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Autore: Walter Simmons    17/03/2015    0 recensioni
La luce era lì, alta nel cielo, lontana migliaia di chilometri eppure così vicina, e meravigliosa.
Tutta l’acqua era traslucida di sole.
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA CALA

 




Quell’estate la ricordo particolarmente bene, perché fu proprio quell’anno che per la prima volta mi avventurai lontano dalla casa dei miei nonni e scoprii che, camminando sul lungomare per non più di una mezz’ora, si poteva arrivare al posto più meraviglioso sulla faccia della Terra. Era una semplice caletta infossata, leggermente al di sotto del livello della spiaggia. Quando c’era l’alta marea veniva completamente sommersa, e scalando quei pochi scogli che la separavano dal resto del mondo si arrivava direttamente al mare, blu e verde come i sogni.
Quando la scoprii era chiara di sabbia e calda di sole, seminascosta alla vista da una parete di roccia e miracolosamente risparmiata da quei pochi turisti che ancora visitavano il posto. Mi sembrò il paradiso. Mi immersi subito nell’acqua, lanciando via scarpe e maglietta, godendomi la sensazione dei pantaloni corti e leggeri che si gonfiavano e fluttuavano nell’acqua salata. Galleggiai per un po’ a pancia all’aria, muovendomi solo quel tanto che bastava a non farmi affondare ogni volta che una piccola onda si avvicinava. Poi mi riscossi, presi una boccata d’aria e misi la testa sott’acqua. Nuotai verso il fondo, cercando di non sprecare ossigeno, e una volta arrivato mi tappai il naso con le mani e guardai in alto. Sembrava di essere in un mondo completamente diverso.
La luce era lì, alta nel cielo, lontana migliaia di chilometri eppure così vicina, e meravigliosa.
Tutta l’acqua era traslucida di sole.
Riemersi boccheggiante e felice, i polmoni imploranti d’aria e gli occhi arrossati e brucianti a causa del sale.
Tornai a riva nuotando piano, la testa sopra il pelo dell’acqua, le orecchie piene solo del rumore del mare. Mi trascinai all’asciutto e mi stesi sulla sabbia, rabbrividendo. Mi coprii gli occhi con un avambraccio, mentre a poco a poco il sole faceva evaporare le sottili goccioline aggrappate alla mia pelle e cominciava a scaldarmi le gambe e la pancia. La nonna sarebbe andata nel panico se solo mi avesse visto là, steso sulla sabbia senza nemmeno un asciugamano, esposto direttamente ai raggi solari senza crema protettiva. Sorrisi ad occhi chiusi a quel pensiero, immaginandola immersa nel suo sonnellino pomeridiano al fianco del nonno. E forse fu l’immagine del sonno, oppure il sole, oppure il rumore del mare, ma due minuti dopo già mi ero addormentato profondamente.
Quando mi svegliai mi sembrò di aver dormito per anni e anni. I capelli e i pantaloni erano completamente asciutti, ma il sole non si era mosso di molto, quindi non potevo essermi trattenuto per troppo tempo. Avevo la bocca secca e gli arti intorpiditi, e gli occhi non volevano saperne di aprirsi del tutto. Mi misi a sedere, scrollandomi la sabbia dai capelli e cercando di schermare la luce con il palmo della mano. Ancora mezzo accecato, vidi qualcosa che mi fece svegliare del tutto. In riva al mare c’era qualcuno. Mi guardai in giro, e notai che la mia maglietta giaceva accanto a me, piegata con cura e sistemata non lontano dalle scarpe, nonostante io ricordassi benissimo di averla gettata via e abbandonata senza tanti complimenti.
Mi voltai di nuovo verso la figura girata di spalle, e con gli occhi finalmente abituati alla luce, mi accorsi che era una donna. Indossava un abito lungo e giallo che le arrivava alle ginocchia e le lasciava le spalle scoperte. La cosa strana era che il tessuto si muoveva, come agitato da un forte vento, e così facevano i lunghi capelli neri, lasciandole nude le scapole.
Sulla cala non soffiava nemmeno una leggera brezza.
Fui tentato di raccogliere le mie cose e andarmene, senza fare rumore, prima che lei si girasse e si accorgesse che mi ero svegliato. Ma, come se avesse sentito i miei pensieri, girò un poco la testa verso di me e mi osservò con il mento appoggiato alla spalla. Mi bloccai come se mi avessero incollato al suolo. La donna non sembrava affatto imbarazzata dalla mia presenza, e soprattutto non sembrava accorgersi che il suo sguardo mi stava facendo sentire a disagio. Finalmente si mosse, e si voltò di nuovo verso il mare. Non mi ero accorto di aver trattenuto il respiro.
Il suo viso aveva qualcosa di incredibilmente magnetico, ma solo dopo mi accorsi che non avrei saputo descriverlo.
Di che colore aveva gli occhi? Che forma avevano il naso, la bocca? Sembrava cambiassero continuamente e non rimanessero gli stessi per più di qualche secondo.
Non riuscivo a fissare il suo volto nella mia memoria, e guardandolo non riuscivo a trovare le parole. Solo i capelli restavano uguali: un lungo drappo di seta nera che si agitava in un vento che non c’era.
Mi ritrovai in piedi senza rendermene conto. Muovevo i piedi lentamente, avvicinandomi sempre di più a quella figura ipnotica e misteriosa che mi attraeva come una fiamma in una notte fredda.
Le guardai le scapole nude passandomi la lingua sulle labbra salate, e mi accorsi di avere una fame da lupo.
Mi affiancai a lei, lo sguardo fisso sul mare e sull’orizzonte lontano. Finalmente si voltò verso di me, abbassò lo sguardo sulle mie mani abbandonate lungo i fianchi e le prese fra le sue. Erano così piccole e minute che avevo paura di romperle se solo avessi stretto un po’ la presa.
Alzò le nostre mani incrociate al livello dei nostri volti e cominciò a muovere i piedi, come accennando qualche passo di danza; io la seguii, completamente soggiogato dalla forza di quello sguardo che cambiava continuamente.
La cala era avvolta in un silenzio quasi irreale, lo percepivo, ma nonostante questo le mie orecchie erano piene di una musica dolcissima, mai sentita prima. Era un canto ammaliante e tranquillo allo stesso tempo, vivace come lingue di fuoco e calmo come la marea.
Mi appoggiò una mano sul suo fianco, mentre lei la teneva sulla mia spalla. I nostri corpi erano così vicini che potevo vedere con chiarezza le sue clavicole, come scolpite nel marmo chiaro.
Era inutile chiedersi quanti anni potesse avere.
Aumentava sempre più il ritmo della danza ed io la seguivo docilmente, e nonostante in vita mia non avessi mai ballato riuscivo a seguirla senza aver paura di pestarle i piedi o inciampare.
Sorrise, di un sorriso bellissimo e antico, senza mai staccare gli occhi dai miei. Tentai di sorriderle a mia volta, ma non riuscivo togliermi quell’espressione catatonica con la bocca semiaperta.
Ad un tratto rallentò, come se la musica dentro di lei si fosse fermata, mi tolse la mano dalla spalla e si fermò completamente. Aveva ancora una mano nella mia. Cominciò a camminare, a tirarmi gentilmente verso le onde, prima con il volto girato verso il mare, poi prendendomi la mano con entrambe le sue e camminando all’indietro verso la riva. I suoi capelli si muovevano ancora, nonostante sulla caletta non spirasse nemmeno un alito di vento. Tutte le mie paure erano sparite.
Chi era quella donna? Perché mi stava riportando verso il mare? Cosa voleva da me?
Nella mia testa rimaneva solo l’eco dei pensieri che prima l’affollavano. Il canto ora era più forte, come amplificato dalla vicinanza con le onde.
Raggiungemmo l’acqua, che mi lambì le caviglie facendomi venire i brividi. Ci allontanammo sempre più dalla riva, camminando piano, mano nella mano.
Improvvisamente la sua presa si strinse sul mio polso.
Quelle mani così piccole nascondevano una forza inaspettata. Abbassai lo sguardo e con orrore vidi che dalle sue dita spuntavano delle unghie lunghe e affilate che, ne ero sicuro, prima non c’erano.
Il canto cessò di colpo.
Terrorizzato, alzai di nuovo gli occhi sul suo volto e il respiro mi si mozzò in gola. Niente era rimasto della magnetica ed inspiegabile bellezza che mi aveva accolto sulla spiaggia: la bocca si era trasformata in un ghigno disumano e tutta la faccia aveva assunto un colorito verdastro e un’espressione di rabbia feroce. Mi accorsi che mi stava ancora trascinando verso il largo, e tentai invano di liberarmi dalla sua stretta ferrea. Il panico mi stava facendo battere il cuore a mille, e mi dibattevo come un pesce preso all’amo. Lei mi tirava con sé, il suo bel volto sempre più deformato e grottesco, senza che io potessi fare niente. Mi tirò sott’acqua e io spalancai gli occhi nell’acqua fredda. Una lunga coda di pesce aveva preso il posto delle belle gambe lunghe e affusolate.
L’irrealtà della situazione non fece altro che aumentare i miei sforzi di liberarmi, ma la sua stretta non diminuiva d’intensità e io stavo quasi per finire l’aria.
Mi dibattevo, scalciavo e gridavo, muto e disperato. E lei mi trascinava giù, sempre più giù, e sentivo il battito del cuore nelle mie orecchie, e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che sarei morto affogato, trascinato verso il basso da una creatura degli abissi…
Mi svegliai di soprassalto, urlando. Le membra erano scosse da brividi impossibili. Il sole era ancora alto sull’orizzonte, ma cominciava a colorare il mare di rosa e arancione. Respiravo affannosamente, cercando di riempire i polmoni con più aria possibile, come se fossi ancora sott’acqua.
Mi guardai intorno e mi accorsi di essere solo. Il mare davanti a me non era più piatto come quando mi ero addormentato, ma era increspato da onde di schiuma bianca. Avevo sognato. Un incubo realistico e terribile.
Mi misi in piedi, barcollando ancora a causa dei brividi, e scrutai attento il luogo in cui mi trovavo. La cala, se possibile, sembrava ancora più bella alla luce del tramonto, ma aveva perso quell’atmosfera rassicurante che mi aveva accolto con benevolenza.
Era arrivato il momento di andarsene. Cercai con lo sguardo la maglietta e le scarpe che mi ero tolto prima di entrare in acqua, e con grande stupore mi accorsi che non erano più dove li avevo lasciati, arruffati e spiegazzati.
Erano accanto ai miei piedi, la maglietta piegata e le scarpe ordinatamente disposte.
Mi si rizzarono i peli della nuca, e ad un tratto mi sentii osservato.
Raccolsi in fretta i miei vestiti e me ne andai correndo.

Anni dopo, quando trovai il coraggio di tornare in cerca di quel luogo, scoprii che in quel punto non c’era mai stata nessuna cala.
  
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