandonare quel fazzoletto non significava forse voler recidere ogni legame per sempre? Non significava forse che era finita, che questa volta era irrimediabilmente finita?
Le gambe tremarono, sentì la necessità  di appoggiarsi alla balaustra, di sedersi. Poggiò le braccia sulla balaustra e avvertì che le lacrime non volevano proprio saperne di restare confinate nella sua anima.

Ti odio, Susanna. Non potrei mai stare con te. Sei la causa dell’infelicità mia e di Candy. Lei è venuta qui  perché gliel’ho chiesto io. Certamente ha sofferto a stare qui guardandomi da lontano, e soffrirà ancora in futuro, e se smetterà di soffrire vorrà dire che ci sarà un altro a renderla felice…

Candy, siamo stati come il giorno e la notte, mai insieme, eppure ti ho ritrovata ogni giorno dentro di me, non sono riuscito a strapparti via.

Ho avuto paura del tuo giudizio, di quello che avresti pensato di me se avessi abbandonato Susanna. Ma mi fa ancora più paura che tu possa pensare che non ti abbia amata abbastanza da mettere tutto il resto in secondo piano.

Ma cosa farei se tutto fosse davvero irrimediabilmente compromesso? Se davvero non si potesse fare nulla, assolutamente nulla? Sarei ancora più disperato di ora. E invece ancora si può fare qualcosa…


Forse poteva farcela a raggiungerla.

Come una scheggia corse via, scese le scale e si guardò attorno, era come un punto in mezzo alla folla.

-Signor Bogart, la ragazza alla quale ho riservato il palco è andata via?

-L’ho vista cinque minuti fa parlare con una sua amica, ma non riesco a vederla.

-Ma quello non è l’attore principale? Accidenti, quanto è affascinante…-si dissero stupite due giovani signore.

Alcuni giornalisti avevano ascoltato. Lì vicino c’era proprio quell’attore che si concedeva poco a loro e sempre in compagnia di qualcun altro. In quel momento, invece, era solo, e difficilmente avrebbe potuto fuggire.

Nonostante l’agitazione Terence capì di essere stato individuato. Accidenti! Aveva dimenticato il travestimento dentro il palco. Se fosse stato appena un po’ più sprovveduto, non avrebbe avuto l’intuizione che la salvezza da quegli importuni giornalisti e insieme la più completa felicità potevano derivargli dal semplice attraversare la porta d’ingresso e  cercare la ragazza al di fuori del teatro.

Focalizzandosi sull’uscita, e sperando che la sua calma apparente non desse l’idea di essere un fuggitivo, raggiunse la grande porta a vetri e la oltrepassò. Il freddo di quella sera era pungente, gli sembrava quasi di rivivere la triste esperienza di New York, di quell’abbandono struggente sulle scale di un ospedale . Non potè fare a meno di stringersi nelle spalle per il freddo, e partire  alla ricerca di Candy, mentre una leggera pioggia cominciava a cadere sul suo volto.

Erano tante le carrozze in attesa degli aristocratici spettatori di quella rappresentazione, ma Terence non pensò neanche per un attimo di desistere. Se la ricerca non fosse andata a buon fine, sarebbe stato capace di prendere la prima vettura  libera e recarsi a villa Andrew. Ma prima, avrebbe percorso le due file di carrozze incolonnate  ai lati del marciapiede fino alla fine e avrebbe chiesto ad ogni cocchiere.

Aveva oltrepassato una decina di vetture ma di Candy neanche l’ombra. Eppure, la disperazione poteva essere definita l’ultimo dei suoi sentimenti. Ora che aveva deciso di tornare da lei era solo questione di tempo, e l’attesa della felicità non avrebbe fatto  che aumentare la felicità stessa.  Forse sarebbe stato anche astruso, poco chiaro, forse l’emozione non gli avrebbe permesso di esprimersi, ma alla fine si sarebbe spiegato.  Le avrebbe chiesto di perdonarla  per averla fatta soffrire in quei quattro anni, ma le avrebbe detto che lo aveva fatto per lei, perché era quello che lei aveva voluto quella notte, a New York.   Era quello che lei gli aveva chiesto, e che lui aveva eseguito. Ma ora non era più il ragazzino sprovveduto e impotente dei tempi del collegio e neanche quell’uomo che quattro anni prima aveva sacrificato la propria felicità in nome di un ideale che neanche lui in quel momento sapeva definire e nel quale neanche più credeva.

Ma quel dedalo di carrozze, quell’accozzaglia di cocchieri e di dame incipriate proprio non volevano saperne di dischiudere quel prezioso tesoro.

I cocchieri con gli ombrelli aperti, i signori con sigaro e cilindro e perfino alcuni bambini che timidamente si avvicinavano a chiedere l’elemosina ai passanti rendevano quella visuale uno spettacolo variopinto e folle.

Giunto alla penultima  carrozza, la signora che stava  per salire si era soffermata a dare l’elemosina al ragazzino che aveva ringraziato improvvisando un inchino ed era andato via. Fu solo in quel momento che Terence si accorse che, nonostante la complicata pettinatura e l’abito da sera che non le aveva mai visto indossare, quella signora era proprio Candy. Certo, sarebbe stato difficile per lui riconoscerla dalle forme che, più dolci e arrotondate di un tempo, alcuni giorni prima aveva solo potuto immaginare  sotto i  pantaloni e la camicia lunga, ma nell’attimo in cui si era voltata, prendendo tempo per chiudere la borsetta, Terence aveva scorto sul suo viso un cenno del sorriso che conosceva bene e la sua immancabile espressione di gioia ogni volta che faceva una buona azione. Certamente quel bambino per un momento doveva averla distolta dalle sue preoccupazioni, tanto da non farla  accorgere di lui. Ma, voltatosi un attimo per prendersi ancora qualche secondo,  la sua gioia si smorzò  nel  constatare che quei giornalisti che lo avevano  intercettato  in teatro lo avevano individuato e stavano venendogli incontro.  Perciò, l’approccio non fu come aveva sperato.

Avvicinatosi, ed essendo stato accolto da  un’espressione frastornata e sbalordita, ebbe solo il coraggio di dire:

-Il fazzoletto…tieni…è tuo…oh, no! Saliamo in carrozza!

Candy vide lontano gli inseguitori e salì.

-Ma si può sapere che hai combinato questa volta, Terence?

-Normale amministrazione, Candy. Può andare più veloce, per cortesia?

-Ma certo, fa’ pure come vuoi, disponi pure di questa carrozza come se fosse tua.

-Non ti sapevo così sarcastica, Lentiggini.  E comunque l’ultima cosa che voglio in questo momento è essere raggiunto. Vada più veloce, ci stanno raggiungendo!!

Difatti, quei giornalisti che avevano avuto la ventura di imbattersi nel più inaccessibile degli attori di Broadway, avevano avuto pure la fortuna di trovare una carrozza libera e si erano lanciati all’inseguimento.

-Signore, se continuiamo ad andare a questa velocità presto una delle  ruote si staccherà  e allora ci dovremo fermare per forza.

-Ho un’idea! Qui vicino c’è l’Hotel Palmer House Hilton, ci lasci lì e poi prosegua, gli inseguitori penseranno che siamo ancora dentro questa carrozza-intervenne Candy.

Terence fischiò di ammirazione.

-Non sapevo neanche  che leggessi detective stories. 

-E’  l’hotel dove ci siamo incontrati, ricordi?

La carrozza percorse un’ampia curva prima di frenare bruscamente e permettere a Terence di aprire lo sportello e lanciarsi assieme a Candy verso l’entrata dell’hotel, prima ancora che il cocchiere potesse dire “arrivederci”.

Alla reception l’impiegato che faceva il turno di notte li salutò con educazione e quando Candy si presentò come  un’amica di Patty O’ Brien le disse che era stato informato dell’eventualità di questo pernottamento e che era felice di fare  tutto il possibile per rendere gradevole il soggiorno.

-In realtà noi non abbiamo intenzione di pernottare qui per la notte, abbiamo bisogno di trascorrervi qualche ora- gli disse, imbarazzata dall’idea che il tipo pensasse che avevano intenzione di dormire insieme- È probabile che alcuni giornalisti vengano a cercarci, lei non ci ha visti, chiaro?

-Ma certo, signorina, capisco. Capisco che lei, signorina Andrew, e il signore avete bisogno di un posto discreto per qualche ora. Ecco qui la chiave, e buon divertimento.

Il tono mellifluo dell’impiegato non passò inosservato, e Candy arrossì.

-Se preferite posso farvi portare dello champagne.

-No!- tuonarono entrambi, all’unisono.

Ma mentre Candy saliva quelle scale dirigendosi verso la stanza 44, la stanza che era stata riservata a Patty e nella quale si erano incontrati appena qualche giorno prima, si chiese cosa andassero veramente a farci. Si era resa complice di quella rocambolesca fuga, ma tutto era iniziato perché Terence l’aveva avvicinata.

-Aspetta, Terence. non mi hai detto perché mi hai fermata, prima, a teatro.

-Vieni, Candy, te lo dirò in camera.

La stanza 44 era rimasta come la ricordavano, spaziosa e arredata con buon gusto.

-Che senso ha tutto questo, Candy? Voglio dire, io e Susanna, tu…che senso hanno le nostre vite negli ultimi quattro anni? Ogni giorno solo un giorno in meno sul calendario. Ma questo io lo chiamo esistere, non vivere.

-Però a villa Andrew mi era sembrato che fossi intenzionato a prenderti seriamente cura di lei.

-Il giorno prima ero nuovamente caduto nel baratro della disperazione, tu avevi saputo quello che era successo in teatro ed io sono andato via da villa Andrew  più per dimostrarti che potevo farcela che per reale convinzione di poter passare tutta la vita con Susanna. Ma adesso ho capito che tutto ciò non ha senso.

-E  che ne sarà di lei?

-Susanna è determinata e più forte di quanto sembri. Dopo l’incidente aveva bisogno di sostegno, ed io le sono stato accanto, ma ora sta bene. È  giovane  e certamente, se sarà libera dall’ossessione che ha per me, troverà la sua felicità. Ma di una cosa sono certo: non sarà mai felice se resterà al mio fianco.

-E’ tutto così strano, è accaduto tutto tanto velocemente…

-Ci sono certe cose che semplicemente non cambiano, Candy. Io non potrò mai amare la mia matrigna, e non potrò mai amare Susanna. I miei sentimenti non cambieranno mai, qualunque cosa io faccia.

Quell’abbraccio, nella penombra di quella stanza, fu quanto di più naturale potesse seguire a quelle parole.

 
 
Il dado è tratto, come avrebbe detto Giulio (Cesare). Il dilemma era: poco pathos, tanto pathos? Se fosse per me non lesinerei mai, ma per non appesantire troppo il tutto ho introdotto qualche trovata che stemperasse  la tensione. Un po’ di pathos ci voleva, però, anche se alla fine ho preferito lasciare immaginare al lettore e uscire “in punta di piedi” da quella stanza. Ho rivisto la scena della riconciliazione preferendo anticiparla, in realtà la mia idea iniziale  era di farli "friggere" ancora un po', ma poi ho cambiato idea. Se c’è qualche difetto, una critica costruttiva è ben accetta.
Per quanto riguarda le scene iniziali, ho mescolato manga, anime e fantasia.
Non siamo proprio alle battute finali, mancano altri 6 o 7 capitoli, dipenderà tutto dalla lunghezza dei singoli capitoli. Grazie a tutti coloro che leggono.

 
   
 
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