DUE
Da quella particolare
notte non vidi più Sabine, né ebbi più
allucinazioni o smanie notturne.
Non dovetti
più
svegliarmi nel cuore della notte preso dall’ambigua
sensazione di essere
osservato. Riuscii a dormire tranquillo come ero abituato a fare da
sempre,
godendomi finalmente sonni profondi e sereni.
La mattina dopo
l’incendio, misteriosamente sventato dall’arrivo
della mia dama delle tenebre,
appena sveglio arrancai in cerca del mio palmare e, connettendomi,
cercai
subito notizie sui prossimi concerti di Sabine
e Marcus.
Tenendo in mano il
foglio con su scritte le mie date, le confrontai con le loro e arrivai
all’amara conclusione che avrei potuto vederla solo dopo
più di un mese.
Un mese che passai
pensando,
giorno dopo giorno, a cosa chiederle, a come farmi dare spiegazioni del
suo
comportamento misterioso e della sua improvvisa sparizione, a come
farmi
rispondere alle stesse domande lasciate in sospeso l’ultima
volta che la vidi.
Assillai chiunque mi
capitasse sotto mano, in ogni momento disponibile, parlando di Sabine e
di
quanto fossi pazzo di lei. Nonostante tutto e tutti.
Arrivati alla fine
del mese, Tom, Gustav e Georg erano esasperati e davano in
escandescenze appena
incominciavo a trattare il mio argomento preferito, lei.
Per non parlare di
David e Benjamin! Giunti a limiti estremi di sopportazione, mi avevano
minacciato di tagliarmi i capelli se avessi continuato ad ammorbare
anche la
crew con quelli che loro definirono ‘deliri
ormonali’, perfino a costo di far
cadere in fallimento tutto il lavoro dei Tokio Hotel.
Io, troppo eccitato
e contento per l’avvicinarsi dell’incontro, non gli
diedi minimamente retta e,
anzi, convinsi Saki ad accompagnarmi al luogo del concerto.
Quando arrivò
il
fatidico giorno, avevo organizzato tutto nel minimo dettaglio.
Eravamo a Barcellona
per un paio di giorni grazie a un nostro live e ad alcune interviste.
Mi ero
accordato con David per avere la sera libera anche il giorno dopo il
nostro
concerto e così andare a quello di Sabine e Marcus.
Gli altri avevano
cercato
in tutti i modi di indurmi a cambiare idea e non vedere
l’ennesimo show del duo
rock, asserendo che mi avrebbe fatto solo del male. Provarono a
convincermi che
quella che io chiamavo ‘la mia dama delle tenebre’
era solo una semplice
ragazza, resa perfetta dai miei infiniti sogni da fan verso il proprio
idolo.
Nessuno aveva capito
che, oltre a questo, c’era ben altro.
Nessuno si era reso
conto che, sopra ogni altra cosa, in lei ammiravo quella nube di
mistero che
perennemente la circondava e le donava un’aria mistica e
magnetica.
Non avevo incontrato
mai nessuno che riuscisse ad attrarmi in una maniera così
viscerale da azzerare
il tempo e lo spazio intorno a me, annebbiarmi la mente e paralizzarmi
il
corpo, così lasciati inermi sotto la volontà del
mio cuore.
Non potevo glissare
così superficialmente sull’intensità
delle emozioni provocate da un solo suo
sguardo.
Non io che ero stato
sempre nella perenne ricerca di quelle stesse emozioni!
Non volevo nessun
altra se non lei e le voci degli altri che mi mettevano in avviso
restavano
semplicemente in sottofondo, come una specie di brusio latente.
Nessuno di loro
capiva i miei sentimenti, cercavano soltanto di rimediare a quella che
ritenevano una sbandata adolescenziale e durata fin troppo. Ma
sbagliavano! Non
era una sbandata, non era una cotta, non era solo
attrazione…era ed è molto di
più.
Non saprei
definirlo. E’ come un fuoco che arde potente e sopra ogni
forza esterna,
indomabile ed esteso ovunque, solo per la mia dama. Forte, ma non era
nulla che
potessi collegare a un male o a un dolore.
Non ero certo sadico
fino al punto di rincorrere per anni la causa di ogni mia sofferenza! O
almeno
non lo ero coscientemente…
Ero semplicemente
attratto con ogni mia parte del corpo verso di lei e non desideravo
altro che potermi
avvicinare a lei e riuscire a cogliere la sua essenza.
Negli anni passati
ero riuscito a incontrarla nei vari backstage grazie al mio lavoro e a
scambiarci qualche parola cordiale e frettolosa sfruttando la mia
sfacciataggine innata, cosa che sapevo adoperare a mio favore
soprattutto
davanti a una presenza femminile.
Precedentemente avevo
visto un loro video per casualità e da lì mi
informai sulla loro biografia e
discografia per diventarne presto un fan accanito, in particolare della
cantante.
Fin da quei primi
fotogrammi rimasi incantato dal suo stile e dalla sua fragile bellezza.
Nel
pieno del suo splendore, simile a una principessa medioevale, dalle
varianti
troppo gotiche per essere solo un effimera visione, intrecciata in un
bustino
di velluto nero e sommersa in una nuvola di tulle grigio fumo e
bordeaux come
gonna.
Era
l’incarnazione
di ogni mio sogno privato.
Era l’idolo
che mi
ero sempre immaginato e che ora potevo ammirare trasognante ed eccitato.
Il chiarore della
sua pelle contrastava con le tonalità notturne dei suoi
vestiti e si
vivacizzava per l’intensità del colore dei suoi
capelli, un rosso infuocato.
Vagava leggiadra e
quasi sofferente tra le dune di un deserto alla luce della luna,
cantando note
melodiose e tristi, alle quali rispondeva la voce baritonale e cupa di
Marcus,
a sua volta imprigionato in una fredda grotta isolata dal mondo.
Rimasi catturato da
quel video. Da loro due. Da lei.
Così ebbe
inizio il
mio desiderio di conoscerla!
Quando riuscivo a
incontrarla casualmente nelle
quinte
di qualche palco o magari di qualche studio televisivo, nei suoi occhi
non trovavo
mai alcun interesse nei miei confronti, se non il semplice piacere di
incontrare
un fan. Mi trattava sempre con gentilezza e cercava di essere
disponibile nei
limiti del possibile, nulla di più purtroppo.
Tentai più di
una
volta di far breccia nel suo cuore, cogliendo al volo le poche
occasioni che
riuscivo a ottenere nel corso degli anni.
Passai dallo
sfrontato al timido, dal sensuale al simpatico, ma niente. Manteneva
sempre e
comunque le distanze.
Per esempio, non sono
mai riuscito a salutarla con un bacio sulla guancia o anche con una
semplice
stretta di mano!
Subito dopo essermi
reso conto di non avere mai sfiorato la sua pelle candida, decisi di
cogliere
al volo la prima occasione per rimediare: la volta successiva, non
appena la
incontrai, corsi risoluto verso di lei sfoderando una mano ben aperta e
tesa,
pronto a stringere la sua con vigore e ovviamente emozione.
Ero sicuro che tutte
le volte precedenti era stato un caso, o solo una piccola svista da
parte mia riguardo
questo delicato particolare, e volli assolutamente riparare a questa
pecca.
Ora, non so come
né
perché, ma non riuscii a stringerle la mano: Sabine,
vedendomi arrivare così, sparato
e convinto, forse si impaurì e in un batter
d’occhio sparì nella folla di
tecnici che animavano le quinte di quel festival francese. Perdendola
di vista,
io rimasi amaramente deluso e imbronciato, in piedi solitario in mezzo
a quel
via vai di gente, con la mano mollemente ricaduta lungo il mio fianco.
Riprovai più
e più
volte, ma non riuscii mai a compiere il mio scopo. O prendeva il
cellulare in
mano proprio quando tentavo di avvicinarmi, o si chinava a raccogliere
qualche
bagaglio, o si metteva a giocare con i suoi capelli, insomma succedeva
sempre
che aveva le mani troppo impegnate per potere lasciarle morbide nella
mia
presa.
Al massimo riuscivo
ad avvicinarmi solo quando la trovavo con addosso un paio guanti, in
genere
lunghi fino a gomito. Sembrava che solamente così mi fosse
come permesso di
sfiorarla, ma questo non mi bastava e continuai imperterrito nella mia
impresa.
Anzi, decisi che
poteva essere semplicemente un segno della sua timidezza nascosta e
passai alla
mossa seguente: metterla a proprio agio per far sì che la
mie dita potessero
accarezzare la sua pelle di porcellana. Ovvero: nella mia mente mi
immaginai
una perfetta scena romantica con noi due soli a cena al lume di
candela, mani
nelle mani a parlare per ore con gli occhi fissi uno
nell’altra. Una tipica
scena da film americano dove i due protagonisti si innamorano
follemente e alla
fine si fanno coinvolgere dalla passione più sfrenata e
coinvolgente.
Quindi, lasciandomi
prendere da questa fantasia, incominciai a chiederle imperterrito se
volesse
uscire a cena con me. Ogni qual volta ne capitava
l’occasione. E infine, dopo un
pesante martellamento, riuscii finalmente nel mio scopo: Sabine aveva
accettato
e io ero pronto per godermi ogni attimo della sua compagnia.
Saki e Jan mi avevano
accompagnato con un auto particolare. Sotto mie precise richieste,
Benjamin gli
aveva permesso –o meglio, ordinato- di condurmi al concerto
spagnolo del duo
rock in questo ultimo modello di berlina, dai vetri scuri e
superaccessoriata,
ma soprattutto comprensiva di un vetro nero divisorio tra la parte del
conducente e la parte posteriore: sebbene mi avessero costretto in
tutti modi
di portarmi appresso le balie formato armadio4ante, ero stato
irremovibile sul voler
conservare la mia (la nostra) privacy con quel divisorio insonorizzato.
Scesi dalla macchina
appena giunti sul retro del locale, dove si stava concludendo lo show
di Sabine
e Marcus. Scortato da Saki, entrai dalla porta di sicurezza in tempo
per
sentire gli ultimi minuti dell’ultima canzone e vedere
scendere il duo e la loro
band fra gli applausi e le urla della platea.
Colsi subito la sua
folta chioma ramata e intercettai il suo sguardo, il quale mi parve
decisamente
sorpreso e quasi allucinato a vedermi. Mi avvicinai rapido alla mia
dama sfoggiando
uno dei miei migliori sorrisi. Uno di quelli in cui davo fondo a tutta
la mia
sicurezza, con un piccolo tocco di dolcezza, pienamente convinto di
riuscire in
ogni cosa.
“Ciao
Sabine!”esordii
quando le fui davanti.
“Ciao Bill!
Cosa ci
fai qui? Non sapevo dovessi venire…”
sussurrò con tono insicuro e svagando lo
sguardo in altri luoghi, senza neppure provare a sostenere il mio. Ne
rimasi
perplesso, ma feci modo di non darci peso.
“Sorpresa!”
esclamai
euforico, esprimendo esattamente il mio stato d’animo.
“…Ti porto a cena
fuori!”affermai infine, gonfiandomi il petto glorioso e al
contempo gioioso di
averle annunciato finalmente il mio piano per la serata. Era il
traguardo di
un’attesa conclusasi in poche parole piene di speranza.
“Cooosa?”
sbottò improvvisa.
Per poco non le uscirono gli occhi dalle orbite. Rimase esterrefatta,
ma non
felice come avevo sognato. Tutt’altro. Era allibita e senza
alcuna parola a
renderla complice della mia estasi. Non era assolutamente neanche
vicina alla
reazione che mi ero prefissato di ricevere. In realtà era
l’esatto opposto e ne
rimasi ferito. Gravemente colpito dall’agitazione che avevo
intravisto nei suoi
occhi.
“Me lo avevi
promesso!”
la mia voce aveva perso in un attimo tutta la sua forza e sicurezza
fino a
diventare un bisbiglio. La fissai a lungo smarrito e incapace di
ragionare.
“Io veramente
non ho
fame dopo i concerti..”
Accusai il colpo, ma
reagii ugualmente.
“Beh…
per stavolta
mi accontento anche di un drink!!” le feci anche
l’occhiolino per invogliarla
ad assecondarmi. In pochi secondi avevo riacquistato la tutta mia
fiducia e il
desiderio di passare del tempo con la detentrice di quella soffice
melodia. Con
una breve frase aveva appena cercato di farmi rinunciare a tutti i miei
programmi, ma l’unico effetto reale fu il distogliermi dalla
mio profondo
sconforto e ricordarmi il perché del mio invito.
“Ma-”
Non la lasciai
ribattere. La guardai con un paio di occhi da cucciolo abbandonato e
indifeso,
i quali non permettevano replica. Non accettavo più alcuna
obiezione ora che
ero giunto lì, con lei davanti a me bella come non mai. Ero
disposto anche a
farle da tappetino o a portarla in spalla se fosse servito allo scopo!
Volevo conoscerla,
toccarla, farla mia.
Non era più
un
desiderio, era quasi un bisogno.
Se non ci fossi
riuscito anche questa volta, avrei rinunciato a tutte le mie speranze e
avrei
perso tutta la mia vitalità. Ora che ero così
vicino a toccare la linea
d’arrivo, non potevo accettare un altro
‘no’ o l’ennesima scusa. Avrei
sfoderato ogni arma in mio possesso al fine di convincerla a farmi da
dama.
Feci esattamente
così e lei in risposta si azzittii pensierosa.
“Ok, dai. E
sia per un
drink” convenne dopo un lungo momento di riflessione.
“Devi darmi il tempo di
avvertire gli altri e togliermi da dosso gli abiti da scena.”
Fu l’unica
clausola posta fra me e la mia felicità eterna.
Dentro di me esultai
vincitore, esternamente invece mi trattenni e annuii compiaciuto, paco
e
serafico come avevo deciso di reagire in precedenza a un suo futuribile
‘sì’.
Non volevo spaventarla già da subito con mio solito modo di
essere troppo emotivo.
“Nessun
problema! Ti
aspetto fuori sul retro.” La salutai con garbo e, recuperando
Saki, tornai verso
la berlina fuori dal locale.
Ero appoggiato alla
macchina a fumare la terza sigaretta di fila per placare il nervosismo,
quando
vidi spalancare per l’ennesima volta la stessa porta di
sicurezza da cui ero
entrato e uscito. Mi mancò il respiro, come era successo per
tutte le volte che
qualcuno era uscito in quella buona mezzora in cui mi ero messa ad
aspettarla,
ma appena visualizzai l’inconfondibile chioma fluente e
scarlatta anche il
cuore si arrestò per un attimo.
Era stupenda.
Aveva lasciato i
capelli lisci a caderle naturalmente sulle spalle. Si era struccata dal
make-up
pesante da ribalta per lasciare spazio a uno più delicato e
naturale. Una
semplice linea bistrata intorno all’occhio e un piccolo tocco
di rossetto rosso
a dare maggiore colore alle labbra, già invoglianti per loro
natura. Indossava
un top rosso scuro che le lasciava amabilmente libero il collo e dava
risalto sia
alla linea fine delle spalle sia a quella più sinuosa del
petto. In aggiunta
aveva un paio di guanti in pizzo nero lunghi fino a metà
dell’avambraccio a
riprendere le decorazioni della gonna a balze e dal taglio irregolare,
quasi
fino a toccare gli stivaletti in pelle messi ai suoi piedi. Perfetta
come
sempre.
Adoravo questa sua
attenzione al particolare! Ero un fervido seguace
dell’attitudine al dettaglio
e apprezzavo con gaudio chi, come me, era capace di rendere migliore
l’unione
di accessori e vestiario.
“Eccoti…
sei uno
splendore!” la accolsi rallegrato dal suo arrivo. Ero quasi
giunto a pensare a
una sua fuga in sordina, invece, vederla così aggraziata e
soave, mi fece
vibrare l’animo e gioire della mia testardaggine a volerci
uscire.
“Grazie”
un soffio
leggero che mi sembrò vuoto e distante.
“Stai
bene?” mi
preoccupai per quel tono vacuo. Inizialmente pensai che fosse restia
per il mio
invito, ma scrutando con attenzione in breve tempo capii che in
realtà celava
dell’altro.
“Sì”
annuì
leggermente e così confermando ogni mio dubbio:
c’era qualcosa che non andava.
Rimasi poco convinto
dalla risposta data, però non insistei subito con altre
domande e le aprii la
porta della macchina per farla accomodare all’interno come un
vero cavaliere
può fare.
Feci il giro
dell’auto e in poco le sedevo accanto.
Sapevo che Saki e
Jan erano al di là del vetro, in attesa di un mio segnale
verso il luogo prescelto
come nostra destinazione. Aspettai ad avvertirli. Volevo prima
chiarirmi questo
improvviso dubbio.
Ormai
c’eravamo solo
noi due. L’abitacolo della macchina era perfettamente
insonorizzato e potevo
sentire addirittura echeggiare il mio respirare agitato.
Le soffici luci e i
comodi sedili rendevano il tutto molto intimo e mi convinsi che, a quel
punto,
Sabine non avesse potuto avere più remore nel confrontarsi
con me. Mi ero
sempre più convinto che il suo cauto distaccamento era
dovuto a un implicito e
professionale rapporto fan/idolo e credevo che, accettando il mio
invito,
fossimo finalmente andati oltre.
Forte di questo mi
accostai ancora di più a Sabine, fino giungere a due
centimetri dalle sue gambe
accavallate con classe.
“Sei sicura di
sentirti bene? Sei pallida..”. Un pallore eccessivo anche per
una bellezza
diafana come lei.
Avvicinai il mio
viso al suo per cogliere cosa la disturbasse e percepii una
diversità nei suoi
occhi. Erano più scuri e densi del solito. La solita
tonalità dorata era quasi
sparita per essere sopraffatta da un’intensità
profonda e fredda, seppur
rossastra.
Con cautela cercai
di portare la mia mano al suo volto con l’intento di
accarezzarla.
“Sembri
stanca,
vuoi-“ stavo per offrirle da bere, ma il suo sguardo mi
raggelò e mi bloccai.
Sabine si
scansò
prima che le mie dita potessero sfiorare la sua guancia.
“Non provare
mai più
a toccarmi!” berciò infuriata. Fu come un ringhio
e potei sentire la sua rabbia
invadere il suo corpo e irrigidirlo violentemente.
Mi allontanai di
colpo a causa del repentino cambiamento. Mi appiattii dal lato opposto
del
sedile, atterrito e sconvolto, stringendo istintivamente al petto la
mano che
voleva precedentemente accarezzarla.
Mi guardò in
cagnesco e mostrò leggermente i denti.
Fu in quel preciso
istante che sentii il terrore scorrermi tra le vene e raggelare ogni
mio
muscolo come se fossi morto: nel suo ghigno feroce spuntavano due
bagliori
prepotenti e accecanti. Si scostavano di poco dalla dentatura normale e
non difficilmente
potei riconoscerli come dei canini.
Lunghi e affilati
CANINI!
Rimasi esterrefatto,
senza parole, senza aria, senza capire.
Ero sicuro di non
aver visto male, ma erano talmente evidenti che non potevano essere
altro che
canini.
Erano inquietanti.
Il suo volto era
inquietante!
I suoi occhi scuri e
diretti verso di me erano inquietanti… tanto da arrestare
anche il pensiero.
Stetti fermo a
fissarla -a fissarli- e non dissi nulla per spezzare la tetra atmosfera
che era
immediatamente salita nell’aria.
Da quelle labbra di
cui ero innamorato erano bel visibili un paio di canini sporgenti
… non potevo
crederci! Non poteva essere! Ero distrutto e bloccato nel mio angolo,
distante
da lei e chiuso nel mio silenzio terrorizzato.
“E’
meglio che io
vada!”dichiarò fredda.
Non mi lasciò
neanche il tempo di connettere e realizzare che il mio sogno, con la
mia dama
incantata al seguito, si stesse sgretolando e che la mia testa si
stesse lasciando
invadere impotente da milioni di domande e supposizioni, paure e dubbi.
Colsi soltanto un
ultimo svolazzare del pizzo nero della gonna prima di rimanere
scioccato,
ancora, per il forte sbattere della portiera.
Aprii e chiusi le
palpebre più volte prima di rendermi conto di essere rimasto
da solo
nell’abitacolo.
Riacquistai la
connessione con il mio cervello solo quando sentii la voce di Jan
chiedermi
cosa fosse successo.
Non risposi, ma
rimasi a fissarlo immobile.
Aveva abbassato il
vetro divisorio e non mi ero accorto di nulla!
Ero caduto in un
vortice di oblio in cui stavo velocemente perdendomi, inerme al
susseguirsi
degli eventi.
Cosa diavolo
significava? Cosa era successo??
Mi drizzai sul posto,
come se fossi seduto su una poltrona fatta di braci accese. Non poteva
davvero
essere accaduto quello che i miei occhi mi avevano fatto credere e le
miei
orecchie illuso di sentire… non poteva essere fuggita via
davvero!
Fissai a lungo il
sedile vuoto al mio fianco e infine chiesi a Jan dove fosse andata
Sabine. Non
seppe ovviamente dirmi nulla, anzi mi sembrò stupito dalla
domanda e stordito
dal mio comportamento.
Decisi di uscire
dalla macchina per andarla a cercare, ma, guardandomi intorno, non
trovai più
nessuna traccia di lei.
C’era soltanto
un’infinita serie di lampioni a illuminare la strada ed io
ero proprio sotto
all’unico che si accendeva e spegneva ad intermittenza. In
piedi accanto alla macchina,
aguzzando la vista in cerca del mio sogno svanito.
Era definitivamente
sparita
nelle tenebre della notte.
Avevo già
pubblicato
questa fan fiction, ma senza terminarla. Di recente,poi, ho deciso di
compattarla per farne meno capitoli e darle una conclusione decente..
Speriamo di
arrivarci almeno stavolta! ^^
Grazie a angeli
neri per
il
commento! Anche a me piace il libro che hai citato, ma diciamo che mi
sono
ispirata anche a un bellissimo film sui vampiri, di cui ti consiglio la
visione
in caso tu non lo avessi visto: La regina dei dannati ( tra
l’altro con una
magnifica colonna sonora!!!:D )
Grazie
anche a chi legge e mette nei preferiti.
Lasciate
un segno, oh voi che passate!;)
L.