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Autore: Gavriel    10/03/2015    1 recensioni
Apollonius e Celiane. Dall'odio viscerale all'amore assoluto, passando per guerra, amore e morte.
Lui era lì, in ogni battaglia: a volte compariva davanti al sole, con le ali possenti come ad abbracciare l’astro, e discendeva terribile sul campo; altre volte era al comando dello schieramento , e ordinava l’assalto con le sue vesti cangianti, coi i capelli in un turbine di fuoco. E Celiane lo cercava ogni volta, quasi con disperazione. Lui d’altra parte faceva sempre in modo di trovarsi nelle vicinanze dell’umana che lo aveva ferito, col feroce desiderio di una vendetta.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Apollo, Apollonius, Celiane, Gen Fudo, Toma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cure Serali

L
a prima cosa che notò era la potenza della macchina. Non stavano volando più su un grosso barcone rattoppato, piuttosto una biga trainata da cavalli fin troppo esuberanti: con la velocità e le manovre che Gen stava provando sarebbe stato praticamente impossibile scoccare con precisione. La seconda cosa che notò, dopo essersi assestata fu la sua assenza. Prima di attaccare aveva fatto fare a Gen una perlustrazione su tutte le truppe nemiche –questa volta qualche decina di individui e tre velivoli-  che probabilmente  era costata qualche vita umana.
Col loro metodo ben collaudato riuscirono a legare e a far collidere i due velivoli angelici in poco tempo facendoli cozzare tra di loro, dopo averli assicurato al Vector Alfa, che essendo più pesante aveva fatto loro da perno su cui ruotare. Celiane lo cercava ancora con lo sguardo quando un massacratore piombò loro addosso. Gen riuscì sterzare appena in tempo per evitarlo e rimise in assetto il beta con un avvitamento, Celiane venne sbalzata fuori, rimanendo aggrappata solo con la forza delle braccia. Lui se ne accorse e con un altro avvitamento la fece ricadere dentro l’abitacolo.
-MA TI SEMBRA IL MODO?
-E come faccio, se sono agganciato alla plancia?
Gen tese i comandi per trovare un assetto più stabile e cominciò a planare verso il campo di battaglia, che adesso si era spostato a ridosso delle mura: una formazione angelica stava addossando una cinquantina di uomini contro le fortificazioni. Celiane aveva appena incoccato l’arco quando un forte scossone dirottò il vector di lato
-Atterra!_ disse lei rialzandosi_ e la prossima volta ci mettiamo un vetro qua intorno!
Atterarono per combattere nel corpo a corpo, ma non ebbero il tempo nemmeno di raggiungere un massacratore che, come di consueto, essi si innalzarono verso il cielo chiamati da canti invisibili. Dietro di loro salme e guerrieri ansimanti, compresi Celiane e Gen.
 
 
Celiane aveva passato tutto il pomeriggio ad aiutare a riportare i corpi dentro le mura, aveva anche assistito alle esequie: una pira che saliva in cielo crepuscolare come una colonna rossa. Anche Markus aveva partecipato ai funerali, con la faccia grave di chi non si abitua facilmente; evitava di girare troppo per le caserme, ma non gli bastava voltare lo sguardo per risparmiarsi il dolore e la consapevolezza della propria impotenza. Celiane aveva la sensazione che il lavoro che loro stessero facendo coi vector fosse in gran parte una montatura, una bolla allo scoppio della quale non sarebbero rimasti che dei rottami. Guardò ipnotizzata le volute scatenate dalla pira, le masse scure avvolte in essa andavano consumandosi; le sembrò di vedere il profilo di una mascella staccarsi dalla mandibola.
In alto,  le scintille salivano come brevi stelle contro il cielo color cobalto e si spegnevano nel fumo grigio generato poco sotto. Un po’ d’aria bruciata arrivò alle sue narici, si rese conto che non aveva importanza cosa stesse respirando, ma chi: per un attimo si sentì prendere dall’orrore, poi si rese conto che quella cenere, quel fumo, erano l’ultima volontà di coloro che erano morti per permettere a lei e a tutta Hoor e Alisia di andare avanti,  che avevano accorciato le loro vite per allungare la sua, e quella di Markus, di Gen e di tutti gli abitanti dei due regni. Un senso di gratitudine le si allargò nel petto, mentre ispirava l’aria pungente della pira per far entrare dentro di lei la forza dei morti, e il loro coraggio. Si trovò  commossa, in un misto di amore, gratitudine e dolore; represse un singhiozzo e partecipò alla fine della cerimonia con uno spirito nuovo.
 
Riportarono il vector nell’hangar. Il che era abbastanza positivo, visto che era una delle prime volte che non veniva distrutto nello scontro.
Finché potè rimase con gli operai a sistemare il beta e a cominciare a smantellare i due velivoli angelici ,però dovette andarsene quando Gen, ormai l’unico rimasto, aveva fatto pressione perché riposasse almeno per qualche ora.
Qualche minuto dopo era davanti alla porta delle stanze di Markus. Accostò l’orecchio alla porta scura, e sentendo delle voci parlare decise di bussare. Ad aprirle però era il grosso faccione di uno dei precettori; lei chiamò Markus, il vecchio fece per richiudere quando una voce comandò di  lasciarla entrare, varcata la soglia vide una figura ripiegata su una sedia, attorniata da due persone dai visi familiari, i suoi maestri. Realizzò che quelli non erano affatto precettori.
Erano medici.
Il giovane alzò lo sguardo e le rivolse un sorriso stanco
-Per fortuna posso ancora sentirti, benvenuta alle mie cure serali
Celiane avanzò di qualche passo verso il centro della stanza, sorpassò un piccolo carrello portavivande ricoperto di bottiglie e ampolle e si portò vicino al tavolo dove anche lui era seduto. La sua pelle sembrava grigia a confronto con la sua casacca bianca, profondi solchi scuri gli segnavano gli zigomi, Celiane non lo aveva mai visto così male, contando che poche ore prima aveva presenziato alla cerimonia in buono stato… Incrociò e sostenne il suo sguardo preoccupato, i suoi occhi, che normalmente avevano il colore della notte adesso apparivano fangosi, illuminati dai riflessi rossi del fuoco.
-Ogni sera è così?
Il medico più smilzo, vestito con una tunica color ocra gli stappò e porse una grossa bottiglia di liquido scuro e denso. Lui la prese con tutte e due le mani e la appoggiò sul tavolo senza mollarla, come se ci si aggrappasse. Per qualche secondo rimase a fissare la bottiglia, poi con quello che sembrava un enorme sforzo di volontà si decise a bere il liquido nerastro. Era evidente che fosse disgustoso, ma continuò finché non ebbe vuotato la bottiglia.  La posò sul tavolo facendo rumore, fece un cenno affermativo al vecchio medico che gliene porse una seconda, identica. La bevve, questa volta più velocemente, come se ne avesse sete; mise anche quella sul tavolo, accanto alla prima, nella quale il liquido viscoso si era già depositato sul fondo, formando uno strato limaccioso e scuro.
-Si, devo prenderle quasi ogni sera
Fece lui pulendosi la bocca con il dorso della mano e raccogliendo da quella gli ultimi residui di medicina, che a quanto pare cominciava a manifestare il suo effetto: la sua voce stava ritornando normale, il suo colorito sembrava quello di qualcuno ancora in vita, i suoi occhi avevano riacquistato il loro usuale nero liquido.
Con poche parole gentili si liberò dei due medici, poi si rivolse di nuovo a lei e si preparò alla valanga di domande che sarebbero uscite dalla sua bocca.
Solo che non arrivarono, non subito per lo meno. I riflessi tremuli e aranciati dal camino non proiettavano più ombre scure su di lui, anzi, lo rendevano più nitido, chiaro, come se fosse un massacratore.
-Perché mi hai mostrato questo?
-Pensavo che sarebbe stato_ Markus si piegò un po’ di lato mentre pensava ad una parola calzante_ corretto mostrarti come sono.
Per un istante lei desiderò non averlo saputo.
-Cosa c’era dentro?
Chiese lei prendendo in mano una bottiglia vuota e contemplandola controluce
-Non lo so di preciso _ con il pollice Markus tirò via un po’ di liquido residuo dal collo della bottiglia e si leccò il dito_  ma è da un po’ che mi nutro solo di questo.
La principessa non aggiunse altro: non era nemmeno sicura di voler entrare nel merito della malattia di Markus; sobbalzò quando lui le prese le mani.
-Celiane _La sua espressione era seria, limpida e risoluta_ portami sul campo la prossima volta.
 
 

 
Aveva appena finito di allenarsi quando l’allarme suonò di nuovo, quattro giorni più tardi. Celiane corse via dallo spogliatoio verso l’ala est del palazzo, dove era stato allestito il nuovo hangar. Al suo arrivo Markus la stava aspettando fuori dalla porta. Si chiese se quel ragazzo avesse il dono dell’ubiquità: l’aveva lasciato pochi minuti prima fuori dalle mura ed ora era li, bello fresco, mentre lei ansimava per la corsa.
All’interno Gen e la sua squadra stavano approntando due Vector, Celiane fece per mandare Markus ad armarsi, ma si rese conto che aveva già addosso un’armatura di cuoio e degli indumenti che gli coprissero mani e viso.
-Com’è facciamo entrare anche le mummie?
La voce aspra di Gen rimbombava dal vector che stava avviando
-Sai com’è, visto che anche un troll è capace di governare un velivolo…
-Smettetela!
Li interruppe Celiane prendendo posto sulla plancia di comando e avviando una gemma dell’anima. Markus si legò ad una cima fissata allo chassis dietro di lei.
Partirono involandosi verso il cielo plumbeo; era tardo pomeriggio e il sole era appena tramontato dietro i crinali rocciosi, che apparivano neri, contro un cielo di velluto grigio. Celiane e Gen fecero un giro di ricognizione per trovare ed analizzare lo schieramento, ma sembrava che non ci fosse nessuno.
-CHE SIA UN FALSO ALLARME?
Gen si stava sgolando dall’abitacolo del vector
A qualche metro di distanza Celiane era salita in piedi sulla poltrona di comando. Bisognava trovare un metodo più comodo per comunicare.
-TORNIAMO ALLA BASE
E in quel momento piombarono su di loro. Celiane sentì l’impatto sulla fiancata destra diassarle il vector: la sagoma orrenda di un Massacratore incombeva sull’abitacolo. Questa volta gli obbiettivi non erano i fanti, ma i velivoli stessi.
-Hanno assaltato Gen!
La voce di Markus la riscosse . Con un precipitoso avvitamento si liberò dell’angelo e si diresse verso il vector di Gen, coperto da due Massacratori. Puntò dritto contro di loro a massima velocità, i pannelli fischiavano per l’attrito contro l’aria. Appena i due si accorsero del pericolo si scansarono liberando Gen, che riuscì ad evitare l’impatto con la sua compagna  per un soffio. Riuscirono a salire di quota quel tanto che bastava per avere una visione d’insieme: due schieramenti angelici stavano operando in squadra; uno si occupava di non far disperdere gli umani, l’altro invece era preposto alla mietitura vera e propria. Non servì nemmeno un cenno affinché Gen e Celiane si capissero. Puntarono entrambi verso il punto in cui il primo schieramento si chiudeva dietro ai combattenti umani e li dispersero come un banco di pesci, garantendo una via di fuga agli uomini.
Ma si erano dimenticati dei Massacratori dietro di loro; l’impatto controllato di due angeli fece perdere completamente l’assetto al vector di Celiane, che rovinò a terra senza avere il tempo per una manovra di salvataggio. Niente rotolamenti ad attutire la velocità d’urto, niente superfici comprimibili dove poter rimbalzare; l’impatto col suolo fu devastante. Celiane Riprese i sensi e si accorse di essere sottosopra, si slacciò la cintura e cadde sul soffitto boccheggiando. Dall’atra parte dell’abitacolo Markus era incosciente, con il viso insanguinato, il braccio piegato male. Uno stridio di unghie, un massacratore dalla pelle squamata piegò il vetro come se fosse stato del caramello non troppo solido. Il suo corpo era più simile a quello di un rettile che a quello di uomo: le  membra erano oblunghe e piegate al contrario; una di quelle prese Celiane e la gettò fuori dall’abitacolo.
La donna si rialzò arrancando; davanti a lei il mostro era di spalle, si stava ancora accanendo sulla carcassa del vector, un lampo di angoscia la attraversò appena si rese conto che si stava accanendo su  Markus e non sul velivolo. Senza ragionare partì alla carica, il mostro fece appena in tempo a reagire e lei riuscì a ferirlo di striscio.
Male, malissimo, il mostro riportò ancora su di lei l’attenzione, avanzando lentamente. Non si ha fretta di schiacciare una formica, non si ha fretta di strizzare una lumaca.
Celiane alzò la guardia, si trattava di resistere solo fino a quando non venivano richiamati indietro.  Era quasi buio, l’ultimo spiraglio di luce si rifletteva liquido sulla sua armatura argentea, poi ad un tratto scorse dietro di lui il biondo calarsi fuori dall’abitacolo con le due balestre sulle spalle; si concentrò ancora sul mostro pronta ad un assalto disperato quando un rumore agghiacciante la paralizzò, come mille urla insieme. La creatura si stava contorcendo dal dolore, Celiane notò la freccia che spuntava dietro il suo collo e vide una sagoma familiare correre scomposta verso di lei.
Markus muoveva le labbra, ma lei non riusciva a distinguere la sua voce; la aiutò ad alzarsi e le mise in mano una delle sue balestre. Con gesti febbrili la caricò e mirò alla testa del mostro, che ormai si stava rialzando.
-Va dietro quella roccia!
Ordinò a Markus mentre tentava di prendere la mira. Ma era troppo tardi: con un solo, potente balzo, il massacratore stava già piombando su di lei prima che potesse correggere il tiro.
Vide il massacratore sbattere e rimbalzare indietro, tra lei e lui c’era Markus, con gli avambracci incrociati, in piedi con le gambe allargate. Prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa il quello tornò all’attacco, questa volta correndo basso, ma ancora, sembrava che ci fosse un muro tra lui e loro, e con un bagliore nitido Markus sbalzò indietro il nemico.
Non era possibile, un umano capace da solo di contrastare un angelo. Come se ne avesse preso consapevolezza il giovane si raddrizzò e avanzò verso il massacratore, che –già in piedi- stava preparando un nuovo attacco.
Markus raccolse la sua balestra e la imbracciò, mirando al massacratore, Celiane al suo fianco faceva lo stesso. La bestia caricò, markus fece per parare ma un altro essere si era frapposto tra loro in un turbinare rosso e oro, che fermò il grosso rettile con un colpo nell’addome:
-La raccolta è finita , Vaezara
Il suo volto era una maschera di dolore, stupore e rabbia; poi la sua espressione divenne vacua e il massacratore si accasciò contro il suo compagno.
-Apollonius
Voltò il capo per incrociare lo sguardo di Celiane; lo aveva riconosciuto immediatamente: era sempre circondato dallo stesso bagliore, solo che al buio risultava più intenso. Il suo petto si alzò e si riabbassò: Celiane.
Poi lo vide involarsi verso l’alto.
Celiane cadde in ginocchio, con gli occhi persi verso l’alto, vicino a lei Markus era piegato, stava vomitando bile. Aiutandosi con un grosso sasso si alzò ed andò a sorreggerlo, per fortuna stava bene.
 
 
Era li, ad un passo, in difficoltà, finita. Aveva avuto innumerevoli occasioni per ucciderla e l’aveva lasciata vivere. Fino a quel momento poteva sembrare che fosse una sua personale scelta, di tenersi un giocattolo umano con cui sfogarsi ogni tanto.
Tra l’altro quando Toma gli aveva proposto di arruolare un paio di Angeli esclusivamente per quel loro Morokai si era mostrato entusiasta, almeno qualcuno al posto suo avrebbe messo fine alle sue torture.
Mai aveva fatto previsione più sbagliata: non solo non era riuscito ad accogliere in sè lo Spirito della guerra quel giorno, ma non aveva avuto un pensiero che non fosse per quella disgraziata umana. E  si era appostato, non a studiarla, non ad assicurarsi che venisse eliminata, ma per vegliare su di lei: aveva tremato quando il Morokai si era schiantato,  e si era ritrovato a sospirare di sollievo quando l’aveva vista uscire dall’abitacolo.
Ma lui la voleva morta, voleva liberarsi di quell’inquietudine di cui era preda ogni volta che assorbiva il prana di un umano, voleva liberarsi delle scariche di elettricità che sentiva in lui quando la pensava. Per questo non aveva fatto nulla quando Vaezara era partito all’attacco.
Poi era arrivato il mezzosangue; non l’aveva mai visto, ma sapeva che in mezzo agli umani esistevano esseri con capacità affini a quelle angeliche. Aveva respinto gli affondi di Vaezara per due volte, ma alla terza lui attaccava per uccidere, non avrebbero resistito. Bene, bravo Vaezara. Vide la scena dietro le sue retine, la familiare scena del suo corpo morente in preda alle convulsioni diventava un’isopportabile, terribile possibilità.
Forse era per questo che era intervenuto; senza accorgersene era già tra Vaezara e i due umani, il suo simile non si era nemmeno accorto della sua presenza, il colpo allo stomaco lo aveva colto impreparato.
Se ne stava andando quando lei chiamò il suo nome; un guizzo di gioia sconosciuta si impadronì del suo cuore, non potè fare a meno di voltarsi, bearsi della sua immagine ancora una volta, la sua bellezza effimera brillava sempre di più. Sentì uno spasmo provenire dal corpo che stava sorreggendo, meglio andarsene.

Questi sono i capitoli che mi piace scrivere, pieni di guerra e pieni di Apollonius *w*
  
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