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Autore: _Misery    11/03/2015    1 recensioni
Anche se non esiste pace per i vinti, anche se il vento ha il profilo di innumerevoli nemici e i suoi sogni sono pieni di lupi e giganti senza testa che si piegano frusciando sul suo corpo, Eboshi non oserebbe più alzare un solo dito contro la foresta. L’equilibrio che si è ristabilito attorno a lei, abituata al fragore e alla polvere da sparo, è quasi più spaventoso dell’assedio.
[post-finale] [(purtroppo) incompleta]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Premessa: ho buttato giù questa piccola storia un anno fa, probabilmente in questo stesso periodo, con l'arrivo della primavera e la vicinissima fioritura dei ciliegi. Purtroppo non l'ho mai terminata e a questo punto dubito che succederà, ma rileggendola di tanto in tanto mi sono detta: perché non provare a pubblicarla lo stesso? In fondo non volevo scrivere qualcosa che fosse colmo di avvenimenti, ma solo rendere omaggio a un personaggio che amo (troppo ). Spero di esserci riuscita, almeno in parte, e spero che possiate apprezzarla anche se incompiuta. Ovviamente l'amarezza di Eboshi pur dopo tanto tempo è solo una mia congettura, una delle tante tra l'altro: da una parte non credo che una personalità come la sua possa accettare una tale sconfitta, dall'altra penso che si tratta di un personaggio dalle mille sfaccettature e chissà, magari ha imparato davvero a convivere pacificamente con la foresta e i suoi abitanti. Insomma, ci tenevo ad avere nel mio account qualcosa su questo film meraviglioso, forse il mio preferito, forse uno di quelli che continuerà ad ispirarmi ancora a lungo.
Il brano da cui ho tratto il titolo mi pare si riferisca in realtà alla scena in cui Ashitaka guarda San dormire, ma era troppo bello per non sfruttarlo anche per Eboshi. Se non piangete per la colonna sonora - come ho fatto io non appena il narratore comincia a raccontare la storia, e come è risuccesso quando hanno riportato il film al cinema - siete delle brutte persone. :P
 






 

Gli unici che conoscono il tuo cuore
sono gli spiriti della foresta,
solo gli spiriti,

solo gli spiriti







 

Eboshi non aveva mai creduto negli dèi – non nello stesso modo in cui vi credevano gli altri, perlomeno: sapeva benissimo che anche loro potevano essere distrutti, abbattuti come gli alberi della foresta. La signora della Città di Ferro non aveva tempo per pensare a quale mondo appartenessero, né paura delle loro maledizioni: ignorava senza troppi rimorsi gli spiriti che abitavano i cieli e trovava sciocco che si temessero quelli che calpestavano la stessa terra degli uomini; se poi riusciva a percepirne il fosco terrore – perché era terrore quello dei cinghiali, non aveva dubbi – la sua determinazione si faceva ancor più forte. Basterà qualche uomo armato, si diceva, e le loro teste salteranno via in un attimo. Certo non era un compito piacevole, ma quelle bestie avevano preso ad attaccare la Città troppo spesso e qualcuno avrebbe dovuto pur farlo. Per quanto triste, il tempo dei kami era finito: veniva quello del progresso e della libertà, anche per le sue donne e i suoi lebbrosi.
Quel che Eboshi non sapeva, allora, era che il coraggio nelle sue vene e il disperato, gelido desiderio di proteggere la sua gente l’avevano resa più cieca del grande Okkoto; per quanto avesse lottato e stretto i denti, nonostante tutte le buone intenzioni, sarebbe stata lei a piegarsi. Riconosceva la differenza tra giusto e necessario, ed era necessario che lo Shishigami tornasse a camminare nella tenebra profonda dei boschi.

Adesso – dopo la battaglia, dopo il sangue rabbioso del Daidarabotchi e la sua resa – Eboshi ancora non crede negli dèi: in fondo ne ha quasi ucciso uno, prima che la testa della vecchia Moro le strappasse via braccio e fucile. Tuttavia ha imparato che combattere contro ciò che calpesta la stessa terra degli uomini è sempre vano, e il moncherino attaccato alla sua spalla destra basta a ricordarle la promessa di quel giorno terribile e luminoso.
Anche se non esiste pace per i vinti, anche se il vento ha il profilo di innumerevoli nemici e i suoi sogni sono pieni di lupi e giganti senza testa che si piegano frusciando sul suo corpo, Eboshi non oserebbe più alzare un solo dito contro la foresta. L’equilibrio che si è ristabilito attorno a lei, abituata al fragore e alla polvere da sparo, è quasi più spaventoso dell’assedio.

« Non andatevene così presto, padrona Eboshi, rimanete quanto volete ».
« Sapete che siete sempre la benvenuta ».
Le voci roche dei malati sono l’unica cosa che possa alleviare i tormenti della signora. Li ha sempre amati come figli, e ormai si sente talmente simile a loro che non esita a rifugiarsi in quella stanza quando l’insonnia le infiamma la testa; nessun altro riesce a guardare oltre il suo volto con tanta delicatezza.
« Ma è quasi mezzanotte, dovreste riposare. » Eboshi si asciuga il sudore dalla fronte con la mano rimasta: sono arrivate le prime lucciole ad annunciare l’estate. « Non posso disturbarvi ancora, per quanto bene mi trovi qui con voi ».
« Riposare? » È il saggio Osa a parlare; ultimamente si è fatto così taciturno che lei teme in un peggioramento delle sue condizioni. « E come potremmo? Le nostre membra bruciano giorno e notte; voi siete come gocce d’acqua fresca ».
La padrona sfiora il volto bendato del lebbroso con gratitudine; il suo mezzo sorriso le conferisce un’aria bellissima e malinconica allo stesso tempo. 
« Se solo potessi aiutarvi in qualche modo, fare qualcosa di più… » sospira, lasciando cadere quella stupida mano impotente sulle ginocchia.
« Ci avete permesso di renderci utili, signora, e questo è tutto per quelli come noi » replica Osa e, seduta accanto alla finestra, gli fa allegramente eco Mae:
« Avete fatto costruire il giardino migliore dell’impero attorno alla nostra casa! Con la brezza a volte si sente il profumo del glicine e delle peonie, e veder sbocciare i crisantemi è una tale gioia… cos’altro potremmo chiedervi? »
Eboshi li osserva senza una parola, stringendo il pugno fino a conficcarsi le unghie nella pelle. Cento sacerdoti, mille principi ereditari non potrebbero avere il cuore del suo manovale più umile, e lei ha rischiato di ucciderli tutti per un ideale che, credeva, avrebbe dovuto invece salvarli. È questo che non può perdonarsi, è questo che alla fine porterà con sé nel Mondo dell’Oscurità.
« Avete sempre fatto tutto il possibile e anche di più, se necessario » mormora Osa, come leggendole nel pensiero. « Non siamo degli sciocchi, conosciamo fin troppo bene il nostro stato. Non possiamo pretendere di essere trattati come i vostri operai, ma saremo sempre felici di potervi ricompensare ».
Eboshi annuisce seccamente, poi si alza – una volta avrebbe posato i pugni a terra come un uomo, adesso ha imparato a rizzarsi sui talloni come una danzatrice. Sulla soglia, nonostante tutto, augura loro una buonanotte ed esce com’è arrivata, senza rumore; gli spiriti devono aver deciso di tagliarle anche la lingua, perché altrimenti avrebbe risposto che non vuole ricompense, non vuole più nulla indietro. Si sente le ossa vecchie, crepate, eppure il suo animo è di nuovo così limpido che risuona del canto dei grilli e vi si potrebbe specchiare il cielo estivo: è la quiete effimera della malattia e di quell’orto che pare inciso nel cristallo. Durerà solo qualche ora, lo sa, dopodiché dovrà immergersi nei rotoli dei conti per non stritolare tutti quei fiori umidi, beffardamente dritti e immobili.
È per loro che lo faccio, ripete a denti stretti mentre attraversa il sentiero, è solo per loro, e per questa città.
« … Eboshi gozen? »
Toki, una delle sue donne più coraggiose, scatta in piedi non appena sente cigolare la porta del giardino; alle sue spalle, poggiato contro una staccionata, un uomo s’intravede appena per il riflesso della sua spada. Devono aspettarla da un po’, ma la donna cammina a passi lenti. Sorride: come la vita sembra aver ripreso il suo ritmo e il carbone è tornato a fumare, così allo sguardo di tutti lei rimane la padrona di una volta. D’altronde le maniche del suo kimono blu sono abbastanza larghe da nascondere il vuoto e le ombre sotto il suo cappello sono maschere perfette – e forse è meglio che la Città non veda e dimentichi la distruzione canticchiando. Tutto sarebbe ancora cenere se i cuori degli abitanti fossero appassiti nell’amarezza come quello di Eboshi.
« Che cosa ci fai ancora alzata, Toki? Non sei stanca? »
« Vi stavo aspettando, signora. » La bocca della donna è piegata in una smorfia di disapprovazione: una volta era una prostituta, e le sue espressioni sono sempre vivide come quelle di una maschera dipinta. « Vi avevo portato la cena, ma le vostre finestre erano tutte buie. Immaginavo che eravate… ecco… qui».
« Non dovresti darti tanta pena per me. Torna a casa, hai lavorato tutto il giorno; prometto che farò lo stesso anch’io, Gonza mi è testimone ».
« Chi, lui? » Toki deve coprirsi la bocca per non sghignazzare davanti alla signora; nemmeno la sua risata è cambiata di molto in quasi vent’anni. « Credetemi, quell’uomo vi è del tutto inutile. Prima stava dormendo ».
La guardia del corpo le raggiunge in un balzo, imprecando. « Ed è quello che dovresti andare a fare tu! » esclama. Eboshi sa che è grato alla luce fioca delle torce perché, altrimenti, entrambe avrebbero notato il suo rossore nonostante i capelli ingrigiti e l’espressione più saggia.
« Proprio non voglio litigare con te a quest’ora della notte » sbuffa Toki, alzando il mento con fare altero. « Ti affido la padrona, dunque. È una fortuna che ormai non ci sono più pericoli ».
« Ti ringrazio » mormora dolcemente Eboshi, in modo che non possa più ribattere. Aspetta che la donna si sia allontanata abbastanza – per quanto l’abbia vista girarsi più volte – e s’incammina nella direzione opposta.

 










   
 
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