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Autore: Subutai Khan    13/03/2015    10 recensioni
“Kuno? Mi sembri strano. Non avrai mica un trauma cranico, spero”.
“N-No, è tutto ok. Anzi, mi sento...”.
“Ti senti...”.
“...lucido”.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Tatewaki Kuno
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“...no, tutto bene?”.
Uh? Cosa? Dove? Perché?
Non ricordo cosa è successo. Sono svenuto dopo...
Una mano è allungata nella mia direzione. Pare intenzionata ad aiutarmi.
La afferro senza pensarci troppo.
“Stavolta Ranma ci è andato giù pesante. Beh, come al solito l'hai provocato e dovresti aver capito come finisce”.
Riconosco la voce, anche se la mia vista è ancora abbastanza annebbiata.
Si tratta di... Akane Tendo.
Uh? Com'è che non sono partito con il solito sproloquio di magniloquenti complimenti nei suoi confronti?
Mi spinge in piedi. La ringrazio in tono... neutro.
Cosa mi sta succedendo?
La guardo. È la solita Akane Tendo, con la solita divisa scolastica del Furinkan.
Eppure la mia bocca non è partita come un TIR lanciato a tutta velocità nell'esaltarne la leggiadra bellezza, la grazia ultraterrena e... tutte quelle scemenze che dicevo sempre.
Tatewaki, tu stai male. L'ennesima mazzata in testa ti ha rimbecillito.
“Kuno? Mi sembri strano. Non avrai mica un trauma cranico, spero”.
“N-No, è tutto ok. Anzi, mi sento...”.
“Ti senti...”.
“...lucido”.
“Eh?”.
“Akaneeeeeeeeeeeeeeeeeeeee! Non farmi fare tardi, cacchio! Muovi quella tua vita larga e vieni dentro!”.
Ormai mi sono rimesso, almeno fisicamente parlando, da riconoscere benissimo la voce di quel buzzurro di Ranma Saotome.
Eppure... eppure non sento l'insopprimibile impulso di mettergli le mani addosso per aver mancato di rispetto a una delle mie muse.
Con un movimento circolare delle dita cerco di lenire il dolore che da qualche secondo ha preso a martellarmi le tempie. In questa posizione non faccio niente se non guardarlo tornare indietro e afferrarla per la mano mentre le intima di nuovo di sbrigarsi, sordo alle sue proteste.
È un attimo: in quei pochi secondi in cui la sua figura si imprime sulla mia retina... tutto è chiaro.
Rivedo in lui i capelli rossi e il carattere focoso della Ragazza col Codino.
E in maniera incomprensibile capisco.
Loro due... sono la stessa persona.
Come un flash passa davanti ai miei occhi il momento in cui Nabiki Tendo, agli albori di questa faccenda, aveva versato dell'acqua calda addosso alla Ragazza col Codino mentre la stavo abbracciando e... et voilà, come per magia al suo posto era apparso Ranma Saotome.
Era... era così evidente.
Non mi capacito di come sono potuto uscirmene con quel ridicolo “Dove hai nascosto la mia adorata dea? Tatewaki Kuno non si fa imbrogliare da simili trucchetti!”.
E quando Nabiki mi ha detto che lei gli apparteneva anima e corpo...
Lo intendeva letteralmente. E non so se essere più colpito dal reale significato di quelle parole o dal fatto che per una volta Nabiki Tendo abbia detto la verità.
A ripensarci ora mi vergogno come un ladro per come ho reagito, con tanto di monte Fuji in miniatura sulla mia testa.
Rimango imbambolato come uno stoccafisso mentre suona l'ultima campana prima dell'ingresso. Onestamente ho altro per la testa che l'essere puntuale in aula.
Anzi, proprio non m'interessa per niente in questo momento.
Il mio mal di testa sta peggiorando. E ho come l'impressione che non sia dovuto semplicemente alle botte che ho preso poco fa.
È anche vero che starmene qui come un cervo impagliato non mi aiuta in nessun modo. Quindi, seppur poco convinto, comincio ad avviarmi verso la 2-E.

*

“Kuno, stai bene? È tutto il giorno che sei muto come un pesce affogato” mi chiede Nabiki allungandosi nella mia direzione.
Nella giornata della stranezza si aggiunge anche questa: normalmente Nabiki Tendo non preferisce parlare con me rispetto a una lezione, a meno che non si tratti di vendermi qualcosa. Ma visto che non maneggia foto direi che non è il caso.
“Vorrei discutere con Ranma e Akane, finito l'orario scolastico. Potresti gentilmente avvisarli tu, Nabiki?” le rispondo senza neanche guardarla.
“...va bene”.
Interpreto il suo tentennare come sorpresa. Chissà, forse non si aspettava che usassi la parola gentilmente. Ma no, quando si ha a che fare con una faina simile è sempre meglio pensare il peggio.
Quindi non escludo che possa essersi accorta che c'è davvero qualcosa di diverso in me, ora.
“Ma Kuno, su che basi lo dici? Non è solo il rincoglionimento dovuto alla scarica di mazzate che hai preso prima?”. Ecco, giusto l'interlocutore inesistente ci mancava.
Magari è così, sì. Magari sono solo un po' troppo intontito e una sana notte di sonno restituirà al mondo il Tuono Blu in tutto il suo splendore.
Ma sospetto che non si risolverà così facilmente. Fosse anche solo per il fatto che non sto pensando ossessivamente ad Akane o alla Ragazza col... a Ranma. Yuck.
Prima era asfissiante. Ogni istante della mia giornata era occupato da una delle due, alternativamente o persino assieme per il doppio della perversione. Visualizzavo scenari da favola: me come il miglior principe possibile e le mie due fulgide pulzelle che cadevano piene d'amore ai miei piedi, regalandomi poi inenarrabili piaceri della carne. Oh sentite, l'idealizzazione si ferma fino a un certo punto.
A ripensarci ora rabbrividisco. Una di quelle due è Ranma Saotome, in realtà.
-
“Allora vado ad avvisarli” dice Nabiki alzandosi. È appena suonata la pausa pranzo. Avrei preferito al termine della giornata, ma in realtà va bene anche così. Tanto, fra tutti e tre, non sarebbe nulla di nuovo se ci intrattenessimo più del dovuto.
“Sì, mi fai un piacere. Grazie”.
“Kuno...” si ferma a circa un metro dal mio banco, osservandomi.
“Cosa c'è?”.
“...no, niente”.
Sei strana, ragazza.
“Aspetta Nabiki, un'altra cosa prima che tu vada”.
“Dimmi”.
“Riformulo la richiesta: desidero parlare con Ranma Saotome, con tua sorella Akane Tendo... e con te”.
“Con me? Cosa stai complottando, Tatchi?”.
“Niente. Anzi, credo siano i kami che stanno complottando alle mie spalle”.
“I kami? Si può sapere di cosa blateri o pretendo troppo?”.
“Pretendi troppo”.
“Bah. Rinuncio a capirti”.
“Non ti chiedo di capirmi quando sono il primo a non riuscirci. Ti chiedo solo di recuperare quelle due persone e di portarle qui, ho delle cose da comunicare a tutti voi”.
Non aggiunge niente mentre si avvia.
Rimango solo nella classe, gli altri nostri compagni hanno già provveduto a sciamare fuori per andare a far casino in cortile o sul tetto.
L'emicrania è sempre forte, troppo forte. Di nuovo provo a trarre un po' di sollievo massaggiandomi la fronte, senza però ottenere risultati apprezzabili.
Se riesco vorrei prepararmi un bel discorsetto organico ed esaustivo con il quale esporre loro la mia nuova situazione.
Allora, cerchiamo di ordinare le idee.
Akane, Ranma, Nabiki. Vi ho chiesto di essere qui perché... sì, insomma, ho da dirvi delle cose e... non so neanche bene da che parte cominciare, né il motivo di quanto sto vivendo in questi istanti... potrei... forse... sì, però...
Patetico. Sono patetico.
Ma d'altronde non so realmente cosa devo dire. Ero malato e sono guarito? Mi è venuto un attacco epilettico senza convulsioni e mi sogno le cose? Ero confuso e una casuale commozione cerebrale ha sollevato la nebbia dai miei occhi? Ho il Parkinson?
Ipotesi surreali a parte, non lo so davvero. Proprio non lo so.
Non posso neanche dire se il mio attuale è uno stato definitivo o meno. Domani potrei essere tornato lo stesso Kuno degli ultimi diciassette anni. Il vero Tatewaki.
O forse... forse è questo il vero Tatewaki.
Non lo so.
E le sorprese, belle o brutte che siano, non sono mica finite.
Adesso che ho un secondo per poterci riflettere sopra meglio, mi rendo conto che la mia famiglia... oh, che cosa brutta da dire...
Ho una famiglia di pazzi furiosi.
E fino a poche ore fa ne ero il capofila.
Perché ora riesco a capire l'ostracismo che ci circonda da tempo immemore nonostante il nostro status altolocato.
Siamo sempre passati per una manica di squinternati. A ragione.
Quale persona normale va in giro con una palma in testa, regge un ukulele finto che non sa suonare, si esprime in un pessimo miscuglio d'inglese e giapponese e si ostina a voler rasare a zero i poveri disgraziati che si ritrova come alunni? Quale persona normale impara a cucinare usando come ingrediente primario l'anestetico, va anche a letto con la tuta da ginnastica addosso, spreca centinaia di migliaia di yen per dei petali di rosa nera e tiene come animale domestico un coccodrillo?
Quale persona normale vive in perenne fissa col kendo credendosene il campione interplanetario, è incapace di non parlare come un romanzo ottocentesco, perseguita due ragazze al punto di sfociare nella molestia sessuale e non si avvede della loro repulsione nei suoi confronti?
Santo cielo.
Va bene, ho sempre considerato mio padre un po' toccato. Ma un conto è considerarlo un po' toccato, un conto è vederlo come materiale valido per la casa di cura psichiatrica.
Dev'essere per questo che mamma, dopo aver sfornato me e Kodachi...
“Che c'è, Kuno? Cerchi ancora grane e vuoi un'altra ripassata, per caso?”.
La voce sgarbata di Ranma mi fa alzare la testa, che da sé si era abbassata verso il banco immersa com'era in pensieri lugubri.
Trovo poco opportuno rispondere alla provocazione, anche perché quanto prospetta è sin troppo lontano dalla realtà.
Con una decisione improvvisa mi alzo e faccio loro cenno di uscire. La questione potrebbe andare per le lunghe e non voglio doverla interrompere per la ripresa delle lezioni.
Per fortuna acconsentono senza una rimostranza.
Dopo un breve vagare troviamo un angolo del cortile sufficientemente riparato da orecchie indiscrete.
“Allora” dice di nuovo Ranma appoggiandosi a una corteccia vicina “si può sapere perché ci vuoi far perdere tempo stavolta? Una qualche sfida ancestrale delle tue?”.
Mi posiziono un po' distante dai tre, che sembrano come far comunella di fronte a un nemico condiviso. Normalmente capirei questa presa di posizione, ma ora la trovo fuori luogo. Ovvio, loro ancora non sanno bene.
Come se poi io lo sapessi.
“No Ranma Saotome, niente del genere. Visto che Nabiki Tendo ha già avuto un piccolo assaggio, comincerò con lei”.
“È tutta la mattina che il tuo comportamento ha una strana dignità, Tatchi. Non una parola altisonante, non un gesto inutilmente teatrale, non una proposta stramba. Te lo richiedo: sicuro di star bene? Ho la sfortuna di avere a che fare con te da quando avevamo quattro anni e non ti ho mai, davvero mai visto così”. Se non conoscessi meglio lo squalo che mi ha appena rivolto la parola, potrei persino dire di scorgere preoccupazione in quegli occhi.
Abbasso le palpebre e lascio che il missile parta.
“Non intendo più comprare da te foto delle qui presenti Akane e Ragazza col Codino”.
Le rialzo rapido. Voglio vederli.
E, come immaginavo, i loro volti sono a metà fra lo stupito e l'inorridito. In realtà, per amor di precisione, l'unica che presenta tracce di orrore è la succitata Nabiki. Deve aver visualizzato l'enorme voragine monetaria diventata or ora realtà.
Poi l'inaspettato. Ranma allunga un dito, un poco tremante, nella mia direzione: “Hai... hai appena detto... qui presente Ragazza col Codino?”.
Feh, non posso fargli una colpa per la reazione.
“So tutto, Ranma Saotome. So che sei la Ragazza col Codino”.
Giuro di aver appena sentito un meteorite schiantarsi sui loro crani.
C'è silenzio, il più totale. Nemmeno un sibilo di vento disturba.
Non vorrei averli traumatizzati tutti in un colpo solo.
Poi per fortuna Akane si scuote e dice: “Allora... allora stamattina intendevi questo...”.
“Riferito a cosa?”.
“Quando hai detto che ti sentivi... lucido...”.
Ah, quello. Direi che ha fatto centro.
“Non sbagli. Mi sono svegliato dall'ennesima lezione impartitami da Ranma e tutto ad un tratto, senza preavviso alcuno, il mondo era colorato diversamente ai miei occhi. Ad esempio non sento più l'irrefrenabile impulso di idealizzarti come una specie di divinità della bellezza scesa in mezzo a noi comuni mortali per far impazzire i nostri ormoni sovreccitabili. Se devo essere onesto, al momento ti trovo carina ma niente di più. Senza offesa. E anzi, ne approfitto e ti chiedo scusa per tutte le indesiderate avances nei tuoi confronti. In queste ore ho avuto la possibilità di rimuginarci sopra e mi sono reso conto di essere stato spiacevolmente insistente, specie a fronte dei tuoi reiterati rifiuti”.
Lei accoglie la novità con... sollievo? Non riesco a decifrare bene la sua espressione, troppo criptica.
Sveglia Tatewaki, sveglia. Se a te ci è voluta un'intera mattina per cominciare ad accettare il nuovo status quo, quanto pensi che possa volerci nel suo caso?
“B-Beh, s-sei gentile...”. Se lo dici così non mi rincuori granché.
Shhhh, buono. Sii comprensivo con lei, è una bella sassata da digerire.
“Era anche ora che ti svegliassi fuori!” mi apostrofa Ranma, decisamente più combattivo rispetto a solo mezzo minuto fa.
Appare come contrariato. E devo dire che non afferro il perché.
“Scusami Ranma, ma posso chiederti il motivo che ti spinge a essere così arrabbiato per quanto ho detto?”.
“Nessuno mi assicura che tu non ci stia pigliando per il naso, Tuono Blu dei miei stivali!”.
“Non... non capisco. Credi che, per come mi comportavo e pensavo prima di... questa cosa, qualunque cosa sia... io potessi davvero arrivare a comprendere la tua doppia identità, ad esempio? O a scusarmi con Akane? Che motivo avrei di mentirvi?”.
“Devo quindi prendere per oro colato tutto quello che dici? Non sono nato ieri, Kuno. Tu hai qualcosa in mente e, non so perché, vuoi farci credere di essere...”.
“...diventato una persona normale? È questo che intendevi? Mi duole vedere che non riesci a cogliere il mio cambiamento, che per carità non è stato voluto ma si è nondimeno concretizzato. Al contrario di Akane e Nabiki, che sembrano aver inteso la profondità e il peso delle mie parole. Io non sto cercando di interpretare chissà quale commedia teatrale, quel che vedi ora è il risultato del tuo ultimo pestaggio ai miei danni. Non saprei stimare che tipo di conseguenze ha realmente portato sulla mia psiche, a parte farmi sentire... meno ottenebrato”.
No, non cedere alla rabbia. Capisci che gli è difficile credere sulla fiducia a quanto affermo, visti e considerati tutti i nostri precedenti. È impensabile che accetti senza fiatare, senza questionare, senza mettere in dubbio la mia buona fede.
Se io fossi rimasto com'ero prima e lui fosse venuto a chiedermi scusa, o comunque a mostrarsi remissivo e con un rametto d'ulivo in mano... sì, probabilmente non avrei ingoiato le sue fandonie senza battere ciglio.
Ranma Saotome continua a non piacermi particolarmente, già.
“Sì, adesso è come se ti si fosse accesa la lampadina sopra la testa! Ma per piacere, stai davvero esagerando con...”.
“Ranma, finiscila”.
Uh? Nabiki?
“Uh? Nabiki?”. Brrrrr, freddo.
“Stiamo parlando di Tatewaki Kuno, non esattamente un campione di QI e manipolazione delle masse. Al contrario, è una delle persone più boccalone e facilmente raggirabili non solo di Nerima, non solo di Tokyo ma probabilmente dell'intero Giappone. Dai, qualche volta sei riuscito, nella tua forma femminile, a convincerlo di avere un debole per lui. Se dalla sua bocca esce qualcosa di non vero è solo perché lui ne è sinceramente convinto. In quel senso oserei dire che è candido come un bambino. Fidati che lo conosco da quando ci succhiavamo i pollici a vicenda e, te lo dico col mio cuore da rapace in mano, non sarebbe capace di una scenata tanto complessa. E poi suvvia, ti ha correttamente identificato come la Ragazza col Codino. Dal nulla, dopo mesi e mesi passati nell'ignoranza più totale. O quanto ci ha confessato è vero, o un fulmine gli ha fritto tutte le sinapsi facendogli guadagnare in intelligenza”.
Non... non mi aspettavo un'apologia tanto accalorata da parte della Cannibale. D'accordo, è riuscita a infarcirla con due o tre insulti più o meno diretti ma resta comunque una testimonianza a mio favore.
Ranma e Akane paiono condividere il mio stato d'animo. Entrambi prendono a strabuzzare gli occhi nella sua direzione e lei si limita a far spallucce, apparentemente forte nella sua convinzione di aver ragione.
“E comunque” si insinua Akane girandosi verso di lui “non hai il diritto di essere così aggressivo con Kuno, non quando non ha fatto nulla di male. Anzi, direi proprio l'opposto. Perché non so te, ma in questi ultimi minuti io sto cominciando a vederlo sotto una luce un po' migliore”.
...
Grazie. Sul serio, grazie.
Va bene, una luce un po' migliore non è poi molto. Ma vedendo come mi sono comportato in passato, con lei e non solo con lei... in realtà è tanto.
Esprimo la mia gratitudine a voce alta, condendo la frase con un sorriso che spero appaia sincero quanto lo intendo: “Sei davvero gentilissima a prendere le mie difese, Akane Tendo. So di non essere stato il più cavalleresco degli spasimanti, nei tuoi confronti... e specialmente in quelli di Ranma. Al quale estendo le mie scuse per tutte le uscite fuori luogo che ho imbastito in passato”.
Vediamo se così ti passa l'isteria.
Sì, qualcosa l'ho colpito. Se possibile appare ancora più scosso di prima, e non è facile. Ma ci riesce benissimo.
La bocca spalancata, gli occhi raddoppiati di dimensione, le braccia a penzoloni. Tutto in lui trasmette sorpresa pura.
Affondo il colpo: “Nonostante la tua poca cortesia sei comunque in credito di almeno una piccola ammenda da parte mia. Solo ora, nel mio nuovo e inspiegabile stato mentale, riesco a scorgere con chiarezza quanto affanno e quanto fastidio riuscivo a scatenarti. Me ne dolgo e per questo, nuovamente, ti porgo le mie più sentite scuse. Non accadrà più, Ragazzo col Codino”.
Mi permetto una battuta faceta e un mezzo ghigno, che non vuole essere provocatorio ma solo indice di quanto spero diventi il nuovo andazzo fra di noi: pacifica coesistenza, al peggio.
“N-No, dai... questo non sta succedendo davvero...” commenta, sempre più interdetto.
“È tutto reale, invece. Per quanto mi riguarda, come ho detto prima, non comprerò più tue foto in déshabillé. Tue o di Akane. Ho chiuso con queste manie da pervertito. È un giuramento solenne”. Mano sinistra sul cuore e destra alzata per dare più forza alle parole.
“Tu mi stai stupendo oltre ogni dire, Tatchi”. La frase è insaporita da una leggera nota contenta, che uscendo dalla bocca di Nabiki equivale a una tonnellata d'oro massiccio.
“Non posso negare che ora la cosa mi faccia piacere. Penso di poter dire che, se questa magia persiste, ho definitivamente lasciato alle mie spalle l'idiozia tipica dei Kuno”.
“E tu... ne sei contento?”.
“No Akane, non vedo l'ora di tornare a scorrazzare per il giardino di casa come una gallina dalle piume troppo gonfie”.
Ullalà. Da dove viene questa vena sarcastica come acido? A quanto pare ho un bel po' di introspezione da fare.
Per fortuna il tono non viene equivocato e il sorriso che ricevo è manna. Su una cosa il vecchio me non sbagliava: il sorriso di Akane Tendo è una delizia.
Suona la campana. Tutti e quattro la ignoriamo.
So di esagerare, ma qua si sta scrivendo la storia. Non intendiamo farci ostacolare da stupide regole scolastiche.
“Tatchi, io non posso che esprimerti un inaspettato rispetto per questa tua presa di coscienza. Rispetto e nel contempo dolore, però”.
“Ti senti improvvisamente il portafogli vuoto, vero?”.
“Mi hai appena mandata sul lastrico, bastardo”.
“Non temere, sono convinto che qualche altro depravato lo rimedierai. Certo, per giungere ai miei livelli dovrai andare a scavare fra l'immondizia...”.
“L'egocentrismo ti è rimasto, vedo”.
“Pretendi troppo, ragazza mia”.
“Sì, immagino che per oggi debba accontentarmi. E con me mia sorella e il suo stupefatto fidanzato, giusto?”.
Gli interpellati confermano, lei con un vigoroso cenno della testa e lui... faccio fatica a tradurre il balbettio che gli esce dalle labbra. Devo averlo veramente rivoltato come un calzino per farlo reagire così.
Non era mia intenzione, ma di certo non me ne pento. Mai stato meglio in vita mia.
Ed è strano da dirsi, perché in realtà non posso affermare che prima mi sentissi insoddisfatto. Solo che ero talmente immerso in quello strato di demenza da non avere in mano gli strumenti necessari per una diagnosi della mia infelice situazione.
E poi, in quello che sto cominciando a considerare un miracolo, questi strumenti mi sono piovuti addosso dal cielo.
Anzi no, neanche. Sono scaturiti dai pugni chiusi di Ranma.
Lo devo ringraziare.
Copro in pochi passi la distanza che ci separa e allungo la destra nella sua direzione, invitandolo a stringermela.
Lo prendo in contropiede per l'ennesima volta. Ammetto che comincio a provare piacere.
“Le scuse non bastano per te, Ranma Saotome. Ti meriti anche la mia gratitudine per quanto sei riuscito a fare oggi”.
“Ma... ma io...”.
“Non volevi farlo? Non è importante, l'importante è che tu l'abbia fatto. Credimi, non potevo venire baciato da avvenimento più fausto. Mi sento come rinato. Ed è merito tuo, fortuito o meno che sia”.
Alla fine, dietro ripetute insistenze, lo si convince.
La stretta è bella, semplicemente bella.
“Kuno, non so che dire...”.
“Allora non dire niente. Sii solo soddisfatto di aver risolto uno degli annosi problemi della tua complicata vita”.
Sorride. Sto cominciando ad abituarmi bene.
“Nabiki” mi esce poi senza troppa volontarietà “vorrei chiederti un altro piacere”.
“Sputa, rovinafamiglie”.
“Smettila di adularmi. Potresti per favore pensare tu alla professoressa Kanzaki per conto mio?”.
“Cosa intendi?”.
“Io ora me ne vado a casa. Devo riflettere”.
“Perché questa decisione improvvisa?”.
“Voglio essere pronto per quando rientreranno mio padre e Kodachi”.
E di nuovo è silenzio. Oggi sono un asso nell'azzittire la gente.
“Cosa stai escogitando, Tatchi?” arriva dopo qualche secondo.
“Niente. Desidero solo studiarmi bene quanto avrò da dir loro”.
“K-Kuno” interviene Akane “cosa significa?”.
“Ancora non ne ho idea. Ma se davvero questa mia nuova attitudine è permanente... so fin da ora che non reggerei più di un'ora sotto lo stesso tetto con quei due”.
“Tu... stai pensando di rompere ogni legame con la tua famiglia...”.
“È una possibilità valida, non lo escludo”.
“Sei avventato! Non hai la certezza che domani, o anche prima, non sarai tornato quello di sempre”.
“Vero. Ma preferisco pensare positivo”.
“Non farlo! Non tagliarti tutti i ponti con i tuoi parenti più prossimi!”.
“Akane, continui a essere sin troppo generosa con me preoccupandoti con tale premura per il mio benessere. Però... però non posso ignorare quanto provo. E ciò che provo in questo momento nei loro confronti... non è altro che disgusto”.
Getto un'ultima occhiata verso... posso chiamarli amici? Sono forse troppo pretenzioso nel definirli così? Sì, probabilmente sì.
Li saluto uno ad uno.
Poi, come uno dei samurai a cui mi accosto, estraggo il bokken dalla sua custodia protettiva e mi accingo ad affrontare la battaglia.
Sento i loro sguardi sulla mia schiena. Mi piace pensare che mi stiano augurando buona fortuna.

*

Ci siamo. Ci siamo.
I tre membri della famiglia Kuno sono seduti nel salotto di rappresentanza. Per rimanere fedeli alla nostra linea tradizionalista non ci sono sedie, chiaramente. I nostri sederi poggiano sui tipici cuscinetti.
Sempre per rimanere in tema di tradizione, siamo io da un lato del tavolo e loro due dall'altro. Non appena è arrivata a casa ho avvisato Kodachi che dovevo parlare con lei e papà e lo stesso ho fatto con lui quando è rincasato, più tardi.
Mi hanno fatto aspettare qualche ora, gli infingardi. Ma è stato meglio così, ho potuto prepararmi.
“Allora Tatewaki, qual è il problem? Ci hai convocati con this urgenza perché?”.
Meglio che non dica ad alta voce quanto trovo irritante questo modo di parlare. E il bello è che lo trovavo irritante anche prima. Il che la dice davvero, ma davvero lunga.
Mi schiarisco la voce. Mi stropiccio le dita. Cerco di richiamare alla mente l'elaborato discorso che avevo steso nella mia testa e che ha pensato bene di evaporare. Bastardo.
No, non mi aspettavo tutte queste difficoltà all'atto pratico. Arrivavo, dicevo quel che dovevo dire e me ne andavo.
Semplice. Lineare. Chiaro. Pulito.
Poi la realtà si è affacciata da dentro la tazza del wc facendomi un gestaccio e prendendomi in giro per la mia ingenuità.
Avanti, avanti. Hai messo il piedino oltre la linea rossa del non ritorno, non puoi fare marcia indietro come se niente fosse.
Affrontali.
Mi passo lento le mani sulla faccia, raccogliendo coraggio e tutto ciò che mi può venire utile.
Parto.
“Padre. Sorella. Ho un discorso molto serio da fare a entrambi, come immagino abbiate intuito da voi data la solennità della mia chiamata. Ma prima di affrontarlo nello specifico avevo una domanda per te”.
I miei occhi si piantano su un paio di occhiali da sole passati di moda nel 1950.
“Io? Ask pure”.
…ok, non lo reggo già più.
“Kami, papà. Non riesci proprio mai a smettere di parlare come un idiota patentato? O hai dimenticato la tua lingua madre e devi colmare i vuoti con parole a caso da un altro idioma?”.
Partenza col botto. Tempo un minuto e sono fuori dai gangheri.

Non è successo. Non l'ho visto.
I suoi occhiali non hanno avuto un lampo di luce cupa come succede negli anime.
“Hai qualcosa da ridire su quanto ho appreso alle Hawaii durante la mia assenza da casa, Tatewaki?”. Con quel Tatewaki pronunciato come se fosse una bestemmia.
Wow. Oggi ho avuto pure l'onore di vedere mio padre pesantemente contrariato. Sorprese, finirete mai prima della mezzanotte?
“Fosse solo quello il problema” ribatto a tono, non disposto a cedere di un solo passo “Il tuo bizzarro e sinceramente fastidioso modo di esprimerti è solo la punta dell'iceberg”.
“E sarebbe, questo fantomatico iceberg?”.
“Voi due nella vostra interezza, eccolo il tuo iceberg”.
Spiazzati come un difensore messo a sedere da una finta di Masashi Nakayama.
Giornata dello stupore e della meraviglia, sul serio.
“Si può sapere di cosa stai farneticando?” fa sentire la sua presenza Kodachi.
Ufffff. Sarà lunga.
“Voi non vi siete mai guardati allo specchio, vero? Non vi siete mai fatti una domanda che fosse una?”.
“Cosa ci saremmo dovuti chiedere, di grazia?”.
“Oh, non so. Tipo quale maledizione voodoo vi spinge a comportarvi come due pagliacci. Anche se il voodoo è haitiano e non hawaiano, poco importa. Vi rendete conto o no che siamo lo zimbello di tutta Nerima e non sono malelingue invidiose, bensì la verità? I Kuno sono una stirpe maledetta e io, per non so quale disegno divino, sono riuscito ad avvedermene solo da poco”.
Beh, tutto mi si può dire ma non che non rimango affezionato a un certo modo alto di parlare. Forse sin troppo.
L'atmosfera sa di napalm. Non li credevo capaci di digrignare così bene i denti. E soprattutto non li credevo capaci di tutto questo autocontrollo, perché è palese che entrambi vorrebbero saltarmi addosso e cavarmi le corde vocali per non dovermi sentir più.
Magari loro sentono ancora il legame di sangue e compensano anche per me.
“La domanda, Tatewaki?” mi apostrofa papà. Se questo fosse un brutto romanzo d'appendice ora direi che è come se avesse sputato lame affilate, la sensazione è identica.
“Giusto, la domanda. Ti volevo chiedere... perché mamma ci ha abbandonati quando eravamo piccoli”.
CRACK. È la classica goccia che fa traboccare il classico vaso, solo che nel nostro caso il vaso esplode proprio.
“NON TI AZZARDARE A NOMINARE TUA MADRE! NON TI AZZARDARE!”.
Incredibile. Niente pugno sbattuto sul tavolo. Non che di rabbia non ce ne sia, viene solo manifestata in altro modo.
Sostengo il suo volto furibondo, riuscendo a notare con la coda dell'occhio una Kodachi in preda al panico più totale.
“Mi azzardo eccome, daddy caro. Fammi provare a indovinare: mamma ha capito che razza di geni portiamo e ha pensato bene di togliere il disturbo per impedire di farsi coinvolgere nella nostra pazzia quotidiana. Non mi...”.
“Silenzio”.
“...sento di biasimarla, è comprensibile che volesse dissociarsi. Magari ha visto con che diavolo d'uomo si era incastrata e ha...”.
“Silenzio!”.
“...correttamente presupposto che i figli avrebbero seguito la sua scia. Quindi ha preferito levare le tende. Confermi?”.
Non proferisce parola. Schiuma solo bava.
Grazie per la risposta.
“Non... non... non...”. Buona sorella, buona. Lascia parlare gli adulti.
Un attimo di silenzio che aiuta solo a far capire quanto l'aria sia diventata irrespirabile qui dentro.
“Ora... ora che hai intenzione di fare, Tatewaki? Dopo averci vomitato addosso tutta questa cattiveria... spero non ti aspetterai un perdono se dovessi improvvisamente riacquistare il senno perduto”.
Rido. No, sul serio. Rido.
“Perduto? PERDUTO? Non posso credere quanto sia radicata la maledizione di famiglia. Non riesci neanche a capire che io il senno l'ho ritrovato oggi, non di certo perso. Siete voi che ne siete sempre stati sprovvisti e continuate a dimostrarmi che la mia decisione è saggia, giusta, sacrosanta”.
“D-Decisione?” mormora Kodachi. Mi sembra strano che sia rimasta in disparte per tutta la durata dell'apocalisse, mi aspettavo una presenza più rumorosa da parte sua.
“Ho maturato la decisione di andarmene, sì. Non posso più vivere fra queste mura colme di follia”.
Mi alzo e mi volto.
Dietro di me una singola frase intinta nel veleno: “Stai commettendo uno sbaglio atroce, figlio”.
Forte è l'impulso di fermarmi, tornare sui miei passi e spaccargli quella roba di plastica che porta in testa a colpi di spada.
Ne soddisfo solo la prima parte.
Dalla mia posizione statica mi permetto un'ultima stilettata: “No padre, lo sbaglio è stato il non farlo prima”.
Riprendo il cammino.
E sento le urla della disperazione: “Non sei tu ad andartene, Tatewaki! Sono io a diseredarti! Mi hai sentito? Non sei più un Kuno! Sei un nessuno ora! Una nullità! Un rifiuto!”.
“Felicissimo di esserlo”.
SBAM.
Il fusuma dietro di me si chiude, quasi mestamente.
È davvero la fine di un'era. La fine di Tatewaki Kuno il Kendoista Pazzo.
D'ora in avanti sono solo Tatewaki, senza cognome. Mio padre si illude se pensa che io mi sia sentito ferito, colpito o altresì offeso dalla sua ultima uscita.
Al contrario.
Mi do una figurata pacca sulla spalla perché ero stato previdente e un sacco con qualche vestito e una piccola mazzetta di soldi mi attende per terra, a sinistra.
Lo raccolgo e me lo butto sulla spalla.
Prima di andare, però, un'ultima occhiata -o meglio, un'ultima ascoltata- dentro l'abisso. Hai finito di avere una vista privilegiata su di me.
“Papà! Cos'è preso a...”.
“Non nominare più quella persona, Kodachi. Ha smesso di esistere. I Kuno siamo io e te, ora”.
Un microscopico grammo di pena si fa largo nella mia gola, sussurrandomi che non ci si comporta così con i parenti a prescindere da qualsiasi torto possano averti fatto.
Ti senti parlare, Tatchi? Dovrei permettere loro di calpestare la mia appena ritrovata dignità obbligandomi a sopportare le loro scenate da primedonne isteriche? Dovrei permettere loro di infangarmi di riflesso solo per via del rapporto di sangue?
Insulso. Non succederà.
Respiro profondamente. Ho appena scardinato le fondamenta della mia vecchia vita, giudicandole indecorose, e mi sono allontanato dal castello illuminato a giorno anche nella più oscura delle notti. Ho preferito avventurarmi per il bosco rinunciando alla guardia personale che mi copriva le spalle.
Sono orgoglioso di quanto ho fatto. Forse non altrettanto modesto, ma ci si accontenta.
Mi sale di botto il buon umore.
Me ne vado fischiettando.

*

“È stato un piacere avervi come ospiti all'Okonomiyaki Ucchan”.
“Tatewaki, finiscila. Non hai bisogno di essere così formale con noi”.
Il rimprovero di Akane è scherzoso e accompagnato, come sempre accade in questi casi, da quel sorriso killer che mi sono ritrovato spesso, negli ultimi mesi, a ricordare con piacere quando era rivolto nella mia direzione.
Ehi. Ho ancora il diritto di trovare il suo sorriso delizioso? Mica vuol dire che sto ricadendo nel vecchio me. Nel prima.
Ranma si avvede del mio sguardo lieto e prende a fissarmi con quella che ho imparato a riconoscere come gelosia.
“Tranquillo, sai che quei giorni di dissennatezza sono passati e non torneranno più. La fidanzata è la tua e non ho intenzione di portartela via”.
“Sarà meglio, perché non mi farei tanti problemi a gonfiarti la faccia. E farlo adesso non è più divertente come una volta”.
Lo scambio silenzioso è sempre simpatico.
Se ne vanno rapidi, non prima di raccomandarmi di porgere gli ennesimi complimenti alla cuoca al momento impegnata nel retrobottega.
“Sarà fatto, gentilissimi clienti paganti”.
“Cretino!” dicono assieme ridendo.
Simili momenti mi urlano nelle orecchie che lo staccarmi dalla scriteriatezza dei Kuno è stata la scelta migliore possibile. La rifarei mille volte.
Non tornerei indietro neanche se lo stolto che ho la sfortuna di avere come padre biologico si presentasse alla mia porta in ginocchio, pregandomi di rientrare all'ovile e tentandomi con un fiume di beni materiali.
Meglio povero e sano.
Che poi, a volerla dire tutta, non sono proprio uno straccione. D'accordo, mi sono scordato sin da subito i lussi della mia vita precedente ma non sto poi così male.
La paga di Ukyo è buona. Gli affari le vanno così bene che non ha avuto nessuna difficoltà nell'affiancarmi a Konatsu come cameriere.
E poi, non per fare la coda come un pavone... ma da quando sono qui c'è stato un sensibile aumento della clientela femminile.
“Uff. Anche oggi giornata massacrante” si lamenta il mio collega, cadendo secco su una sedia.
Mi accomodo vicino a lui: “Se va avanti così presto verrà aperta una succursale”.
“Sì, e come fa la padrona a cucinare in due ristoranti diversi?”.
“Ah non lo so, non è un problema mio. A me basta che continui a versarmi lo stipendio”.
“Guardate che vi sento, lavativi!” giunge una voce fintamente minacciosa.
“Non vedo il problema, Ukyo” le rispondo urlando “Ho solo detto che se davvero raddoppi io voglio solo essere pagato. È così scorretto?”.
Altra risata generale.
“Invece di perdere tempo dicendo fesserie, perché voi due non vi mettete di buona lena a riordinare?”.
“Solo un attimo, capo. Siamo distrutti”.
“Bah. Cinque minuti e poi vi voglio a ramazzare”.
“Signorsì signora”.
Durante la piccola pausa chiacchieriamo del più e del meno, senza un argomento preciso. Poi altre rimostranze ci convincono che è ora di tornare al lavoro.
Stiamo pulendo il pavimento quando...
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIN.
Il titolare va a rispondere, a noi umili dipendenti non è riservata una tale responsabilità.
“Okonomiyaki Ucchan, parla Ukyo”.
Saranno di nuovo quelli della catena di fast food. Si sono fatti insistenti in questi giorni, ma perdono il loro tempo se sperano di rilevare questo locale. Ukyo si farebbe segare braccia e gambe, piuttosto.
Sogghigno nell'appurare che non sono l'unico a possedere una granitica determinazione.
Poi accade qualcosa di inaspettato: “Tatewaki, è per te”.
Per me? Non aspettavo telefonate.
Mi avvicino e prendo la cornetta.
Uh? Niente esortazione a fare in fretta? E quella faccia contrita mentre me la porge...
Che sta succedendo?
“Pronto?”.
“Tatewaki?”.
“Sì, sono io. Con chi parlo? Mi scusi signora, non credo di conoscerla”.
“Invece mi conosci, anche se è tanto che non ci vediamo di persona”.
...
“Chi...”.
“Tatewaki, sono tua madre”.
Mia... madre?
“Questo è uno scherzo, vero?”.
“Tatewaki... ti sei scelto un nuovo cognome, per caso? Nato a Nerima alle sei di mattina dell'undici settembre 1971 dalla sottoscritta e da quella disgrazia con le gambe di nome Koccho Kuno. Fratello, almeno di sangue, di Kodachi Kuno. Nata a Nerima alle due e quarantasette di pomeriggio del venticinque aprile 1973 dalle stesse persone. Hai una voglia vagamente a forma di martello sull'inguine, sei allergico al tofu, vai pazzo per i funghi matsutake e fino ai sette anni pretendevi la favola della buonanotte per addormentarti. Basta o devo proseguire?”.
N-No... basta e avanza...
Mando giù della saliva sperando che sciolga il gozzo che mi si è formato in gola.
Dire che non me lo aspettavo è l'eufemismo del millennio.
“P-Perché... solo ora?”.
“Non hai idea della fatica che ho dovuto fare per scoprire la bomba H scoppiata a casa Kuno ormai due mesi fa. Le informazioni sulla mia discendenza sono sempre state frammentarie e poco circostanziate, grazie a quella sagoma di tuo padre”.
Ora capisco da chi ho preso il discorso pomposo e l'ironia caustica.
“A-A cosa devo la telefonata?”.
“Se la logica non ha improvvisamente preso una vacanza, e se quel che so corrisponde a verità... ti sei affrancato. Sei libero dalla maledizione di quella famiglia di cialtroni irrecuperabili. E quindi volevo...”.
“Volevi?”.
“Volevo... chiederti se eri disposto a darmi una possibilità per recuperare. Un... un caffè, un giorno di questi?”.

   
 
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