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Autore: Sam E Soer    17/03/2015    3 recensioni
"Castiel inclinò la testa di lato socchiudendo appena gli occhi. Nel suo sguardo non c’era compassione, né pena, c’era una sorta di comprensione. Per un attimo a Dean sembrò una comunicazione tra anime perdute."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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{Nota: Gli avvenimenti descritti di seguito si svolgono dopo la puntata 10x14, per chi non l'avesse vista.

E poserò una candela davanti alla mia finestra
Affinché il suo bagliore possa guidarti
Fino a me
Sempre fino a me.
 
Sospirò lentamente dopo aver preso l’ennesimo sorso di birra seduto fuori dalla camera del motel. L’aria quella sera era leggera, fresca e confortante sulla pelle ruvida e tumefatta del viso di Dean Winchester. La notte era colorata appena dalle fioche luci nello spiazzo davanti a sé.
Non c’erano suoni, a parte quello continuo di un vecchio condizionatore a pochi passi da lui.
Sam probabilmente dormiva da un pezzo, dopo intere notti passate in bianco. Forse credeva che Dean non se ne accorgesse, ma invece comprendeva quello stato di preoccupazione in cui era immerso suo fratello, perché d’altronde ci era passato anche lui, così tante volte da aver perso il conto.
Erano anni che attraversavano il peggio, che sembravano darsi il cambio su chi doveva preoccuparsi di chi, e Dean era stanco. Era completamente consumato da quella sensazione di non farcela più. E tanto più credeva di non farcela, più non ce la faceva. Come un circolo vizioso costretto a ripetersi di giorno in giorno.
Persino alzarsi dal letto era difficile. Mettere i piedi a terra e andare avanti per un altro giorno. A volte per costringersi a farlo si ripeteva che era solo un altro giorno, un giorno ancora e poi avrebbe potuto chiudere. Chiudere definitivamente.
Scosse la testa alzando gli occhi al cielo. Dio quante cose stavano andando storte, quante sembravano completamente irreparabili. Cosa era diventato? Per tutta la vita anche quando si era sentito completamente perso, dentro di sé aveva sempre trovato un appiglio, qualcosa che sapeva sempre e comunque dirgli chi era e cosa faceva e soprattutto perché stava cedendo così tanto di sé.
Ora cominciava a credere che aveva perso così tanti pezzi del vecchio Dean, da non riuscire più a rimettersi insieme in alcun modo. Non c’era più quello che c’era una volta, era andato per sempre perduto.
Ma Dean ne aveva passate troppe per non sapere a cosa era dovuta quella perdita del sé. Quando cominci ad uccidere come se le persone fossero solo carne da macello, perdi un pezzo di anima ad ogni vita che rubi.
E Dean l’aveva persa tutta.
Si alzò lentamente lasciando la bottiglia di birra sul piccolo gradino. Avanzò nel piccolo spiazzo poco illuminato e prese le chiavi della macchina dalla tasca della giacca, prima di avvicinarsi alla sua piccolina, lucida e trionfante. Dean non lo aveva mai confessato a nessuno ad alta voce, ma quella macchina era per lui il destriero di un eroe. Il suo destriero.
Peccato che l’eroe fosse diventato l’antagonista di quella faccenda.
Scrollò le spalle entrando in macchina e mise in moto. Per un secondo temette che il rombo dell’auto potesse svegliare Sam, quindi si sbrigò a partire ed immettersi sulla strada per lasciarsi il motel alle spalle.
L’idea di non avere una meta precisa non lo infastidiva, d’altronde l’atto in sé di guidare era solo un tentativo di fuggire, anche se era consapevole del fatto che gli era impossibile fuggire da se stesso. Ogni volta che ci pensava, ogni volta che sentiva il marchio di Caino sul braccio, un’angoscia lo prendeva alla bocca dello stomaco e stringeva, stringeva, stringeva fin quasi ad impedirgli di respirare regolarmente. La consapevolezza di poter scappare da tutto, ma non da se stesso. La presa di coscienza di poter fronteggiare qualsivoglia pericolo, di poter combattere contro qualsiasi cosa, di essere in grado di salvare tutto e tutti quand’anche le cose sembravano messe talmente male da non poter essere cambiate, eppure essere completamente incapace di salvare se stesso.
Eccolo là, il punto fisso, quello che non gli permetteva di andare avanti in alcun modo. Era l’artefice del suo stesso fallimento, era l’ostacolo del suo successo.
Era Dean contro Dean.
Spinse il piede sull’acceleratore sentendosi una fiera in una gabbia impossibile da aprire. La frustrazione era quasi accecante.
Quando avvertì la presenza sul sedile di fianco a lui, perse per un secondo il controllo della macchina.

“Dannazione!” Sbraitò battendo con foga la mano sul volante. “Quante volte devo ripeterti che non devi fare queste apparizioni improvvise?!”

Castiel si voltò verso di lui alzando appena un sopracciglio, come se la cosa non lo disturbasse affatto. Corrugò appena la fronte guardando dritto di fronte sé, la strada illuminata solo dai fari dell’auto.

“Dove stiamo andando?” Chiese tranquillamente, come se le parole di Dean gli fossero entrate da un orecchio e uscite dall’altro per direttissima.

E Dean era certo fosse così. Quant’era che lo conosceva? Sei anni? Quel vizio di apparire dal nulla e scomparire allo stesso modo, era duro a morire.

“Semmai dove sto andando io.” Corresse.

Castiel si sistemò sul sedile, fissandolo. Dean non ricambiò lo sguardo, sebbene con la coda dell’occhio potesse sentire quello dell’angelo su di sé, come se lo stesse studiando attentamente.
Odiava quando faceva così, perché sapeva che lo stava leggendo come un libro aperto, come per tanto tempo nessuno era stato in grado di fare dopo sua madre. Si mosse nervosamente sul sedile.

“Che vuoi?” Chiese bruscamente.

Castiel non si fece toccare dal tono con cui aveva posto la domanda, e si limitò a tornare a guardare la strada.

“Come stai, Dean?” Chiese semplicemente.

“Bene.”

La risposta uscì in automatico, come al solito. Si rese persino conto che quasi si era sovrapposta alla domanda dell’angelo, il quale tornò a scrutarlo.

“Smettila di rispondermi come se fossi qualunque altra persona, Dean.” La frase aveva un qualcosa di minaccioso che costrinse Dean a voltarsi a guardarlo per appena un secondo prima di posare nuovamente lo sguardo sulla strada.

Dannazione.

“Come stai, davvero.” Continuò Castiel.

Dean si rese conto di non riuscire a reggere oltre quella conversazione e continuare al contempo a guidare. Trascinò la macchina in uno spiazzo, slittando sui brecciolini quando frenò bruscamente, prima di fermarsi del tutto.
Scosse la testa passandosi una mano sulla parte sinistra del viso, stropicciandosi anche l’occhio. Aveva un mal di testa lancinante, come se qualcuno avesse infilato una lama all’altezza del cranio proprio da quella parte della testa.
Aveva passato l’intera vita facendo a meno di quella domanda.
Come stai?
Nessuno gliel’aveva mai chiesto. Suo padre non si era mai davvero soffermato per sapere come stava. Ogni volta che tornava da una caccia domandava sempre come stesse Sam, cosa avesse fatto Sam e cosa avesse fatto Dean quel determinato giorno per prendersi cura del fratello più piccolo.
Poi Sam era andato via e anche le domande su di lui non erano più state fatte. Addirittura l’argomento Sam era diventato off-limits col padre. E tuttavia a lui veniva solo richiesto di svolgere il proprio lavoro. Come stesse non importava, importava solo che facesse il suo lavoro e lo facesse bene.
Importava chiedere a tutti come stessero e si partiva sempre dal presupposto che Dean stesse bene, quindi era anche inutile domandarglielo.
Si era talmente abituato all’assenza di quella domanda, che era cresciuto senza neanche mai fermarsi a domandarsi da solo come andassero le cose. E quando Sam era tornato, quando quella domanda aveva cominciato ad essere posta, Dean non riusciva a fare altro che rispondere che andava tutto bene, talvolta mentendo persino a se stesso.
Perché aveva imparato che tutto il resto del mondo era più importante di quanto non fosse lui.
Quell’insistenza da parte di Castiel lo lasciava sempre spiazzato. Come poteva quella persona, aver capito di lui tanto più di quanto le persone che gli erano state accanto un’intera vita, avessero fatto?
Lo fissò come per trovare una risposta a quella domanda, e lesse negli occhi dell’angelo una sincera preoccupazione che gli strinse la gola.
La verità gli sfiorò le labbra in un leggero sussurro.

“Male.”

Quanto fu improvvisamente liberatoria quella confessione. E quanto fece male l’ammissione di debolezza, di totale incapacità di risolvere la questione da solo. Sentì come se il suo orgoglio prendesse fuoco, come se la sua dignità fosse calpestata dai suoi stessi piedi.
Castiel inclinò la testa di lato socchiudendo appena gli occhi. Nel suo sguardo non c’era compassione né pena, c’era una sorta di comprensione. Per un attimo a Dean sembrò una comunicazione tra anime perdute.

“Lo so.” Rispose Castiel corrugando appena la fronte. “Ti troverò una via di uscita Dean.”

Dean si sentì colpito da quella affermazione, e sollevato. Forse fu il modo in cui lo disse, o il fatto che improvvisamente avvertì come la sensazione di poter deporre le armi, di potersi spogliare dall’armatura e lasciarla sul deserto vuoto e arido che si era creato attorno a sé.
Si sentì leggero.
Si sporse verso l’angelo a trovarsi a pochi centimetri dal suo viso. Dietro quegli occhi blu c’era Castiel, lo vedeva, ne sentiva la presenza come la forza di un tornado. La stessa forza inarrestabile che aveva avvertito la prima volta che lo aveva visto. All’epoca Dean ne fu terrorizzato, annichilito e al contempo affascinato da tanto selvaggio potere che s’irradiava da un singolo essere.
Dean aveva riconosciuto la forza distruttiva di Castiel fin dal primo momento. Quella forza distruttiva che forse poteva in quel momento essere esattamente la sua salvezza.
Chiuse gli occhi un istante e si chinò lentamente ad adagiare la testa dolente sulle gambe dell’angelo, come se il suo corpo fosse un sicuro e caldo giaciglio.
Dean conosceva la sua via di uscita e in quel momento si rese conto che solo Castiel avrebbe potuto aprire quella porta. Sentì la mano dell’angelo sul braccio, lo stesso braccio sul quale una volta, tanti anni prima, aveva lasciato la sua impronta tirandolo fuori dall’inferno.
La stessa mano che ce lo avrebbe rimesso.
Dean sapeva che la distruzione che si portava dentro poteva essere combattuta in un solo modo: con la distruzione stessa.
E dal momento che doveva essere distrutto, voleva che fosse Castiel a farlo e nessun altro. Voleva che fosse lui a riprendersi quella vita che gli aveva restituito anni prima. Era sua, gli apparteneva.

“Salvami.” Sussurrò lentamente.

Distruggimi e salvami.

“Lo farò.”
 
   
 
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