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Autore: ISI    13/12/2008    1 recensioni
"Conosce il proprio nome.
Conosce il proprio cognome.
Conosce la propria età, gli anni che possiede per mezzo della memoria e anche quelli che sono scivolati giù nello scarico del tempo, ingoiati come secondi dalla vita di un Dio immortale.
E poi? Cos’altro conosce di se stesso?
Oh, che stupida, cos’altro potrebbe conoscere se non quelle lacrime che non ha mai voluto mostrare a nessuno preferendo ingoiarle a forza, seppellendole nella sua anima e lasciandole lì a cristallizzare in frammenti di fragilità conficcati nella carne viva come schegge di vetro invisibili a tutti gli occhi altrui fuorché ai suoi?

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Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Asciugando case allagate

 

 

*Premessa: ha piovuto parecchio dalle mie parti, sapete? Oggi a dire la verità il cielo non si è fatto scappare una singola goccia, ma la cosa non durerà a lungo, lo dicono le previsioni del tempo e lo dice il taglio cesareo di mia madre che tira, ergo siate cauti quando uscite di casa e prendete l’ombrello.

A parte questo spero che questo raccontino, per quanto banale possa essere, vi regali qualcosa, nel bene e nel male.

Vi auguro buona lettura.

Isi.

Ah, e non dimenticate l’ombrello!*

 

 

Ha le lacrime di quando aveva tre anni ed i suoi genitori non c’erano.

Se mamma e papà non andassero a lavoro chi potrebbe comprarti tutti questi bei giocattoli, eh sciocchino?” gli aveva chiesto un giorno la sua badante, mentre s’ingozzava con i cioccolatini preferiti di sua madre.

E lui davvero, come convinto da quelle parole, aveva cercato e cercato, ma pur tra tutti quei balocchi non era riuscito a trovarne neppure uno che somigliasse anche lontanamente a quell’uomo sempre in giacca e cravatta che vedeva solo per le feste comandate, né uno che avesse l’immagine di quella donna in continua sospensione su quei suoi trampoli che chiamava tacchi a spillo.

E al bambino che s’alzava in punta di piedi protendendo ad essa le manine paffute venivano quasi le vertigini.

Non semplicemente alta, ma irraggiungibile, il che è diverso.

 

Custodisce con gran riguardo le lacrime che non versò mai  il giorno del suo settimo compleanno, quando suo nonno decise di regalargli quello che allora era un computer di ultima generazione, la punta di diamante della tecnologia moderna.

Poi la maestra ridendo gli aveva spiegato che gli abbracci non si vendono nei negozi di elettronica, né in quelli di automobili, né, tantomeno, nei supermercati o nei discount, non si vendono e basta.

Aveva lasciato che il salvadanaio che teneva sul comodino si riempisse di ragnatele: in fondo a che serviva fargli custodire monetine che non potevano comprare abbracci?

 

Si è già dimenticato delle lacrime che trattenne, quando, ad undici anni, si ritrovò contro le mani pesanti del bullo della scuola che, forse invidioso dei suoi voti, lo prendeva a calci chiamandolo secchione.

Avrebbe anche potuto tollerarli i calci, ma l’odio con il quale gli ripeteva quelle parole, quel secchione di merda che lo perseguitava come un fantasma perseguita il suo assassino per tanto tempo e che lo avrebbe perseguitato ancora per molto tempo, quello l’aveva davvero fatto star male.

Toccare i lividi come avrebbe toccato qualsiasi altra parte sana del suo corpo era quasi divertente se paragonato al solo pensare che spesso l’odio di coloro che dominano finisce per diventare l’odio delle masse: non c’era più solo il bullo che l’aveva pestato ad infastidirlo, ma anche i suoi amici e gli amici dei suoi amici e tutti coloro che lo conoscevano se non volevano vedersi crocefissi al suo posto.

I capri espiatori hanno sempre fatto comodo, innocenti o meno che fossero.

 

Non ha mai mostrato a nessuno le lacrime che è costretto a ricacciare indietro ogni qualvolta non riesce ad ignorare chi lo insulta a bassa voce senza avere il coraggio d’infamarlo a quattr’occhi, senza usare mezzi termini, dandogli dell’idiota, del bastardo, dello stronzo o del figlio di puttana.

Sull’ultima cosa, credo, che potrebbe anche trovarsi d’accordo se solo qualcuno avesse le palle di sputargli in faccia tutta la propria ripugnanza, tutta la propria ignoranza.

Perché nessuno in fondo lo conosce, perché nessuno sa chi sia in realtà, neppure lui che dice d’essere se stesso -o forse sono gli altri a dirlo? Ora non ricordo bene- sa davvero chi è.

 

Conosce il proprio nome.

Conosce il proprio cognome.

Conosce la propria età, gli anni che possiede per mezzo della memoria e anche quelli che sono scivolati giù nello scarico del tempo, ingoiati come secondi dalla vita di un Dio immortale.

 

E poi? Cos’altro conosce di se stesso?

Oh, che stupida, cos’altro potrebbe conoscere se non quelle lacrime che non ha mai voluto mostrare a nessuno preferendo ingoiarle a forza, seppellendole nella sua anima e lasciandole lì a cristallizzare in frammenti di fragilità conficcati nella carne viva come schegge di vetro invisibili a tutti gli occhi altrui fuorché ai suoi?

Davvero ci fu qualcuno in grado di vedere aldilà, sapete?

Qualcuno cui non bastò l’apparenza, che non seppe o forse che non volle, accontentarsi di un riflesso incorporeo, di un’idea sbagliata, di un pettegolezzo, scavalcando l’odiosità di una visione tanto semplice da dare il voltastomaco.

Seppe dunque quel tal qualcuno insinuarsi in luoghi ancora inesplorati in cui nessuno prima di allora aveva avuto il coraggio di addentrarsi e si era ritrovato ai piedi di una miniera di lacrime, come un profondo cretto che il tempo, il disinteresse e l’indifferenza avevano colmato di paura.

E costei, costoro, o forse costui -vogliate perdonare questa mia memoria ballerina la quale, sin troppe volte, dimentica i passi che dovrebbe eseguire e fa di testa sua con l’immaginazione che le dice quale strada seguire- si rimboccò le maniche cominciando ad asciugare quel pianto con tutta la propria buona volontà e con tutto il proprio bene, come si farebbe con secchio e straccio in una casa allagata, inginocchiandosi nell’acqua gelida con il capo chino a fissare il proprio riflesso, quasi si stesse aspettando un ulteriore battesimo, un’ennesima conferma di perdono.

E stile salate erano scivolate via a guisa di pioggia e aveva piovuto e piovuto e piovuto fino a che la casa non era stata di nuovo asciutta -asciutta, non arida- lo straccio pulito, il secchio vuoto e quel cretto là, quello nell’anima chiuso, come riparato, rabboccato d’amore.

  
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