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Autore: Snaps    16/03/2015    0 recensioni
Himawari era abbandonato sul divano, profondamente addormentato, Hikari sospettò, dalla notte prima. Neanche lui si era cambiato e la testa gli ricadeva in maniera che doveva essere proprio scomoda sulla spalla. Hikari vedeva i tendini tesi del suo collo, le profonde occhiaie, la carnagione un po’ grigiastra del fratello e pensava a quanto sembrasse invecchiato in quell’anno tragico in cui i loro genitori non erano più tornati a casa.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hikari era assolutamente certa di qualcosa: odiava il buio e la nebbia ma amava scrivere.
Questi due concetti, apparentemente scontati rappresentavano in realtà l'unica sicurezza di questa ragazzina, appena dodicenne, che già da qualche ora si trovava a scrivere vicino ad un binario abbandonato. Il suo taccuino un po' striminzito, narrava mille avventure di fate e principesse e tiranni e gemme.
Con un sospiro la ragazzina decise di chiudere il piccolo quaderno e di alzarsi. Camminando in equilibrio sui binari, uscì finalmente dalla stazione e si addentrò nei meandri urbani della sua città che, notava Hikari, cercava di prendere il posto delle stelle con tutti quei lampioni, fari, luci e lampadine. Gli astri, forse indispettiti, avevano lasciato il cielo già da tempo e Hikari si rese conto che non aveva mai goduto della vista di un cielo coperto di stelle.
Quando arrivò a casa suo fratello, Himawari, era tornato da poco e si era seduto stancamente sulla poltrona che di solito occupava loro padre.
"Ciao." la salutò quando la vide. Non le chiese dove fosse stata tutto quel tempo, forse non aveva neppure notato che fino a qualche istante prima lei non c'era.
La divisa scolastica cadeva mollemente su entrambe i fratelli ma per ragioni assai diverse.
Hikari aveva passato quasi tutta la giornata in ospedale dai suoi genitori a raccontare loro la sua ultima storia poi era corsa al binario per completarne delle altre. Himawari, invece, appena diciottenne, dopo scuola era andato in fretta senza neppure cambiarsi alla bottega lì vicino dove lavorava nel retro di un ristorante per un uomo dal carattere non esattamente bonario ma anzi decisamente scontroso.
Mentre Hikari si dedicava finalmente allo studio -l'indomani avrebbe avuto un compito e ancora non apriva libro- Himawari si destreggiava in cucina sebbene anche lui dovesse fare i suoi compiti per il giorno dopo.
L'appartamento nel quale un tempo viveva la famiglia Kusakabe al completo era terribilmente trascurato: sulle mensole si notavano vari strati di polvere, panni non lavati giacevano a terra da tempi immemori, numerose scodelle erano abbandonate nel lavandino immerse in acqua che ristagnava da qualche giorno.
Nessuno si curava di pulire e la casa, un tempo impeccabile, versava in condizioni pietose.
I signori Kusakabe non vivevano lì da molto tempo ormai. Erano costretti in un letto d'ospedale, in uno stato di profondo coma dal quale, forse non si sarebbero mai svegliati.
"Hikari! " quando Himawari non ricevette risposta dalla sorella, si affacciò nella sua camera, piccola e affollata di libri e panni che avevano urgentemente bisogno di essere lavati.
La bambina si era addormentata con la testa sulla scrivania.
          Il ragazzo sorrise mentre tentava di svegliarla per farla mangiare, ma Hikari non ne voleva sapere e alla fine lui si arrese facendola stendere sul letto e coprendola con una pesante coperta per proteggerla dagli spifferi che l'inverno voleva far entrare dalle fessure della finestra.
 
Il mattino dopo Hikari venne svegliata dal freddo e scostando le coperte, vide che aveva ancora i vestiti del giorno prima. Dalla piccola finestra in camera sua l’aria filtrava con prepotenza, lasciando entrare la fredda mattinata novembrina.
Aveva l’impressione di non aver dormito affatto, ma si trascinò stancamente verso il bagnetto nell’ingresso, accanto alla sua stanza e si infilò sotto la doccia. Il getto d’acqua era men che tiepido e non fece che intensificare la sensazione di freddo che aveva addosso, ma almeno la svegliò del tutto.
Frizionandosi i capelli con un asciugamano e dopo aver indossato la stropicciata divisa scolastica di ricambio, si diresse nella piccola cucina dove le stoviglie erano accumulate da qualche giorno nel lavandino. Himawari era abbandonato sul divano, profondamente addormentato, Hikari sospettò, dalla notte prima. Neanche lui si era cambiato e la testa gli ricadeva in maniera che doveva essere proprio scomoda sulla spalla. Hikari vedeva i tendini tesi del suo collo, le profonde occhiaie, la carnagione un po’ grigiastra del fratello e pensava a quanto sembrasse invecchiato in quell’anno tragico in cui i loro genitori non erano più tornati a casa.
Si avvicinò al divano e lo scosse forte afferrandolo per la spalla. Lui sussultò un po’ e aprì gli occhi. La ragazzina notò subito quanto il blu chiaro delle sue pupille si fosse intensificato dandogli un aspetto malaticcio.
"Che ore sono?" chiese il ragazzo stiracchiandosi stancamente. Hikari sentì qualche osso scrocchiare sonoramente mentre allungava le braccia sopra la testa
"Le otto."
Quelle parole riscossero definitivamente Himawari.
"Le otto??" si alzò così in fretta che Hikari si spaventò. Vide il fratello scappare in bagno e lo sentì sciacquarsi con vigore la faccia. Per il resto non si cambiò, ma afferrò il giubbotto e lo zaino.
"Avrei dovuto essere dal signor Ogawa alle sei!"
"Vuoi che ti prepari qualcosa?"
"No, non ho tempo. Vai a scuola, ci rivediamo dopo ok?" e uscì in fretta, sbattendo la porta.
Ancora frastornata anche Hikari, sebbene con più calma, cominciò a prepararsi lo zaino e i soldi per il biglietto dell’autobus. Cercò nella dispensa qualcosa con cui fare colazione ma trovò le mensole completamente vuote a parte una scatoletta di tonno che si trovava lì da una data indecifrata. Si appuntò mentalmente che avrebbe dovuto fare la spesa quel pomeriggio se avesse avuto i soldi (cosa peraltro improbabile).
Già in notevole ritardo, ma senza affrettarsi troppo, la ragazza uscì di casa e dopo aver inchiavato la porta, uscì in strada.
Passò nel tratto di strada che dava sulla ferrovia, vicino a casa sua, una zona particolarmente abbandonata. Lo smog della città soffocava il panorama del mare a miglia e miglia di distanza da lì che si riusciva a vedere quando il sole era alto e si specchiava nell’acqua lontana.
La grigia fermata dell’autobus, all’angolo della strada, ospitava già dei pendolari mattinieri e pochi studenti ritardatari. Hikari era quasi tentata di mancare alle lezioni e dirigersi invece in biblioteca –poco più lontana, al centro della piazza principale- ma la fece ricredere il pensiero delle bibliotecarie, simili ad arpie, che la guardavano sospettosamente per via della divisa che avrebbe dovuto indossare a scuola. Magari le avrebbero chiesto perché in quel momento non era lì. Perciò rassegnata, si fermò sotto la pensilina, praticamente invisibile agli altri. L’auto non si fece attendere, arrivò quasi in sincronia con la ragazza e lei allungò i soldi all’autista annoiato. La ragazza seguì il percorso del denaro con gli occhi dalla sua mano a quella dell’autista e pensò alle cose che avrebbe potuto comprare di utile con quei pochi miseri spiccioli. Magari un dolce per Himawari (tra un po’ sarebbe stato il suo compleanno) o del detersivo (avrebbe potuto finalmente lavare quei panni). Invece doveva spenderli così, per un passaggio a scuola che nemmeno voleva frequentare. Andò a sedersi nei posti in fondo, con lo zaino sulle ginocchia e pensò ai suoi genitori. Quando sarebbero tornati, tutto sarebbe andato meglio.
Himawari molto probabilmente non sarebbe venuto a frequentare le lezioni quel giorno: avrebbe dovuto recuperare la mattinata al lavoro per non essere licenziato.
Stava quasi per entrare nella sua classe quando la vicepreside la fermò.
" Ti devo parlare signorina Kusakabe. Vieni nel mio ufficio."
Mentre Hikari la seguiva, si lambiccava il cervello: cosa aveva fatto? Forse un po’ troppe assenze ma essere convocata dalla vicepreside… era così grave?
La donna, ormai sulla cinquantina ma ancora bella, le chiuse la porta dell’ufficio alle spalle e le indicò la sedia di fronte la scrivania. Si sedette dall’altro lato della stessa e la guardò per un po’ negli occhi, come se stesse cercando le parole.
"Ti volevo parlare di Himawari." le disse schiettamente e con semplicità.
Hikari la guardò stralunata. Himawari?
" Lui è sempre stato uno studente modello, il primo della classe. Ma da un po’ di tempo a questa parte non si fa vedere alle lezioni, non studia, non è mai preparato.
Lo so che state vivendo una situazione difficile per via dei vostri genitori, e abbiamo cercato di essere pazienti, ma ti rendi conto che non possiamo continuare così, vero?".
"Cosa vuole dire? Lui deve lavorare, il signor Ogawa non lo lascia nemmeno respirare… "
"Lo so Hikari ma noi non possiamo ammetterlo all’esame senza avere risultati. Tutto il corpo insegnante ha chiuso un occhio ma la situazione sta degenerando. Ti chiedo di parlargli, di cercare di convincerlo. Ha il cervello e il talento di fare ciò che vuole, non può andare sprecato così. Ma se la situazione non cambia, dovremo bocciarlo, mi dispiace."
Hikari lasciò l’ufficio profondamente turbata. Davvero non li capivano? Himawari non poteva lasciare il lavoro… qualche mese prima avevano avuto una brutta discussione: Hikari stava cercando di convincerlo a tornare a scuola, mentre lei l’avrebbe lasciata e avrebbe lavorato al posto suo. Non l’aveva mai visto così arrabbiato. Doveva assolutamente finire la scuola, le aveva detto, così avrebbe potuto fare il lavoro che desiderava, qualunque esso fosse. L’unica strada che lei aveva figurato davanti a sé però era quella di scrittrice e era sicura di poterlo fare anche senza diploma. Ma non c’era stato verso di convincerlo.
Forse avrebbe dovuto riprendere il discorso con lui, tentare ancora una volta. Perché la vicepreside aveva ragione: Himawari aveva cervello e talento, al contrario suo. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa mentre a lei di aprire i libri proprio non andava. Ma sapeva già, in fondo, di combattere una battaglia persa. 
   
 
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