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Autore: Sbasby    12/03/2015    2 recensioni
I vicoli della Capitale sembrano più oscuri e infidi in tempo di rivolta. I ribelli aumentano le loro schiere e sembrano essere riusciti ad infiltrarsi persino nel più infimo dei quartieri, mentre la pressione dei Figli della Notte ai confini si fa sempre più insistente. Nel caos e nel timore, la corte è costretta a chiamare a se forze che non è sicura di poter controllare. Il Lord dei Pugnali viaggia in tutto il regno, dal più piccolo villaggio sul Monte della Rosa Bianca all'ultimo porto di Ventre della Dea, per reclutare le forze dell'esercito che punterà a sradicare la ribellione, uccidendo fino all'ultimo uomo.
- Storia partecipante al concorso "The thousand and one night" di Prior.Incantatio sul forum di EFP -
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Anime riflesse'
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Anime riflesse

- Il buio si riflette in iridi dorate -



 
 
Quando morte e vita più non distingui,
nella notte più oscura,
nel più nero degli abissi,
confondi, viandante, il caos e la pace,
 perché il buio si riflette in iridi dorate.
 
“Ti scopriranno.” Piccoli sbuffi di vapore le scaturirono dalle labbra schiuse. Osservò le proprie parole addensarsi nell’aria appena lasciata la sua lingua; poteva sfiorarle, passare le mani nel filo di lettere che si dipanava dalla sua bocca fino al groviglio intricato che le si torceva nello stomaco.
Così concrete, così reali.
Talvolta si dimenticava che lei fosse vera, tanto pareva innaturale e incredibile la sua esistenza.
“E ti uccideranno.” Cercò di far risultare duro e sprezzante il tono della propria voce, ma aveva sempre l’impressione di apparire troppo docile.
Troppo debole.
“Morire non è nulla, non vivere è spaventoso.” Le sussurrò la rossa contro la pelle sensibile del seno.
Il suo alito caldo le fece correre brividi lungo tutto il corpo e in un lampo i denti affondarono nella morbida carne della guancia. Passò distrattamente le dita sulla sua schiena, tracciando linee invisibili che percorrevano il suo corpo dal fianco destro alla nuca scoperta. Lo sguardo le cadde inevitabilmente sui capelli rosso sangue, così diversi da quelli color carota delle ragazze del nord, sparsi a raggiera intorno alla testa. Non poteva fare a meno di paragonarli a fiamme uscite dal più profondo degli inferi e, quando vi passava le dita per saggiarne la consistenza, quasi temeva di rimanerne scottata.
“Anche essere torturati a morte da Dalach, però, non deve essere la migliore delle fini.”
La risata di scherno che le soffocò sul petto le fece alzare gli occhi al cielo per l’esasperazione, mentre la speranza di essere presa sul serio scivolava via come acqua sulle rocce.
Caharis le piantò le unghie nella pelle candida del ventre, strappandole un mugolio di fastidio.
Una fiera che sfodera gli artigli.
“Come se quell’incapace fosse in grado di torcermi anche solo un capello.” Sbuffò, sfoggiando un sorriso arrogante degno del suo inattaccabile orgoglio.
Si scostò dal suo corpo con un movimento sinuoso e repentino che la portò seduta al suo fianco. Niamh non poté fare a meno di fissarle incantata la schiena nuda e la curva dolce dei fianchi, che sparivano nel groviglio di lenzuola che le abbracciava entrambe. La vide scostare il tessuto bianco e sottile dalle proprie gambe e spostarsi verso il bordo del letto, mentre lei si trovava a mordersi le labbra, ripetendosi come un mantra che per quella notte di lei ne aveva avuto abbastanza.
Impossibile essere sazia di lei.
L’avrebbe voluta ancora e ancora: affondare le mani nella cascata di fuoco dei suoi capelli e marchiare, con le unghie e con i denti, ogni centimetro del suo corpo.
Con uno scricchiolio sinistro i piedi di Caharis si posarono sul parquet malandato, affondando in una pozza di luna, i cui raggi penetravano obliqui dalle vetrate alte e strette. Allungò le braccia verso l’alto, nella sua espressione distesa si potevano scorgere il sollievo delle vertebre che si rilassavano una a una e la tiepida coltre di benessere che la avvolgeva in un abbraccio. La chioma sanguigna le ondeggiava sulla schiena con pericolosa grazia, lambendo sinuosamente le spalle, come fiamme che divampano sulla seta.
“Perché rischiare tanto?”
Le puntò addosso uno sguardo indignato: gli occhi sgranati, la fronte aggrottata, le sopracciglia alzate e le labbra serrate. Non l’aveva mai vista tanto arrabbiata.
Tanto umana.
“Perché mi chiedi?” Sputò con amara ironia.
“Perché mi mancano il sole della mia terra, il calore del mio popolo e la consapevolezza di essere parte di un clan, di discendere da una stirpe più pura di quella del re stesso! Perché voglio essere guardata come l’ottima combattente che sono e non come lo stupido oggetto di piacere degli uomini del Regno. Perché, dannazione Niamh, desidero la mia libertà e mi sorprende che tu non lo capisca!”
La mora si portò le ginocchia al petto, fissando lo sguardo su qualsiasi cosa non fosse il viso dell’altra.
“Devo andarmene da qui! E devo farlo prima di non esserne più in grado!”
La mora sentì un forte fastidio invaderla a queste parole e non poté fare a meno di scattare.
Strinse leggera le dita attorno al suo polso e sentì il sangue pompare con calma forza sotto la pelle ambrata. Quel lento battere aveva il potere di farla innervosire e vergognare profondamente al tempo stesso, mentre la sua cassa toracica pareva sul punto di esplodere. La corsa forsennata che aveva intrapreso il suo cuore non sembrava voler cessare e Niamh non riuscì più a sostenere lo sguardo dorato dell’altra.
Come un’occhiata potesse risultare fredda e contemporaneamente scottante, non riusciva proprio a capirlo. Sentiva le pupille scandagliarla come se la gelida lama di un pugnale la stesse trafiggendo da parte a parte, mentre le iridi gialle la stavano sprofondando in un inferno senza fine. Si accorgeva di quanto potesse essere tremendo il Regno della Notte solo quando si trovava davanti Caharis che la osservava con quella spietata intensità. Poteva vedere le fiamme degli inferi ardere sul fondo dei suoi occhi, costrette dalle nere sbarre che erano le sue ciglia.
Lei era Fuoco.
Scrollandosi dal polso la sua debole presa, si allontanò da lei e raccolse da terra i pantaloni e la camicia, entrambi troppo grandi e dal taglio decisamente maschile. Con un silenzio tombale sceso sulla stanza, si rivestì frettolosamente, come un marito pentito che scappa dal bordello per tornare al focolare.
D’altro canto, per lei non era niente più di questo: una puttana. Un facile mezzo per sfogare un semplice prurito carnale. Una parte di lei la odiava per questo, ma preferiva convincersi che fosse tutta colpa della sua natura: che altro poteva aspettarsi da una Figlia della Notte?
Sin da bambina si era sentita raccontare storie terribili sul popolo dell’Ovest. Si diceva fossero creature senz’anima e prive di qualsiasi morale, capaci solo di uccidere e che si aggirassero nell’oscurità a dorso di belve costituite di pura ombra. Le madri di tutta Varrel sussurravano all’orecchio dei bambini disubbidienti di guardarsi dai Figli della Notte, che sarebbero venuti a rapirli nel sonno se non si fossero comportati a dovere. Quale pargolo non conosceva la loro capacità di stregare le persone, leggere la mente e dissolversi nel buio?
Lei era Notte.
Caharis allungò la mano verso l’unico, piccolo tavolo della stanza e recuperò il pugnare da caccia, cominciando a rigirarselo tra le mani come un giocattolo.
“Non hai ancora capito, vero? Qui non siamo altro che strumenti di sterminio, è come se fossimo il braccio della Morte. Se devo uccidere, preferisco che sia per qualcosa in cui credo, altrimenti tanto vale morire.”
Lei era Morte.
“Devi insegnare loro a temerti e, perdonami, ma con quel visino da cerbiatto inseguito dai cani non andrai da nessuna parte.” Impugnò più saldamente lo stiletto e le si avvicinò con un sorriso furbo.
Niamh si ritrasse istintivamente con uno scatto felino e dalle labbra carnose di Caharis uscì una risata limpida.
“Non fare la bambina, dai! Fidati di me!”
Fidarsi di lei?
La stava abbandonando, non faceva che ripeterle che l’avrebbe lasciata sola in quel posto di matti e di sadici.
La ragazza avanzò di un altro passo e protese una mano verso di lei, un chiaro invito a lasciarla fare. Diffidente, Niamh si sporse e, con sua sorpresa, vide il pugnale avvicinarsi pericolosamente alla sua nuca e reciderle una grossa ciocca di capelli. La prese per mano e, tirandola in piedi, la condusse davanti al piccolo e sudicio specchio che si trovava precariamente appeso dirimpetto alla finestra.
Si posizionò alle sue spalle e continuò a passarle la lama tra i capelli, tagliandoli prima cortissimi sulla nuca, poi appena sotto le orecchie e, ai lati del viso, lunghi fino al mento.
Niamh non sapeva se i suoi brividi fossero causati dal tetro suono dello stiletto contro la sua chioma o dall’alito caldo di Caharis che le lambiva il collo. L’unica cosa che riusciva a percepire erano le scariche che le scendevano lungo la schiena ad intervalli regolari.
“Così è molto meglio!” le sussurrò la rossa all’orecchio, sfiorandole carezzevolmente il lobo con le labbra.
“Ora sembri quasi una Figlia della Notte” soffiò scendendo lungo la mascella e il collo.
Niamh sussultò quando l’altra le affondò i denti nella pelle nivea della spalla e, mentre la sua bocca vagava senza sosta tra la linea della clavicola e le labbra morbide, le sue mai sembravano essere ovunque contemporaneamente.
“Sai, da dove vengo io, i vestiti non servono a coprire, ma a mostrare” mormorò sfregando il naso contro la pelle soffice della gola, mentre le stringeva i fianchi in una presa possessiva.
Sulla bocca di Niamh spuntò un sorriso divertito, un lampo di denti come un fulmine a ciel sereno. Le dita le si serrarono sui bordi sfilacciato della canotta grigio antracite che le fasciava malamente il busto.
Che pessima idea era stata il rivestirsi!
Le spalline di lana vecchia sembravano, oltre che darle la solita sensazione di prurito, scottarle la pelle. Con un gesto delicato come la carezza di una piuma, Caharis scostò quella labile e inutile barriera. L’indumento scese lentamente, scoprendo prima i seni piccoli e sodi, poi l’addome scolpito che rivelava anni di allenamento intensivo, cadendo poi con un suono attutito.
Niamh scrutò la figura della rossa attraverso lo specchio e tutto di lei, dalla pelle ambrata scurita dal buio della notte al luccichio dorato dei suoi occhi, le materializzava nella mente un’unica parola.
Inquietante.
Sapeva ormai da un po’ che le voci malevole, le favole raccontate per spaventare i bambini, erano per lo più vere e la ragazza alle sue spalle ne era la prova. L’aveva vista più volte sfruttare alcune delle doti per cui doveva ringraziare il sangue divino che le scorreva nelle vene. Chiaramente, quelle più evidenti erano state l’incredibile velocità e l’abilità in combattimento, anche se non era certa se il merito di queste fosse della sua stirpe o dell’addestramento ricevuto all’interno del clan.
Col passare del tempo, però, aveva notato l’ascendente che aveva sulle altre reclute, un’influenza innaturale. Non era semplicemente questione di carisma, piuttosto un maltrattamento psicologico, quasi fosse impossibile non credere ed obbedire a qualsiasi parola uscisse dalle sue labbra.
L’unica volta in cui si era attentata a porre una domanda a riguardo era riuscita a strappare a Caharis una vaga affermazione sul potere di cui non era riuscita a terminare l’addestramento prima che l’esercito del Regno facesse un’imboscata e la rapisse.
Un potere incompleto.
Niamh in seguito si era chiesta più volte cosa sarebbe stata in grado di fare se avesse avuto il pieno controllo. Già allo stato attuale ogni suono emesso dalla sua bocca sembrava stregarla, anche se era certa che la colpa di questo non fosse solo delle sue doti magiche.
Il vero problema era che, a prescindere dalla sua natura, ogni cosa che Caharis dicesse o facesse sembrava essere eccessivamente psicologica. La sensazione che accompagnava costantemente la mora era che l’altra fosse sempre un passo avanti a lei, come se avesse precedentemente calcolato ogni suo movimento, ogni sua parola, ogni suo pensiero.
Era una partita a scacchi infinita e lei aveva capito di trovarsi di fronte un’avversaria imbattibile.
Caharis posò per l’ennesima volta le labbra sul suo collo, dove sapeva esserci un punto particolarmente sensibile, risalendo poi lungo la curva della mascella. L’altra  reclinò il capo all’indietro per permetterle un facile accesso alla sua bocca e, con passi frettolosi, le sospinse entrambe di nuovo verso il letto. Si voltò di scatto verso la rossa e, afferratala per i fianchi, la buttò senza troppi complimenti sul materasso. La risata della rossa risuonò cristallina nella piccola stanza e le iridi argentate dell’altra brillarono di malizia e di lussuria.
Niamh si trovò a mordersi le labbra mentre rifletteva sul modo in cui voleva farla sua quella volta e, con un sorriso complice, la raggiunse sul letto.



La mattina Niamh aprì gli occhi con la consapevolezza che, se avesse controllato la porzione di materasso alla sua destra, l’avrebbe trovata vuota e fredda. Una sensazione di amara comprensione si addensò dentro di lei, impregnandole le membra.
Di malavoglia si mise a sedere, percependo i raggi aranciati dell’alba che entravano dalla finestra. Improvvisamente, il suono pieno e tonante le Corno d’Adunata, rimbombò nel corridoio, appena fuori la sua porta. In una frazione di secondo, i suoi riflessi da soldato si risvegliarono e lei scattò in piedi, afferrò i primi vestiti a disposizione e, infilati frettolosamente gli stivaletti di cuoio, si precipitò fuori dalla camera.
Le altre reclute erano già tutte schierate davanti al Lord dei Pugnali e una realtà opprimente le si parò davanti.
Devo andarmene da qui! E devo farlo prima di non esserne più in grado!
Caharis non c’era e Niamh già sapeva qual era l’ordine che l’Avvoltoio stava per impartire loro.
  
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