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Autore: General_Winter    10/03/2015    5 recensioni
AU! Hunger Games.
Dal testo:
Abbandonando il suo posto, evitando i pacificatori, si era portato davanti al moro, come a proteggerlo, tenendolo al sicuro dietro alla sua ampia schiena e aveva urlato parole mai dette in quel piazzale, in quel distretto prima di allora, gridate troppo velocemente e troppo seriamente per avere rimorsi «Mi offro volontario come tributo al posto di Feliciano Vargas!»
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Genere: Azione, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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OCCHIO PER OCCHIO
 
CAPITOLO I: UN BUON MOTIVO PER MORIRE
 
Stava seduto nella stanza a girarsi i pollici. Sopra il destro, poi il sinistro, grattava la nocca destra.
Ludwig non aspettava nessuno, se non chi sarebbe venuto a prenderlo per portarlo a Capitol City e farlo diventare il fenomeno dello schermo, il concorrente di uno show mortale.
Si chiedeva se avesse un buon motivo per scegliere di morire.
Nessuno sarebbe giunto a dirgli addio, né amici, né famigliari. Dei primi non ne aveva; quasi  nessuno si era mai troppo avvicinato a lui, forse spaventati dal suo sguardo perennemente truce o infastiditi dalla sua, a volte eccessiva, serietà.
I suoi genitori, poi, erano morti cinque anni prima in un tragico incidente e suo fratello … beh, quello che era successo al suo consanguineo era storia. Presto gli avrebbe fatto compagnia …
La porta si schiuse e la voce di un pacificatore gli arrivò attutita alle orecchie « Due minuti »
Non fece in tempo ad associare quelle parole al loro effettivo significato che un piccolo uragano che piangeva disperato lo travolse in un abbraccio.
Ci mise qualche secondo a capire che la massa di capelli rossicci abbarbicata al suo petto era Feliciano. Le lacrime calde bagnavano la sua camicia « Perché?! Perché lo hai fatto?! Perché hai fatto una cosa così stupida?! Dovevo esserci io al tuo posto! Era il tuo ultimo anno, Ludwig, perché?! » nonostante quelle domande furono dette in una sola emissione di fiato, il biondo non ne perse nemmeno una parola.
Era tutto vero. Ludwig si era salvato quella volta, l’ultima della sua vita, nonostante la doppia possibilità di uscire.

Edizione della memoria, l’avevano chiamata a Capitol City: erano venticinque anni che quella barbarie esisteva e i potenti volevano commemorare la cosa. Quella era la scusa di facciata.
La verità era che troppi maschi erano nati in quegli anni e per evitare che quei giovani si unissero a possibili rivolte quella volta era stato deciso che i tributi sarebbero stati tutti uomini.
Le ragazze aveva tirato un profondo sospiro di sollievo quando l’accompagnatrice aveva dato quella notizia, mentre il cuore di ogni singolo ragazzo si era fermato per qualche secondo per poi tornare a battere con la velocità di un treno. La paura aveva attanagliato le membra dei presenti, prima di lasciare la presa di tutti tranne che di quattro persone.

Il primo tributo a cui la fortuna non era stata a favore fu un ragazzino di soli dodici anni, mandato letteralmente a morire nell’arena. Raivis Galante non sarebbe mai sopravvissuto, ognuno lì ne era consapevole. Quando il suo nome fu chiamato dalla mora accompagnatrice aveva cominciato a tremare e non aveva smesso nemmeno quando ormai era giunto sul palco. I suoi occhi, perfettamente visibili dalla terza fila, dove si trovava Ludwig, erano colmi di lacrime che non attendevano altro che un momento di solitudine per sgorgare copiose. Ludwig aveva chiuso gli occhi e pregato mentalmente per lui e per se stesso, implorando la fortuna che non venisse pescato lui per secondo.

Ma le sue silenziose suppliche di pietà furono bruscamente interrotte quando il successivo nome vibrò nell’aria immobile. Le pulsazioni del biondo sembravano aver deciso di fermarsi insieme al tempo; il sangue doveva aver scelto di abbandonare il cuore per spostarsi al cervello, cercando di farlo ragionare sulla realtà che il nome che era stato scelto avrebbe comportato: Feliciano Vargas.
Le ginocchia quasi gli cedettero, la testa cominciò a girargli e il fiato gli si fece pesante, cosa che accadde anche al gemello del neotributo, Lovino Vargas.
La buona sorte aveva preso in giro Ludwig, aveva risparmiato la sua vita, ma non la sua felicità. Aveva visto il moretto uscire dalla schiera in cui era disposto, facendosi avanti con passo lento e spaventato.
I cerulei occhi di Ludwig rischiarono di riempirsi di lacrime a quello spettacolo: l’unica persona che era riuscita a vedere oltre la sua maschera di rigidezza, che era riuscita a scrutare fino in profondità i suoi occhi azzurri, che gli era rimasta accanto in ogni momento che altrimenti avrebbe passato in solitudine gli stava venendo portata brutalmente via.

Le mani di Feliciano erano troppo delicate, molto più adatte ad impastare il pane che ad impugnare un’arma, e il suo spirito era troppo fragile per sottrarre la vita a qualcuno: non sarebbe riuscito ad arrivare in fondo ai giochi.
Così la mente del biondo aveva preso la sua decisione e il suo cuore non aveva avuto nulla da ridire o rimpiangere. Abbandonando il suo posto, evitando i pacificatori, si era portato davanti al moro, come a proteggerlo, tenendolo al sicuro dietro alla sua ampia schiena e aveva urlato parole mai dette in quel piazzale, in quel distretto prima di allora, gridate troppo velocemente e troppo seriamente per avere rimorsi « Mi offro volontario come tributo al posto di Feliciano Vargas! »
 
 
E, in quel momento, si trovava lì, abbracciato al ragazzo più piccolo che, piangendo, chiedeva spiegazioni. Stringendolo più forte, il biondo gliele diede « Perché è giusto così; perché non sopporterei di vederti in quella dannata arena, sporcandoti le mani di sangue, solo per divertire quei mentecatti di Capitol City. Quel compito lascialo a me … » sussurrò nel suo orecchio, giocando con il curioso ciuffo arricciato di Feliciano, che affondò il viso nel petto dell’altro « Ludwig, ti prego, vinci … e torna … » mormorò triste, alzando appena il volto, andando a cercare le labbra del ragazzo, trovandole immediatamente, disponibili e bisognose di affetto. Il bacio non mantenne la sua castità a lungo, diventando quasi subito una bollente danza di lingue che si rincorrevano e denti che mordevano, in un ultimo e disperato saluto.
Sì, la vita di Feliciano era un ottimo motivo per morire.
Subito si staccarono, quando sentirono la porta spalancarsi e videro entrare due pacificatori che presero per un braccio il più piccolo, trascinandolo via mentre lanciava un’ultima straziante occhiata al fidanzato.
« Tornerò, Feliciano …  lo giuro … »
 

Elizavetha Hèdervàry era una ragazza coraggiosa, intelligente e stanca. Stanca di indossare stupidi e appariscenti vestitini e truccarsi con colori sgargianti e improponibili; stanca di dover ubbidire così ciecamente agli ordini a lei impartiti da Capitol City; e stremata, soprattutto, di dover decantare le lodi e i privilegi che solo i tributi degli Hunger Games avrebbero potuto avere, ben consapevole che, accompagnandoli su quel treno, metteva probabilmente la parola “fine” alle loro giovani vite.

Per l’ennesima volta quei pensieri si affacciarono alla mente dell’accompagnatrice, mentre, con uno sguardo di falsissima felicità, invitava i due tributi del distretto 6 a salire sul mezzo che li avrebbe portati nella grande città in sole 12 ore.
Li squadrò qualche secondo: Raivis Galante, a meno che non fosse scappato immediatamente, non sarebbe sopravvissuto all’iniziale bagno di sangue della Cornucopia; quell’altro, invece, poteva avere molte più possibilità. Era robusto, spalle larghe, ben piantato. Si era presentato Ludwig Beilschmidt.

Elizavetha fece un piccolo sorriso: aveva avuto il piacere ( o il dispiacere, ancora non lo aveva capito ) di conoscere il fratello maggiore, Gilbert Beilschmidt.
Un vero peccato che ad entrambi i fratelli fosse toccata quell’orrenda sorte. Lo sondò un’ultima volta: sì, lui, forse, aveva buone possibilità di vincere.
La ragazza portò i tributi in un vagone arredato come un soggiorno di alta classe: moquette e tappeti di lusso color scarlatto ne ricoprivano il pavimento; mobili laccati di bianco, senza una macchia, percorrevano il perimetro delle pareti; il piano bar, in un angolo, era illuminato da luci soffuse; alcune poltroncine e due tavolini erano sparsi attorno « Accomodatevi pure, vado a cercare il vostro mentore » fece la mora, scoccando un’occhiata significativa a Ludwig.
 

Fecero come era stato a loro chiesto. Il diciassettenne si lasciò cadere pesantemente su una poltrona, coprendosi gli occhi con la mano e massaggiando appena le tempie. Sbirciò attraverso le fessure delle dita il suo compagno di sventura: il biondino si guardava intorno, preoccupato, spaventato e curioso insieme. Non aveva ancora smesso di respirare affannosamente.

Ludwig scosse la testa, distogliendo lo sguardo « Mi scusi » una vocina paragonabile al pigolio di un uccellino si levò alla sua destra. Il diciassettenne guardò sorpreso Raivis « Mi scusi, lei sa dove può essere il bagno? » chiese timido. Lo stupore per tutta quella formalità non scemò dal volto di Ludwig « N-no, sicuramente in un altro vagone, prova a cercare » gli consigliò, vedendolo alzarsi con passo malfermo e dirigersi verso la porta scorrevole, oltrepassandola.

« Lascia che ti dica che è stata una gran cazzata » la voce arrivò così improvvisa che il biondo sobbalzò, senza però guardare negli occhi il nuovo arrivato, il suo mentore.
Non aveva voglia di rispondere a quell’affermazione, forse perché, mentre una parte di lui era fermamente convinta della propria scelta, l’altra se ne stava già pentendo. Aveva paura, come era giusto che fosse, ma il pensiero che Feliciano fosse salvo non lo faceva annegare nel rimorso.
« No, non lo è stata. » affermò, prima di girarsi verso l’altro, alzando lo sguardo, contemplando ogni singolo particolare del ragazzo di fronte a lui, dagli stivali scuri con rinforzi metallici, risalendo per le gambe toniche fasciate da pantaloni neri, medesimo colore del trench di pura pelle decorato con borchie d’acciaio, come gli orecchini che portava al lobo sinistro.
Ludwig lo guardò in quegli occhi seri, pieni di sconforto e di color cremisi. Il biondo sorrise rassegnato « Ne sono sicuro, Gilbert »

Gilbert Beilschmidt, unico vincitore del distretto 6, fratello maggiore di Ludwig, conosciuto a Capitol City come “Il Magnifico”. Un titolo altisonante e ogni parola dell’albino ne aumentava la pomposità: tutte le sue frasi sottolineavano il suo egocentrismo. Ma, forse, un motivo per esaltarsi tanto ce l’aveva: sei anni prima, quando era stato scelto per gli Hunger Games, nessuno, all’inizio, aveva puntato un soldo su di lui, reputandolo morto già al secondo giorno, nonostante tutti gli sponsor che si era guadagnato con la sua presunta simpatia e presenza scenica. Poi, contro ogni aspettativa, si era ritrovato, al decimo giorno, a dover affrontare, tutti insieme, gli altri cinque sopravvissuti. E, in uno scatto di adrenalina fuso ad un miracolo, era riuscito ad eliminare gli altri concorrenti, uscendone gravemente ferito, ma vincitore. Le cicatrici erano ancora ben visibili sul suo corpo.

Il “Magnifico” si sedette, senza staccare gli occhi dal fratello minore « Vi aiuterò entrambi allo stesso modo, ma spero che se ne renda conto, l’altra pulce, che preferirò la sua morte alla tua … » fece serio.
Si sentì la porta scorrere e tutti e due i fratelli si voltarono di scatto verso il dodicenne appena rientrato che li guardava con un misto di adorazione e paura nei grandi occhi viola.
« Siediti, ragazzino, ti chiami Rauvi Galante, giusto? » chiese Gilbert, alzandosi e dirigendosi verso il piano bar, cominciando a prendere bottiglie di alcolici e mescolandoli apparentemente a caso in un bicchiere.
« R-Raivis Galante, in realtà, signore » lo corresse con la sua solita e immotivata formalità, sedendosi sulla poltroncina accanto a Ludwig.

Gilbert agitò una mano con un gesto di noncuranza, mentre con l’altra si portava un bicchiere alla bocca, bevendone un sorso « Non sono io che mi devo ricordare il tuo nome, ma loro » fece, guardando fuori dal finestrino una cittadina, vicino alla ferrovia dove passava il treno « È questa la verità degli Hunger Games. Per restare vivi, dovete piacere alla gente e, di conseguenza, agli sponsor. Tanti sponsor significano molti aiuti esterni, e senza di quelli non si sopravvive. Certo, ovviamente servono anche prestanza fisica e intelligenza, ma non sempre si può avere tutto come me. Quindi, il magnifico sottoscritto vi insegnerà i trucchi per piacere a tutta Panem! » concluse borioso, sotto lo sguardo sconcertato del fratello e ammirato del biondino.
Ludwig scosse la testa, quasi sconsolato: non sapeva quanto fidarsi dei consigli dell’albino.

Gilbert  parve intuire il significato di quel gesto e si affrettò ad aggiungere « Ma dovete ricordare un’altra cosa: gli sponsor non vi daranno l’input per andare avanti. Quello dovete cercarlo voi stessi. Dovete trovare una ragione per non farvi crollare o lasciarvi morire. Bisogna trovare un pretesto abbastanza forte da spingere voi stessi a togliere la vita ad un altro essere umano. Pensate a ciò che vi aspetta fuori dall’arena, e non intendo denaro, fama e gloria. Dovete ricordare cosa, di importante, avete lasciato indietro, cosa si può barattare per la vostra umanità. Se non avete nulla del genere, non uscirete mai da quel luogo … in poche parole, vi serve un buon motivo per continuare a vivere » disse, scoccando un’occhiata significativa al fratello.
Quelle parole lasciarono di sasso i due spettatori, soprattutto il più grande. Sì, lui ce l’aveva un buon motivo per tornare a casa.
 

Gilbert stava seduto in uno dei vagoni, con gli occhi rossi incollati agli ologrammi che gli scorrevano davanti, troppo impegnato a valutare quelle immagini per accorgersi della persona che era entrata.
Elizavetha si schiarì la voce per annunciare la sua presenza.
Non l’avesse mai fatto. Subito si ritrovò compressa contro una parete, con una lama sotto la giugulare: con uno scatto felino, Gilbert aveva afferrato il suo coltello, bloccando la ragazza, temendo fosse un nemico. Nonostante avesse vinto anni prima, la paura di essere perennemente messo in pericolo dalle persone che lo circondavano non era scomparsa.
Un moto di sorpresa scosse i lineamenti del vincitore « Dannazione, Vetha! Te l’ho già detto che non voglio avere nessuno alle spalle! »
Nonostante l’inconveniente, negli occhi della mora non si leggeva eccessivo timore « Sì, lo avevi fatto, ma solo ora ne comprendo il motivo » disse seria, ma con una vena di dolcezza e compassione.

L’albino scosse la testa, lasciandola andare per spegnere gli ologrammi, ma la ragazza non glielo permise « Cosa stavi guardando? » domandò curiosa, allungando il collo verso le immagini, per poi raggelarsi quando si accorse che erano le registrazioni delle fasi finali dei diciannovesimi Hunger Games, quando Gilbert aveva vinto « Perché continui a torturarti in questo modo? » chiese preoccupata, non riuscendo a distogliere gli occhi da quel grottesco spettacolo in cui l’albino, coperto di ferite, piantava il coltello nel collo di una ragazza bionda, diventando automaticamente vincitore.
« Non mi sto torturando, sto solo ammirando la mia magnificenza! » affermò spavaldo, prima di lamentarsi per il dolore quando l’accompagnatrice gli tirò l’orecchio, come faceva sempre il ragazzo mentiva o si esaltava troppo. Quella volta, visto che stava facendo entrambe le cose, lo strattone fu il doppio più forte.
« Comunque, perché sei qui, Vetha? » la interrogò, massaggiandosi la parte lesa.
« Sono venuta a chiederti che intenzioni hai per i due tributi, non credo proprio che manterrai un’equità …»
« Certo che lo farò! »
« Non ti credo »

Con quell’accompagnatrice era una battaglia persa in partenza, Gilbert lo sapeva già « Vetha, sappiamo perfettamente entrambi cosa accadrà in quell’arena » un moto di disgusto riempì di lacrime gli occhi dell’albino « Io … io avevo uno motivo per sopravvivere; io, quando ero là dentro, continuavo a ripetermi che dovevo tornare a casa, da Lud, che non potevo lasciarlo solo dopo quello che era capitato ai nostri genitori … per quello sono rimasto in vita! Ma Ludwig … non ha nulla di tutto questo! » urlò, chiudendo gli occhi e sbattendo le mani sui pannelli di comando degli ologrammi.

La ragazza le passò una mano sulla schiena, in un gesto rassicurante « Io non ne sono del tutto sicura » disse convinta, guardando di fronte a sé, con una scintilla di speranza e tenerezza negli occhi.
Anche il ragazzo alzò lo sguardo, notando che il suo movimento di poco prima aveva per sbaglio azionato la registrazione dell’estrazione dei tributi del distretto 6 di qualche ora prima.
Si vedeva, di continuo, la parte in cui Ludwig si proponeva volontario per salvare Feliciano « Intendi la sua amicizia con quel ragazzino? Non penso sia un pretesto abbastanza valido … » fece incerto, sentendo, però, Elizavetha fare una risatina « Credi davvero che tra di loro ci sia solo un’amicizia? Sei più ottuso di quanto pensassi, Gilbert Beilschmidt! »
Quello la guardò andarsene, perplesso « Cosa intendi dire? »
« Intuito femminile » rispose, mettendo ancora più in confusione “il Magnifico”.

LA TANA DEL LUPO:
Ditemi cosa ne pensate. Ho, ovviamente, tutti i capitoli completi e li posterò in breve tempo, poi mi concentrerò completamente sull'altra long.
Se avete domande non esitate a pormele e si chiedete il perché sulla scelta del distretto io rispondo: ONORE E GLORIA AI DISTRETTI DI CUI NON IMPORTA NULLA A NESSUNO! ok ora la smetto
Baci, Lupus.
  
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