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Autore: scanf98    15/03/2015    0 recensioni
Scheletri nell'armadio, verità nascoste e bugie. Quanto può essere pericolosa una vita così? A cosa può portare? Basta un errore, basta una parola di troppo e tutto può cadere. Rinnegare sé stessi, ma fino a che punto?
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Correva con i suoi Dr. Martens ai piedi, ormai tutti ricoperti di un terriccio fastidioso e umido, le sue calze nere erano segnate da lunghi strappi che lasciavano a malapena intravedere la sua pelle più bianca della neve e la sua gonna, che prima era perfettamente adagiata sulle sue gambe fine, si alzava ad ogni folata di vento. La borsa di pelle marrone che conteneva tutti i suoi testi scolastici, a ritmo con le sue gambe, si muoveva prima avanti e poi indietro senza mai fermarsi, cadendo a volte dalla sua spalla. Aveva appena iniziato a correre, ma sentiva già che il suo corpo, scarso di energie, faticava. Non aveva ancora cenato quella sera e la mattina aveva dimenticato il pranzo a casa, sbadatamente. Poteva già udire il rumore del suo respiro pesante e del cuore che, accelerato, le rimbombava nelle orecchie.
Sentiva che qualcuno era dietro di lei, che quel qualcuno la stava inseguendo, che voleva lei.
Doveva correre più velocemente, ma le calze, la borsa, i capelli castani sciolti e lunghissimi che le oscuravano la vista e i libri tra le braccia che non ci stavano più tra gli altri, glielo impedivano. Fu per questo, che senza pensarci una seconda volta, fece volare tutto in mezzo ad un’aiuola così da poter avere le mani libere. Prese velocemente l’elastico che stringeva il suo esile polso, si arrotolò i capelli nella testa e li fermò con esso. Infine con molto sforzo, riuscì a voltarsi e a vedere che, effettivamente, due uomini irriconoscibili la stavano inseguendo velocemente.
Sentiva che ben presto l’avrebbero raggiunta, infatti, quella sicurezza che sentiva dentro di sé allontanava tutto il coraggio che solitamente aveva, lasciandola pervadere dalla paura.
Ma doveva almeno provarci, anche se sarebbe stato inutile, anche se senza ombra di dubbio sarebbero arrivati, doveva combattere.
Erano più veloci di lei, certo, il suo corpo esile e minuto le remava contro in più la paura sembrava bloccarle ogni singolo muscolo. Doveva trovare un modo per vincerli. Il suo corpo non sarà stato molto atletico ma la sua capacità di pensare e agire velocemente le permise, nonostante la pressione della situazione, di trovare tutte le scorciatoie più buie del paese. Infondo, conosceva quel posto meglio di chiunque altro avendo vissuto 17 anni della sua vita li.
Erano quasi le otto e trenta della sera, nessuno a quell’ora era più fuori casa, nessuno poteva quindi correre in suo aiuto.
Dalla strada principale del paese, svoltò in una piccola via senza lampioni e senza anima viva, voleva avvicinarsi alla stazione della polizia, ma era difficile rispetto la posizione in cui si trovava. Ormai affannata e molto stanca, girò di nuovo l’angolo e per la tensione perse l’orientamento. Non sapeva più quale strada stesse percorrendo, così scelse di prenderne alcune a caso senza tenere conto di dove si stesse dirigendo. Osservava e sceglieva la strada meno illuminata, dove sarebbe potuta passare più inosservata.
Il respiro si faceva sempre più affannoso, iniziava a sentire il freddo delle sere d’inverno penetrarle le ossa, sentiva le gambe tremare e sapeva che se avesse continuato a correre sarebbero cedute. Non riusciva più a pensare lucidamente. Si voltò per vedere a che punto fossero i suoi inseguitori, ma appena vide che erano terribilmente vicini, non trovò più ossigeno, come se le sue vie respiratorie fossero ostruite o come se si trovasse in un pianeta senza gravità. Non sapeva più che fare.
Avrebbe voluto arrendersi ma le piaceva lottare fino all’ultimo. Poi, però, iniziò a chiedersi che senso avesse continuare a scappare quando oramai era palesemente fregata.
Ebbe un lieve capogiro, la vista le si annebbiò e diminuì la sua velocità. Stava per lasciarsi andare ma pochi secondi dopo, con sua sorpresa, si riprese. Metteva i piedi, velocemente, uno davanti all’altro, i suoi respiri erano diventati più profondi e contenuti. L’affanno diminuì fino a permetterle di aumentare notevolmente la velocità. Era ben consapevole, però, che quella era l’ultima scarica di adrenalina prima che il suo corpo collassasse per terra stremato e privo di forze. Così, infatti, fu.
Ora i capogiri si presentavano molto più frequentemente ma soprattutto erano duraturi. La vista era per la maggior parte offuscata mentre il suo respiro era così veloce da sentirsi a malapena.
Con la paura che pervadeva la sua mente, aveva dimenticato di cambiare strada ma continuò a correre lo stesso. Le sarebbe piaciuto sapere dove si trovasse, o forse lo sapeva, solamente era troppo spaventata per ricordarlo. Sentiva di non potercela fare più, sarebbe ceduta presto, era questione di secondi.
Qualcosa, violentemente e inaspettatamente, le toccò la vita. Sapeva che l’avevano raggiunta, si stava per arrendere. Era l’unica cosa che, a quel punto, poteva fare. Le sue gambe però continuavano a correre, era stremata, non sentiva più la parte inferiore del suo corpo. Ora la sua fronte era velata da un sottile e impercettibile strato di sudore più freddo della sua temperatura corporea mentre l’umidità le bagnava i ciuffi di capelli che, ribelli, erano usciti dall’elastico.
Correva da ormai dieci minuti, ed erano davvero troppi per lei. Svoltò ancora alla sua sinistra, di colpo, dopo che il contatto con lo sconosciuto la riportò alla realtà.
Era buio, non distingueva più le case in lontananza, sembravano tutte un grande ed unico edificio. Non c’erano lampioni e i suoi occhi non riuscivano ad adattarsi, correva poggiando i piedi svogliatamente dove le capitava, e la sua corsa, che inizialmente era sostenuta da una certa eleganza, ora era scoordinata e anche molto lenta.
Rallentava, passo dopo passo, il rumore delle sue scarpe nell’asfalto diventava sempre più lieve. Per un istante, senza rendersene conto, camminò. Pensava a come sarebbe andata, se fosse mai tornata a casa davanti al caminetto che tanto amava a guardare la legna bruciare, lentamente. Le avrebbero fatto del male?
La radice di un albero troppo sporgente, che malamente anni prima aveva rotto l’asfalto crescendo, la fece inciampare. Un urlo acuto le uscì dalla gola, si sorprese di avere ancora le forze per urlare così forte, e poi chiudendosi la bocca con una mano lo represse. Il ginocchio sinistro le bruciava, sentiva il sangue caldo che, piano piano, colava dalla sua gamba. Aveva strappato le calze ancora di più. Con la mano che prima aveva sopra le sue labbra cercò ci coprirsi la ferita, faceva dannatamente male. Appena tolse la mano, realizzò di essersi sbucciata anche il palmo, lo strofinò così nella gonna sentendo poi una fitta insopportabile al polso.
Lo tastò velocemente e, grazie alla sua passione innata per la medicina, capì che non era rotto ma solamente slogato.
Facendo pressione sulla gamba sana, si alzò mentre con lo sguardo cercava i due uomini dietro di lei. Provò un indescrivibile sollievo appena si rese conto che era sola. Doveva però crearsi un vantaggio, quindi, senza forze e con il respiro affannoso ricominciò a correre, durò però solo pochi secondi prima di cadere pesantemente a terra. L’impatto fu violento, la testa rimbalzò come un pallone al suolo facendola gemere per il dolore. Solo dopo essersi stesa supina sopra l’asfalto freddo, realizzò che non era caduta da sola ma che qualcuno l’aveva spinta.
Aveva perso. Era finita.
Aveva paura di aprire gli occhi e di quello che avrebbe visto. Aveva così tanta paura che non riusciva più a muovere nemmeno un muscolo. Ma una luce puntata nel suo viso, e delle mani che la strattonavano pesantemente, la obbligarono ad aprirli.
La testa le girava ancora per lo sforzo, il suo respiro era accelerato così come il suo polso. Non distingueva le figure ma sentiva che quattro mani la stavano tenendo.
Poteva sentire i loro respiri pesanti e caldi rispetto all’aria della sera, li sentiva terribilmente vicini, come se soffiassero sul suo collo. Involontariamente ogni parte di lei tremava ma non sapeva se era per il freddo o per la paura. Poco dopo mentre qualcuno la stava alzando, lei appoggiò le sue mani bianchissime lungo la sua gamba li dove le calze si erano strappate per la caduta e, dopo un brivido che corse lungo la schiena, capì che erano freddissime, quasi insensibili.
Non riusciva a distinguere le sensazioni che provava, era tutta intorpidita, sapeva soltanto di essere in piedi perché uno dei due uomini che precedentemente la inseguiva ora la teneva. Un braccio attorno alla sua vita, e uno sopra la sua spalla. Ora non pensava più, aveva solo paura.
Teneva gli occhi socchiusi perché se li avesse aperti avrebbe visto solamente il buio e avrebbe provato il senso di nausea più forte del mondo. Talvolta, molto lentamente, cercava di aprire le palpebre per provare a distinguere le due figure ma, stanca, le richiudeva subito. Nonostante la paura lei voleva sapere chi fossero ma soprattutto voleva sapere cosa volevano da lei.
Sapeva che stavano parlando tra loro, ma perché non riusciva a sentire? Tutto ciò che poteva udire erano dei suoni lamentosi, nessuna parola, nessun discorso.
Era incredibile come poco più di dieci minuti di corsa l’avessero stancata così tanto. Non aveva mangiato certo, e forse la pressione della situazione e la paura avevano contribuito a portarla in quello stato.
Non si reggeva in piedi, cercava disperatamente di dimenarsi, credeva di poterlo fare, ma poi apriva gli occhi e si rendeva conto di essere esattamente immobile.
La luce colpì i suoi occhi ancora, sebbene fossero socchiusi, pensò che doveva essere quella di prima. La infastidiva parecchio ma, come se fosse bloccata, non riusciva a muovere un muscolo. La luce sparì.
Ora si stava muovendo, o meglio, la stavano movendo. La stavano trascinando senza alcuna delicatezza fino a che non si fermarono e sentì la sua schiena ossuta poggiare su un superficie ruvida, umida e fredda. Pensò di essere seduta contro un albero.
La luce era tornata di nuovo ad infastidire i suoi occhi. La testa aveva cominciato a pulsare e a farle male, forse per la caduta di prima, doveva essere ferita. Le braccia erano adagiate, senza forze, al suolo mentre le gambe erano avvolte dal fastidioso formicolio che il sangue troppo fermo provoca. Facevano male.
Le stavano parlando ma lei non capiva, non poteva rispondere.
Aveva freddo, desiderava una coperta calda e il suo letto, voleva dormire e non avere più paura.
Stava pensando di lasciarsi andare, di non pensare più e di non temere più quello che sarebbe successo. Così, un po’ alla volta, si sentiva più leggera non sentiva più il dolore delle ferite e le pulsazioni alla testa diminuivano. Il battito del suo cuore era l’unica cosa che arrivò a percepire.
Era calma, adesso. Calma fino a che una mano non colpì violentemente la sua guancia facendola spostare da ciò che la sosteneva. Il dolore fu inevitabile, così come il piccolo urlo che uscì dalla sua bocca.
Per un attimo, con suo stupore, distinse chiaramente ogni cosa che la circondava. Tutto era chiaro, nitido.
Ma fu solo per un secondo, prima di entrare nuovamente nel buio e di non sentire più nulla.
Era svenuta. 
   
 
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