Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Ricorda la storia  |      
Autore: chemicalju    18/03/2015    1 recensioni
Si prese un secondo per sospirare pesantemente, rimase immobile nel bel mezzo della stanza, ad ogni singhiozzo di Gerard il suo battito cardiaco aumentava e credette che di lì a poco il suo cuore avrebbe ceduto se non fosse riuscito a calmarsi, si passò una mano sul viso prima di lanciare un’ultima occhiata intorno ed uscire dalla camera da letto. Lo sentì prendere fiato e tirare su col naso prima di ricominciare a piangere sommessamente.
“Gee, per favore, dove sei?”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Una minuscola nota così magari riuscirete a leggere la fic in modo diverso. È nata in tutto e per tutto come one-shot ed è per questo che per ora rimane tale, ma mi balenava in mente l’idea di un sequel e avevo buttato giù già un paio d’idee, dipende tutto dal riscontro che avrò, se vi stuzzica l’idea let me know, sono curiosa di sapere cosa ne pensate, ci vediamo giù, buona lettura!
 
 
 
 
violent violets in my veins
 
 
 
 
2005
 
02:34
 
“Proo..onto? Mh..? Mh-mh…”
Frank schiuse leggermente gli occhi ed il buio lo avvolse, la suoneria del cellulare lo aveva violentemente riportato alla realtà quando tutto quello che voleva era il rassicurante torpore delle coperte. Ci mise qualche secondo ad elaborare che nessuno aveva ancora risposto alla sua domanda e tutto quello che udiva erano singhiozzi. La mano destra tastò automaticamente l’altra metà del letto e la trovò vuota ma soprattutto fredda, il suo cuore mancò un battito per poi ricominciare a pompare sangue sempre più velocemente.
“Cazzo! Gerard, dove sei? Gerard?”
Con la mano vuota si liberò velocemente delle coperte e scese dal letto, accese frettolosamente la luce sul comodino, si spostò verso l’armadio e cacciò le prime cose che trovò per infilarsele. Gerard continuava a singhiozzare e lui continuava a ripetere il suo nome senza ricevere risposta. Con lo sguardo cercò le scarpe sul pavimento e dopo essersi infilato la felpa alla meno peggio le indossò distrattamente. Si prese un secondo per sospirare pesantemente, rimase immobile nel bel mezzo della stanza, ad ogni singhiozzo di Gerard il suo battito cardiaco aumentava e credette che di lì a poco il suo cuore avrebbe ceduto se non fosse riuscito a calmarsi, si passò una mano sul viso prima di lanciare un’ultima occhiata intorno ed uscire dalla camera da letto. Lo sentì prendere fiato e tirare su col naso prima di ricominciare a piangere sommessamente.
“Gee, per favore, dove sei?” Il tono supplichevole probabilmente convinse il più grande che non avrebbe risolto un bel niente se non si fosse mosso a sbiascicare qualche parola e quasi in un sussurro nominò una strada nel centro di Newark  ad un paio di isolati da casa loro.
Arrivò a tentoni vicino alla porta d’ingresso dopo aver miracolosamente sceso le scale nell’oscurità totale, accese la luce per cercare le chiavi di casa e dopo averle trovate si catapultò per strada.
Dal modo in cui farfugliava capì che era ubriaco fradicio e che fosse riuscito a chiamarlo solo per un colpo di fortuna. Dalla fine dell’ultimo massacrante tour Frank l’aveva aiutato a ripulirsi fino all’ultima goccia di sangue ed aveva incominciato a credere che sarebbe stata la volta definitiva, che avrebbe chiuso con l’alcool, con i farmaci, che si sarebbero lasciati l’ultimo anno alle spalle e avrebbero ricominciato a ricostruire tutto dall’inizio. I sensi di colpa incominciarono a mangiarlo vivo, forse non lo aveva aiutato abbastanza, forse non si era accorto di quanto stesse realmente male, forse era solo una bugia che raccontava a se stesso quando la realtà era tutt’altro, forse era stato troppo egoista nel pensare che fosse la persona giusta per aiutarlo. La convinzione che lo aveva accompagnato per svariati mesi di poter affrontare quella situazione  e di riuscire a farsi carico di tutte le responsabilità del caso andò scemando ad ogni passo che faceva. C’era stata una falla nel piano, un minimo particolare che gli era sfuggito e tutto era venuto giù con una facilità disarmante. Tutti i discorsi rassicuranti del cantante incominciarono a ronzargli nelle orecchie producendo un rumore assordante, ogni singola parola era una fitta alle tempie e probabilmente, una bugia a cui aveva creduto.
 
 
“Fraaank!” Il chitarrista si fermò all’improvviso e quasi perse l’equilibrio quando sentì la voce di Gerard chiamarlo, aveva smesso di piangere, era seduto su una panchina a qualche metro da lui e lo aveva visto arrivare. Si trascinò ansimante verso di lui e crollò sulle ginocchia per lo sforzo fisico quando se lo trovò davanti. Non ebbe il coraggio di alzare subito lo sguardo, non sapeva come avrebbe affrontato la situazione e lasciò che il respiro si regolasse prima di fare qualsiasi cosa. Infilò distrattamente nella tasca della felpa il cellulare che aveva ancora in mano. Nessuno dei due proferì parola per qualche minuto, Frank sentì la mano dell’atro posarsi sulla spalla, esitò un attimo ed infine il marciapiede scomparì gradualmente dalla sua visuale per lasciare posto al corpo di Gerard seduto in malo modo su quella panchina nel bel mezzo della notte. Soffocò un urlo portandosi una mano davanti alla bocca quando vide cos’era successo al suo viso.
  “Cos’hai…chi ti ha fatto quelli?” Dall’espressione corrucciata che il più grande  assunse sembrò non capire, in un secondo momento si portò una mano sul viso e collegò a cosa si riferisse la domanda. Piegò le labbra in un sorriso rassegnato e puntò gli occhi sulla strada deserta dietro Frank.
“Pensavo…Frank, che potessi…sono brutto, le persone hanno paura…” Il suo petto sussultò violentemente e le sue labbra si contrassero in una smorfia dolorosa. Il più piccolo si sporse verso di lui un po’ titubante, incominciò ad osservare più attentamente i graffi che si era procurato, ne era pieno, alcuni erano più profondi e continuavano a sanguinare. Gli accarezzò dolcemente una guancia lasciando una scia vermiglia dietro il suo tocco. Lanciò un’occhiata veloce alla mano che gli oscurava l’altro lato della faccia e dalla quantità di sangue ormai secco che la ricopriva dedusse che si era ripetutamente sfregato le unghie contro la pelle. Rabbrividì al pensiero che l’avesse fatto, che potesse aver pensato davvero di poter cambiare sfregiandosi in quel modo e ancora una volta incolpò se stesso per non essere riuscito ad impedirgli di pensare che nulla di quello che credeva fosse vero.
“E tu, non devi, non…è colpa mia…” I suoi occhi pieni di lacrime si incatenarono a quelli di Frank che dovette sforzarsi per rassicurarlo e per non scoppiare a piangere, si puntellò sulle ginocchia e gli circondò le spalle stringendolo il più possibile a lui.
“Non è niente, ora andiamo a casa.” Gerard si rilassò per un attimo contro il suo petto e prese un respiro profondo.
Il più piccolo lasciò la presa e fu il primo ad alzarsi, gli porse una mano e Gerard l’afferrò incerto, provò ad alzarsi ma cadde rovinosamente sulla panchina per un paio di volte, Frank gli circondò la vita con un braccio e lo sostenne, l’altro mosse qualche passo verso il marciapiede e si fermò.
“Perché continui, Frankie..” Il chitarrista gli rivolse un sorriso e l’incitò a muoversi, Gerard si aggrappò alla sua spalla e incominciò a camminare in silenzio.
Non riusciva a spiegarsi perché l’avesse fatto, cosa lo avesse spinto a bere di nuovo, nonostante le crisi che ancora si presentavano aveva ricominciato a scrivere e disegnare. L’ipotesi che il cantante potesse avergli mentito era un boccone amaro da mandare giù, incominciò ad elencare mentalmente tutte le possibili cause di quella decisione di cui non era stato messo al corrente, ognuna era tremendamente plausibile e tutte trovavano conferma nelle pessime condizioni del moro che camminava ancorato alla sua spalla. Alzò lo sguardo al cielo non appena sentì l’incombente minaccia di un pianto e cercò di distrarsi illudendosi che nulla di quello che gli era passato nella mente fino a quel momento fosse vero. Il ricordo della litigata che ebbe con un Gerard abbastanza devastato dopo la terz’ultima performance catturò completamente la sua attenzione ed un’ondata di nausea gli attanagliò lo stomaco ricordando le esatte parole che sentì uscire dalle labbra del moro. “Non puoi prenderti cura di me, non sei abbastanza forte per entrambi.” Spostò lo sguardo dal cielo, lo puntò sui propri piedi che avanzavano lentamente e ripeté flebilmente quelle parole che stavano diventando più reali che mai.
 
Dopo circa cinque minuti Gerard si fermò di nuovo, lasciò la presa dalla spalla del più piccolo e con un paio di passi tremolanti si portò davanti a lui, gli prese le mani e se le portò sui fianchi, il suo sguardo interrogativo gli procurò una risata e abbozzò un sorriso. 
“È così. È sempre stato così. Sei mio.” Parlando si avvicinò sempre di più alle sue labbra fino a farle combaciare con le proprie e Frank non poté fare nulla per impedire a quella lingua di irrompere prepotentemente nella sua bocca per approfondire il bacio. Il più grande, barcollante, lo spinse con la schiena contro un lampione poco dietro di lui e portò le braccia dietro il suo collo. Frank spalancò gli occhi e lasciò la presa dai suoi fianchi per spingerlo via quando lo sentì strusciarsi contro il suo basso ventre.
“Sei fottutamente ubriaco, finiscila.” Gli sputò quelle parole addosso quasi con rabbia e tenendo lo sguardo basso gli afferrò di nuovo la vita per trascinarlo a casa, ma Gerard si scostò e quasi cadde a terra. Dopo che i suoi piedi ebbero trovato di nuovo equilibrio, Frank li vide avvicinarsi e fece istintivamente un passo indietro.
Prima che potesse accorgersene la sua mano lo colpì in pieno viso e un dolore lancinante si propagò dall’orecchio fino alla bocca. Chiuse istintivamente gli occhi e lo sentì urlare un ‘vaffanculo’ prima che i suoi passi si allontanassero velocemente verso casa. Iniziò a piangere involontariamente e si morse un labbro cercando di fermare inutilmente le lacrime.
In quell’istante, combattendo tra la voglia di accasciarsi a terra ed il dovere di rientrare, ammise a se stesso che non ce l’avrebbe fatta. Se avesse avuto il controllo sui suoi muscoli facciali avrebbe sorriso amaramente, ma non era l’unica cosa, e neanche la più grave, che non riusciva a gestire.
Desiderò di poter tornare indietro, di sentire le braccia della madre confortarlo, di svegliarsi la mattina e sentire i familiari rumori della casa in cui era cresciuto. La fastidiosa apprensione dei genitori che per tanti anni aveva cercato di scrollarsi dalle spalle e le loro aspettative deluse da un figlio lontano anni luce da qualsiasi modello preimpostato dalla società erano un ricordo quasi dolce in cui rifugiarsi. Non avrebbe avuto un’altra occasione per tornare indietro e pentirsi delle proprie scelte e, nonostante il fastidioso formicolio che si stava espandendo sulla guancia come testimone ineluttabile della realtà che stava cercando di dimenticare,  probabilmente non se ne sarebbe mai pentito.
Se c’era una cosa che Frank aveva imparato su se stesso, e lo aveva imparato dopo due anni di convivenza con Gerard e svariati tour, era che la sua esistenza era stata completamente assorbita dall’altro e nonostante si stagliasse impotente davanti all’autocommiserazione che stava divorando il cantante, avrebbe sempre provato ad afferrarlo sull’orlo del burrone, a costo della sua stessa sanità mentale. Doveva tutto, o quasi, al ragazzo che gli aveva appena tirato uno schiaffo senza motivo, se si era svegliato dallo stato comatoso in cui aveva passato tutta l’adolescenza ed oltre il motivo era Gerard Way che aveva insistito giorno e notte per averlo nella sua band. Qualunque cosa facesse il motivo era sempre Gerard Way, anche la sua camminata titubante sul vialetto di casa in quel preciso istante. Gli anni del college erano una massa nebulosa che occupava una parte periferica e quasi dimenticata del suo cervello ed infondo era anche comprensibile se si consideravano le dosi di marjuana  che era arrivato a consumare per scappare a gambe levate da quella che si prospettava essere la futura vita di un impiegato statale. La consapevolezza di non avere nulla a che fare con il mondo fuori dalla sua camera ed il doverci convivere un’intera esistenza era il suo principale problema e non trovare nessuno che condividesse le sue stesse preoccupazioni era ancora più angosciante del problema stesso a dirla tutta, in poche parole sarebbe impazzito prima del previsto se l’estate dell’ultimo anno di college un povero cristiano non gli avesse offerto una birra per farsi perdonare per averlo quasi investito mentre era ubriaco fradicio. Inutile precisare chi fosse l’ubriaco fradicio in questione. E immediatamente dopo quell’incontro Frank si trovò alle prese con una parte di se stesso che non aveva mai conosciuto. Si scoprì insicuro, timoroso dei suoi limiti e delle sue effettive capacità. Un conto era autoconvincersi di essere diverso da chiunque lo circondasse, un altro era mettersi in gioco per dimostrare che fosse effettivamente così. E nonostante avesse esitato per più di un mese, alla fine si era buttato nel vuoto per quegli occhi verdi e languidi che aveva visto per la prima volta di fronte ad una doppio malto di trentatré centilitri.
Ed ancora erano quegli occhi che lo fissavano mentre girava la chiave  per aprire la porta di casa.
 
“Ti ho… fatto male.”
“Non importa, entra.”
Gerard tirò un calcio alla porta facendola sbattere violentemente e si accasciò sul pavimento del salotto, singhiozzando. C’era ancora un’ingente quantità di alcool che circolava nel suo sangue che gli impediva di percepire oggettivamente ogni sua azione ed ogni conseguenza. Qualcosa lo aveva fatto innervosire ma non sapeva esattamente cosa ed era inutile andarlo a cercare tra i meandri dei suoi ricordi più recenti, tutto era annebbiato e quella condizione non gli dispiaceva affatto.
Era da troppo tempo che non si concedeva il lusso di fare, parlare, pensare, agire senza doversi sottoporre ad ore ed ore di estenuanti pippe mentali anche quando si trattava di sbiascicare un buongiorno al commesso del supermercato e ad incoraggiarlo c’era la consapevolezza che lui non avrebbe ricordato e che Frank lo avrebbe sempre e comunque perdonato.
“L’ho scopato.” Le sue parole rimasero sospese nel buio della casa per qualche secondo prima di lasciare il posto ad un silenzio quasi assordante.
“Mi ha scopato, per la verità.” Frank prese un respiro profondo, chiuse con calma la porta dell’ingresso dietro di sé e si diresse verso le scale lasciandosi Gerard alle spalle.
“Non voglio sapere chi-“
“Bert. Non ti interessa?” Il più piccolo si fermò sul primo scalino e si volse verso l’altro cercando il suo sguardo nonostante avesse il volto coperto dai capelli. Poteva sentire le lacrime pizzicargli gli occhi per la seconda volta in poco meno di un’ora ma le ricacciò stringendo i pugni e sforzandosi di mantenere un tono quantomeno credibile.
“No.” Ogni singola parola uscita dalla bocca di Gerard gli riguardava fin troppo perché potesse semplicemente non interessargli ma non poteva disperarsi se la persona con cui non stava insieme si era scopato un altro, nessuna promessa di amore eterno glielo proibiva, eppure poté giurare di sentire la cena della sera prima fare qualche giro di troppo nello stomaco procurandogli una nausea non indifferente. A conti fatti, era stato l’unico ad impegnarsi per tenere a debita distanza ogni forma di vita che provasse attrazione nei suoi confronti. Complimenti per la fiducia mal riposta per l’ennesima volta. Non fu tanto per il suo cuore che giaceva sanguinante ai suoi piedi, ma per una minuscola parte del suo cervello che aveva dato per implicita la fedeltà dell’altro che era andata completamente a puttane e che non avrebbe recuperato con uno schiocco delle dita. Era sempre troppo ingenuo, troppo stupido, troppo innamorato per prendere in considerazione che forse tutti quei cuoricini svolazzanti erano esclusivamente nella sua mente e che erano ricambiati solo in minima parte, che la loro non-relazione non aveva vincoli e che non aveva effettivamente nulla tra le mani se non gli infiniti discorsi dell’altro su quanto grande fosse il sentimento che provava nei suoi confronti e che nessuno avrebbe mai potuto intaccare. La realtà era che ci stava rimettendo più del dovuto e c’era così dentro che non poteva semplicemente abbandonare tutto da un momento all’altro, non che avesse preso in considerazione l’idea, ma se non altro ora sapeva che quello con la scritta “coglione” a caratteri cubitali stampato sulla fronte era lui e nessun’altro. 
La verità era che ci era rimasto di merda, era inevitabile che accadesse, così com’era inevitabile che avesse già accettato tutto e lo avesse archiviato lasciandogli un senso di amarezza che avrebbe smaltito con il passare dei giorni.
Per una manciata di secondi si sentì mancare il respiro e prima che potesse realizzare che Gerard gli stesse stringendo le mani intorno al collo fu scaraventato contro la parete producendo un tonfo sordo. Annaspò in cerca di aria e di nuovo la figura del più grande gli si avventò contro colpendolo in pieno viso con un piede.
“Bastardo, non ti interessa eh?”
Si portò le braccia davanti il viso per proteggersi da un altro eventuale calcio ma per i successivi due minuti regnò il silenzio spezzato solo dal respiro dei due e si convinse a riemergere da quel nascondiglio di fortuna. Gerard era accovacciato a pochi centimetri da lui, gli occhi sgranati che quasi brillavano al buio e sulle labbra un ghigno dipinto che gli palesava che in quel momento, da qualche parte nel suo cervello, si stesse prendendo gioco di lui. Dopo essersi accertato che non sanguinasse dal naso che gli pulsava dolorosamente si tirò in piedi e si passò una mano nei capelli incerto su cosa fare. Salì cautamente un gradino sperando che l’altro non si accorgesse che stesse letteralmente scappando, ma evidentemente aveva solo assecondato il piano che Gerard si era minuziosamente preparato perché lo vide scattare in piedi e annullare di nuovo le distanze.
“Dove…Frank, sai, Bert mi dava il Prozac, sai, contiene fluoxetina per curare la depressione, per questo…l’ho portato…la nostra cuccetta...”
La voce del più grande non era altro che un ringhio nervoso coronato da un espressione soddisfatta non appena sentì le lacrime rinfrescargli le guance che ormai andavano a fuoco. La mano di Gerard gli afferrò la spalla e con una leggera pressione lo fece aderire al muro con la schiena, provò a sostenere lo sguardo dell’altro ma fallì miseramente concentrandosi sulla ringhiera che per quanto non avesse niente da dirgli, non stava certamente cercando di ferirlo in qualsiasi maniera possibile. Il primo pensiero che riuscì ad isolare tra l’ammasso di cose che si stavano accavallando nella sua mente fu la sensazione di sentirsi totalmente inerme, di essere alla mercé delle azioni di Gerard senza potersi difendere perché infondo si meritava ogni parola uscita da quella bocca. Era colpa sua se Bert aveva fatto di Gerard un contenitore per antidepressivi, se quest’ultimo li aveva mangiati come fossero caramelle, se la sua faringe li aveva spinti verso l’esofago, se il suo stomaco li aveva metabolizzati come un qualsiasi pasto, se il suo cervello ne aveva tratto piacere e gli avesse dato la mirabolante idea di ringraziarlo con una scopata.
“Non t’importa, non t’importa, non t’importa…”
Un pugno lo colpì sull’occhio destro e Frank urlò a polmoni aperti per il dolore insopportabile, si accasciò contro il muro mentre la voce di Gerard ripeteva le stesse tre parole prendendosi la testa tra le mani e accovacciandosi su se stesso. Tenne gli occhi chiusi cercando di regolarizzare il respiro per non perdere totalmente il controllo della situazione, l’occhio gli bruciava e gli pulsava in maniera atroce e non smetteva di lacrimare.
Ancora una volta il pugno del più grande entrò in collisione stavolta con la sua bocca e Frank, intrappolato nella sua mente incapace di agire, poté distinguere della cattiveria nello sguardo dell’altro che lo lasciò sanguinante per terra e salì le scale. Si pulì la bocca con la manica della felpa e, con il petto completamente svuotato da qualsiasi emozione e la mente sgombra dal più insignificante pensiero, aspettò quel che gli sembrarono anni prima di trascinarsi in camera da letto. Vide la figura di Gerard attorcigliata tra le coperte, aveva le mani sul viso e respirava profondamente, segno che si era addormentato. Si stese sulla porzione di letto non occupata dall’altro volgendogli le spalle, si portò le ginocchia al petto cingendole con le braccia e chiuse gli occhi, lasciando cadere liberamente le lacrime.
 
 
12:51
 
Gerard dischiuse debolmente gli occhi infastidito da un raggio di luce che da un’ora a quella parte si era preso la briga di battere costantemente sul suo viso. Stiracchiò le gambe sotto le coperte mentre un crescente mal di testa gli ricordò che la sera prima aveva mandato giù una quantità non ben definita di alcool. In un primo momento sembrò pentirsene, poi decise che per quel giorno i sensi di colpa li avrebbe lasciati nell’armadio, sapeva perfettamente che sarebbe stato un episodio isolato, stava lentamente trovando un suo equilibrio e se si era lasciato andare era esclusivamente per mettere a tacere le migliaia di voci che urlavano incessantemente nella sua testa, almeno per una sera. Con la coda dell’occhio vide la schiena di Frank muoversi regolarmente, la raggiunse con una mano e incominciò ad accarezzarla dolcemente con le dita.
Ricordi vaghi gli suggerirono che non era tornato a casa con le proprie forze ma che il più piccolo lo era andato a ripescare nel cuore della notte in qualunque posto fosse, sapeva perfettamente di dovergli spiegazioni che lui non avrebbe chiesto.

Ritrasse distrattamente la mano dalla schiena di Frank per stropicciarsi il viso e solo in quel momento si accorse della sostanza rossastra appiccicata sul dorso e sulle dita e del fastidioso pizzicore che gli aveva pervaso il volto dopo averlo toccato. Si tirò a sedere sul letto un po’ allarmato, tastò delicatamente le guance e la fronte e notò di avere graffi ovunque che bruciavano sotto la pressione del suo tocco.
Dopo essersi sbarazzato delle coperte raggiunse il bagno, chiuse la porta e si prese un minuto per affrontare qualsiasi cosa gli avrebbe riflesso lo specchio. I vestiti della sera prima puzzavano tremendamente e se ne disfò con qualche mossa goffa per rimanere solo con i boxer, prese un respiro profondo ed infine si girò, la prima immagine che ebbe di se stesso gli lasciò un’espressione sorpresa sul volto, si avvicinò per esaminare meglio tutti i graffi, ne era pieno e qua e là comparivano gocce di sangue rappreso, segno che doveva aver sanguinato. Quel liquido vermiglio che circolava nell’apparato cardiovascolare lo ammaliava più di qualsiasi altro organo del suo corpo, osservarlo mentre colorava la sua pelle ed abbandonava le vesti di parte correlata anche della più piccola delle cellule che lo componeva era stata la sua principale occupazione per la maggior parte della sua vita,  precisamente dal primo giorno in cui aveva scoperto che liberarsi di una cosa così essenziale lo faceva sentire  tremendamente bene, come se l’indebolirsi ogni giorno di più fosse il suo dovere, il motivo della sua esistenza.
Gli piaceva pensare che con il passare del tempo sarebbe diventato come una foglia d’autunno, che il suo corpo si sarebbe disseccato diventando giallognolo e friabile e che una semplice folata di vento lo avrebbe ridotto in infinitesimali frammenti e che niente avrebbe potuto testimoniare la sua effettiva esistenza in futuro. Nessuno gli aveva mai detto che sbagliava, tutti facevano finta di non vedere e avrebbe continuato all’infinito se non avesse scoperto che esistevano modi ben peggiori per farsi male e all’improvviso tutta la poesia che trovava nel rinchiudersi nell’intimità di un bagno per disegnare caoticamente sulla propria pelle era svanita. Per anni aveva dimenticato quella piacevole sensazione e rabbrividì pensando che quell’immagine non lo disgustava affatto ma che anzi trovava terribilmente giusto ritrovarsi sfigurato per un motivo per cui non ricordava, pensò che per uno strano scherzo del destino era stato punito correttamente, un po’ come un cerchio che si chiude. Senza contare che ora avrebbe dato un valido motivo alle persone per guardarlo disgustati quando camminava e che la sua autostima si sarebbe illusa per un po’, dando la colpa ai graffi e non all’aspetto che purtroppo si ritrovava.
Aprì il rubinetto e fece scorrere l’acqua prima di sciacquarsi delicatamente il viso, quel contatto fresco gli diede una tregua dal bruciore costante, chiuse il rubinetto e con il viso ancora grondante ritornò nella stanza da letto dove Frank dormiva ancora beatamente. Si stese facendo aderire il suo petto contro la schiena dell’altro e gli cinse la vita con le braccia.
Il problema, lo sapeva, non erano i chili di troppo, non per lui. Che fosse additato come “faccia di cazzo” era una cosa con cui riusciva ancora a convivere con vari escamotage, quello a cui non riusciva a tener testa era il male che riusciva a fare a chi lo circondava, male del tutto involontario, ovvio. Questa cosa lo faceva andare in tilt, c’erano persone che si erano irrimediabilmente allontanate da lui, non le biasimava, ma c’era anche chi subiva in religioso silenzio alimentando la sua sadica voglia di vederli soffrire. Non avrebbe mai costretto qualcuno a stare al proprio fianco, sapeva di non essere la persona perfetta con cui passare tranquilli pomeriggi d’estate, ma al tempo stesso sperava che i pochi rimasti non lo allontanassero.
Già era difficile svegliarsi la mattina ed essere consapevoli di essere Gerard Way, svegliarsi e sapere di essere Gerard Way ma soprattutto sapere di essere solo, insomma, tanto meglio disfarsi del guaio ambulante che era.  Eppure, soffocato dalla sua lenta ed inesorabile autodistruzione e da problemi che tornavano insistentemente a galla, c’era qualcosa che per anni aveva represso e che di tanto in tanto prendeva possesso delle sue parole per sputare discorsi su tutto ciò che provava nei confronti del chitarrista che stava abbracciando. Qualcosa che aveva azzardato chiamare amore, qualcosa che gli aveva permesso di provare una vasta gamma di emozioni e che, era sicuro, fosse vero, eppure non perdeva occasione per smentirlo di fronte agli occhi dell’altro, se non poteva nasconderlo a se stesso avrebbe fatto di tutto per nasconderlo al resto del mondo e al diretto interessato, non poteva dare anche una sola ragione a Frank per rimanere al suo fianco, non poteva lasciare che quel filo che li legava si rafforzasse grazie a lui. Era una cosa che sapeva non sarebbe riuscito a controllare e che avrebbe mietuto vittime e se malauguratamente tra i due la vittima fosse stata Frank non se lo sarebbe mai perdonato.
Sapeva che il suo nascondersi e che la sua apparente superficialità con il tempo avrebbero creato un baratro tra lui ed il chitarrista che non si sarebbe potuto semplicemente risolvere con un bacio, ma prima di allora era sicuro avrebbe trovato una soluzione. Aveva passato gran parte della sua vita ad incolparsi per non riuscire a colmare un vuoto che lo divorava da dentro. Un buco nero in cui ogni buon proposito prendeva le sembianze di un incubo, ponendolo di fronte ad un bivio che nonostante conoscesse a memoria, sbagliava appositamente, per non avere occasioni di successo, per non generare vittorie che sarebbero state disfatte nel giro di pochi giorni. Ora che aveva trovato la ragione per imboccare la strada giusta, proprio non riusciva a muoversi. Rimaneva immobile ad ammirare quanto sarebbe stata bella la sua vita grazie ad un solo passo. Uno solo, che non avrebbe mai compiuto. Ma quella mattina si era ripromesso di non pensarci, voleva cristallizzare quel momento ed imprimere a fuoco nella memoria la schiena di Frank ed il senso di beatitudine che gli stava regalando.
Punzecchiò ripetutamente la pancia del più piccolo finché non lo sentì mugugnare infastidito e sbadigliare.
“Mh, Gee..” quella voce ancora impastata dal sonno gli dipinse un sorriso sulle labbra.
“Ehi, Frankie-” gli pose un bacio dietro il collo facendolo rabbrividire “-Dormito bene?”
Il più piccolo per tutta risposta mugugnò un sì e portò le sue mani su quelle di Gerard stringendole. Non sapeva in che condizioni fosse il suo viso né se Gerard ricordasse qualcosa, ma considerando il tono calmo dell’altro probabilmente aveva rimosso ogni ricordo della serata, cosa che avrebbe desiderato fare tanto lui. Non avrebbe dimenticato facilmente il particolare di Bert ma non per questo rientrava nei suoi piani farlo pesare all’altro, anzi, se non lo ricordava non gli avrebbe dato nessun indizio, lo avrebbe tenuto per sé, per lui non era difficile mantenere un segreto, per quanto riguardava il casino che aveva in faccia sarebbe bastata una stupida scusa. Sapeva che infondo non era giusto nasconderglielo, che avrebbe dovuto dirglielo per fargli rendere conto di ciò che era capace di fare, ma devastare il moro che lo stava abbracciando con tanta premura era una cosa che non avrebbe mai avuto il coraggio di fare, si sarebbe assunto le colpe in futuro se ce ne sarebbe stato bisogno e in quel momento si giustificò con se stesso con un banale “tanto non importa”.
L’importante era essere lì, di poter sentire il corpo di Gerard contro il suo. L’importante era sapere che per quanto instabile, aveva ancora un punto d’appoggio, anche se in verità toccava a lui quel ruolo. Improvvisamente si rese conto di quanto il mondo era rimasto fuori dalla sua vita per tutto per quel tempo e come continuasse a cacciarlo fuori da quella stanza con ogni respiro che faceva perché ad essere sinceri non c’era mai stato un posto per lui, nel mondo. Il suo posto era la testa schiacciata contro il cuscino, il viso che gli formicolava in maniera minacciosa ed il respiro dell’unica persona che voleva davvero accanto. E bastò quel poco per recuperare tutte le speranze che aveva lasciato sotto un lampione poche ore prima.

“Voglio baciarti.” Gerard stava trafficando con le coperte e con il suo corpo escogitando un modo per guardarlo finalmente negli occhi e Frank era decisamente a corto di idee.
“Non è uhm…una buona idea.” Ma la sua frase non fu abbastanza per fermare il più grande e distoglierlo dal suo obbiettivo.
“Perché?” Frank si ancorò con le mani ormai libere al cuscino, affondando ancora di più la faccia nel cotone caldo per il suo respiro.
“Ieri sera.” Sentì il cuore di Gerard fermarsi per una frazione di secondo, lo sentì davvero. Come sentì il suo sangue ghiacciarsi nelle vene, i suoi polmoni collassare, le sue pupille dilatarsi e la sua voce tremolante chiedere spiegazioni, eppure non si girò per rassicurarlo.
“Siamo caduti, cioè, ci hai fatto cadere. Tu hai avuto la meglio, io sono messo peggio. Non spaventarti.” Se possibile, le condizioni del più grande peggiorarono quando Frank si voltò verso di lui svelando un occhio viola ed il labbro inferiore tumefatto, contornati da un alone violaceo che copriva tutta la parte destra del viso. Ecco di nuovo la sensazione del nulla sotto i piedi ed inevitabilmente cadi, cadi, cadi. Gerard stava cadendo e neanche il sorriso incerto che Frank gli rivolse pochi secondi dopo lo salvò dallo schiantarsi sul fondo con la consapevolezza che neanche quella volta aveva fallito,  che era riuscito a fare un passo indietro e che mai come allora aveva concretamente ferito l’altro, facendolo arretrare, anche se impercettibilmente.
“Niente che non si possa rimediare con un caffè da Sam’s, Gee.” Pensò che un caffè non cancella i lividi, che un po’ di caffeina non lo avrebbe fermato dallo scappare lontano, lasciando che Frank leccasse da solo le sue ferite senza che lui gliene procurasse altre. Annuì controvoglia mordendosi il labbro, il nomignolo con cui l’aveva appena chiamato gli suonava così freddo, come se non gli appartenesse più, come se tutto a un tratto non meritasse più i privilegi di quel rapporto.
Frank si voltò definitivamente verso di lui risvegliandolo da quello che purtroppo non era un sogno ma solo il fitto groviglio di pensieri in cui si era perso con un bacio a fior di labbra.
“Sì..sì, mi vesto.” Ricambiò il bacio approfondendo disperatamente il contatto, stringendo forte gli occhi sentendo l’urgente bisogno di tornare con i piedi su quella terra.
Dopo essersi allontanato Frank gli sorrise nuovamente facendo pressione sulle braccia per alzarsi dal letto e con quel sorriso capì che nessuno dei due era realmente caduto, che Frank lo stava proteggendo e che ancora una volta lo aveva perdonato.
“Vestiti, intanto prendo le chiavi di casa, ti aspetto giù.”
 
 

 
__________
 
 
Rieccoci, people! Mi dispiace, cioè in realtà sono felice se siete arrivati fin qui, però mi rendo conto che un pippotto di ben undici pagine non è facile da mandar giù. Che dire, spero che in qualche modo abbiate apprezzato e se non è stato così non abbiate paura di dirmelo, insomma, le critiche son sempre ben accette. Ringrazio chi ha aggiunto tra le preferite le due one-shot precedenti e non siate timidi, ho bisogno di un parere per sapere se continuare o meno, ma non tocca a me decidere, se non si era capito. Susu, aspetto un vostro parere!
 
xoxo
chemicalju 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: chemicalju