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Autore: bacionero    16/03/2015    4 recensioni
Candice si ritrova ad abitare nuovamente a villa Andrew. E' lontana da anni dal suo Terry ma qualcosa potrebbe riavvicinarli...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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William le aveva appena porto la stampella quando giunse leggero in quella stanza  un birichino refolo di vento freddo   a spegnere il camino.

Nell’oscurità più toltale, Albert e Susanna rimasero stretti e vicini: la ragazza, infatti, si appoggiava lieve con le mani sulle spalle dell’uomo, tanto vicina da poter sentire il suo alito che sapeva del whisky appena bevuto e Albert, preoccupato che la  sua ospite potesse cadere, la sorreggeva, tenendola ancora più stretta. Nell’imbarazzo che seguì era essenziale che uno dei due prendesse la parola, e Susanna, oramai abituata alla prontezza di Albert, lasciò che fosse suo l’ingrato compito di alleggerire la situazione.

-Temo sia giunto il momento che il padrone di casa  rischi un capitombolo pur di riattizzare il fuoco.

Nonostante il buio non gli permettesse di scorgere il viso di lei, Albert  potè udire la sua lieve risata.

-Appoggiatevi qui sul divano, fate attenzione.

Albert si allontanò e, facendo meno rumore di quanto ella prevedesse nel percorrere quel breve tragitto , raggiunse il camino e riaccese il fuoco.

Quando le si riavvicinò si offrì di riaccompagnarla in camera, e Susanna si perse nel suo viso: l’espressione da uomo deciso, in quel momento più che mai, ma empatico, il viso stanco per la lunga giornata appena trascorsa ma sempre disposto a trasmettere calore e umanità; il braccio con il quale nuovamente le cingeva la vita e la cravatta slacciata; l’ubriachezza del whisky e il tepore che veniva dal camino. Era troppo: sentì che le girava la testa ma si fece forza, limitandosi a tenersi il capo con le mani.

-Scusatemi…è stato il whisky, non sono abituata. Ho bisogno di sedermi qualche minuto. Voi andate pure, se desiderate. Io resterò un altro po’ e poi salirò in camera.

-Non ho alcuna fretta, posso restare a farvi compagnia fino a quando vi sentirete meglio. Sedetevi qui, sul divano.

Con una delicatezza che Susanna non avrebbe mai immaginato Albert si sedette per terra, accanto a lei.

-Mi dispiace farvi restare ancora alzato…

-Non è un problema, mi spiace solo che non stiate bene.

-Potreste parlarmi del signor Cavendish, così occuperemmo il tempo.

Albert sorrise.

-Non vi date mai per vinta, voi, eh? E va bene,vi racconterò tutto, anche se c’è poco da dire. Circa due anni fa, quando gli Stati Uniti entrarono nel grande conflitto mondiale, il signor Cavendish mi propose di entrare nel settore della produzione delle armi. Mi disse che era un buon affare ma io, un po’ per sensibilità e un po’ per aver visto con i miei occhi gli orrori della guerra, rifiutai. Non volevo speculare sulla sofferenza  della  gente. Il signor Cavendish decise di vendicarsi parlando male di me negli ambienti dell’alta finanza. In breve, alcuni investitori molto importanti decisero di non darmi più il loro appoggio ed ebbi delle perdite consistenti. Fortunatamente non tutti si fecero abbindolare dalle sue calunnie  e le mie aziende in breve tempo tornarono solide.

-Ah, ma allora è per questo che stasera vi ha detto che avete un buon nome e che le vostre aziende godono di ottima salute.

-Già. Perché neanche lui è riuscito a rovinarmi.

-Bella faccia tosta! Ma come si è permesso di chiedervi ancora di mettervi in affari con lui!?

-Semplicemente c’è gente che non guarda in faccia niente e nessuno pur di raggiungere i propri obiettivi.

-Ma potevate evitare di incontrarlo. O forse non sapevate che Robert Hathaway lo avrebbe portato con sé?

-In realtà lo sapevo. Quando mi ha telefonato, stamane, mi ha fatto il suo nome dicendomi che voleva conoscermi. Pensate, quel tipo gli aveva chiesto di essere presentato a me, come se non mi conoscesse! Io però ho deciso lo stesso di invitarli a cena.

-Ma perché lo avete fatto? Non vi sapevo tanto masochista.

-Pensavo che vi avrebbe fatto bene rivedere il signor Hathaway, vi avevo vista giù di morale questa mattina, e dirgli di venire da solo non mi andava.

-Così lo avete fatto per me, grazie.

Susanna gli rivolse uno sguardo commosso e Albert distolse il proprio, di sguardo, con un sorriso affettato, quasi triste.

-Ah! Penserete che sono una sciocca! Prima, poco fa, ho riso e adesso piango- disse asciugandosi una lacrima-lo sapevo che mi avreste fatto del bene, l’ho capito il giorno che sono arrivata  qui. Quando siete venuto a vedere come stavo, dopo che la vostra cameriera mi aveva portato il thè. Capii che non vi aveva portato da me una  semplice affettazione di buone maniere, ma una reale sensibilità e comprensione. Voi, davvero… davvero… mi eravate vicino, davvero avevate a cuore i miei problemi in quel momento, e volevate aiutarmi. Non con una pacca sulla spalla o dolci parole, ma offrendomi una soluzione concreta. Come facevate a sapere che era ciò di cui avevo bisogno?

Albert ascoltava in silenzio, tenendo sempre gli occhi fissi al pavimento.

-Bene, non vi avevo ancora ringraziato, e l’ho fatto ora. Adesso possiamo pure andare. Non voglio costringervi a fare notte.

Susanna fece come per alzarsi e Albert la precedette, alzandosi in due secondi e aiutandola a rimettersi in piedi. Fu inevitabile guardarsi nuovamente negli occhi.

- Voi siete stato  la mia guida, la mia ragionevolezza…-aggiunse Susanna, riassumendo in quella semplice frase tutta la stima che sentiva di provare per lui.

-E  voi pensate che mi basti essere la vostra guida, la vostra ragionevolezza?

Albert aveva appena pronunciato delle parole compromettenti e superato un punto di non ritorno.

-Credete forse che il mio desiderio più grande sia quello di sapervi ragionevole  con me? Al contrario, vorrei che con me foste irragionevole, vorrei che perdeste la testa…

Che cosa stava succedendo? Stava scherzando ,William Andrew, o diceva sul serio?

-No, non siete solo questo per me! Non lo siete affatto!-si affrettò a rispondere Susanna, senza sapere dove avrebbe portato tutto questo, ma sentendosi più vulnerabile e sincera del solito, e soprattutto temendo che Albert potesse pensare di lei ciò che non era.

-E cosa altro sono per voi? Cosa? Ditemelo!

-Non fatemi dire certe cose, ora che sono ubriaca e vulnerabile. Non sarebbe nel vostro stile, e indovinate un po’? Voglio anche io avere il vostro stile, la vostra misura. Non voglio dire cose di cui domani potrei pentirmi. Magari voi ridereste di me e pensereste che sono patetica.

Albert, che aveva alzato un po’ la voce, cercò di calmarsi, ma il suo respiro era ancora accelerato.

-Avete ragione….avete ragione….scusatemi. anche io ho perso la calma, e non è da me.

Albert si passò una mano tra i capelli e sbuffò.

-Sembra che i nostri ruoli si siano invertiti. Adesso siete voi la persona ferma e pacata…allora aspetterò domani. Aspetterò che non siate più ubriaca, come mi avete detto.  Aspetterò un vostro cenno, un vostro sguardo.

-Domani…-ripetè Susanna- domani sarò lucida, e sincera, qualunque cosa io senta.

-E  domani sarete sempre dell’idea di lasciare andare Terence?

-Anche questo vi dirò domani.

Susanna si morse il labbro, dispiaciuta di dovergli  infliggere una tale angoscia, suo malgrado.

-Siete proprio sicuro di quello che mi avete detto? Io sono tanto imperfetta, lo avete visto, i miei modi,il mio carattere…

-La perfezione piace solo agli uomini noiosi, e ai pavidi.


                                            

 
 
Nella stanza 44, i secondi che precedettero quell’abbraccio durarono un’eternità. Come al rallentatore Candy e Terence si rividero giovanissimi sul Mauritania e più adulti mentre si dicevano addio a causa di Susanna, e  rivissero tutti quegli episodi, importanti e meno, che avevano caratterizzato  il tempo in cui si erano conosciuti.

Terence trovò che Candy era diversa eppure uguale. Uguali erano le sue lentiggini, ma diverso l’aspetto che le davano, ora che era cresciuta. Uguale era il suo sguardo, ma  vi trapelavano una sofferenza e, in fondo, un barlume infinitesimale di disillusione che non ricordava. Terence era rimasto lo stesso: era l’uomo che la completava e che la faceva sentire speciale. Mai e poi mai avrebbe saputo  dire in poche parole perché lo amava, a meno di non  ricorrere  all’aggettivo “unico”: non aveva mai conosciuto né, era sicura, gli sarebbe mai  capitato di conoscere un’altra persona come lui. Candy pensava con rammarico a tutti quegli anni in cui avrebbero voluto  abbracciarsi in questo modo. Difatti,  se avessero potuto esprimere un solo desiderio, entrambi avrebbero espresso quello di abbracciarsi un’unica altra volta.

Sentire l’uno il corpo dell’altra ed esplorarsi con le mani, per quanto la lunga assenza e il pudore dell’una e il rispetto dell’altro  potessero permettere, fu un tutt’uno, e quando nuovamente i loro sguardi si incrociarono, la visione del ragazzo accese in lei un timido ma aperto sorriso e quella di Candy in lui una commozione che non riuscì a nascondere.

Salvati dalla campanella, avrebbe potuto dire  qualcuno.

Il toc toc alla porta li svegliò come da un bel sogno, e Candy capì che toccava a lei aprire la porta: il suo amico era leggermente stravolto, tanto forti erano le emozioni che lo pervadevano.

Era un cameriere con una brocca d’acqua e due bicchieri.

-Mi dispiace disturbarvi, ma non eravamo stati messi al corrente del vostro arrivo, così non abbiamo avuto modo di farvi trovare l’acqua in camera.

-Prego, faccia pure.

Il cameriere poggiò il vassoio su un tavolinetto e con un rispettoso inchino andò via.

Candy fu molto felice di chiudere la porta e riprendere il discorso con Terence, qualunque esso fosse.

Ma Terence, che sembrava aver recuperato tutte le sue facoltà mentali,  aveva preso il pacchetto di sigarette che aveva in tasca e minacciava di accenderne una con l’accendino.

-Terence, non vorrai dirmi che vuoi metterti a fumare proprio adesso e davanti a me?

-E  perché no? È quello che ho sempre fatto, in tournee, ogni volta che mi trovavo in un nuovo hotel. Inauguravo la mia permanenza in questo modo. prendendo il pacchetto delle sigarette.

Candy si chiese come era possibile che gli venisse un  desiderio simile in quel momento, adesso che finalmente potevano dirsi tutte quelle cose che non si erano mai detti, neanche ai tempi del collegio. Ma Terence, con sua grande sorpresa, gettò prima il pacchetto di sigarette e poi l’accendino sul letto.

-….E poi prendevo l’armonica e mi mettevo a suonarla…beh, in realtà quasi sempre non fumavo affatto, immaginavo te che mi rimproveravi con la voce di suor Grey perché fumavo troppo, gettavo le sigarette sul letto e suonavo l’armonica…

-Oh, Terence…

-Poi veniva Susanna, lei non poteva sopportarlo, sapeva che mentre la suonavo pensavo a te…ti confesso che qualche volta gliel’ho fatto apposta…

Deve essere stato difficile anche per lei…

-Sono convinto che col tempo mi ringrazierà di averla lasciata. Ma non pensiamo a lei, questa è la nostra serata.

-Forse hai ragione, ma vorrei che tu le avessi già parlato.

-A  proposito di parlare con qualcuno, non dovresti telefonare ad Albert per dirgli che farai tardi?

-Oh, è vero, hai ragione. Vado a chiamarlo dalla reception e torno.

Candy scese l’unico piano di scale e chiese all’impiegato di fare un telefonata. Stranamente Albert non si riusciva a trovare, era andato ad accompagnare alla porta due suoi ospiti ma dopo se ne erano perse le tracce:  June aveva controllato sia nel grande salotto principale che in sala da pranzo, senza riuscire a trovarlo. Candy  lasciò detto  ad Albert che non la aspettasse alzato, che sarebbe rientrata in tarda nottata e che stava bene.

-Tutto bene, signorina Andrew?-chiese l’impiegato della reception.

-Certamente.

-Mi perdoni l’invadenza, ma ho bisogno di conoscere il nome della persona che sta con voi. Sapete, tutti coloro che entrano in quest’hotel devono essere registrati.

-Oh, beh…io…

Candy non sapeva se rivelare all’impiegato il nome di Terence: era certa che ci avrebbe messo due minuti a telefonare a qualche giornale.

-Facciamo così, signorina. Devo al padre della signorina O’ Brian questo lavoro e non metterei mai in  difficoltà una sua amica. La persona che sta con voi è il signor Andrew, giusto?- le disse, ma era chiaro che non se l’era bevuta.

-Beh…si. È esatto. Grazie.

Candy tornò nella stanza. Terence la accolse con un sorriso, quindi  le si avvicinò e la invitò a ballare: in sottofondo si sentiva la musica di un walzer che proveniva dal salone delle feste. L’ultima volta che lo avevano fatto era stato sei anni prima. Candy nel frattempo era molto migliorata: aveva avuto modo di partecipare a diversi balli e in più sia ad Albert che ad Archie piaceva ballare così i cavalieri non le erano mai mancati. Anche Terence sembrava più sicuro di sé, oltre alla corporatura più robusta dimostrava i suoi anni nella spigliatezza con la quale la guidava, in giro per la stanza. Dopo qualche minuto la musica cessò, evidentemente l’orchestra si stava riorganizzando per un altro pezzo, così il silenzio tornò in quella stanza.

Lentamente Terence le prese una mano e cominciò a sfilarle il lungo guanto bianco che gettò anch’esso sul letto, e poi l’altro. Delicatamente pose le mani sul suo diadema che andò a fare compagnia ai guanti.

-Non è questa la Candy che ho conosciuto e inoltre questi orpelli appartenevano ad una ragazza triste, ad una ragazza prigioniera del suo passato e incapace di guardare al futuro…

La  frangia, senza il diadema, era ricaduta sulla fronte di Candy, e Terence le spostò le ciocche con entrambe le mani, finchè comparve nuovamente alla sua vista. Candy  sentiva che il momento tanto desiderato e temuto insieme, era arrivato: Terence  poggiò le proprie labbra su quelle della ragazza. Candy sentiva che avrebbe voluto rispondere ma lasciò che il ragazzo continuasse, nessuno infatti l’aveva più baciata da quel giorno di maggio di sei anni prima. Ciò che la colpì fu l’abbraccio caldo e sentito del giovane che la stringeva forte, ancora più forte di come l’avesse stretta alcuni minuti prima. Ogni cosa tra i suoi sensi e il suo cuore sembrava amplificata: ciò che sentiva il suo cuore sembrava dare rotondità e intensità a ciò che percepivano i suoi sensi, e l’esatto  contrario. Terence si staccò da lei per guardarla negli occhi, e poi ricominciare a baciarla, e questa volta Candy rispose al bacio. Man mano che le loro labbra continuavano a toccarsi il tocco cresceva di intensità e sensualità, ma più il contatto era intenso e coinvolgente, più i due ragazzi sembravano non saziarsi.

-Candy, passiamo la notte insieme, non tornare in villa…ti prometto che domani ti fiderai ancora di me.

-Va bene- rispose Candy.

Sul grande letto, Candy si stese sul fianco, ancora vestita del prezioso abito che aveva indossato a teatro, e Terence si distese dietro di lei. Dalla finestra entrava un cono di luce: la luna era piena e le nuvole si erano dissolte.






 Bon jour e buon lunedì. Ho aggiornato abbastanza presto, le parole venivano spontanee e tutto sommato non è stato complicato. Pensavo di postare solo la prima parte perché credevo che la scena tra Albert e Susanna mi venisse più lunga, e invece sono stata abbastanza breve. L’unico intoppo mi è venuto perché la mia mente sempre in fibrillazione ha prodotto un’altra storia che ho già incominciato a scrivere (non è una minaccia, ah ah) e che posterò più in là.
Buon inizio settimana e grazie a tutti coloro che mi leggono.
   
 
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