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Autore: Ai_1978    13/03/2015    12 recensioni
Dedicata unicamente alla Tigre, al suo grande amore per la famiglia, al suo coraggio, alla sua determinazione e alla sua forza.
Dal testo:
"In quello stesso momento l’infanzia di Kojiro Hyuga finì improvvisamente. Un bambino di nove anni catapultato con violenza nel mondo cinico e beffardo degli adulti."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kojiro Hyuga/Mark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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VI SARÒ PADRE… TI SARÒ MARITO.
 
Si trovava lì, di fronte alla casa nuova, una semplice villetta alla periferia di Tokyo. Non era una costruzione maestosa, ma era ampia e luminosa. L’ideale per sua madre e i suoi tre fratelli.
Poteva chiaramente leggere la gioia sui volti dei ragazzi e la commozione sul viso di sua madre segnato dalla stanchezza e dalle innumerevoli difficoltà affrontate.
Kojiro sorrise leggermente, provando un gran calore nel cuore. Chiuse gli occhi e si abbandonò ai ricordi…
 
Varcò la soglia di casa, calciando il pallone. Come al solito aveva litigato con gli altri bambini al parco, ma aveva avuto la meglio. Depose la sfera di cuoio vicino al portaombrelli all’ingresso e si fermò a togliersi le scarpe. Avvertì una presenza alle proprie spalle e si voltò sorridendo, pensando fosse sua madre.
«Ciao Kojiro.» lo accolse la voce baritonale del suo vicino di casa.
Kojiro si tolse il cappellino e guardò l’uomo con l’aria interrogativa. Spostò lo sguardo e dietro di lui vide Takeru, il suo fratellino di cinque anni, che si nascondeva e la piccola Naoko, di tre anni, che gli trotterellava incontro succhiandosi il pollice e con gli occhi arrossati, piagnucolando: «Voglio la mamma…».
Qualcosa non andava.
«Cosa succede, Kimura-san? Dove è mia madre?» chiese con una punta i apprensione.
L’uomo, bonariamente, gli posò una mano sul capo e con voce mesta gli rispose: «È successa una cosa brutta, Kojiro. Tuo padre ha avuto un incidente.»
Il piccolo Hyuga sgranò gli occhi, incredulo e balbettò: «P- papà ha a-avuto un… e c-come sta?»
Kimura non riuscì a guardarlo negli occhi mentre rivelava al ragazzino la triste verità, scuotendo il capo: «Non bene, purtroppo. Mi dispiace, ragazzo mio.»
In quello stesso momento l’infanzia di Kojiro Hyuga finì improvvisamente. Un bambino di nove anni catapultato con violenza nel mondo cinico e beffardo degli adulti.
 
Certe ferite non guariscono mai, ma rimangono sempre aperte pronte a sanguinare di nuovo come piaghe incurabili.
Kojiro guardava la mamma, provata dalla gravidanza inoltrata e dal dolore della perdita del marito.
La donna sedeva su una sedia in soggiorno, con gli occhi gonfi dal pianto, i capelli scarmigliati e lo sguardo vacuo e fisso nel vuoto. I vecchi amici di famiglia circondavano la poveretta, cercando di confortarla e rendersi utili come potevano
Takeru e Naoko giocavano in giardino, ignari di tutto. Erano troppo piccoli per rendersi conto appieno dell’immane tragedia che aveva colpito la loro famiglia. Solo il fratellino, essendo un po’ più grande, aveva chiesto dove fosse il papà.
Kojiro aveva abbassato lo sguardo e cercando di mantenere la voce ferma, gli aveva risposto: «Papà è dovuto andare via.»
«E dove è andato?» aveva domandato il bimbo più piccolo
«In un posto migliore, da dove può vederci e vegliare su di noi ogni giorno.» aveva spiegato il fratello maggiore, scompigliando con la mano la corta zazzera scura di Takeru.
La piccola Naoko, stringendo un orsacchiotto, si era avvicinata con i gradi occhioni spalancati: «E adesso io con chi faccio cavalluccio?»
Kojiro aveva sorriso alla bimba, e sollevandola sulle proprie spalle, aveva esclamato simulando una gaiezza che in realtà non provava: «Con me sorellina! Ogni volta che vorrai!»
 
«Piangi un po’, ragazzo. Ti farà bene!» gli aveva suggerito Kimura-san avvicinandolo nell’angolo della cucina dove stava in disparte, osservando l’andirivieni di vicini e conoscenti che porgevano le condoglianze alla madre.
Il ragazzo sollevò il volto abbronzato, serrando la mandibola. Con l’orgoglio tipico di chi non vuole mostrare le proprie emozioni, disse perentorio: «No.»
L’adulto sorrise, intenerito da tanta spavalderia: «Sei proprio come tuo padre: hai una testaccia dura proverbiale!»
Detto questo lo lasciò solo.
Davvero assomigliava a papà? La cosa lo inorgogliva: il genitore era sempre stato per lui un esempio da seguire e sapere di essere simile a lui, anche solo un pochino, lo riempiva di gioia.
Improvvisamente sentì un nodo alla gola. L’angoscia, la paura, la disperazione e la solitudine stavano prendendo il sopravvento.
Senza farsi vedere scappò fuori, dalla porta sul retro.
Giunse in giardino. Inspirò profondamente un paio di volte, tentando di calmarsi e di fermare il panico. Non ci riuscì.
Rapidamente si nascose dietro un cespuglio. Si sedette sull’erba, nascondendo il viso tra le mani.
Kojiro pianse, a lungo. Copiose lacrime gli rigarono il viso.
Era solo un bambino di nove anni, dopotutto, che voleva indietro il suo papà.
 
«Lavora proprio sodo quel ragazzino! Ma è tuo figlio?» chiese un cliente al gestore dell’emporio osservando Kojiro che scaricava casse di sakè dal furgone delle consegne.
«No, è il giovane Hyuga. Lavora per me part-time per racimolare qualche soldino per aiutare sua madre. Quella povera donna è vedova, con quattro figli da mantenere: da sola non ce la fa.» rispose il negoziante.
«Deve essere proprio un bravo ragazzo.» concluse il cliente, sorseggiando una birra.
«Sì, lo è.» confermò l’altro.
 
Kojiro camminava per strada tenendo orgogliosamente in mano i soldi guadagnati. Non erano molti, ma sempre meglio di niente.
Le braccia gli facevano male: ogni singolo muscolo urlava di dolore per lo sforzo a cui era stato sottoposto per tutto il pomeriggio.
Il ragazzo strinse i denti: non doveva lamentarsi. Non poteva.
Qui pochi yen servivano a lui e alla sua famiglia per tirare avanti.
Quando giunse a casa, la mamma come ogni giorno stava cucendo abiti in salotto.
Sollevò lo sguardo e interrompendo il lavoro, lo accolse amorevolmente: «Bentornato, Ko-chan.»
«Ciao mamma.» rispose lui baciandole una guancia.
La donna sorrise.
«Sei stanca?» chiese il ragazzo con preoccupazione.
«Un pochino.» rispose lei, per poi proseguire: «Tu?»
Kojiro mostrò il bicipite, con fare spavaldo: «Non ti preoccupare per me. Sono forte io!»
La signora Hyuga fu colta da uno slancio di commozione, e lo abbracciò stretto: «Lo so, tesoro mio. Lo so. Ma ho sempre paura che tu ti stanchi troppo. Hai soltanto undici anni! Ti alzi all’alba ogni giorno per consegnare i giornali, ed ogni pomeriggio vai a dare una mano all’emporio e scarichi casse pesantissime…»
Il ragazzo si svincolò dall’abbraccio e scrutò la madre con cipiglio fiero: «Va bene così, mamma. Sul serio…»
Gli occhi della donna si riempirono di lacrime: «No Kojiro, non va bene affatto. Dovrei essere io a provvedere alla famiglia. Alla tua età tu dovresti pensare solo a studiare e giocare a calcio, come tutti i tuoi coetanei. Mi sento in colpa… non puoi stancarti tanto.»
Il ragazzino accarezzò il viso della madre, segnato da profonde occhiaie dovute alle notti insonni passate a cucire: «Mamma, non dirlo neanche per scherzo. Sono io l’uomo di casa adesso e devo badare a voi. Io voglio rendermi utile. Lo devo a papà. Io sarò un padre per Takeru, Naoko e Masaru e sarò un marito per te. Non vi farò mancare nulla: lo prometto.»
I profondi occhi neri di Kojiro brillavano di determinazione.
La signora Hyuga pensò che il suo ragazzo fosse una benedizione degli dei.
 
«È bellissima questa nuova casa Ko-chan!» disse Naoko battendo le mani per la gioia: «Pensa: c’è addirittura una stanza per ognuno di noi! Sembra un castello!»
Kojiro sorrise alla sorella: «Sono contento che ti piaccia. Appena avrò più soldi ve ne comprerò una ancora più grande.»
Hyuga aveva guadagnato molto bene con i soldi degli sponsor. Fare pubblicità non era esattamente nelle sue corde, ma era costretto ad ammettere che quegli spot cretini di bevande energetiche gli avevano fruttato un bel po’ di soldi. La Matsumoto era stata brava a procuragli contratti dopo il World Youth, e lui era riuscito a risparmiare a sufficienza per comprare  una casa alla sua famiglia.
Perso nei suoi pensieri, venne riportato alla realtà dal tocco leggero della mano di sua madre su una spalla.
Si voltò e guardò la donna. Era sempre la stessa, solo un po’ più anziana e con qualche filo grigio nei capelli neri raccolti dietro la nuca. L’espressione dolce, tuttavia, non era cambiata.
Lei, con voce tenera e pacata, gli parlò: «Figlio mio, io ti sono davvero grata per tutto quello che hai fatto per noi in questi anni. Sei stato indispensabile: senza di te non ce l’avrei mai fatta. Grazie a te e al tuo impegno abbiamo condotto una vita, se non agiata, per lo meno dignitosa. E anche questa splendida casa: è un regalo magnifico…»
«Mamma, io…» la interruppe Kojiro.
La donna scosse il capo: «Lasciami finire, Ko-chan, te ne prego. Io te lo ripeto: sono grata e orgogliosa di te. Non avrei potuto avere un figlio migliore. Ma ora è giunto il momento che tu pensi un po’ a te stesso: hai fatto abbastanza per noi. Ora abbiamo una casa e non dobbiamo più arrancare. Quindi voglio che tu segua la tua strada. Vola Kojiro: vola verso il tuo futuro. Insegui il tuo sogno, creati una tua vita e sii felice. Te lo meriti.»
Hyuga osservò sua madre con commozione e annuì.
Aveva ragione: era giunto il momento di spiccare il volo.
C’erano tante cose nuove che lo attendevano: una nuova carriera nel calcio professionistico in Italia, nuove esperienze, una nuova vita.
C’era LUI: doveva recuperare il rapporto con il suo amico di sempre, colui che aveva rappresentato molto più di un amico in tutti quegli anni. Una delle poche persone che l’avesse mai capito e compreso fino in fondo.
E infine c’era LEI.
Le doveva dedicare attenzioni ed amore.
Doveva essere per LEI un compagno e in futuro, magari, un marito.
E un giorno chissà, forse LEI l’avrebbe reso davvero padre.
Kojiro guardò il sole che tramontava all’orizzonte e il ricordo del genitore si riaffacciò prepotente nella sua mente.
Dopo tanti anni, Kojiro pianse di nuovo per lui: stavolta, tuttavia, erano lacrime di gioia.
«Ti voglio bene… papà
##FINE##

NOTA FINALE: Ho voluto dedicare questa breve one-shot al mio amato Kojiro. È una storiella nata per caso, in un momento di ispirazione.
Volevo focalizzare l’attenzione su Hyuga, le sue sensazioni e i suoi sentimenti.
Un piccolo appunto sulla parte finale.
Quel “LUI” citato ovviamente è Ken Wakashimazu, credo che nessuno di voi abbia dubbi in proposito.
Quel “LEI” invece è lasciato volutamente alla libera interpretazione.
Per me, come sapete, per Kojiro esiste un’unica “LEI”… e non è Maki. XD XD
Ma se qualcuno di voi vuole vedere la Akamine come compagna di vita di Hyuga, è liberissimo di farlo.
Dopotutto questa storia non parla di una coppia, ma del grande amore di un ragazzo per la propria famiglia.
Grazie a tutti coloro che avranno avuto voglia di leggere.
Un bacio,
Ai
   
 
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