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Autore: Stay away_00    14/03/2015    0 recensioni
Dal testo:
Oh, stavano giocando.
Alla vista di due piccole chiome bionde Malachai schioccò la lingua contro il palato, mentre il suo volto diventava improvvisamente serio, distorto da sentimenti covanti segretamente per oltre vent’anni. Tutta
l’ironia era sparita, sostituita dalla rabbia.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kai osservava il soffitto con aria indagatrice, quasi come se in quelle crepe potesse esserci scritto qualcosa che avrebbe potuto aiutarlo nella sua folle impresa. Ma quelle erano sempre le solite crepe, nel solito soffitto, nella solita vecchia casa che era stata per ventidue anni la sua prigione dorata. Prigione in cui sarebbe stato destinato a vivere per un bel po’ o dalla cui sarebbe stato esiliato. Non si illudeva che una strega della congrega avrebbe voluto sposare “Malachai Parker, l’abominio”, non si sorprendeva che nessuno avrebbe voluto avere a che fare con lui, ma non gli importava, non gli era mai importato e per lui era sempre stato quasi divertente vedere le espressioni terrorizzate delle altre streghe. La cosa lo aveva divertito sino a quando non si era reso conto di quello che stavano facendo i suoi genitori, sino a quando non si era reso conto che loro stavano cercando di rimpiazzarlo perché una strega senza poteri non poteva essere a capo della congrega. Loro sapevano che se solo avesse avuto la magia sarebbe crollato tutto, avrebbe sconfitto Josette. Oh, la sua piccola Jo. Alle volte si sorprendeva di non provare rimorso neanche per quello che le avrebbe fatto, si sorprendeva a pensare con malcelata impazienza alla fusione, invece che temerla la venerava. Sapeva che dopo quello niente avrebbe potuto fermarlo e sarebbe stato potente, temuto.
Non un abominio ma un leader.
Sorrise a quel pensiero che lo cullava in ogni singolo momento, ma quel sorrisetto sparì tanto in fretta quanto era arrivato perché la porta della sua camera si aprì e la figura non del tutto amata di suo padre fece capolino nella stanza.
« Malachai, ho da sbrigare degli affari importanti, passerò la notte fuori... non combinare guai. »
Non gli diede neanche il tempo di rispondergli che era già al di fuori del suo campo visivo.
« Lo prometto, papino. »
Sussurrò al vuoto mentre abbandonava la moneta con cui stava giocherellando fino a qualche minuto prima e si metteva in piedi, avvertendo un brivido lungo la schiena – per il freddo pavimento a contatto con i suoi piedi nudi o per l’eccitazione che provava al pensiero di quello che avrebbe fatto? –
Afferrò un paio di calzini e li indossò, facendo poi lo stesso con le scarpe.
Aveva sempre adorato quelle scarpe e si poteva dire che fossero le sue preferite, avevano qualcosa di realmente particolare, ma forse era soltanto perché le aveva scelte per dare il via alla sua nuova vita.
Nulla era stato programmato sino a quando, poche ore prima, non aveva osservato i suoi fratellini, Liv e Luke giocare sul portico. Li aveva osservati così a lungo da spaventarli. E aveva capito, aveva capito cosa doveva fare per garantirsi il posto nella congrega, un vero posto nella congrega.
Si diresse verso l’armadio dove afferrò una vecchia mazza da baseball e se la rigirò tra le mani.
Ricordava quando il suo vecchio insegnante al liceo gli aveva insegnato a giocare, cosa che suo padre non avrebbe mai fatto.
Lui non aveva tempo da sprecare con un abominio. Ricordava tutte quelle volte che aveva sognato di fargli del male con quell’oggetto, ricordava quanto si arrabbiasse ogni volta che si rendeva conto di non saper giocare e non solo a baseball, non sapeva giocare la partita che era la sua vita, non sapeva come sistemare le cose, questo fino a quel momento, questo fino a quando la rabbia non lo aveva consumato, rendendolo gelidamente consapevole, gelidamente entusiasta di quello che stava per fare.
Esaltato, impaziente.
Uscì silenziosamente dalla propria camera mentre si dirigeva in cucina e apriva il frigorifero, guardò quello che c’era ed infine bevve un sorso di latte direttamente dal contenitore prima di dedicarsi al vero motivo per cui era li, afferrò un dei tanti coltelli che erano posati sul davanzale della cucina – mettendolo in una delle tasche dei jeans, incurante delle probabilità  che c’erano di ferirsi – ed infine uscì, diretto verso il corridoio.
Era diretto verso la camera dei gemelli quando improvvisamente una figura bassina lo raggiunse in corridoio, picchiettando con i piedi nudi sul pavimento.
« Kai, Kai! – Esclamò una figura piuttosto più bassa di lui, un tredicenne paffuto con l’aria gioiosa. – Che stai facendo? Dove vai? »
« Ciao, Joey. »
Borbottò sovrappensiero mentre un piccolo sorrisetto divertito, sapeva di essere sempre stato l’idolo di suo fratello, anche se questo alla presenza di suo padre raramente si avvicinava a lui, oppure non facesse a meno di prenderlo in giro insieme ai suoi stupidi amichetti.
Abominio, Abominio, Abominio.
E senza neanche rendersene conto la mazza da baseball andò a colpire una spalla del ragazzino che urlò, portandosi una mano al luogo colpito mentre lo guardava ad occhi sgranati, la consapevolezza e la paura che si facevano strada sul suo volto, sempre più velocemente, insieme ai colpi che seguirlo.
Un altro. Joey cadde sul pavimento, mugugnando. La frenesia, la gioia cieca che invase Kai in quel momento, erano indescrivibili, quei sentimenti erano tanto nuovi quando significativi, erano sorprendentemente soddisfacenti, per quello non smise di colpirlo, non smise neanche per un attimo. Non seppe quanti colpi gli assestò, al capo, allo stomaco, non mirava neanche a dei punti precisi. Non si fermò neanche quando il sangue spruzzò sul suo volto, bensì sorrise quando la consapevolezza di averlo ucciso si formò nella sua mente. Era strano come in quel momento avesse soltanto voglia di gridare.
Gridare di gioia.
Era felice, ed aveva soltanto cominciato. Non immaginava neanche come si sarebbe sentito quando finalmente avrebbe ucciso la causa di tutte le sue pene.
Ma purtroppo quel piacere non sarebbe giunto troppo presto perché a farlo voltare di scattò fu l’urlo terrorizzato che uscì dalle labbra di sua sorella, Josette.
Era ovvio che non avesse pensato di fare tutto quello tenendo completamente all’oscuro i membri della famiglia che erano in casa. Forse Joey aveva urlato, forse l’oggetto che aveva usato per picchiarlo aveva fatto più rumore di quanto si aspettasse al contatto con la carne umana, ma quello non sarebbe stato un problema.
« Sissie. »
Mormorò assaporando quel nomignolo mentre scavalcava il corpo – ormai privo di vita – di suo fratello per avvicinarsi alla sua gemella. Aveva immaginato svariate volte come sarebbe stato, persino quando lei lo abbracciava senza un motivo, persino quando gli sorrideva e sembrava che tutto potesse andare bene, aveva immaginato svariate volte come sarebbe stato far del male alla sua sissie.
Probabilmente la ragazza aveva capito le sue intenzioni perché arretrò sino ad arrivare alla fine del corridoio.
Pessima mossa.
Abbozzò un lieve sorrisetto mentre si avvicinava ancora di più a lei e l’afferrava per il colletto della maglietta, attirandola a se ed espirando il suo profumo. Quello era un momento che voleva imprimere nella memoria, era un momento che non si sarebbe ripetuto, che sarebbe stato tanto unico quanto fantastico, infine il coltello affondò nel corpo di sua sorella.
Il ragazzo – l’abominio – puntò gli occhi in quelli di lei mentre lasciava la presa sul manico e si concedeva qualche istante per assaporare la vittoria imminente, di certo doveva sbarazzarsi ancora di qualche intralcio prima di arrivare ai bambini, ma non era nulla che gli sembrasse troppo faticoso o poco eccitante. Nulla che non volesse fare.
« Liv, Luke… bambini…? Dove siete? Stiamo giocando! »
Esclamò con fare allegro mentre si trascinava dietro la mazza da baseball, quasi come se fosse fin troppo posante o si considerasse tremendamente annoiato. Ma in quel momento nessuna delle due cose era il problema principale.
Oh, stavano giocando.
Alla vista di due piccole chiome bionde Malachai schioccò la lingua contro il palato, mentre il suo volto diventava improvvisamente serio, distorto da sentimenti covanti segretamente per oltre vent’anni. Tutta
l’ironia era sparita, sostituita dalla rabbia.
« Giocate con il vostro fratellone. »
Aggiunse, infondo era completamente consapevole che sarebbe stato lui il vincitore di quel gioco deviato. 

   
 
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