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Autore: Letsneko_chan    15/03/2015    0 recensioni
[Storia partecipante al contest La Caduta dell'Inverno Boreale indetto da Silvar tales]
Il vento infuriava lungo le strade deserte di Sidynlor: la bufera di neve che da giorni attanagliava la città non sembrava intenzionata ad allentare la morsa.
I pochi abitanti di quella cittadina al confine settentrionale del regno si erano chiusi nelle case, sperando di sopravvivere a un nuovo inverno.
Un uomo avanzava lungo la via principale, borbottando ad ogni passo maledizioni e ingiurie contro tutte le persone che gli passavano per la mente. Si strinse nel cappotto rabbrividendo: era finalmente riuscito a capire perché gli abitanti di quel piccolo villaggio a valle si erano messi a ridere quando aveva comunicato loro di voler raggiungere Sidynlor.
Il destino, si sa, prima o poi deve compiersi. Ma l'importante è come si compirà, non il dove e il quando.
«Sono le scelte presenti che influenzano il futuro»
«Ma il passato non lo puoi cambiare»
Genere: Angst, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oltre i ghiacci

 
Il vento infuriava lungo le strade deserte di Sidynlor: la bufera di neve che da giorni attanagliava la città non sembrava intenzionata ad allentare la morsa.
I pochi abitanti di quella cittadina al confine settentrionale del regno si erano chiusi nelle case, sperando di sopravvivere a un nuovo inverno.
Un uomo avanzava lungo la via principale, borbottando ad ogni passo maledizioni e ingiurie contro tutte le persone che gli passavano per la mente. Si strinse nel cappotto rabbrividendo: era finalmente riuscito a capire perché gli abitanti di quel piccolo villaggio a valle si erano messi a ridere quando aveva comunicato loro di voler raggiungere Sidynlor.
Al suo fianco camminava un piccolo ometto grassoccio che si era offerto come guida per giungere a Sidynlor.
«Manca molto a quest'osteria? Sto morendo di freddo!»
«No. È in fondo a questa via, siamo quasi arrivati»
«E meno male!» borbottò fra sé l’uomo rivolgendo un’occhiataccia alla propria guida: quel pidocchio aveva preteso un bel gruzzoletto per accompagnarlo a Sidynlor ma durante il cammino aveva scoperto che gli sarebbe bastato immettersi sull’unico sentiero che si snodava attraverso i monti per arrivare in quella cittadina sperduta tra le nevi.
 L'ometto si fermò davanti ad una porta, sopra la quale dondolava una vecchia insegna mal messa.
«Eccoci qua. Dammi ciò che mi spetta così torno a casa».
L'uomo, a quelle parole, tirò fuori dalla bisaccia alcune monete d'oro, facendole poi cadere sul palmo della mano dell'altro. I suoi occhi s’illuminarono e, dopo aver messo al sicuro le monete, iniziò il viaggio di ritorno e l’uomo rimase a osservarlo finché non sparì.
Entrò subito nella locanda, desideroso di un luogo caldo e attirando inevitabilmente su di sé gli sguardi dei pochi presenti.
Un uomo piuttosto anziano gli si fece incontro, invitandolo a sedersi ad un tavolo.
«Se posso chiedere, cosa ci fai qui?»
«Mi chiamo Tasek e sono un generale di Elm'iaend. Sto cercando una certa persona...»
«Qui? A Sidynlor?». L’oste alzò un sopracciglio, guardandolo stupito.
«Sì. È un giovane arciere, o almeno così mi ha detto Sua Maestà il Re. Ma in quel villaggio a valle non mi hanno saputo dire il nome...»
«Sidynlor si basa principalmente sulla caccia, qui tanti giovani sono arcieri»
«Oh perfetto» borbottò Tasek, felicissimo all’idea di dover restare a lungo a cercare un arciere in quella città che aveva odiato fin dal primo momento.
«Sai qualcosa di lui?» la voce dell’oste lo riscosse dai suoi pensieri.
«Cos'è? Una mania degli osti quella di farsi gli affari altrui?» gli chiese guardandolo male.
«Sai com'è. Su quest'altipiano non succede mai niente d’interessante. Quando arrivano dei viaggiatori, è interessante sapere delle nuove notizie» rispose l'oste alzando le spalle e sedendosi davanti a lui. L'uomo lo osservò: nonostante l'età avanzata e i capelli ormai bianchi, gli occhi erano ancora di un azzurro vivo, così penetrante che gli sembrava che gli scandagliasse l'anima: deglutì spaventato, cercando di non incrociare il suo sguardo.
«Be', uno degli informatori del re mi ha detto che è indissolubilmente legato alla città che devo raggiungere».
Un velo di tristezza oscurò per un attimo gli occhi dell’oste.
«Da Sidynlor c'è solo la possibilità di raggiungere Sosayack. È quella la tua meta, vero?»
«Sì...»
L'oste si guardò intorno, sperando che nessuno avesse sentito quel nome: aveva abbassato la voce proprio per non farsi udire dagli altri. Sospirò sollevato, vedendo che i frequentatori della locanda erano intenti alle loro attività: alcuni schiamazzi da parte di alcuni giocatori d’azzardo avevano coperto il loro discorso.
«Sosayack qua è un nome maledetto. Non lo pronunciare mai» gli sussurrò.
«Che vuoi dire?»
«Forse sei troppo giovane per saperlo... – l’oste scosse il capo – Sto parlando della guerra che Elm'iaend intraprese per conquistare Sosayack. Non ci riuscì, nonostante le gravissime perdite»
«Chi sei veramente? In pochi conosco la verità...»
«Qua mi conoscono come Tuiz, il vecchio girovago che ha rimesso in piedi questa vecchia osteria. Il mio vero nome è Eelda»
«Eelda...»
«La mia fine è avvolta nella leggenda. Per i miei soldati sono morto a Sosayack e il mio corpo è sempre là, sepolto da qualche parte tra i ghiacci di At’ust. Mi sono stabilito qui per evitare qualsiasi contatto con il mondo esterno. Si può dire che abbia trovato la pace in questa landa desolata»
«Ho capito. Allora forse potresti aiutarmi...»
«Tu stai cercando qualcuno legato a Sosayack, giusto?»
«Sì»
Tuiz si voltò verso la finestra, scrutando il paesaggio innevato che il sole, prossimo al tramonto, illuminava con gli ultimi raggi.
«È quasi il tramonto, chi stai cercando è in procinto di tornare»
Tasek annuì e Tuiz si alzò dal tavolo per servire del vino ad alcuni clienti. Ne erano rimasti pochi: la maggior parte preferiva tornare a casa prima che il sole calasse completamente ma, in ogni caso, coloro che rimanevano fino a notte inoltrata erano vagabondi e mendicanti, coloro senza un luogo ove tornare.
Tasek poggiò la testa sul palmo della mano sbuffando e guardò fuori dalla finestra: lui, cresciuto in una cittadina marittima, non sopportava le montagne.
Una ventata improvvisa di vento gelido lo fece rabbrividire: si girò verso la porta, osservando il nuovo arrivato. Tuiz gli corse incontro e lo abbracciò, baciandogli la fronte.
«Fatto buona caccia, Llath?»
«Per nulla: la selvaggina comincia a scarseggiare e cacciare sta diventando sempre più difficile...»
«Sei tornato a mani vuote?»
«No, ho preso una lepre. Ma di selvaggina di taglia maggiore non ho visto traccia. È una sfida tra noi e i grandi predatori. I lupi e gli orsi sono scesi. Ho visto le loro tracce. Non siamo più al sicuro, Tuiz. Se arrivano qua in città, è la fine. Siamo già stremati dal freddo, loro sono affamati...»
«Lupi e orsi sull'altopiano... questo è un dramma... non era mai successo negli ultimi anni...» mormorò sconsolato Tuiz.
Il giovane porse all'uomo la lepre che aveva catturato, poggiando poi l'arco e la faretra ancora piuttosto piena alla parete. Si sedette accanto al camino, allungando le mani verso il fuoco, cercando di riscaldarsi. L'oste si avvicinò a Tasek, indicandogli con gli occhi il giovane.
«È lui, quello che cerchi... è indissolubilmente legato a Sosayack, prima o poi il suo destino doveva compiersi»
«Che intendi?»
Tuiz abbassò la testa, sospirando e poi si allontanò senza dargli una risposta; Tasek sbuffò innervosito, rivolgendo lo sguardo al giovane: sembrava avere sui venticinque anni nonostante che due ciocche di capelli rossicci li incorniciassero il viso, facendolo apparire quasi come un adolescente.
«C'è qualche problema?» la voce del giovane lo face sobbalzare: non si era accorto che si era incantato a fissarlo né tantomeno che il giovane si era accorto di lui.
«No... non è niente...»
Llath si alzò dal suo posto, andandosi a sedere davanti a Tasek.
«Vieni dalla valle, vero?»
«Sì... dalla capitale»
«Raccontami qualcosa. La vita qua è noiosa. Non ci arrivano mai notizie interessanti. Cosa ci fai in questo posto dimenticato dal tempo?» gli chiese sistemandosi più comodamente sulla sedia e incrociando le mani dietro la testa.
«Sono in missione per conto di Elm'iaend. Devo raggiungere Sosayack»
«Sei diretto alla città maledetta? E intendi passare da Ight-ia?». Llath appoggiò i gomiti sul tavolo, avvinando il proprio viso a quello di Tasek.
«Non credo ci sia un'altra via...»
Il giovane iniziò a ridere. «Un tipo come te non sopravvivrebbe nemmeno un giorno nella valle. Ight-ia non perdona, At'ust ancora meno. Morirai prima di compiere la tua missione»
«Grazie dell'incoraggiamento» borbottò Tasek.
«Ti accompagno io. Tuiz non se sa niente, ma conosco quella valle più di chiunque altro»
«Lo fai per spirito d'avventura o cosa?»
«Perché mi fai pena» sghignazzò Llath prima di alzarsi e prendere l'arco, ritornò poi a sedersi al tavolo di Tasek, poggiandoci sopra l'arco.
Quello lo guardò stupito mentre l'altro osservava l'arma e la controllava con estrema attenzione, cercando eventuali problemi.
«Che cosa sono quei segni?»
Llath alzò la testa e lo guardò.
«Non lo so... Fu il vecchio a regalarmi quest'arco il giorno in cui raggiunsi la maggiore età. Da allora non me ne separo mai. Tuttavia, non mi ha mai voluto dire cosa significassero. Ha sempre ripetuto che mi avrebbero aiutato al momento opportuno...»
«Un'arma magica?»
Llath scosse la testa: «Non credo. Non ha niente di diverso dagli altri archi se non quei segni. Può anche darsi che non abbiano significato»
Tasek annuì in silenzio, passandosi una mano tra i capelli marroni, scoprendo una cicatrice subito notata dal giovane
«E tu... come ti sei procurato quella cicatrice?»
«È una lunga storia. Conosci la battaglia che si svolse nei pressi di Ksayash?»
«No. Te l'ho detto: Sidynlor è fuori dal tempo e dallo spazio. Non sappiamo niente di ciò che avviene al di sotto dell'altopiano. Da una parte ci sono Ight-ia con la sua desolazione, At'ust e Sosayack; dall'altra gli abitanti del villaggio non ci portano mai notizie. Hanno paura di salire quassù, dicono che ci sono spiriti che popolano la foresta in cui si snoda il sentiero. Per noi, esistono solo lupi e orsi, non spiriti. Senti il loro ululato?» gli chiese infine quando l'eco di un ululato giunse alle loro orecchie.
Tasek rabbrividì per la paura.
«Capisco... In ogni caso, tempo fa a Ksayash si svolse una battaglia. Ero un semplice soldato all'epoca ma mi ritrovai in prima linea a combattere. Durante un duello, abbassai un attimo la guardia e l'altro soldato mi ferì all'occhio con la spada. Da allora, mi affido all'occhio buono che mi è rimasto»
Llath mugolò in segno di assenso per poi sbadigliare.
«Stanco?»
«Abbastanza... Ho girato tutto il giorno per la foresta. Dobbiamo partire domani se vuoi arrivare velocemente a Sosayack»
«Non ci sono problemi»
«Allora ti conviene andare a dormire. Partiremo all'alba. Arriva in ritardo e ti lascio qui» ridacchiò Llath prima di salutarlo con la mano e salire al piano superiore per coricarsi.
Tasek, rimasto solo nella locanda, si mise a osservare le fiamme che guizzavano nel camino finché la sua attenzione non fu richiamata dall'oste che si sedette al posto occupato fino a poco prima da Llath.
«Così ha accettato?»
«A dir la verità, è stato lui a propormelo... »
Tuiz sorrise. «A questo punto è meglio se ti preparo una stanza. Llath ha sete d'avventura: non si lascerà sfuggire una tale occasione per andare via da Sidynlor. Spero che facciate un buon viaggio»
L’oste fece per alzarsi ma, come preso da un dubbio improvviso, si risedette.
«Di preciso cosa devi fare a Sosayack? Nessuno osa avventurarsi là da dopo la guerra e la città si è chiusa in se stessa, protetta da quello scudo di ghiaccio»
«Ordini di Elm'iaend. Devo parlare con la regina»
«Lyedel...» mormorò Tuiz mentre un'ombra velava i suoi occhi. Allacciò poi il proprio sguardo a quello di Tasek.
«È meglio che tu sappia una cosa. Lyedel non si lascerà mettere i piedi in testa. Di qualsiasi cosa tu voglia parlarle, fa attenzione»
«Perché mi dici questo?»
«Capirai quando sarà il momento. Ma adesso è ora che tu vada a dormire visto che ti aspetta un viaggio impegnativo. Vieni» gli disse Eelda alzandosi e facendogli segno di seguirlo.
Non appena Tasek s’infilò sotto le coperte, gli tornarono in mente le parole dell'oste: era sicuro che quell'uomo nascondesse qualcosa riguardo a Sosayack. Inoltre, la prontezza con cui Llath aveva accettato di accompagnarlo lo turbava non poco. Se tutti avevano paura di affrontare Ight-ia e avventurarsi poi dentro At'ust, perché lui aveva accettato subito?
Perso in tali pensieri, si addormentò mentre la luna faceva capolino dalle cime delle montagne.
 
La mattina seguente Tasek fu svegliato da un raggio di sole. Si passò una mano tra i capelli, cercando la forza di alzarsi così presto. Si stropicciò gli occhi, accorgendosi solo allora della presenza di Llath.
«Buongiorno, comandante» gli disse il giovane, lanciandogli addosso un cappotto.
«E questo cos'è?»
«Non pensare di affrontare Ight-ia solo con quei vestiti che ti sei portato. Moriresti in tre giorni, se non di meno» sghignazzò il giovane.
«Grazie della fiducia, giovanotto» borbottò l'altro in risposta.
«Vedi di muoverti, non ho intenzione di aspettare secoli per te».
Tasek sbuffò.
«E guarda di non sbuffare! Non ho nessuna voglia di tornare di nuovo in quella distesa ghiacciata!»
«Allora potevi anche non offrirti di accompagnarmi!» gli disse Tasek allargando le braccia.
«L'ho fatto soltanto perché mi sentivo in colpa a lasciarti morire così. E poi voglio vedere di trovare qualche altra zona dove cacciare» gli rispose tranquillamente il giovane incrociando le mani dietro la testa.
L’uomo si alzò, indossando i vestiti che l’altro aveva poggiato su una sedia; si mise la spada a tracolla, dopo aver controllato rapidamente che la lama non avesse problemi.
«Allora? Andiamo?» sbottò innervosito l'uomo.
Llath annuì con la testa.
 
Camminavano in silenzio nella neve, avanzando tra gli alberi della foresta che circondava Sidynlor.
Per Tasek, nato e cresciuto in una città sul mare finché la vita militare non lo aveva portato nella capitale, le montagne erano sempre state una visione lontana, quasi impossibile da raggiungere ma lui, nonostante il mistero che le circondava, non aveva mai avuto il grande desiderio di esplorarle di persona.
Llath si muoveva con sicurezza tra gli alberi, camminando abbastanza velocemente; Tasek, al contrario procedeva guardandosi intorno con fare circospetto, ritenendo che quella foresta non nascondesse niente di buono. Teneva l'arco incoccato, pronto a scoccare la freccia in caso di pericolo.
Tasek rabbrividì, ricordandosi gli ululati lugubri che avevano sentito nel corso di tutta la notte e che a lungo gli avevano impedito di dormire.
«Che c'è, comandante? Paura di qualche lupo?» sghignazzò Llath voltandosi verso di lui.
«Sì, lo ammetto. Non mi sento tranquillo». Tasek aumentò il passo, in modo tale da camminare al fianco di Llath.
«È normale, anch'io ho avuto paura la prima volta che mi sono avventurato in questa foresta. È una nostra antica tradizione: al raggiungimento della maggiore età ogni ragazzo deve vagare nella selva finché non riesce a uccidere una preda di media-grossa taglia, portando poi le spoglie a Sidynlor. Ciò che mette più paura è un'antica leggenda: si dice che qua ci abiti un fantasma che uccide chiunque incontri nel suo vagare. Credo sia più una scusa per giustificare la scomparsa nel nulla di alcune persone più che una storia con un qualche fondamento. Passo qua le mie giornate ma non ho mai visto un fantasma. Tutte quelle storie che raccontano ai bambini prima che vadano a dormire sono solo falsità»
«So che Sidynlor abbonda di leggende... quindi sono solo storie?»
«Può darsi... ma ogni leggenda nasconde un fondamento di verità»
«Sosayack... com'è?»
«Ogni volta che l'ho chiesto ad Tuiz, lui ha evitato l'argomento. Mi sono spinto fino all'entrata di At'ust ma non ho mai oltrepassato il confine...»
Tasek annuì, volgendo lo sguardo verso i rami che, carichi di neve, pendevano pericolosamente verso il basso.
«È sempre così silenziosa?»
«Già. Molti hanno preferito emigrare giù in valle»
«Per quale motivo?»
«Sosayack, principalmente. Ma anche perché la sola caccia non dà più da vivere... L'inverno diventa ogni anno più rigido, le persone muoiono di stenti»
«E cosa c'entra Sosayack?»
«Quella città è la capitale di At'ust, il deserto di ghiaccio. Sidynlor è la prima città venendo da Sosayack, l'ultima arrivando dalla capitale. Essendo posta su quest'altipiano controlla sia Ight-ia sia la valle: è un posto strategico desiderato da entrambi»
«Temono una possibile guerra, vero?»
Llath annuì con la testa.
«Da una parte si dice che i guerrieri di Sosayack si aggirino nella foresta, dall’altra che in fondo nella valle Elm'iaend sta radunando l'esercito, la popolazione ha paura e scappa, sperando di evitare di vedere i propri figli trascinati in terre lontane dalle quali forse non faranno mai ritorno».
Tasek fissò la pianura che si presentò davanti a lui non appena uscirono dalla foresta: in lontananza, alcune montagne si erigevano minacciose e Llath gliele indicò.
«Dobbiamo dirigerci laggiù. Quelle montagne nascondono At'ust e Sosayack, là c'è la nostra meta»
Tasek annuì con la testa, anche se un brutto presentimento non lo lasciava da quando erano partiti da Sidynlor e le orme dei lupi sulla neve non lo rassicuravano per niente; soltanto la presenza del giovane arciere accanto a lui gli dava una leggera sicurezza.
 
***
 
Erano passati giorni dal momento in cui erano usciti dalle mura di Sidynlor e avevano intrapreso il viaggio verso Sosayack.
Ight-ia non si era rivelata la valle desolata che Tasek si aspettava: nonostante fosse completamente disabitata, abbondava di selvaggina e ciò avevano permesso loro di procurarsi il cibo senza problemi.
La neve ricopriva tutto e il silenzio faceva da padrone: ogni tanto il vento sibilava tra le rocce e, nella notte, spesso si mischiava agli ululati dei lupi.
 
Una gelida mattina, mentre avanzavano sotto i fiocchi di neve, un lupo piuttosto affamato bloccò loro la strada: digrignava i denti, ringhiando minaccioso, mettendo in mostra i denti affilati.
 
Tasek sbiancò di colpo, spaventato da quell’improvvisa apparizione; Llath, al contrario, era riuscito a mantenere la calma e, mentre la mano dell’uomo indugiava sull’elsa della spada tremando, la sua aveva afferrato subito con sicurezza una freccia.
Riuscì a colpirlo ma, dopo essersi distrutto in mille pezzi, l'animale si ricompose e balzò in avanti, gettandosi su Tasek. Llath, sbalordito dall'accaduto, fissò incredulo il proprio arco ma si riscosse soltanto quando l'altro gli gridò: «Llath, disgraziato, aiutami una buona volta invece di fissare quell'arma!»
Il giovane scosse la testa, incoccando un'altra freccia e scagliandola nuovamente contro l'animale.
«Ma non è possibile!» urlò il giovane quando la freccia mancò il bersaglio. In tutti gli anni che aveva cacciato in quella foresta, mai aveva mancato il bersaglio.
«Possibile invece... Giù quell'arco, ragazzo, se non vuoi guai» ghignò un uomo poggiandogli la mano sulla spalla.
«Ild'ine, bloccalo» ordinò rivolto al lupo; nel vedere che l'animale aveva imprigionato l'uomo, rivolse nuovamente la sua attenzione a Llath. «Che ci fate a Ight-ia? È raro vedere voi abitanti di Sidynlor qua da un po' di tempo... meglio così, più selvaggina per noi».
La presa sulla spalla s’intensificò. «Ma voi non siete qua per cacciare... O sbaglio?»
Le nocche di Llath sbiancarono mentre il giovane stringeva l'arco.
«No...» sussurrò.
«Vi state, per caso, dirigendo verso Sosayack?» gli chiese l'uomo puntandogli una spada alla gola.
«Llath!» gridò spaventato Tasek e il lupo gli morse un braccio, facendolo urlare per il dolore. Il giovane rimase impassibile, annuendo leggermente con la testa.
«Come immaginavo... Sua maestà Lyedel sarà felice» canticchiò l'uomo rinfoderando la spada.
Llath lo guardò confuso, ricevendo in risposta un sorriso alquanto enigmatico.
«Ild'ine, allontanati»
Il lupo uggiolò e Tasek si rimise in piedi tenendosi con la mano la parte ferita, cercando di alleviare il dolore.
«Chi sei?» sibilò contro il guerriero.
«Questo non ha importanza»
Il lupo scodinzolò, avvicinandosi all’uomo che lo accarezzò, prima di avanzare lungo il sentiero.
«Seguitelo – ordinò ai due con un ghigno – vi sta mostrando la strada».
Llath e Tasek si guardarono stupidi, iniziando poi a seguire le tracce del lupo, convinti soprattutto dall'eloquente spada dell'uomo.
Quello, dopo aver rinfoderato la lama, si voltò indietro, osservando la pozza scarlatta che macchiava la candida neve.
Ild'ine l'aveva ferito piuttosto profondamente. «Speriamo che ciò che ha predetto Lyedel non si stia per compiere veramente» borbottò fra sé prima di incamminarsi alle loro spalle.
 
A sera arrivarono sulle rive di un lago ghiacciato da cui nasceva il fiumiciattolo che Llath e Tasek avevano seguito.
«Per stanotte ci fermeremo qui. Vedete di non fare stupidaggini tipo scappare. Conosco questi boschi meglio di voi, vi troverei dovunque andaste»
Tasek sbuffò quando l'uomo gli si avvicinò, facendogli segno di mostrargli la ferita; quello, benché riluttante a fare ciò, si vide costretto a obbedirgli quando gli rivolse un'occhiataccia.
L’altro la fasciò, cercando almeno di bloccare la fuoriuscita del sangue.
Tasek, non appena quello ebbe finito di curarlo, si avvolse in una coperta, addormentandosi quasi subito. Llath sorrise ma, invece che seguire il suo esempio, andò a sedersi su una roccia sporgente dalla superficie ghiacciata.
Poggiò l'arco accanto a sé, alzando poi lo sguardo verso il cielo.
«Non dormi, giovanotto?»
Llath scosse la testa. «Non ho sonno...».
L'uomo si sedette accanto a lui sul sasso, guardando la distesa ghiacciata mentre Llath lo osservava curioso. Aveva i capelli neri che ricadevano in ciocche imperfette sulle spalle, coperte da un mantello riccamente decorato. Gli occhi, verde smeraldo, si perdevano lungo la linea dell’orizzonte, senza fissare un punto indefinito.
«Non sembri preoccupato» gli disse dopo un momento di silenzio.
«Lo sono, invece...»
«Per quale motivo? Non voglio farvi del male: se questa fosse stata la mia intenzione, non vi avrei risparmiati»
«Non so... mi sento inquieto. Devi portarci a Sosayack, vero?»
L’uomo annuì: «Sì, questo è il mio compito. Ma cos'è che ti turba?»
Llath si morse un labbro, indugiando con la mano sul legno dell'arco.
«Forse... forse tu puoi aiutarmi»
«E come?»
«Mi porto dietro quest'arco da anni ma nessuno ha mai potuto - o non ha mai voluto - spiegarmi il significato di questi segni» gli porse l'arma. «Tu sai dirmi qualcosa?»
Quello lo osservò curiosamente, passando ogni tanto il dito su alcuni dei segni.
«Chi ti ha dato quest'arma?»
«Tuiz... Colui che mi ha allevato a Sidynlor. Anche se spesso molti mi hanno ripetuto il nome di Sosayack, come se fossi collegato a lei...»
Non appena Llath ebbe finito di parlare, l’altro gli mise una mano sulla spalla.
«Avevi visto bene. Ma non sono io quello che ti può aiutare: Lyedel sa molto di più riguardo a questa cosa. Prima arriviamo, prima avrai la risposta a tutti i tuoi dubbi»
Llath annuì con la testa, rivolgendo poi lo sguardo verso la superficie ghiacciata.
«Cosa c'entro io con Sosayack?»
Il guerriero lo guardò, inclinando leggermente la testa di lato.
«Vuoi proprio saperlo?»
«A questo punto credo sia meglio di sì... Tutto è iniziato quand'ero ancora un bambino. La gente a Sidynlor sembrava evitarmi, ogniqualvolta provavo a fare amicizia con qualche altro bambino, le loro mamme li portavano via da me. Crescendo la situazione è peggiorata, tant'è che preferivo la compagnia silenziosa degli alberi nella foresta che quella fin troppo rumorosa delle altre persone. Quei fantasmi che dicono che abitino nella selva per me erano la sola cosa che poteva capirmi... pian piano mi ci sono abituato ma Tuiz è l'unico che mi è sempre rimasto accanto».
«È una lunga storia da spiegare ma credo sia meglio aspettare l'arrivo a Sosayack. Lyedel potrà aiutarti più di quanto io sia in grado di dare ora come ora. Adesso dovresti riposarti: il viaggio è ancora lungo».
Llath annuì con la testa, si alzò dal masso e si distese accanto a Tasek, cercando di rintanarsi sotto il lembo dell'unica coperta che quello aveva lasciato libero.
«Ragazzo» lo richiamò l'uomo.
«Sì?» rispose Llath mettendosi a sedere.
«Qual è il tuo nome?»
«Mi chiamo Llath»
«Io sono Zetyb» rispose l'uomo.
«E tu molla un po' questa coperta» borbottò Llath tirando a sé la stoffa e facendo sbuffare di disappunto Tasek.
Zetyb, vedendoli, non poté trattenere un sorriso che tuttavia scomparve dopo poco tempo.
«Ild'ine».
Il lupo gli si avvicinò scodinzolando e Zetyb lo accarezzò.
«Va' da Lyedel, va' dalla tua regina. Dille che il mio compito è quasi concluso; che finalmente riusciremo a scioglierci dalla morsa di At'ust; che non vedremo più i nostri concittadini morire inutilmente».
Il lupo uggiolò, poi si allontanò nelle tenebre; Zetyb lo osservò finché non scomparve della sua vista.
Poggiò la testa sul palmo di una mano, fissando tristemente i due addormentatati placidamente: continuava a sperare che ciò che gli aveva detto Lyedel non fosse vero ma il comportamento del lupo nei confronti dei due sembrava confermare tutto il contrario.
 
Si rimisero in cammino non appena il sole fece capolino tra le cime, procedendo a metà costa, su un sentiero nascosto tra gli alberi. I primi raggi non riuscivano a illuminare il luogo ma Zetyb riusciva a guidarli con sicurezza anche al buio.
«Zetyb... Posso farti una domanda?» gli chiese timidamente Llath camminandogli al fianco.
«Anch'io ne avrei una» sbuffò Tasek, cercando di evitare che i suoi vestiti rimanessero impigliati tra i rovi e i rami.
Zetyb e Llath ridacchiarono vedendolo.
«Si vede che sei proprio un comandante idiota» commentò Llath appoggiandosi a un tronco.
«Sta' zitto. Lo sai che non sono abituato a questi posti qua. Sono cresciuto in una città di mare e vivo nella capitale. Come puoi pensare che sia a mio agio qua?»
«Intendi dire che oltre l'altopiano di Kes ci sono altre città?» gli chiese Zetyb stupito.
Llath annuì: «Kes e Sidynlor sono gli ultimi confini del regno di Elm'iaend prima di Ight-ia»
«L'ho già sentito quel nome...»
«Elm'iaend osò sfidare At'ust. – si intromise Tasek –  Preparò un esercito e marciò alla volta di Sosayack. Fu un massacro, quella campagna».
Zetyb annuì con la testa, rimanendo in silenzio.
«Llath» esordì dopo un po'.
«Sì?» gli chiese il giovane.
«Tu volevi farmi una domanda...»
«Oh, sì. Com'è Sosayack? Voglio dire, io non so molto. Ci sono molte leggende che parlano di voi... però... nessuno me le ha mai volute raccontare tutte...»
Zetyb sorrise: «Sei un giovane davvero curioso»
«Be’, a Sidynlor non avevo molte possibilità di passare il tempo quindi iniziai a scendere verso la valle, giusto per spirito d’avventura e star lontano da quelle voci che giravano su di me. Sai, credo di essere arrivato anche ai confini di Sosayack ma non mi sono mai spinto troppo in là»
«Lyedel sarebbe stata molto felice di vederti» gli disse Zetyb mentre gli spettinava i capelli ridendo.
«Che c'è da ridere adesso?»
«Capirai a suo tempo»
«Senti un po', Llath. Quindi la storia di trovare nuovi territori di caccia era una scusa?»
«Ovvio. Mica potevo spiattellarti le mie scoperte fin da subito?». Concluse beccandosi una smorfia di disapprovazione da parte di Tasek.
 
Camminarono per tutto il giorno, arrestando la marcia soltanto a sera, davanti a una caverna.
«Passeremo qui la notte. Non ci sono orsi qua, se è questo ciò che vi preoccupa. E nemmeno lupi o altri animali di grossa taglia» disse Zetyb vedendo la faccia spaventata di Tasek, per niente allettato di passare un’altra notte al freddo, con l’ululato dei lupi che durante la notte sembrava farsi ogni ora più vicino.
«Siamo nel cuore di Ight-ia, alle porte di At'ust: la selvaggina a cui siete abituati non osa venire qua. Vado a caccia adesso, guai a voi se scappate» aggiunse poco dopo Zetyb lanciando un'occhiataccia ai due che si affrettarono ad annuire. Quello sorrise e poi si allontanò.
«Sarà meglio accendere un fuoco. Aspetta qua, prendo la legna».
Llath tornò poco dopo, portando con sé alcuni rami e Tasek lo guardò incuriosito mentre accendeva il fuoco.
«Quando ero piccolo, giocavo spesso con gli altri bambini di Sidynlor ma crescendo cominciarono a evitarmi, come se fossi... diverso. Ero a mio agio durante gli inverni più freddi e spesso cercavo di scappare verso Ight-ia. Volevo vedere cosa ci fosse al di fuori dell'altopiano. Ben presto quindi si diffuse la voce che fossi collegato a Sosayack: e quel nome maledetto me lo sto portando addosso per tutta la vita» gli spiegò d’un tratto il giovane e Tasek, seppur stupito da quell’improvvisa spiegazione, annuì con la testa quando Llath ebbe finito di parlare.
«Perché Sosayack è maledetta?» gli chiese dopo un momento di silenzio.
«Quella guerra si portò via tutta la migliore gioventù di Sidynlor. Ecco perché». Llath scosse la testa sconsolato.
«Llath...» esordì il moro dopo un po'.
«Sì?»
«Perché mi hai raccontato la tua storia?»
«Preferisco che tu sappia la verità... Se ho deciso di accompagnarti, è anche perché negli ultimi tempi le persone mi evitavano ancora di più... Alcuni mi ritenevano anche causa dell'inverno gelido. Tutto qui...»
Zetyb tornò poco dopo, portando con sé la carcassa di uno strano animale. La lasciò cadere davanti ai due per poi posare la spada in terra.
«Sentite freddo?» chiese loro alzando un sopracciglio mentre guardava il fuoco.
Llath annuì, infilzando poi la carcassa dell'animale con una freccia e strappando in tal modo un pezzo di carne che arrostì sul fuoco e passò a Tasek.
«Mangia».
Quello allungò una mano titubante e Llath, vedendo la sua indecisione aggiunse: «Fidati, è buono».
Tasek borbottò qualcosa, addentando poi il pezzo di carne. Una smorfia di disgusto gli si dipinse sul volto.
«Avete intenzione di uccidermi o cosa?»
Zetyb e Llath si guardarono confusi negli occhi.
«Guarda che è uno dei migliori cibi che Ight-ia offre...» commentò Zetyb.
«È una prelibatezza... A Sidynlor si mangia solo in occasione delle grandi feste... certo, se riusciamo a catturarli...» aggiunse Llath, continuando a mangiare tranquillamente.
«Non voglio sapere cos'è...» mormorò sconsolato Tasek, cercando di mangiare il proprio pezzo senza vomitare.
«Be', direi che possiamo anche preparare i giacigli per la notte» disse Zetyb, una volta che ebbe finito di mangiare la propria parte e Llath annuì. «Vado a prendere un paio di rami per tenere vivo il fuoco: al comandante qui presente non piace il freddo» ridacchiò tra sé.
«Fa poco lo spiritoso, Llath. Non tutti sono abituati a questo gelo!» sbuffò Tasek, avvolgendosi intorno una spessa coperta e distendendosi in terra. Tra i morsi della fame e il gelo della grotta, la notte che gli si prospettava davanti non sembrava una delle più felici.
0Soltanto quando sia Tasek sia Llath si furono coricati, Zetyb si distese il più lontano possibile dal fuoco: non aveva voglia di rischiare la vita per colpa di qualche fiammella vagante.
Dormiva profondamente ormai da qualche tempo, quando sentì qualcosa pungergli il fianco. Si alzò di malavoglia, inveendo contro di ciò che l'aveva svegliato.
«Non è questo il modo di rivolgersi a un amico, Zetyb»
«Potevi anche usare un metodo più delicato, Leril!»
Il nuovo arrivato rise, passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi.
Zetyb lo fulminò con lo sguardo.
«Che ci fai qui?»
«Ild'ine è arrivato in città e Lyedel si è preoccupata di vederlo tornare da solo. Dì la verità, Zetyb! Cosa c'è tra voi?»
«Assolutamente nulla, idiota!»
«In ogni caso, il lupo le ha spiegato tutto ma ha mandato me per avvertirti di arrivare il prima possibile. Lyedel non può più aspettare»
«Dille che arriveremo domani al tramonto»
Leril annuì con la testa.
«Allora ti aspetto. E ricordati che devi offrirmi una cena, vecchio mio!»
«Spero che At'ust richieda il tuo sangue l'anno prossimo» sibilò Zetyb seccato.
Leril fece per andarsene ma, dopo alcuni passi, tornò indietro.
«Che vuoi ancora?»
«Non ti sembra strano?»
«Cosa?»
«Il fatto che At’ust non abbia ancora richiesto il sangue di qualcuno di noi e che due stranieri si spingano così a fondo nella valle. E ti dirò – indicò Tasek con la lancia – lui proprio non mi piace».
Zetyb annuì, osservando il volto di Llath, leggermente illuminato dalle fiamme. Lo indicò all’amico che lo guardò stupito
«Credo che voglia attirare a sé lui... Lyedel non è riuscita a sconfiggerlo ma la profezia riguardava suo figlio, non lei»
«Vorresti dire che Sua Maestà ha un figlio?»
«Secondo comandante delle guardie reali e non sai queste cose?» sghignazzò Zetyb.
«No. E allora? È un problema dedicare il proprio tempo all'esercizio delle armi e non ai pettegolezzi?».
Zetyb lo guardò male.
«In ogni caso, sì. È lui. At'ust lo teme e perciò vuole ucciderlo, attirandolo sé. Nonostante sembri che non si curi l'uno dell'altro, sono molto uniti. Non esiterà affrontare il centro di At'ust...»
«Ma come combatterà contro quello? Non ci sono speranze, se non è abile con la magia»
«Ma le sue frecce vanno tutte a segno. Dipenderà solo da lui»
Leril volse lo sguardo verso l'entrata della caverna.
«È meglio che tu vada» gli disse Zetyb volgendo lo sguardo nella stessa direzione e vedendo che i raggi del sole facevano capolino dalle alte cime innevate. Una nuova alba stava per illuminare, seppur debolmente, la zona più fredda e buia di Ight-ia.
Leril fece un segno di assenso, allontanatosi in silenzio, così com’era arrivato.
«Buongiorno... » mugolò Llath ancora assonnato quando Zetyb lo scosse leggermente per una spalla.
Tasek borbottò qualcosa, girandosi poi sull'altro fianco. Llath sbuffò per poi alzarsi e afferrare la prima freccia che gli capito sotto mano. Con quella, andò a punzecchiare la guancia di Tasek finché questo non si svegliò.
«Ma non conosci nessun altro modo per svegliarmi!?» borbottò seccato Tasek.
«Non ti svegli con le buone, ci provo con le cattive» gli rispose Llath alzando le spalle e mettendosi a tracolla la faretra.
«Muoviti, comandante» gli disse Zetyb ridendo e conficcando la sua spada a poca distanza da lui «Ché dobbiamo essere a Sosayack al tramonto».
 
***
 
La luce rossastra del tramonto illuminava la distesa ghiacciata su cui sorgeva Sosayack, producendo strani giochi di luce sulle pareti delle case.
Zetyb camminava spedito, senza prestare attenzione ai saluti che alcune persone gli rivolgevano. Al contrario, Llath e Tasek si guardavano intorno, stupiti dall'aspetto della città. Non solo all'esterno, ma anche entro le mura il ghiaccio faceva da padrone. Ogni cosa, dalle case alle strade, era ricoperta da uno spesso strato di ghiaccio.
«Vedete quei bambini là?» esordì Zetyb a un certo punto, indicando loro un piccolo gruppetto che stava giocando in un angolo della piazza principale. «Non sanno nemmeno cos'è ciò che voi chiamate primavera... ed io comincio a dimenticarlo...» concluse scuotendo la testa.
«Da quanto tempo è così?»
«Da dopo la vittoria su Elm'iaend... Nonostante la loro sconfitta, At'ust richiese comunque un sacrificio per il suo aiuto. Lyedel si rifiutò, non volendo prostrare maggiormente la città. At'ust, adirato, ci strinse in questa morsa gelata, senza darci la possibilità di scioglierla. Ogni anno richiede un cittadino di Sosayack: ormai le persone vivono nel terrore di essere richieste... Le donne evitano persino di mettere al mondo figli, in modo da non vederseli portare via dalle guardie...»
Llath annuì in silenzio, continuando a camminare al fianco di Zetyb.
«Siamo arrivati».
Llath e Tasek alzarono lo sguardo verso l'edificio davanti a loro e Zetyb, osservando le loro facce stupide commento: «Il castello di Lyedel ha sempre quest'effetto su coloro che non sono di Sosayack. Andiamo, che l'abbiamo già fatta aspettare troppo»
«Zetyb... Tempo fa... Mi hai detto che avrei trovato le risposte che non mi hai saputo dare tu...»
«Sta tranquillo, Llath. Non ti ho mentito».
L'uomo li guidò con sicurezza attraverso il labirinto di corridoi, giungendo ben presto alla sala del trono. Urlò qualcosa alle due guardie che subito li lasciarono passare.
«Zetyb! Finalmente sei tornato!» una voce femminile accolse i tre.
Una donna, i cui capelli rosso vivo erano raccolti in una complicata acconciatura che lasciava libere due ciocche che le incorniciavano il viso dalla carnagione chiarissima, era seduta su un trono riccamente decorato. In mano stringeva un bastona, alla cui sommità vi era incastonato una pietra azzurra, con alcune sfumature blu che formavano quasi una spirale. Indossava un vestito riccamente decorato, il cui colore verde smeraldo riprendeva quello dei suoi occhi.
«Sì, vostra maestà. Ho portato a termine la missione che mi avete affidato» rispose Zetyb, inchinandosi. 
«Hai fatto un ottimo lavoro. Ild'ine mi ha riferito tutto» la donna accarezzò distrattamente la testa del lupo seduto accanto al trono.
Zetyb s’inchinò.
«Le vostre parole mi onorano, maestà. Farò qualsiasi cosa per voi»
«So che manterrai fede al giuramento, qualsiasi cosa accada»
«È ciò a cui ho votato la mia esistenza»
«Loro sono coloro che ti ho chiesto di portare qua?»
Zetyb annuì, facendo segno ai due di avvicinarsi.
Lyedel si alzò dal trono non appena incrociò i loro sguardi e si diresse verso Llath. Gli accarezzò dolcemente una guancia, voltandosi verso Zetyb che rispose con un cenno alla sua muta domanda.
«Aspettateci fuori, mangeremo insieme stasera».
Una volta che i due si furono allontanati, Lyedel si lasciò cadere sul trono, stringendo il bastone tra le mani.
«Non è possibile, Zetyb... Non può essere lui»
«Lo affidaste a Eelda solo perché volevate proteggerlo dal suo destino, ma ciò che At'ust ha deciso per noi non può essere cambiato, lo sapete bene!»
«Lo so...» mormorò sconsolata Lyedel scuotendo la testa.
«Maestà»
«Parla pure, Zetyb. Sai che mi fido di te...»
«Lasciate che il destino faccia il suo corso. Vostro figlio è destinato a combattere contro At'ust. Io l'ho visto lottare contro il lupo e fidatevi. Se Ild'ine non fosse stato uno spirito del ghiaccio, adesso non siederebbe accanto a voi».
«Parli bene, Zetyb. Tuttavia tu non hai un figlio e sebbene non l'abbia allevato io, quel giovane è sangue del mio sangue. Se per caso... – Lyedel strinse la presa sul bastone, facendo sbiancate le bocche – Se per caso dovesse soccombere nella lotta, io...».
Zetyb la interruppe.
«Non soccomberà, statene certa».
La regina annuì poco convinta, facendo segno di allontanarsi all'uomo.
Zetyb s’inchinò, uscendo dalla sala seguito dal lupo che scodinzolava alla ricerca di coccole.
«Ti piacciono proprio le carezze, eh Ild'ine?».
L'animale uggiolò in risposta e Zetyb lo accarezzò dolcemente.
 
Il sole era ormai tramontato completamente e le fiaccole illuminavano debolmente le vie, percorse da poche persone. Sosayack diventava una città fantasma non appena il sole scompariva dietro le cime: il freddo si faceva più rigido e gli abitanti cercavano rifugio nelle proprie case, andando a godere del caldo dei focolari.
Al palazzo, il banchetto in onore degli ospiti era in pieno svolgimento e le risate degli invitati – per   la maggior parte nobili e alti borghesi – si mescolavano agli sbuffi e grugniti di Tasek.
«Che c'è comandante?» gli chiese ridacchiando Llath vedendo le smorfie di disgusto che si succedevano sul viso dell'uomo.
«Prendi in giro, ora Llath?» sibilò quello in risposta.
Il giovane rise, incrociando le braccia dietro la testa.
«E non ridere!»
Zetyb gli guardò confuso mentre Lyedel sorrise leggermente vedendo che Llath passava una coppa piena di un liquido scuro a Tasek.
«Cos'è? La tua ultima trovata per uccidermi?»
«Se avessi voluto ucciderti, l'avrei fatto da tempo, non credi?»
Tasek borbottò, prendendo la coppa e bevendo il liquido senza porsi troppi problemi su cosa fosse.
Sentì il liquido scendergli lungo la gola: era fin troppo amaro per i suoi gusti e lo sentiva bruciare.
«Be'? Com'è?»
«Questa me la paghi...» riuscì ad articolare mentre era scossa da colpi di tosse
«Quante storie! Ma a cosa sei abituato?» rise Llath.
«Alla corte di Elm'iaend».
A quelle parole, cadde il silenzio.
Qualcuno lasciò cadere il bicchiere e il rumore prodotto dalla sua caduta fece sobbalzare alcuni presenti.
Lyedel si alzò, fissando seria Tasek negli occhi.
L'uomo deglutì spaventato, voltandosi verso Llath e notando che quello era più confuso di lui: stringeva ancora nella mano il suo bicchiere, guardandosi intorno alla ricerca di una risposta.
«Seguitemi» ordinò loro Lyedel.
Zetyb si congedò dai commensali seduti vicino a lui per poi seguire a debita distanza i tre. Si fermò fuori dalla sala del trono cercando di origliare i loro discorsi.
Lyedel sospirò, sedendosi sul trono e fissando i propri occhi in quelli di Tasek.
«È Elm'iaend che ti manda, vero?»
«Sì...»
«Che cosa vuole ancora?»
«Non ha accettato la sconfitta di dieci anni fa. Vuole muovere guerra contro Sosayack ad ogni costo. Generali e consiglieri hanno provato a dissuaderlo ma senza successo. Sua maestà è irremovibile nella sua scelta»
«Vuole che capitoli onde evitare spargimenti di sangue. So qual è il suo gioco. Ha mandato te per convincermi ma ti avverto che tornerai con una risposta negativa, sappilo. Sempre se tornerai nella capitale, naturalmente»
«Cosa?» chiese stupito Tasek.
Lyedel scosse la testa.
«Non so se sia meglio che sappiate la verità...»
«Maestà!» Zetyb irruppe nella sala «Perdonate l'intrusione ma credo che sia meglio spiegare loro tutta la verità. Il male minore è At'ust: Elm'iaend non si farà scrupoli a sterminare tutti noi»
«La notte è giovane ancora... È meglio parlarne ora. È giunto il tempo che Sosayack esca dalla sua prigione di ghiaccio».
Lyedel volse lo sguardo verso la finestra, osservando la distesa ghiacciata che si estendeva fino all'orizzonte.
«Dieci anni fa, Elm'iaend ci dichiarò guerra ma a quel tempo Sosayack era una ricca città, un centro commerciale importante e unico collegamento tra il regno di Elm'iaend e l'antico impero di Kidir. Aveva tutte le ragioni per impadronirsi di questa città, su questo non si può discutere. Tuttavia, Sosayack è da sempre un regno isolato: non condividiamo niente con voi popoli confinanti. Dopo la guerra c'è stato qualche contatto con Sidynlor ma niente di più che qualche incontro casuale durante le rispettive battute di caccia»
«Molti guerrieri di Sidynlor hanno sostenuto di aver visto spettri aggirarsi nella foresta di Ight-ia e da allora nessuno osa avventurarvisi. Eravate voi quindi?»
Lyedel sorrise. «Sì, ma da quanto mi hanno riferito, hai esplorato Ight-ia fino quasi hai confini del mio regno»
«È vero» ammise Llath «Ho esplorato gran parte della per il semplice motivo che le persone a Sidynlor mi evitano. Avevo bisogno di sapere se quelle cose che dicevano su di me erano vere o no. Mi hanno ripetuto che Sosayack è parte di me, che sono come quelli spiriti apparsi nella foresta tantissime volte. E quando non ce l'ho fatta più, visto che Tuiz non voleva darmi delle risposte chiare, ho deciso di avventurarmi nella valle a cercare da solo le risposte. È vero che sono anche ai confini di Sosayack, ma non ho mai avuto il coraggio di oltrepassarli»
«Ma in fondo quelle persone non avevano torto»                        
Llath la guardò confuso.
«Non capisco»
«Dieci anni fa, affidai mio figlio a uno dei comandanti di Elm'iaend. In cambio della nostra vittoria, At'ust aveva preteso il sacrificio di uno degli abitanti di Sosayack ma ancora non aveva dichiarato quale. Temevo per la sua vita ma quell'uomo fu come una salvezza. Affidai il piccolo a lui e come segno di riconoscimento gli diedi un arco con dei simboli. È per questo che quando Zetyb ha visto il tuo arco, ha mandato Ild'ine da me. Bentornato a casa, figlio mio». Llath, rimase in silenzio, immobile come una statua mentre fissava negli occhi Lyedel.
«Io...»
«Fidati, Llath. È così. Ciò che ha detto la regina è la verità» gli disse Zetyb poggiandogli una mano sulla spalla.
«Io... Io non riesco a capire...»
Zetyb gli sorrise dolcemente.
«Eppure sei il principe di Sosayack. Cos'è che ti impedisce di crederci?»
«Perché Tuiz non mi ha mai detto niente?»
«Tuiz?» Lyedel e Zetyb si guardarono confusi negli occhi.
«Dopo che gli affidaste questo qua...»
«Ho un nome» protestò Llath sbuffando e guardando male Tasek che però continuò a parlare come se il giovane non avesse detto niente.
«Quel comandante, stanco della crudeltà della guerra, si stabilì a Sidynlor che da piccolo centro di montagna, era diventata una città grazie alla presenza di una roccaforte dell'esercito. Decise di rimettere in piedi la locanda, facendosi chiamare con il nome di Tuiz piuttosto che essere conosciuto come Eelda, il comandante degli arcieri reali a Sosayack»
Lyedel sospirò, notevolmente sollevata.
«Adesso ho capito»
«Quando te l'ha detto?» chiese Llath a Tasek che, in risposta, alzò le spalle.
«Quando arrivai a Sidynlor, dopo che te ne sei andato a dormire, Eelda mi ha detto alcune cose. Ha detto anche che eri indissolubilmente legato a questa città e che alla fine il tuo destino doveva compiersi ma non mi ha spiegato bene cosa intendesse»
«Io... io credo di saperlo... Ciò che volevo evitare sta per compiersi...»
«Che cosa volevate evitare?»
«Da dopo la nostra vittoria, At'ust ogni anno richiede la vita di uno degli abitanti di Sosayack. È ciò che è comunemente chiamato “sacrificio annuale”. Le persone lo temono, hanno paura. Vivono nel terrore che siano loro la prossima richiesta»
«Capisco... Ma io... Cosa c'entro con tutto questo?»
«C'era un'antica profezia che diceva che saresti stato tu colui che avrebbe sconfitto At'ust...»
«Ma io non conosco niente di Sosayack... Tantomeno di At'ust...»
Lyedel sospirò.
«Non riesco a spiegarmelo nemmeno io. Non so darti una risposta».
Rimasero tutti in silenzio, finché una ventata gelida non li fece sobbalzare.
Nella stanza sembrò innalzarsi un canto, riconosciuto da Llath come una vecchia ninna nanna per bambini.
Lyedel sbiancò, stringendo il bastone tra le mani.
«No... Non è possibile...» mormorò alzandosi dal trono.
«Zetyb... Che sta succedendo?»
Vide gli occhi dell’uomo assottigliarsi fino a ridursi a due fessure mentre fissava Tasek, il cui ghigno stampato in faccia non prometteva niente di buono.
Llath rabbrividì mentre il freddo si faceva più intenso e, intanto che il canto continuava, sentì farsi gli occhi pesanti.
«Io voglio solo proteggere Sosayack...» sentì dire da qualcuno mentre una mano gli accarezzava il viso.
 
«Dov'è Tasek?» chiese guardandosi intorno non appena il vento si calmò.
Zetyb si morse un labbro e Lyedel abbassò la testa.
«Che succede?» domandò loro, guardandoli stupito.
«Vostra maestà! – un uomo entrò correndo nella sala – l'esercito di Elm'iaend è ai confini del regno. Entro l'alba saranno qui. Quali sono i vostri ordini?»
Lyedel si alzò di scatto dal trono, lasciando cadere in terra il bastone che rimbalzò sul pavimento decorato.
«Schierate l'esercito. Non capitoleremo mai. Elm'iaend non espugnerà questa città tanto facilmente». Il soldato s’inchinò, uscendo poi dalla sala velocemente com’era arrivato. Abbaiò qualche ordine a destra e a manca e ben presto l'intero palazzo risuonò dei passi cadenzati dei soldati.
«Che sta succedendo?»
«Elm'iaend ha portato i suoi soldati fino a qua, sicuramente ha seguito le vostre tracce...»
«Non era mia intenzione... Io... Tasek mi aveva solo chiesto di accompagnarlo qua per una missione diplomatica... Non pensavo che...»
«Non è colpa tua, figlio mio. Quel vento gelido di prima... At'ust ha mostrato le sue carte. Adesso sta a te proteggerci»
Llath strinse i pugni, trattenendo a stento le lacrime e uscendo dalla sala. Si guardò intorno spaventato, decidendo di dirigersi verso una terrazza. Si appoggiò alla balaustra, lasciando che il vento gli scompigliasse i capelli. Una lacrima gli cadde sul palmo della mano, seguita poi da altre. Alzò lo sguardo, osservando un punto indefinito, permettendo alle lacrime di scendergli lungo il viso.
 
«Perché non dormi?»
«Perché non mi avete detto la verità subito? Pensavate che non sarei stato in grado di accettarla?»
Zetyb sorrise, appoggiandosi alla balaustra di fianco a Llath.
«Lyedel è pur sempre una madre. Teme per te, suo figlio»
«Perché non mi hai mai detto la verità su Tasek?»
«Perché è te che vuole. Ma non saresti mai andato se avesse preso un qualunque cittadino: ha trovato il modo di legarti a lui e portarti qua. Quando Ild'ine l'ha morso in quel modo, ho capito subito che At'ust non avrebbe aspettato troppo a mostrarsi. Sei molto legato a lui, vero?»
«Già... Nonostante mi diverta a prenderlo in giro, in questi giorni mi sono affezionato a lui»
«Andrai a cercarlo?»
«È così evidente la mia volontà?»
«Lyedel non te lo permetterà»
«Andrò comunque. Con o senza il suo permesso»
«Perché vuoi rischiare la vita così, figlio mio?»
Llath la guardò negli occhi.
«Perché lo amo».
 
 
Llath rabbrividì, stringendosi addosso il logoro cappotto. Strinse di più l'arco, come se quel gesto potesse far diminuire la sua ansia.
Non sapeva darsi una risposta alla domanda che dalla sera precedente gli agitava il cuore.
Se ciò che Lyedel gli aveva detto era vero – e ripensando alle parole di Tuiz di quella famosa sera, riusciva a dare un significato a quegli avvertimenti che, sconsideratamente, aveva preferito non ascoltare - non sapeva cosa avrebbe fatto.
Si scostò una ciocca di capelli dagli occhi, fermandosi un attimo a riprendere fiato. Guardandosi intorno, non riusciva a capire, dove fosse precisamente.
Sapeva che At'ust non gli avrebbe mai perdonato una tale impresa – tutti gliel'avevano detto – ma, temeraria com'era, sarebbe anche potuta riuscire.
Il vento gelido che lo accompagnava fin da quando aveva lasciato Sosayack, si era fatto improvvisamente più forte. 
Sembrava quasi che cantasse, soffiando tra quelle cime perennemente innevate.
Riprese a camminare, cercando di capire dove fosse, nonostante la monotonia del luogo e l'immensa distesa di neve e ghiaccio non lo aiutassero.
L'ululato del vento gli ricordava una canzone, facendogli tornare in mente alcuni frammenti di ricordi piuttosto vaghi.
Si fermò, portandosi una mano alla testa, come per fermare quel riaffiorare confuso di memorie che nemmeno sentiva come sue.
Quando il vento cadde, si guardò intorno.
La distesa ghiacciata sembrava estendersi oltre l'orizzonte, come se non avesse mai fine
«E così, infine, sei giunto fino a qui...»
Una voce lo accolse non appena fece un passo avanti.
Llath si guardò intorno, cercando di capire da dove mai arrivasse quella voce.
«Non dici nulla?» quella voce, fin troppo familiare, sembrava quasi dispiaciuta per quel suo silenzio.
Llath alzò la testa, guardando fieramente davanti a sé.
«Non mi temi?»
«Perché, dovrei?»
«Dovresti eccome, principino. Sicuro di voler sfidare me, il grande At'ust?»
Llath incoccò l'arco.
«Sembri tu quello che ha paura»
«Oh, certo che no»
Un uomo, apparso dal nulla, gli si avvicinò.
Aveva i capelli bianchi, color del ghiaccio ma gli occhi rossi non promettevano niente di rassicurante.
«È sempre un piacere rivederti, Llath»
Lo sguardo dell'uomo si assottigliò, riducendo così gli occhi a due fessure.
«Lyedel non avrà mica osato... No, teneva troppo a quel frugoletto per mandarmelo contro»
«Sono qui contro la sua volontà»
«Oh, abbiamo un principino ribelle» canticchiò quello.
Llath sbuffò e gli puntò contro la freccia.
«Non ti conviene, Llath. Non sai a cosa andrai incontro se scocchi quella freccia. Non basarti su ciò che sai del passato» lo ammonì.
«Non mi interessa. Sono disposto a fare qualunque cosa per raggiungere il mio obiettivo» sibilò Llath scagliando la freccia.
At'ust ghignò, trasformandosi in vento un attimo prima di essere colpito.
«Bastardo!» gli urlò contro il giovane e quello rise.
«Non pensare sia così semplice. La tua ostinazione ti porterà alla rovina, sta attento, Llath! Non osare portare la mia pazienza oltre il limite!» lo avvertì quando vide che gli stava puntando contro un'altra freccia.
«Sei sempre il solito testardo – At'ust sorrise – Sei diverso da loro... Gli abitanti di Sosayack mi temono ma tu no... Osi venire anche al centro del deserto...»
«Da quando sono qui, non ho mai sentito Sosayack come parte di me»
«Eppure ne sei l'erede»
«Sono cresciuto a Sidynlor. Sosayack mi è completamente estranea»
«Tuttavia osi sfidarmi»
«C'è sempre qualcuno che, prima o poi, romperà le tradizioni»
«Non saresti un buon esempio per il popolo»
«E con questo? Opprimi comunque Sosayack, imponendo quel tributo. Pensi che le persone siano felici? Non pensavo fossi quel tipo di persona»
«La paura le fa stare buone»
«Stai stringendo in una morsa gelata la città solo per spadroneggiare a tuo piacimento».
At'ust sorrise.
«È vero. Senza di loro non potrei vivere. Ogni vittima contribuisce a estendere la distesa ghiacciata, mi aiutano a vivere. Guardati intorno: il sangue versato dai soldati di Elm'iaend dieci anni fa, mi ha permesso di staccarmi da Lyedel e dalla sua magia. Mi creò lei stessa, certa che grazie al mio aiuto avrebbe ottenuto la vittoria. E la ottenne. Ma nella sua brama di terre e potere non si dette pensiero delle conseguenze: ogni goccia di sangue versata aumentava il mio potere. Giunse il momento di doverlo riversare da qualche parte: l'impero di Kidir crollò in una sola notte. Resta solo il suo nome e qualche osso dei suoi abitanti sparso tra i ghiacci»
«Stai solo sfruttando la sofferenza altrui»
«È ciò che ho sempre fatto. Ognuno dovrebbe pensare a ciò che è. Tu, ad esempio, dovresti tornare subito a Sosayack. Un principe che va contro le tradizioni del proprio popolo... Non farmi ridere, principino!»
«Hai detto bene. Ognuno dovrebbe pensare a ciò che è. Ma io non mi ritengo principe di Sosayack». Llath gli puntò contro un'altra freccia.
«Preferisco ritenermi uno dei tanti giovani di Sidynlor che cacciano nelle foreste dell'altopiano» concluse scoccandola.
«Vedo proprio che non hai intenzione di andartene... Sarà un piacere farti fuori» gli rispose At'ust, ghignando e sfoderando la propria spada.
«È piuttosto inutile usare un arco contro di me, sai? Le tue frecce non mi raggiungeranno mai». Si voltò indietro, guardando le due frecce che non avevano raggiunto il loro bersaglio.
«Maledizione!» sbottò il giovane, stringendo i pugni.
«Che c'è? Ti arrendi, finalmente?»
«Questo mai!»
«Allora preparati a morire».
Gli occhi di At'ust si illuminarono al pensiero che per la prima volta nel corso della sua intera esistenza, sangue reale sarebbe scorso sulla sua superficie.
«Capirai cosa significa mettersi contro il vero sovrano di queste terre!»
«Non esserne così sicuro. Voglio una cosa da te e la otterrò. Puoi starne certo»
At'ust, stupito, inclinò leggermente la testa di lato, guardandolo curioso.
«Una cosa? Davvero? Eppure non mi sembra di averti preso qualcosa»
«Invece è così»
«E sentiamo... Cosa ti avrei preso?»
Llath si morse un labbro, indugiando a rispondere. A quella reazione, At'ust ghignò e gli si avvicinò, accarezzandogli una guancia, nonostante un velo di tristezza gli si dipinse sul viso per un attimo.
«Non rischiare la vita per questa sciocchezza. Torna a casa, va' da tua madre»
Llath scosse il capo.
«Sei proprio un testardo. Dammi ascolto, Llath. Non fare il bambino. È solo una pazzia»
«No, per me non lo è» gli rispose brusco, scostandogli la mano.
«Il mio era solo un consiglio. La decisione l'hai presa. A ben pensarci, avresti anche tutte le ragioni... ma ciò non cambierà nulla. Ben presto il tuo sangue scorrerà su questa distesa ghiacciata. Ormai è tardi per tornare indietro»
«Sono le scelte presenti che influenzano il futuro»
«Ma il passato non lo puoi cambiare»
«È dal passato che impari per le scelte presenti, l'importante è non lasciarsi influenzare»
«E con questo? Hai segnato la tua morte»
Un sorriso triste si dipinse sul volto di Llath.
«Eppure a Sosayack tutti mi hanno detto che sarei stato io a ucciderti...»
«Conosco quella profezia. Quei simboli incisi sul tuo arco ne sono la prova. È il motto della regina, ciò che contraddistingue le cose a cui tiene di più»
«Perché, quindi, non hai paura?»
«Perché? È il ciclo della vita. Sono destinato a soccombere un giorno... – At’ust ghignò – ma non sarà oggi quel giorno». Gli puntò contro la spada, stringendo gli occhi fino a ridurli a sottili fessure.
«Avrei preferito mille volte non arrivare al punto da doverti sfidare, Llath, tienilo a mente. Ma soprattutto, non avrei mai dovuto affezionarmi a te a tal punto...»
«Maledico ogni momento il giorno in cui ho accettato di accompagnarti qua»
«Pensi sempre che non sarei sopravvissuto nemmeno un giorno nella valle?»
Llath scosse il capo.
«Non so che pensare di te adesso»
«Adesso basta parlare: sono volate fin troppe parole. È giunto il tempo di combattere. Ti darò la mia parola, principino. Sarà un combattimento leale: non mi trasformerò nel vento gelido. Ma tu dimmi... – si accarezzò il mento – Cos'è che ti ho portato via? Forse lo so, ma voglio sentirlo da te»
«Perché mi hai mentito così, Tasek? Perché?»
L'altro si fermò, voltandosi verso di lui.
«Non chiamarmi in quel modo. Io non sono lui»
Una lacrima rigò il viso di Llath mentre la mano stringeva l'arco.
«Per me lo sei»
«Non dirlo, non pensarlo neanche. Non potevo mostrarmi a te subito così. Eppure in quel modo ho ottenuto ciò che volevo...»
«Non mi hai risposto. Perché mi hai mentito?»
«Sei stato tu stesso a dirmi che la verità non bisogna presentarla su un piatto d'argento. Saresti mai venuto con me se ti avrei detto che avevo bisogno di far scorrere il tuo sangue su questi ghiacci per prendere il completo controllo su Sosayack?»
«No...»
«E se Zetyb non fosse arrivato, saresti già parte di me» concluse, accarezzandogli il collo con la spada.
Llath rabbrividì quando il freddo metallo toccò la pelle.
«Non implori pietà?»
«Dovrei?»
«Forse sì... – lo colpì lievemente sul braccio, stracciando il tessuto e bagnando leggermente la lama di sangue – Ma sta a te deciderlo... E poi, con quell'arco non andrai tanto lontano...»
 
«Ancora non ti arrendi?»
At'ust inclinò la spada, lasciando che il sangue di cui era intrisa colasse verso il ghiaccio, colorandolo di rosso. Fin da subito, aveva avuto un notevole vantaggio sul giovane, riuscendo a ferirlo varie volte, anche piuttosto gravemente.
Guardò il giovane che si reggeva a fatica in piedi, deciso a non lasciare l'arco che stringeva con tutte le poche forze rimastigli.
Llath crollò in ginocchio, poggiando le mani in terra per sostenersi.
«Hai segnato la tua resa quindi...»
At'ust passò un dito sulla lama della spada e, ghignando, gli si avvicinò lentamente. I suoi passi risuonavano nel silenzio, intervallato ogni tanto dal respiro affannato del giovane.
Llath guardò l'ultima freccia rimastagli dopo quello scontro che aveva visto vincitore At'ust fin dal primo momento.
Se la rigirò tra le dita, convincendosi del fatto che, vista la situazione, ormai valeva tentare un'ultima volta.
«Che vuoi fare, principino mio? – gli chiese At'ust osservando le sue mosse – Hai solo un'ultima freccia... Scoccala pure, andrà a vuoto come tutte le altre»
Gli mise la lama della spada sotto il mento, costringendolo ad alzare il viso.
«Perché non vuoi arrenderti? Guardati. Non ti reggi in piedi dalle ferite. Mettila in terra quella freccia, su, da bravo»
Llath la strinse nel pugno, abbassando poi lo sguardo e facendo come l'altro aveva detto.
«Contento adesso?» gli chiese asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
«Molto»
At'ust gli accarezzò i capelli, abbassandosi alla sua altezza e appoggiando la propria fronte su quella del giovane.
«Potevi evitare tutto questo, sai?»
«Non mi interessa»
«Non ti curi nemmeno della tua vita?»
«No. Volevo solo fartela pagare per esserti preso il mio cuore»
«Che idiozia. Rischiare la vita per così poco» gli disse allontanandosi leggermente e voltandogli le spalle. Llath allungò titubante una mano verso la freccia, per poi afferrarla deciso.
Incoccò l'arco e la scagliò senza pensarci troppo contro At'ust.
Quello, presto alla sprovvista, portò una mano sulla punta che aveva trapassato il suo corpo prima di cadere a terra con un rantolo sorto.
Llath si alzò in piedi a fatica, trascinandosi verso di lui, cercando di non pensare al dolore causatogli dalle ferite.
Si lasciò cadere in ginocchio accanto al corpo sempre più freddo di At'ust, lasciando che le lacrime gli scorressero  lungo le guance.
«Perdonami...»
Lo strinse a sé, incapace di fermare le lacrime.
Il silenzio ormai padrone assoluto della distesa ghiacciata era interrotto dai singhiozzi di Llath, pentitosi subito di aver scagliato quella freccia.
Rimase a lungo a piangere, versando tutte le lacrime che poteva finché non sentì una mano stringere la sua.
Alzò leggermente la testa, confuso da quel gesto. Incrociò lo sguardo dell'altro, notando che gli stava sorridendo dolcemente.
«Ma cosa...»
«Non ti libererai facilmente di me, te l'ho detto. Perdonami, non avrei dovuto feriti così»
«È tutto apposto... Sto bene...»
«Non mentirmi Llath. So bene cosa ti ho fatto»
«Perché mi hai mentito così?»
«Lyedel non te l'ha spiegato? Avevo bisogno del tuo sangue per riuscire a conquistare definitivamente Sosayack. Ma Lyedel riuscì a ingannarmi dopo il conflitto con Elm'iaend. Ti ho cercato per tutti questi anni e quando ti ho trovato, non potevo fare altro se non ingannarti. Non saresti mai venuto né avresti accettato la verità sul tuo passato se l'avessi saputo subito»
«Tuiz mi aveva avvertito... Dopo che te ne sei andato a dormire alla locanda, venne da me. Mi disse che presso quella battaglia di cui avevi parlato non aveva visto coinvolto Elm'iaend, quanto l'impero di Kidir. E soprattutto non gli risultava che qualche generale si chiamasse Tasek. Ma io non gli diedi retta, pur sapendo che gli osti hanno le orecchie lunghe e spesso non sbagliano nelle loro intuizioni»
At’ust si mise a sedere, stringendo tra le braccia il giovane.
«Eelda aveva l'ordine di proteggerti. Ha fatto il suo dovere...»
«Lo so... Sono cresciuto tra menzogne...»
«Ma la gente aveva visto ciò che sei veramente. Cosa intendi fare adesso?»
«Non lo so»
«Le tue scelte condizioneranno il futuro di Sosayack»
«Siamo legati, adesso vero?»
«Già... Sei anche l'unico che possa riuscire a salvarmi»
«Che vuoi dire?»
«Sono riuscito a staccarmi da Lyedel grazie al sangue dei guerrieri di Elm'iaend, ma grazie al sangue di uno dei suoi discendenti sarei riuscito a ritornare da lei, senza dover richiedere ancora il sacrificio di uno degli abitanti di Sosayack. Non posso far altro che ringraziarti»
Sorrisero entrambi e Llath appoggiò la testa sulla sua spalla, iniziando a giocare con una ciocca di capelli dell'altro.
«I tuoi capelli sono sia bianchi sia marroni... Hai in te la doppia anima con cui ti sei presentato a me, vero?»
«Ho sbagliato a ritenerti un ingenuo all'inizio... È così. Nessuna delle due prenderà il sopravvento finché sarai accanto a me»
«Come devo chiamarti?»
«Come vuoi tu»
Rimasero in silenzio a lungo, mentre il vento ululava sulla pianura, spettinando i capelli a entrambi.
«Llath... È vero?»
«Cosa?»
«Il fatto che ti abbia rubato il cuore...»
«Già... Lo è. Lyedel ha tentato di dissuadermi, temeva per la mia vita. Mi ha detto tutto ma non ho ascoltato nemmeno lei»
«Sei tanto testardo... Ma è così che sei riuscito a vincermi»
Llath gli baciò dolcemente una guancia, facendo arrossire l'altro che lo strinse ancora di più a sé.
«Mi hai fatto capire una cosa, sai Llath?»
«Seriamente?»
«Già... Ho sempre sbagliato a ritenere di aver bisogno del sangue altrui quando mi sarebbe bastato l'affetto di qualcuno. Sei l'unico che ha dimostrato di tenere un minimo a me durante questi giorni. Nessuno l'aveva mai fatto».
Gli scostò una ciocca di capelli dal viso, sorridendogli dolcemente quando vide che si era addormentato, sfinito dal lungo combattimento.
«Ti porto da Lyedel, saprà curarti più di quanto possa fare io...» disse fra sé At’ust, osservando la pozza scarlatta che contrastava nettamente con il candore del ghiaccio.
 
«Maestà! Calmatevi vi prego!»Zetyb implorava la regina che, in preda all’ansia camminava nervosamente nella sala, stringendo il bastone in una mano, pronta a scagliare qualche incantesimo verso il primo che le capitasse a tiro.
«Non posso, Zetyb. Mio figlio, nelle mani di quel mostro. Temo per la sua vita: At’ust è forte, troppo forte. Si è liberato dal mio controllo, lo sai benissimo. E Llath…» urlò lei, quasi fuori di sé, voltandosi verso l’uomo e puntandogli addosso gli occhi.
«È stato allevato da Eelda, non temete. Non si arrenderà facilmente» le disse l’uomo sorridendo.
«Spero tu abbia ragione, Zetyb. Va’ adesso. Elm’iaend è alle porte della città, schiera l’esercito. Affido a te il destino di tutti noi».
Zetyb si inchinò, uscendo poi dalla sala e lasciando Lyedel sola con le sue paure e angosce. La regina si lasciò cadere sul trono: la gemma incastonata sul bastone brillava, illuminando d’azzurro la sala.
«Non puoi essere morto, figlio mio» mormorò tra sé guardando fuori dalla finestra.
«Non lo è, infatti. Ma ha bisogno del tuo aiuto, per evitare che ciò accada»
Lyedel sobbalzò, voltandosi a quelle parole: davanti a lei c’era At’ust che teneva in braccio Llath, profondamente addormentato.
«Cosa gli hai fatto?» gli chiese preoccupata con un filo di voce.
«Lo ammetto, ho esagerato. Perdonami, Lyedel, so che non sarà facile per te ma lui è riuscito a cambiarmi. Fa in modo che riesca a mantenere la situazione così com’è. Cambierebbero molte cose, anche Sosayack Abbi cura di mio figlio»
«Sai bene che Sosayack è costellata di profezie: mio figlio, tu, io stessa abbiamo un compito da adempire. Il mio tempo è scaduto, lo so. Nella tua ira, quel giorno, mi legasti al destino della città. O io, o loro. È giunto il tempo della scelta ma non sarà Sosayack a cadere. Nessun uomo che venga dalle terre al di là di Ight-ia può salire su questo trono. È giunto il momento che offra in voto la mia vita» gli disse guardandolo negli occhi e At’ust annuì, pentendosi di aver legato con un nodo indissolubile la vita della regina alla sopravvivenza di Sosayack e, mentre Lyedel prendeva il figlio tra le braccia, strinse l’arco del giovane in una mano, lasciando che una lacrima scendesse lungo il suo volto.
Lyedel, dopo averlo disteso a terra delicatamente, toccò il petto del giovane con la gemma incastonata sul bastone, mormorando frasi in un’antica lingua.
«Starà bene. Stagli vicino, ti prego. Sosayack ha bisogno di me come di voi. Fa’ in modo che possa combattere presto al mio… al nostro fianco»
Abbi cura di mio figlio»Come volete, maestà»
Lyedel annuì, accarezzò i capelli del giovane
«Abbi cura di mio figlio» gli disse prima di uscire, dirigendosi a passo svelto verso le mura della città.
At’ust gli si avvicinò e gli si sedette accanto, stringendogli una mano che poi si portò alla bocca, baciandola dolcemente.
Sentì il giovane ricambiare debolmente la stretta, mentre lo guardava confuso.
«Buongiorno, Llath»
«Cos’è successo? Perché siamo a Sosayack? Non eravamo…»
«Sta tranquillo. È tutto apposto ora. L’importante è che le tue ferite siano guarite: tua madre è una grande guaritrice – At’ust sorrise – non devi preoccuparti. Riuscirai a combattere». Lo aiutò ad alzarsi ma Llath perse l’equilibrio, finendo così addosso all’altro che lo abbracciò stretto, onde evitare che cadessero entrambi.
Si guardarono negli occhi e l’uomo, dopo avergli sorriso dolcemente, gli prese il viso tra le mani, chinandosi a baciarlo.
«Combatterò al tuo fianco fino alla morte, principe»
«Elm’iaend ci sta aspettando, vero?»
«Già… sicuro di voler combattere?»
«Sì. Devo difendere la mia città. L’hai detto tu stesso che non ci saranno problemi, no?»
At’ust sorrise, pensando a quanto fosse testardo ma sempre deciso a fare la scelta migliore.
«Non sarò io a impedirtelo. Tieni» gli disse porgendogli l’arco. «È ora che Sosayack conosca una rinascita. E tu sei l’unico che può riuscirci. Io ho fiducia in te, Llath»
Il giovane gli sorrise e lo abbracciò teneramente, affondando la testa nella sua maglia.
«Che ti prende?»
«Non voglio perderti… non adesso»
«Non mi perderai – gli rispose baciandogli la fronte – avremo tutto il tempo per noi ma adesso dobbiamo andare. La battagli decisiva è imminente»
Llath annuì mentre il sorriso lasciava il posto a uno sguardo che faceva trasparire tutta la sua determinazione.
 
 
Narra la leggenda che l'esercito di Elm'iaend, seppur numeroso, fu sconfitto nuovamente.
La credenza popolare che nessun uomo che abitasse al di là dei confini più remoti di Ight-ia potesse regnare su Sosayack trovò conferma nella freccia che colpì Elm'iaend al cuore, facendolo cadere su quelle terre inospitali. Terre che, dopo anni, videro sbocciare un piccolo bocciolo, nutrito da quell'amore che univa il nuovo sovrano e il protettore di quelle terre nuovamente fiorenti.
 

   
 
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