Serie TV > Violetta
Segui la storia  |       
Autore: chicca2501    15/03/2015    1 recensioni
Paring: Leonetta, Diecesca, Naxi e Fedemilla.
Dal testo: "Era una brutta giornata, brutta ma adatta a quello che stava per accadere. Le nuvole grigie nascondevano il cielo e il sole, mentre le tenebre stavano cominciando a invadere la pianura ghiacciata.
Tra gli spuntoni di roccia calcarea e di detriti inumiditi dal ghiaccio, la folla si stava accalcando verso un piccolo palchetto di legno fatto alla bell’e meglio che si reggeva a stento.
Sopra quella piattaforma c’era una ragazza slanciata, dal fisico magro e dai capelli lunghi e rossi e con gli occhi castani, i quali scrutavano tutte quelle persone ammassate lì solo per vedere lei, la grande Camilla Torres. "
Un'isola perduta in un mondo caratterizzato da guerre e carestie.
Un popolo magico in attesa di essere liberato.
Un capo dei ribelli pronto a tutto.
Quattro ragazzi diversi, ma uniti da un grande potere.
Amori che superano ogni confine del tempo e dello spazio.
I quattro elementi faranno tremare il suolo.
Acqua, fuoco, terra e aria si dovran temere!
C'è una terra da salvare,
Una battaglia da affrontare.
And I'LL WIN!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~11

L'avventura è appena iniziata

Dovette trasportare il corpo per diversi chilometri prima di giungere alla meta; davanti a lui si estendeva l’accampamento, un insieme di tende nere come il petrolio, su ognuna delle quali sventolava una bandiera con lo stemma della fiamma nera.
Sorrise: quanto tempo era passato dall’ultima volta che era stato lì, a combattere.
Si avvicinò con passo felpato all’ingresso, davanti al quale due guardie facevano la guardi; appena lo videro, bloccarono il passaggio, così lui abbassò il cappuccio che gli nascondeva completamente il volto: a quella visione, i soldati si ritrassero, spaventati, e lo lasciarono passare.
Mentre attraversava l’accampamento, si ritrovò a pensare che, nonostante fosse stato via per molto tempo, incuteva ancora timore negli altri.
Alla fine, arrivò: era una tenda come le altre, nera e con la bandiera in cima, ma era il contenuto che gli interessava, non l’aspetto.
La prima cosa che vide quando fece il suo ingresso fu un focolare: al centro dello spiazzo, infatti, troneggiava un mucchio di legna sulle quali danzava un fuocherello. Sopra di esso c’era una piccola pentola in metallo, dalla quale partiva una colonna di fumo grigio e denso.
Solo dopo notò una figura seduta in un angolo su uno sgabello di legno; essa, a sua volta alzò lo sguardo e appena lo vide sorrise, i denti bianchi che rilucevano nella penombra.
Si sollevò egli andò incontro, abbracciandolo. Il ragazzo rispose alla sua stretta, appoggiando il capo sulla spalla dell’altro, cercando di trattenere le lacrime.
-Finalmente sei qui. – mormorò quest’ultimo, attirandolo ancora di più a se. Il più piccolo sospirò; quanto gli erano mancati i suoi abbracci, anche adesso che non era più un bambino, li adorava.
- Già, sono qui – ripeté, con una punta di malinconia involontaria nella voce.
Infatti, l’uomo non tardò ad accorgersene. – Che cos’hai? – chiese infatti, sciogliendo la presa e guardando l’altro negli occhi. Il ragazzo sorrise: lui capiva sempre i suoi stati d’animo.
- Devo ancora finire il lavoro. – ammise, indicando il corpo dentro il sacco nero. – Non è ancora finita. – sospirò, rendendosi conto del peso che avevano per lui quelle quattro parole.
- Andrà tutto bene. – tentò di consolarlo l’uomo, stringendogli una spalla con la mano.
- E se fallisco? Se qualcosa va storto? – i dubbi che lo avevano attanagliato per anni e che aveva cercato di soffocare, ora stavano riaffiorando, mettendolo in crisi. In più, c’erano altri fattori che complicavano la situazione, già di per sé burrascosa.
- Perché dovresti fallire? – bella domanda. Non sapeva perché, ma aveva l’impressione che quella storia non sarebbe finita bene. Non credeva più nella missione come un tempo, il suo obbiettivo si stava spostando.
L’unica cosa che lo teneva legato a quell’impresa era lui, l’uomo che aveva davanti, colui per cui aveva lottato già da prima che tutto iniziasse e sapeva che lo avrebbe fatto fino alla fine.
- Non lo so, ho questa sensazione. Io non… - la frase venne troncata all’improvviso da un mugolio sommesso proveniente dal sacco nero.
- Devo andare – ammise il ragazzo – Devo finire il lavoro. –
- Ci rivedremo presto. – lo rassicurò l’altro. Un ultimo forte abbraccio, poi si separarono.

- Cosa succede? – domandò Camilla, dopo qualche istante.
- Ho scoperto qualcosa sull’identità dei nemici. - Federico disse quelle parole tremando, fremeva dalla voglia di togliersi quel peso dallo stomaco.
- In che senso? – ora la voce della rossa era carica di un interesse che prima non aveva.
- Hai presente l’attacco di oggi? – l’altra annuì – Bene, ho tolto con un colpo di spada l’elmo dalla testa di uno dei soldati e… - il ragazzo trattenne un conato di vomito.
- Cosa, Federico? Cosa? – lo spronò ad andare avanti il capo dei ribelli, guardandolo con curiosità mista ad una paura repressa. L’italiano sapeva perfettamente come si doveva sentire, era quello che aveva provato lui poco prima di compiere il gesto.
Prese un respiro profondo: - Non avevano gli occhi. – mormorò, e fu come se il cuore si alleggerisse, come se un macigno che gravava da un po’ di tempo su di esso fosse rotolato via, spinto da quelle poche parole.
Sollevò lo sguardo, e vide una Camilla che lo fissava con le sopracciglia aggrottate.
- In che senso non avevano gli occhi? – chiese, avvicinandosi un poco al ragazzo.
- Le orbite erano vuote, vuote come due pozzi senza fine. – un brivido percorse la schiena di entrambi. – Sai di cosa si tratta? – domandò, notando che la rossa aveva avuto la stessa sua reazione.
La ragazza attraversò a grandi passi la stanza, come se non avesse sentito le sue parole, e si accovacciò di fronte a un grosso baule. Ci frugò dentro per qualche secondo, prima di alzarsi e ritornare vicino a Federico. In mano aveva un foglio di carta ingiallito.
- Si, so di cosa parli. – rispose, fissandolo negli occhi – Quando mio padre era ancora in vita, mi aveva parlato di un sortilegio oscuro utilizzato dai Sarchatan. Neanche lui sapeva bene di cosa si trattasse, ma mi ha detto quali erano le conseguenze, e io le ho disegnate. – detto questo mostrò il pezzo di carta al ragazzo: sopra vi era disegnata, in bianco e nero, un uomo sul cui viso facevano la loro comparsa due orbite vuote, nere come il petrolio.
Federico deglutì rumorosamente davanti a quella rappresentazione così artistica e elaborata, ma così terribile e dannatamente vera.
- Cosa dobbiamo fare. – la sua voce, stranamente, non si incrinò.
- Quello che avevo già intenzione di fare: ce ne andremo, adesso ne sono sicura più che mai. – ribatté Camilla, stringendo nel pugno il foglio sempre più stropicciato.
- Ma Leon non… - tentò di dire l’italiano, ma venne repentinamente fermato dal capo, il quale, con voce dura, disse: - Non mi importa di quello che vuole fare Leon. Che si arrangi. Sono io il capo, e spetta a me decidere. Ora va a dormire. Domani partiremo, con o senza l’approvazione del mio vice. –
A quel punto, Federico dovette andare, lasciando da sola la rossa. 

Leon girovagava per l’accampamento, la testa china, immerso nei suoi pensieri. Il vento gli scompigliava i corti capelli castani pettinati in un ciuffo all’insù e animava il suo mantello color rosso sangue, dandogli l’aria di un’anima in pena in cerca di realizzazione.
Era combattuto, dentro di lui si stava svolgendo un lungo dibattito che vedeva impegnati in un’accesa discussione il cuore e la testa: il primo gli consigliava di seguire il consiglio di Violetta e gettarsi a capofitto in questa nuova avventura, ma la seconda non era d’accordo, poiché non faceva che ripetergli di restare e di non farsi accecare dai sentimenti, di pensare razionalmente.
Questa guerra stava avendo luogo dalla fine della chiacchierata con la ragazza, la quale era poi rientrata nella sua tenda. Alla fine, vinse il cuore. Si, doveva rischiare, lo doveva a Camilla, alla sua comunità e a Violetta.
Decise di andare subito dalla rossa a comunicargli la bella notizia, così incominciò ad avviarsi, pervaso da un forte senso di euforia. Non corse, però, voleva pregustarsi quegli attimi di intensa forza, accentuata dalla fresca aria di una notte estiva.
Ma, durante il percorso, notò uno strano movimento in una tenda vicino a lui, un piccolo spostamento d’aria che lo fece voltare di scatto; la sua preoccupazione venne amplificata dal fatto che era quella di Violetta.
Sguainò immediatamente la spada, pronto a difendere se stesso e l’amica in caso di attacco, ed entrò nella tenda. Ma, all’interno, sembrava tutto tranquillo: la ragazza dormiva profondamente sulla branda, raggomitolata in posizione fetale, quasi per proteggersi da pericoli immaginari, il viso rivolto verso Leon, il quale la fissava incantato. Violetta era meravigliosa anche immersa nel mondo dei sogni. All’improvviso, risentì quello spostamento d’aria che anche prima lo aveva fatto sobbalzare e, prima che se ne potesse accorgere, era a faccia a faccia con Diego, anche lui con la spada sguainata.
- Che cosa ci fai qui? – dissero all’unisono, zittendosi immediatamente appena la ragazza addormentata emise un grugnito e sospirarono di sollievo quando quest’ultima si girò dall’altra parte.
- Vieni, usciamo. – sussurrò Diego, trascinando l’altro fuori dalla tenda.
- Ora mi vuoi dire che cosa ci fai qui? – domandò con fare iroso una volta fuori.
- Non sono tenuto a risponderti. – ribatté Leon, guardandolo male.
- Guarda che potrei denunciarti a Camilla per ingresso in uno degli alloggi dei Quattro con una spada sguainata e senza un alibi, mezzosangue. – sibilò lo spagnolo a denti stretti.
- Ho sentito dei rumori provenienti dalla tenda e sono andato a controllare. Tu, piuttosto, che combinavi? – ammise il mezzo satiro.
- Lo stesso. – rispose l’altro con noncuranza, ricevendosi un’occhiata indagatrice da parte dell’altro, il quale fece comunque finta di niente e disse: - Bene, ora vado. Ciao. –
Fece per dileguarsi, ma Diego lo fermò: - Ti devo parlare. –
Vargas si voltò, stupito: - E di cosa, sentiamo? –
- Di Violetta. – la risposta sconcertò alquanto l’altro ragazzo, che non se lo aspettava di certo.
- Di Violetta? –
- Si, di Violetta. Non voglio che tu le stia intorno. – quell’ordine così secco e veloce, come se fosse rivolto ad un servo invece che ad un suo pari, ebbe l’effetto di far infuriare Leon.
- E perché non dovrei, scusa? – sibilò a denti stretti – Per caso ti sei invaghito di lei e vuoi utilizzarla per le tue avventure di una notte? – l’idea della ragazza sola con quel bastardo sciupa femmine lo fece schiumare di rabbia.
- No, mai. – si difese prontamente Diego, accompagnando la frase con una smorfia
- Vilu è la mia migliore amica, non farei mai una cosa del genere. –
- E allora di cosa si tratta? – sbuffò Vargas, sollevato da quella risposta.
- Sai, tu sei un mezzosangue. – incominciò Casal – e Violetta di sicuro non merita di avere vicino un bastardello. –
- Siamo solo amici, non vedo cosa ci sia di male. C’è gente che è amico delle fate. – ribatté l’altro, mentre la rabbia cresceva.
- Oh, no, Vargas, no. Voi due non siete solo amici. Non vedi come ti guarda, come ti sorride? – il mezzo satiro scosse la testa.
- Sei un cieco, allora. Lei è innamorata di te, mezzosangue, e tu di lei e non posso permettere che questa storia continui, ne vale della reputazione di Violetta. Pensaci bene. – detto questo, girò i tacchi e se ne andò, lasciando Leon con mille dubbi in testa.

Ludmilla si svegliò, colpita da uno spiraglio di luce che faceva capolino dall’entrata della tenda. Si voltò su un fianco e sorrise quando vide che Federico era ancora lì. Ormai stavano dormendo quasi ogni notte insieme, con lui che la abbracciava e la consolava e lei che si perdeva nel tepore di quelle strette.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma cominciava a intuire che qualcosa tra loro stava cambiando: prima lo guardava con disprezzo, mentre ora, ogni volta che se lo ritrovava di fronte, non poteva fare a meno di pensare quanto fosse non solo bello, ma anche dolce, gentile e astuto.
Gli passò delicatamente una mano sulla guancia del moro e sussurrò: - Grazie. –
A sorpresa l’italiano aprì gli occhi e ammiccò: - E di che? – la bionda non poté trattenere un risolino divertito e si avvicinò a lui, posando il capo sulla sua spalla destra.
- Di essere stato qui con me anche stanotte. – disse, accoccolandosi più vicina.
Il ragazzo la circondò con le braccia, affondando il viso nei suoi capelli color dell’oro, così lucenti e profumati.
- Di niente. – sussurrò contro il suo capo – Purtroppo adesso dobbiamo alzarci. Ci aspetta una lunga giornata.
Entrambi scivolarono fuori dalle coperte con una certa svogliatezza. La ragazza si sorprese ad ammirare il fisico perfetto del suo amico, che aveva superato già da tempo la fase di denutrizione di quando era all’orfanotrofio; adesso era si magro, ma muscoloso, senza esagerazioni però.
Distolse immediatamente lo sguardo, arrossendo. Non era abituata a simili emozioni e le accettava con riluttanza.
Federico si girò e le sorrise, un sorriso dolce, sincero che la fece sciogliere come neve al sole. – Bene. – disse il ragazzo, raccogliendo in un angolo due borsoni con i loro pochi averi – Andiamo. – porse il braccio alla ragazza e uscirono nella forte luce del mattino.

Un fischio risuonò nella pianura, facendo voltare tutti; Camilla, dall’alto di una roccia, la spada nel fodero e un grosso zaino in spalla, li aveva chiamati.
Sorrideva, ma sembrava un sorriso molto forzato, non vero; questo perché Leon non era ancora arrivato.
Nonostante quello che aveva detto la notte prima a Federico, ovvero che non le importava se Leon veniva o meno, sentiva che nel suo cuore si stava aprendo una voragine incolmabile: cosa avrebbe fatto senza di lui, senza il suo braccio destro, il suo migliore amico?
Sentiva le lacrime pungerle gli occhi insistentemente ma le ricacciò indietro, non poteva permettere che gli altri li vedessero. Ora aveva capito cosa aveva fatto: aveva richiamato i Quattro e dato una speranza ai vari popoli di Atlantide, ma a causa di quella scelta stava perdendo a poco a poco tutte le persone che amava e la fiducia dei ribelli.
Immersa in questi lugubri pensieri, iniziò a parlare, ma quello che diceva le sembrava vuoto, senza senso. La promessa di una nuova vita, la Fonte che ci salverà, i Quattro che sconfiggeranno i nemici… su cosa stava sproloquiando inutilmente.
Alla fine del suo discorso, tutti applaudirono, e, per una volta, sembravano soddisfatti: le fate volavano sbattendo le piccole ali in segno di gratitudine, gli elfi alzavano le braccia intonando inni, i nani e gli gnomi sbattevano le armi e gli uomini ridevano e applaudivano il loro capo.
Ma tutta quella felicità aveva un prezzo, e lo stava pagando solo lei. Prima di dare il via al viaggio lanciò un ultimo sguardo al territorio circostante per vedere se c’era traccia del suo amico, ma niente. Le sfuggì una lacrima. Aprì la bocca per iniziare ad impartire ordini, quando una voce risuonò: - Aspettate! – tutti si girarono verso la direzione da dove proveniva quel richiamo. Un ragazzo correva verso di loro, cercando di non cadere sotto il peso dei pezzi della tenda, del borsone e dello spadone che portava a tracolla.
La rossa sorrise: era lui. L’ultimo arrivato arrivò sotto la roccia sopra la quale stava la ragazza e chiese: - Cos’è, volevi partire senza di me, capo da strapazzo? Lasciarmi qui solo e sperduto in balia dei nemici? – il tono canzonatorio con cui lo disse fece ridacchiare Camilla.
- Perché dovrei lasciarti venire? – ribatté, per farlo un po’ rimanere sulle spine.
- Perché hai bisogno di me. – nelle sue parole non c’era traccia di sarcasmo, ma un sentimento puro, vero, sincero: l’amicizia.
Il capo dei ribelli lo guardò con dolcezza infinita, prima di dire: - Vieni qui, vice. Credo che avremo bisogno del tuo ausilio. –
Leon sorrise, poi con uno scatto e un balzo raggiunse Camilla sulla roccia.
Quest’ultima, infine, urlò: - In marcia! –
La vera avventura era appena iniziata.


Angolo dell’autrice: Ehilà, come va la vita? Finalmente scrivo con tranquillità, era da un po’ che non succedeva.
Avete visto, ho pubblicato dopo un tempo più o meno ragionevole(?) e sono molto felice *saltella tipo Heidi*
Comunque, in questo capitolo succedono varie cose: secondo voi chi è il ragazzo che è entrato nell’accampamento? Mistero, mistero (forse, dipende se riesco a nascondere bene la sua identità o meno XD). Poi Federico rivela a Camilla quello che ha scoperto e lei ne sa qualcosa…..
Sinceramente mi stavo per strozzare da sola quando ho scrittola parte di Leon e Diego, ma era necessaria, d’altronde senza complicazioni le storie non esisterebbero, no? ;)
Federico e Ludmilla sono molto cucciolosi, io amo quella coppia, ma per ora sono solo amici. Chissà, magari nascerà qualcosa.
Leon che ritorna da Cami, ullallà, cuoricini dappertutto, ma io non dormirei comunque sonni tranquilli *fa una faccia malvagia stupida*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, accetto anche critiche e consigli.
Un bacione da Chicca2501

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Violetta / Vai alla pagina dell'autore: chicca2501