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Autore: Jooles    16/03/2015    2 recensioni
«Perché volevi che provassi la droga a tutti i costi?»
Ty le aveva passato una mano sulla schiena nuda, carezzandola con una lentezza straziante.
«Perché io ero solo e tu eri triste.»

[Seconda Classificata Pari Merito al contest: All those days living in a blur - indetto da _Jacaranda/Little_Cricket sul forum di EFP]
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Alice never sleeps

 
 
Non si ricordavano il momento esatto in cui erano riusciti a riprendere possesso delle proprie gambe, ma la stanza puzzava troppo di erba e sudore perciò tanto meglio così. Alice non aveva freddo anche se la camicia non copriva poi così bene le gambe nude e i fiocchi di neve le si attaccavano insistentemente alle cosce, sciogliendosi quasi subito. Ty invece tremava anche con la felpa addosso.
«Sediamoci, sono stanco. »
L’unica fonte di luce nella notte proveniva da un lampione. Non c’era altro lì intorno e a Ty era sembrato un posto sicuro sotto cui fermarsi, come se il cerchio di luce attorno al palo circoscrivesse un rifugio inviolabile.
Ty si era allora seduto incurante della neve, poggiandosi con la schiena al lampione.
«Dormiamo un po’», aveva biascicato, già quasi addormentato.
Alice si era stropicciata gli occhi macchiandosi le palpebre di sangue: aveva cercato di pulirsele alla bell’e meglio sulla camicia. Non aveva sonno.
E sotto quella luce si sentiva invincibile.
 
**
 
Una Coca-Cola fa
 
Il marciapiede aveva iniziato a incresparsi come le onde del mare accarezzate dal vento, muovendosi ad un ritmo sempre più incalzante e calcolato, come se dall’altra parte ci fosse qualcuno che lo agitasse nello stesso modo in cui si sbattono le coperte per dargli una rinfrescata. Era così che Alice si era accorta, passato l’effetto, che quel demente di Ty le aveva fatto scivolare dell’LSD nella Coca-Cola a mensa. Ci aveva provato per mesi tutti i giorni a tutti i costi a vendere ad Alice un po’ di droga, con quel suo desiderio di spacciarsi (oltre che spacciare) per un uomo del ghetto.
«Senti, mi faccio qualche canna ogni tanto, ma scordati che io mi metta a drogarmi adesso, mi ci manca solo questo», e alla fine aggiungeva sempre «… e fammi andare a casa che ho trigonometria per domani da finire», come se quello determinasse inequivocabilmente e senza condizioni di ripresa la fine della discussione.
 
«Che diavolo mi hai messo nella Coca ieri, eh? », gli aveva sbraitato all’uscita di scuola, nel piazzale degli autobus gremito di gente. Ty aveva riso di gusto, interrompendo poi l’ilarità con un brusco cambio di espressione. Serio, le aveva allontanato una ciocca di capelli dalla fronte, sussurrando così piano che Alice si era inconsapevolmente avvicinata alle sue labbra per farsi scivolare addosso le parole.
«Adesso siamo legati, io e te.»
Gli occhi di Alice si erano spalancati in una muta eccitazione mascherata di finto orrore e poi «Dammene ancora» era stato tutto quello che era riuscita a dire.
 
Non che l’utilizzo di allucinogeni avesse poi risolto granché. La distorsione della realtà avveniva sempre per vie inconsce che Alice non poteva controllare: non riusciva a creare una fantasia di sua volontà, il cervello ascoltava solo i suoi desideri nella profondità della sua mente, che in realtà lei voleva il più possibile reprimere, rendendola irritabile anche da drogata. Provava alienazione anche tramite quelle “medicine” per tale malattia sociale.
 
Erano più i giorni che Alice e Ty si rinchiudevano in casa della ragazza che quelli in cui andavano a scuola. Ty non ci andava mai comunque molto spesso, Alice si faceva passare i compiti per espiare in qualche modo il senso di colpa che le veniva saltando le lezioni, chiedendo in prestito i quaderni a Judith, la maga del voto. Poi Ty prendeva i quaderni e li sbatteva a terra lontani prima di sbattere nelle mani di Alice una siringa o una pasticca. La sera, quando Alice doveva ridarsi una sistemata prima che arrivasse sua madre, odiava dover sforzare gli occhi per capacitarsi che quella che vedeva riflessa fosse davvero lei.
Dopo qualche settimana aveva smesso di preoccuparsene.
 
«Perché mi hai fatto provare quella roba?»
«Hm?» Ty aveva alzato un sopracciglio, gli occhi ancora chiusi e un sorriso ebete da post sballo.
«Perché volevi che provassi la droga a tutti i costi?»
Ty le aveva passato una mano sulla schiena nuda, carezzandola con una lentezza straziante.
«Perché io ero solo e tu eri triste.»
«Quindi hai approfittato della mia condizione per vendermi la tua roba?» aveva asserito Alice, più o meno arrabbiata.
«Oppure sei tu che hai approfittato di uno come me. Io credo che avresti sempre voluto provare la mia roba per evadere da quell’ordinario che tanto odi, solo che non avevi il coraggio. Io ti ho solo incoraggiata.»
Alice lo aveva maledetto, tirandogli addosso la chitarra. Si era rivestita in tutta fretta uscendo da quella casa, imprecando e buttando a terra tutto ciò che le era capitato sotto mano, nemmeno un uragano.
Ce l’aveva a morte con Ty perché aveva ragione.
 
Quella sera qualcuno aveva bussato alla porta della sua camera annunciandosi come un certo Tyson. Alice aveva arricciato il naso, come faceva sempre quando doveva concentrarsi, cercando di ricordare se conosceva qualche Tyson.
«Se mi ignori entrerò dalla finestra.»
«Tyson? Sul serio?»
Ty aveva fatto spallucce, arreso di fronte al destino che gli aveva appioppato quel nome.
«Ty è troppo corto per far colpo sulla gente. Si pensano che poche lettere sia sinonimo di poco di buono. Perché secondo te tutti i grandi avevano più di un nome? Francis Scott Fitzgerald non fa lo stesso effetto di Fitz, che sembra una marca di scatolette di tonno.»
Alice lo aveva fissato a lungo per poi chiudere la distanza che rimaneva tra loro.
Avevano dimenticato di chiudere la porta a chiave, ma non importava.
 
Erano seduti entrambi uno di fronte all’altra, le gambe di Alice aperte su quelle di Ty. Alice gli aveva prepotentemente rubato la camicia perché «Tanto sta meglio a me» e nell’altra la canna che aveva vinto nella lotta tutta calci sgraziati e peli tirati dalle gambe del ragazzo.
«La tua diagnosi è che non sai adattarti alla società e non puoi in alcun modo plagiare la società su tuo modello: questo provoca in te alienazione. E quindi sei depressa. E quindi vorresti ucciderti ma non ne hai il coraggio e a) aspetti che un elefante faccia di te una piadina, oppure b) vuoi morire di overdose e per questo ti servo.» Ty aveva iniziato a ridere dondolandosi avanti e indietro con il busto, l’eco delle sue risate diventate ormai quasi una nenia nel cervello di Alice.
La sua camera era sempre stata molto ordinata, al contrario di lei: sulle pareti vi erano scaffali di libri organizzati per altezza decrescente, collezioni di vari oggetti. Aveva preso una pantofola e aveva iniziata a tirarla contro una fila perfetta di trofei di gare di scrittura, buttandoli giù uno ad uno come tanti bersagli colpiti.
«Facciamoci due sassi… due massi… due passi.» Aveva guardato Ty senza guardarlo veramente: in realtà aveva adocchiato la siringa dietro di lui. Ci si era fiondata sopra senza nemmeno curarsi se fosse la sua o quella del ragazzo e si era buttata in vena l’ultimo schizzo rimasto nel cilindro. Un po’ di sangue era uscito dal braccio, Alice l’aveva pulito con il dorso della mano.
«Usciamo», Ty si era alzato e nel farlo aveva sollevato la ragazza di peso da sotto le ascelle, issandola.
Fuori stava nevicando.
 
**
 
La luce del lampione era fioca ma abbastanza affinché Alice potesse iniettare le ultime gocce di liquido nel braccio di Ty.
Adesso siamo legati, io e te.
«Ty, hai mai pensato alla morte?» Il ragazzo aveva già iniziato a chiudere gli occhi, assopendosi appoggiato al lampione.
«Magari assomiglia un po’ a questo posto. Tutto bianco, con questa sola luce. Magari siamo morti e non ce ne siamo accorti, ti immagini che sballo?» Ma non aveva riso né mostrato cenni di gioia a quell’idea.
«Ti va di andarci insieme?» gli aveva chiesto, solo per movimentare la serata. Ty sembrava completamente addormentato.
«Perché non la chiamiamo, la morte? Dai!»
Alice ci aveva pensato, alla morte. Alcune notti l’aveva invocata a lungo, senza che questa mai l’ascoltasse. E se davvero avesse avuto la fortuna di morire per overdose, Ty come si sarebbe sentito? Ad esserne lui la causa?
Probabilmente dopo un po’ sarebbe andato avanti, avrebbe venduto quel veleno a qualcun altro.
«Arriverà quando non la cercherai più» aveva detto Ty in un sussurro. Poi la testa gli era ricaduta sul petto e aveva chiuso di nuovo gli occhi.
Alice invece era rimasta ancora sveglia.
 
**
 
Era tutto molto bianco e pulito. Le lenzuola, le tende, il pavimento, il suo camice. Un po’ come la neve all’interno della palla di vetro sul comodino. Alice l’aveva afferrata, scossa con il polso e la neve aveva iniziato a impazzire all’interno del cristallo.
«È permesso?»
Alice aveva dato un cenno di assenso alla donna che si stava apprestando a prendere posto ai piedi del suo letto.
«Come ti senti oggi?» aveva domandato ad Alice, un sorriso appena accennato sul volto. Alice aveva scollato le spalle in un tentativo di descrivere la piattezza in cui si ritrovava. Non c’era male, ma nemmeno bene.
«Hai parlato ancora con Ty questa notte? Sotto il lampione?»
Alice l’aveva squadrata: non le era piaciuto il modo in cui l’aveva detto. Ma si era limitata a confermare con il capo.
La dottoressa aveva accennato un semplice «Capisco», le aveva aumentato la frequenza della flebo ed era uscita. Dirigendosi verso lo studio della collega psicologa, la donna aveva lasciato il fascicolo di Alice nelle sue mani.
«Parla ancora del lampione e del fantomatico Ty?» aveva chiesto la specialista della mente. L’altra aveva allargato le braccia, sconfitta.
«Ci vorrà più del previsto.»
 
Nel frattempo, Alice si era tirata su a sedere sul letto dell’ospedale.
«Come ti senti?» le aveva chiesto Ty, appollaiato sulla sedia vicino alla finestra. Alice non aveva risposto.
«Non è poi così male qui, no?» aveva continuato il ragazzo, scrutando i prati verdi accuratamente tagliati, i laghetti con zampillanti fontane nel mezzo.
«Sotto la luce del lampione si stava meglio, però. Lì eravamo al sicuro», il tono di Alice era risentito, come se fosse colpa di Ty se si trovava in una clinica di riabilitazione.
Il che non era poi tanto falsa come constatazione.
«Ti piace la pallina?», aveva domandato, vedendo l’oggetto stretto tra le mani della ragazza. Non aveva risposto, solo stretto un po’ di più il vetro.
Ty si era alzato e aveva soppesato bene le parole prima di rivolgersi all’amica.
«Quando uscirai da qui sarò sotto la luce ad aspettarti.»
Alice aveva sbattuto le palpebre per un centesimo di secondo e Ty era scomparso.  








Note autrice
La storia partecipa al contest "All those years living in a blur" di _Jacandra.
Tutti ci chiediamo "Che è 'sta roba", io in primis. L'idea mi sembrava decente e il contest mi aveva subito attirata ma non sono riuscita a sviluppare l'idea come volevo e non si capisce niente. Vabbè, era da tanto che non pubblicavo e di certo non volevo tornare pubblicando questo scempio, ma è accaduto e basta. 
Spero di tornare presto con qualcosa che abbia più senso. Grazie a chi si è spinto fin qui :)

Joo





 
  
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