Winter Ghost
L'aria era più
fredda di quanto ricordasse.
Erano passati
anni dalla sua ultima visita in Russia, o almeno anni da quando non aveva
dovuto svolgere nessuna missione mentre si trovava là. Si sentiva stranamente
fuori luogo a guardare quelle strade e quei palazzi che avrebbero dovuto essere
casa sua, ma di cui aveva un ricordo estremamente vago e che identificava solo
grazie alle missioni svolte. Le sue prime missioni.
Dalla finestra
della sua camera d'albergo la vista era ampia, la stanza era stata scelta da
chi preferiva le grandi altezze che gli permettevano di tenere sotto controllo
la situazione nel miglior modo possibile e grazie a questo, riusciva a vedere
gran parte della città: era piuttosto sicura che quella casa con il tetto
crollato fosse l'ex dimora di quel suo bersaglio che le aveva offerto un posto
al suo fianco nell'impresa di famiglia se lo avesse risparmiato.
Gli aveva
spezzato il collo ancora prima che potesse terminare la frase.
Anche alcune
strade le sembravano familiari e piegando il collo così da avere una visuale
leggermente differente, aveva realizzato che probabilmente anche lo stesso
vicolo che si trovava davanti al suo albergo aveva avuto lo spiacevole
inconveniente di essere teatro di una delle sue numerose uccisioni. Forse il
collezionista d'arte. O magari quella guardia giurata.
Non ricordava.
Sospirando, Natasha si ritrovò a pensare che probabilmente non era
stata una buona idea tornare in Russia e ancora meno tornarci dopo la caduta
dello S.H.I.E.L.D. dopo la quale tutti i loro segreti
erano stati rivelati pubblicamente. In quello stesso momento, c'era la
possibilità che qualcuno stesse leggendo tutto ciò che la riguardava seduto
comodamente su una poltrona e che, a lettura conclusa, si sarebbe limitato a scuotere
la testa pensando che si trattasse esclusivamente di uno scherzo: insomma non
potevano esistere davvero persone come lei.
Quanto avrebbe
voluto che fosse effettivamente così.
« Non
è mai un buon segno quando fumi »,
quell'affermazione precedette di pochi secondi l'arrivo di Clint alle sue
spalle e mentre le sue mani si chiudevano intorno alla sua vita, si ritrovò a
pensare che la ricerca di una nuova copertura si era rivelata piuttosto
piacevole fino a quel momento: dopo l'iniziale fuga di notizie che l'aveva
portata davanti alle telecamere, era svanita come solo lei era in grado di
fare, senza lasciarsi la minima traccia alle spalle e non portando niente con
sé se non l'uomo che in quel momento le stava baciando leggermente il collo.
Quando si erano
trovati l'uno di fronte all'altra, il sollievo di avere finalmente qualcuno di
cui potersi fidare ciecamente le aveva quasi fatto perdere l'equilibrio ed era
stato spontaneo ed inevitabile rifugiarsi tra le sue braccia. Lui non aveva
detto niente, si era limitato a stringerla e successivamente a chiederle dove
sarebbero andati.
Non aveva dubbi
sul fatto che lei avesse già una meta prefissata e non aveva nessuna intenzione
di lasciarla andare da sola.
Due giorni dopo,
erano in Russia.
« Ti
ho vista fumare in sole due occasioni da quando ti conosco: dopo New York e per
la successiva settimana al tuo lavoro sotto copertura con Stark
».
Natasha rise divertita.
Aveva sempre
trovato orribili le sigarette: poco eleganti e, soprattutto, poco piacevoli
visto l'odore che lasciavano sui vestiti e sulla pelle. Per una spia come lei
che come arma usava il proprio corpo, un vizio simile non poteva in alcun modo
essere giustificato.
Tuttavia, in
rari casi si lasciava andare limitandosi poi a passare una buona parte dell'ora
successiva in una doccia.
Con le mani di
Clint adesso direttamente sulla sua pelle, si ritrovò a pensare che anche la
doccia sarebbe stata divertente quel giorno.
« Cosa
ti preoccupa? ».
Il sospiro che
accompagnò quella domanda, aveva traccia dell'ultima boccata di fumo che quella
sigaretta le aveva concesso. Spegnendola sul bordo del davanzale, si era
limitata a gettarla fuori dalla finestra per poi rigirarsi tra le braccia
dell'uomo così da trovarsi con il volto premuto contro la sua spalla.
Non era sicura
di volerglielo dire.
Faceva parte di
quella categoria di cose che aveva tenuto sempre per sé, neanche lo S.H.I.E.L.D. ne era a conoscenza. Si era sempre assicurata
di non rivelare tutti i suoi segreti, soprattutto per evitare che
venissero usati contro di lei ma anche per il semplice fatto che alcuni erano
troppo personali da poter essere rivelati.
Come, per
esempio, chi l'aveva addestrata.
Certo, lo S.H.I.E.L.D. sapeva tutto sulla Red Room
e sugli esperimenti che avevano fatto su di lei, quello che non avevano mai
saputo tuttavia erano le informazioni più dettagliate, in particolare quelle
che riguardavano un ragazzo che era stato sia maestro che cavia.
Il Soldato
d'Inverno.
Aveva mentito a
Steve quando aveva raccontato di come le voci di corridoio parlassero di questo
fantasma, non c'era nessuno con informazioni su di lui tali da dare inizio a
qualcosa del genere.
Così come un
tempo, non c'erano voci neppure su di lei, la Vedova Nera.
« Ha
a che fare con il perché siamo qui? ».
Clint non era
stupido, motivo per cui le era sempre piaciuto. Si limitava a nascondere la sua
intelligenza e perspicacia dietro a battute sarcastiche e atteggiamenti da
bambino; in questo modo chiunque, soprattutto i nemici, finivano con il
sottovalutarlo e questo solitamente causava la loro rovina.
E lei, che da
sempre mascherava la sua forza e le sue intenzioni sotto il suo bell'aspetto,
non poteva che apprezzare questo suo modo di essere.
Grazie a questo molto
probabilmente, magari senza neanche rendersene conto, si era salvato la vita
anni fa: quando per la prima volta l'aveva visto da vicino lui era pronto ad
ucciderla, ma lei non era da meno. E in un momento cruciale che avrebbe deciso
chi dei due ne sarebbe uscito vincitore, lui si era messo a scherzare e questo l'aveva
talmente confusa da farla esitare, indecisione che poi aveva portato lui a
risparmiarle la vita e ad offrirle un'alternativa alla morte.
Clint quel
giorno, aveva salvato entrambi.
« Seguo
un vecchio fantasma », decise di
rispondere.
Forse non era
pronta a rivelargli la verità, ma non voleva neppure tenerlo all'oscuro di
tutto.
E non aveva
dubbi sul fatto che lui l'avrebbe capita: quelli come loro costruiscono vite
intere seguendo i propri fantasmi. Alcune volte per onorarli, altre per
sbeffeggiarli.
In un'esistenza
dove la conta dei bersagli eliminati è più altra del numero di quelli salvati,
c'è molto spazio per gli spettri e non è inusuale che qualche volta tornino a
far loro visita.
Quello che tuttavia
l'aveva effettivamente turbata, era il fatto che questa volta non fosse fatto
di memorie o reminescenze questo fantasma, ma di carne e ossa.
Era vivo.
Ed era tornato.
La prima volta
che lo aveva visto, l'inverno si era abbattuto sulla Russia da un paio di
settimane. Non avrebbe saputo dire che mese o che giorno fosse, per il semplice
fatto che non era suo compito saperlo. Era in grado di tenere il passo delle
stagioni solo grazie ai cambi di temperatura e, nel caso dell'inverno, a causa
dei problemi che la neve portava con sé e che a volte costringevano lei e
chiunque risiedesse in quella struttura a docce fredde o a ore intere senza
corrente.
Non ci fu
nessuna presentazione.
Era in quella
zona della base dove passava le sue giornate ad allenarsi, sotto lo sguardo
vigile di più di una persona; ognuno aveva il proprio compito: c'era chi
valutava la sua forza, chi la sua resistenza e, a volte, chi le iniettava
qualcosa alla base del collo poco sotto l'attaccatura dei capelli in modo che
nessun segno fosse visibile e che il suo aspetto non venisse rovinato.
Il suo arrivo fu
qualcosa di inaspettato, un avvenimento che non era mai successo prima.
La prese così
alla sprovvista che quando il primo pugno le arrivò sullo stomaco, non fu
neanche in grado di prevederlo e si ritrovò sulle ginocchia a terra senza
fiato.
I suoi capi non
furono contenti quella sera, quando seppero che una semplice variazione della
sua routine era risultata essere più che sufficiente per spiazzarla e metterla
fuori gioco.
La punirono
duramente quella settimana.
E dalla
successiva, introdussero ogni sorta di possibile minaccia imprevista nel corso
delle sue giornate.
Imparò a dormire
solo quando necessario.
« Come
mai è tornato proprio adesso? ».
La domanda la riportò alla realtà così bruscamente che dovette quasi fare uno
sforzo per ricordare dove si trovasse.
Fece quasi per
allontanarsi, improvvisamente senza fiato, ma una carezza alla base della
schiena la rilassò abbastanza da riuscire a trattenersi. Con un respiro
profondo, alzò lo sguardo così da incontrare i suoi occhi.
A volte si
sentiva in colpa a non parlare con lui del suo passato, ma era convinta che tenerlo
all’oscuro di alcune cose non potesse che essere un bene sia per lui che per
lei.
« L'amico
di Steve, il soldato, mi ha riportato alla mente vecchi ricordi... ».
Una mezza verità
a volte è più che sufficiente.
Capì già dal
loro secondo incontro che, come lei, l'uomo non era altro che un esperimento in
fase di elaborazione: il suo braccio di metallo, spesso nel corso di quel loro
allenamento, aveva avuto bisogno di manutenzione. Natalia imparava in fretta e
una volta capito che quello era sia il suo punto di forza che di debolezza,
aveva cercato di sfruttare quella conoscenza a suo favore.
Tuttavia il più
delle volte non era sufficiente: il suo addestramento era più che buono, ma
aveva ancora molte cose da imparare. Cose che quel rude soldato le stava
insegnando nel modo più violento possibile.
Per quanto
assecondasse gli ordini dei loro superiori di non colpirla sul volto e di non
romperle le ossa, non era raro che dopo una sessione di allenamento con lui si
ritrovasse sanguinante o con più di qualche livido sparso per il corpo.
A volte era così
dolorante che la mattina successiva faceva fatica ad alzarsi.
Tuttavia non
erano concesse pause né alcun tipo di riposo: ogni giorno incontrava il Soldato
che per ore le insegnava a combattere come lui, correggeva movimenti sbagliati
e la costringeva ad usare ogni mezzo a sua disposizione per bloccare i suoi
attacchi.
Fu in quel
periodo che imparò che le sue gambe erano abbastanza forti da poter mandare a
terra un uomo alto molto più di lei e che il suo essere più minuta e quindi più
silenziosa sarebbe sempre stato uno dei suoi vantaggi più grandi.
Ma ben presto
realizzò che la sua vera forza era un'altra: lei era una donna.
« E
questi ricordi ti hanno riportata in Russia », concluse Clint.
Lei annuì e dopo
essersi sciolta dal suo abbraccio, andò a sedersi sul bordo del letto. L'aria
fresca entrava dalla finestra ancora aperta e una strana sensazione prese forma
e si accovacciò alla base del suo stomaco. Un misto di nostalgia e paura, come
se tutte le cose belle e brutte mai successe nella sua vita, si fossero
improvvisamente trasformate in quella fredda brezza che profumava vagamente di
pane appena fatto.
Cercò di
attenuare la sensazione facendo un respiro profondo, ma si rese presto conto
che quel gesto non le dava il sollievo desiderato: era come se i suoi polmoni
non riuscissero ad immagazzinare abbastanza aria e per un attimo pensò
sconcertata che potesse essere sul punto di avere un attacco di panico.
Ma così com'era
cominciata, finì.
Un altro respiro
profondo e si ritrovò Clint davanti a lei, inginocchiato in modo da avere il
suo volto all'altezza del suo. Con una mano le accarezzò gentilmente la guancia
mentre l'altra faceva leva sulla sua gamba così da poter mantenere l'equilibrio
mentre si chinava lentamente per baciarle le labbra.
Un piccolo gesto
di conforto che scacciò via lo strascico di quella strana sensazione che
l'aveva colta solo qualche istante prima.
Chinandosi a sua
volta cercò di approfondire il bacio, ma una leggera risata la fermò. La mano
di Clint era scesa verso il suo collo e adesso stringeva tra le dita la piccola
collana a forma di freccia che portava ormai da svariate settimane.
« L'hai
messa davvero? », nella sua voce
c'era un pizzico d'orgoglio oltre lo scherno. Fu l'unico motivo per cui non gli
diede uno spintone tale da farlo cadere a terra.
« E'
un regalo, perché non avrei dovuto? »,
non voleva dargli alcuna soddisfazione dopo quella domanda così sfacciata.
« L'ultima
volta che ti ho fatto un regalo, mi sono ritrovato con un occhio nero », le fece presente.
Natasha rise divertita
mentre i ricordi di quella giornata si facevano largo nella sua mente: era
stato uno dei loro primi incarichi assieme che gli aveva portati a Londra per
svolgere un piccolo lavoro sotto copertura. Nell'attesa di un segnale che desse
loro il via libera per tornare a casa, lui aveva insistito per vagare tra le
bancarelle dell'enorme fiera natalizia presente a Hyde
Park.
Elettrizzato
come un bambino, Clint aveva deciso poi di destreggiarsi in uno di quei giochi
in cui lo scopo principale è colpire con una pallina una serie di barattoli in
modo tale da farli cadere tutti: aveva vinto un pupazzo.
Pupazzo che, con
un sorriso sarcastico a piegargli le labbra, aveva allungato alla donna: quando
aveva realizzato che quella mezza palla di pelo morbido e nero era un ragno,
gli aveva rifilato un gancio destro dritto in faccia che gli aveva fatto vedere
le stelle per il resto del loro viaggio di ritorno in America.
« Ringrazia
che non ti abbia pugnalato quella volta ».
Scherzando solo
in parte, si chinò nuovamente per baciarlo e quando lui la prese per i fianchi
e la trascinò al centro del materasso, insinuò una mano sotto la sua maglia e
gliela sfilò. Gettandola di lato, fece scorrere le mani sulle sue braccia
muscolose, dove leggere cicatrici e marchi segnavano le zone in cui solitamente
si trovava il suo equipaggiamento. Un bacio poco sotto la gola e si ritrovò
sdraiata sulla schiena mentre le rapide dita di Clint finivano di spogliarla.
Una risata
divertita le uscì dalle labbra al suono di una leggera imprecazione da parte
dell'uomo che, sconcertato, si era alzato a mostrarle il piccolo pugnale che
aveva appena liberato dalla stretta giarrettiera che portava legata alla
coscia.
« Davvero?
», chiese incredulo.
Lei per tutta
risposta, ribaltò le posizioni trovandosi così a cavalcioni all'altezza della
sua vita. Un sorriso malizioso le incurvò le labbra mentre riprendeva possesso
della sua arma e la infilava nuovamente al suo posto.
Piegandosi per
avvicinarsi al suo viso, i capelli le scivolarono in avanti e andarono a
poggiarsi sulla spalla di lui che sospirò dolcemente: aveva sempre adorato i
suoi rossissimi capelli.
Il bacio che
seguì aveva un'urgenza che fino a qualche secondo prima non c'era: con
l'esigenza di avvicinarla a sé, fece scorrere una mano tra le scapole e poi giù
lungo la colonna vertebrale così da poter raggiungere la parte bassa della
schiena e schiacciarla contro il suo corpo. La frizione che seguì fece
trattenere il fiato ad entrambi.
Quando entrò in
lei, il gemito che seguì lo portò a cercare con ancora più foga le sue labbra
così da poter sentire direttamente sulla sua bocca quel suono. Con uno colpo di
reni, si alzò e tenendo la donna per i fianchi prese ad assecondare ogni sua
mossa.
Intanto Natasha con gli occhi semi chiusi, continuava a muoversi:
passava le mani sul suo petto, inarcava la schiena e piegava il collo così da
lasciare scoperta la morbida pelle bianca dove la piccola collana oscillava ad
ogni suo movimento.
Clint aveva
presto imparato che, nonostante le apparenze, la donna non fosse sempre gelida
nei suoi comportamenti: a letto sussurrava, si lasciava andare e rivelava una
sensualità che nella vita di tutti i giorni era visibile solo a metà. E
considerato che chiunque la vedesse, fosse concorde sul fatto che lei fosse
innegabilmente affascinante, si sentiva l'uomo più fortunato del mondo a poter
vedere la donna al pieno della sua reale bellezza.
Il ritmò
cominciò ad essere incalzante e le gambe di Natasha
si strinsero con forza intorno ai suoi fianchi mentre i sospiri si facevano più
rapidi e rumorosi.
Quando finì, entrambi
si ritrovarono senza fiato: le braccia di lei erano attorno al suo collo e la
sua bocca vicino all'orecchio destro di lui che intanto continuava a far
scorrere le mani lungo la schiena della donna in una dolce carezza.
Mentre i respiri
tornavano ad essere regolari, la domanda che uscì dalle labbra di Clint la fece
leggermente irrigidire: «
Cos'è
successo al tuo fantasma? ».
Un altro inverno
era arrivato e passato e presto il Soldato se ne sarebbe andato: sapeva che
presto l'avrebbero chiuso di nuovo in una di quelle strane capsule che tenevano
nascoste nella zona dell'impianto dedicata agli esperimenti e che per almeno un
paio di mesi non l'avrebbe più rivisto. Succedeva sempre così quando cominciava
a comportarsi in maniera leggermente diversa.
La prima volta
che era successo, si era messo a gridare durante un loro allenamento alla vista
del suo braccio di metallo che le stringeva il collo. Non era insolito che le
afferrasse la gola durante un combattimento più acceso del normale, tuttavia
non era mai capitato che la guardasse con le pupille dilatate a dismisura, la
lasciasse andare così facilmente e tantomeno che cominciasse a scusarsi senza sosta.
Era quasi
arrivata a pensare che fosse un trucco e che volesse ingannarla per poterla
atterrare di sorpresa, ma poi aveva visto i loro osservatori agitarsi e nel
giro di qualche minuto, l'uomo era stato drogato e adagiato su un lettino che
poi era stato portato via in tutta fretta.
Riapparve
qualche mese dopo, come se niente fosse successo e con la pelle fredda come
l'inverno.
Sapeva che
presto sarebbe successo di nuovo, perché in quel momento la sua voce era
esitante e molto più bassa del solito mentre le impartiva una delle ultime
lezioni necessarie a poter lavorare finalmente sul campo.
Continuava a
fissarla con quello strano sguardo negli occhi. All'epoca non aveva
riconosciuto quell'emozione che anni dopo avrebbe catalogato come senso di
colpa.
« ...sfiorali con
le mani mentre ti baciano »,
continuava ad impartirle brevi consigli mentre la spogliava. « Se non sei
sicura di poterli uccidere a mani nude, tieni un coltello o una pistola
nascosta sotto i vestiti: quando se ne accorgeranno sarà troppo tardi », e così dicendo
le sfiorava le zone adatte come l'interno coscia o le caviglie.
« Renditi
vulnerabile: parla, mostra il collo o chiudi gli occhi... », le istruzioni
erano semplici da seguire e non riusciva a capire perché ci fosse tutta
quell'indecisione nella sua voce mentre prendeva possesso del suo corpo.
Fece come le era
stato detto e lo ascoltò scusarsi mentre le afferrava i capelli e spingeva il
suo corpo contro il suo ancora e ancora, sempre più velocemente e con sempre
più foga.
Natalia lo
rassicurava con frasi vuote che le erano state insegnate da bambina, frasi che
per lei non avevano significato ma che sembravano funzionare con lui.
Sussurrava perché glielo aveva ordinato e perché sembravano piacergli e intanto
mostrava il collo e stringeva le sue gambe intorno a lui.
Quella fu
l'ultima volta che vide il Soldato d'Inverno.
« Se
n'è andato », rispose non
pensandolo veramente.
Si, molti
fantasmi sbiadiscono nel tempo e finiscono con l'essere rimpiazzati da altri o
dimenticati, ma non sarebbe mai stato così per questo: lui non sarebbe mai
scomparso.
Né lui né i suoi insegnamenti.