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Autore: audreyny    15/12/2008    16 recensioni
Oscar, vestita da donna, si prepara ad andare al ballo e ha chiesto ad Andrè di accompagnarla. L’attendente è folle di gelosia nei confronti di Fersen, e tuttavia obbedisce agli ordini. Ma una volta in carrozza, si rende immediatamente conto che la vettura non si sta dirigendo verso Versailles…che cosa sta succedendo? Breve one-shot senza pretese che spero vi piaccia!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Sono quasi due ore che sono chiusa qui dentro con Nanny che si occupa di me e non ne posso più

SOLTANTO L’INIZIO

 

Sono quasi due ore che sono chiusa qui dentro, con Nanny che si occupa di me, e francamente non ne posso più. Il caldo mi sta esasperando, sento piccoli rivoli di sudore che mi scendono lungo la schiena, tra le scapole, ma non mi posso grattare, primo perché non ci riesco, intrappolata come sono in questo stupido corsetto e secondo perché, dice Nanny, “non sta bene”.

Non sta bene è la sua frase preferita. Non sta bene che una signorina si gratti, non sta bene che una signorina guardi fisso negli occhi, non sta bene che una signorina respiri, pensi, viva. È un incubo.

Non so perché mi è venuta questa idea assurda, e mi sta venendo voglia di levarmi da dosso questo catafalco e rimettermi la mia comoda e familiare uniforme. Almeno potrei riprendere a respirare correttamente! Mi sento il diaframma completamente stritolato tra le costole.

Mi guardo allo specchio e non riconosco la figura di donna che mi guarda, a sua volta, un po’ sorpresa anche lei di trovarsi lì.

Il vestito è meraviglioso, questo persino io riesco a vederlo. È di una seta sottile e vaporosa, bianco, bordato di un delicato velluto azzurro, impalpabile come la sabbia di certe spiagge di luoghi remoti di cui ho soltanto sentito parlare. È abbastanza scollato, evidentemente Nanny ritiene che le signorine per bene possano tranquillamente mettere in mostra il decolté senza rischiare di apparire volgari, e mi lascia le spalle scoperte.

Non porto gioielli, perché non ne possiedo. Un soldato non ha ovviamente bisogno di simili orpelli e con la stessa solerzia con cui alle mie sorelle regalava diamanti e rubini, mio padre mi ha sempre regalato armi di ogni genere, per tutti i miei compleanni. Non mi pare il caso di portare con me la mia spada.

Il mio viso è sapientemente truccato, c’è voluta un’eternità per completare l’opera. Non capisco come possano esserci donne che si sottopongono volontariamente a questa tortura tutti i santi giorni. Io la trovo intollerabile, anche se devo ammettere che il risultato finale non è sgradevole.

I miei capelli sono tirati su con grazia, solo due ciocche scendono a incorniciare il viso, mio o di questa signora che mi guarda dallo specchio, devo ancora decidere. Le forcine mi si conficcano nella testa e mi sembra che mi vogliano penetrare nel cranio, ma Nanny mi assicura che è così che i capelli vanno portati. Mi fido ciecamente, lei è un’autorità nel settore, ha tirato su tutte e cinque le mie sorelle, e loro si sono vestite da donna, sempre, per tutta la loro vita.

Quasi sveniva dalla gioia quando le ho detto che stasera sarei andata al ballo con un abito da sera! Povera Nanny! Almeno una delle due è felice.

Io ero così baldanzosa oggi, così piena di aspettative per questa serata, ma adesso non sono più sicura di aver fatto la cosa giusta.

Questa sera ballerò con lui. Volteggeremo insieme per la sala, sarò stretta tra le sue braccia, potrò sentire il suo odore, guardarlo da vicino, appoggiarmi al suo petto. Mi vengono le vertigini.

Ma, se lui non volesse danzare con me? Se non mi degnasse di uno sguardo? Peggio ancora, se mi trovasse ridicola, così conciata?

Forse il mio è solo un patetico tentativo di dimostrargli una volta per tutte che non sono solo un uomo, il suo compagno di duelli con la spada e di corse a cavallo, ma che sono una donna, capace di sedurre, capace di ammaliare…capace di amare…a questo pensiero arrossisco e meno male che Nanny è uscita un momento per andare a prendere non so quale altro essenziale accessorio della mia toeletta.

Sono arrossita al solo al pensiero. Cominciamo bene. Sono arrivata alla mia età senza sapere nulla dell’amore e adesso, in un atto di estrema superbia, ho deciso di dare vita a questa farsa per dare anche a me una possibilità di conoscere che cosa significa amare ed essere amati.

Ma potrò mai essere amata da lui?

Mi chiedo se avrò mai una risposta e se per averla ci fosse davvero bisogno di tutta questa messinscena, ma ormai è tardi.

Andrè mi aspetta per accompagnarmi in carrozza, devo sbrigarmi. È tardi per analizzare le implicazioni del gesto che sto per compiere, ormai devo andare fino in fondo.

Se esco da quella porta, nulla sarà mai più come prima, in un modo o nell’altro. Ma è un rischio che devo assolutamente correre.

Perché almeno di una cosa sono certa, in questa serata di incoscienza: io lo amo con tutto il mio cuore e solo accanto a lui potrei sentirmi davvero completa.

 

* * *

 

Continuo a passeggiare avanti e indietro nel salottino dove di solito tu ed io ci fermiamo a bere un bicchiere di vino davanti al fuoco. Mi sento una fiera in gabbia, incapace di oppormi al corso degli eventi che si stanno dipanando verso una direzione che io non posso in nessun modo cambiare. Ed è chiaramente la direzione sbagliata.

Sei chiusa in quella stanza da ore insieme con mia nonna e so che ti stai vestendo per andare al ballo. Con lui.

Questo pensiero mi fa salire in gola un affanno senza nome, che mi impedisce di respirare. Mi devo fermare e contare fino a dieci per riprendere coscienza dell’aria che entra ed esce dai miei polmoni. Dentro e fuori, dentro e fuori. Così si vive, se si smette di farlo, si muore. È semplice, eppure mi sembra il risultato di uno sforzo sovraumano.

Cerco di pensare che sarai ridicola in abiti femminili, che sarai goffa e impacciata, ma so già che non è così. Sarai superba Oscar, sarai una dea, e mai e poi mai potrai esserlo per me.

Stai facendo tutto questo per Fersen, che nemmeno ti vede, che non si accorgerà mai di te, che non lo merita, perché non ha mai capito né capirà mai la tua anima.

Mi hai chiesto di togliere le insegne della famiglia Jarjayes dalla carrozza, in modo che nessuno ti riconosca, e mi hai chiesto di accompagnarti, perché non te la senti ti fare il tragitto da casa al ballo da sola. E io, come al solito, ti obbedisco.

Sono pietoso. Se avessi la coda sarei felice, così potrei anche scodinzolarti un po’ intorno. Ma preferisco starti vicino, eventualmente anche scodinzolando, che vivere senza di te. Perché l’unica cosa che ho veramente capito con lucidità in questi anni è che alla fine la sola cosa intollerabile della mia vita sarebbe trascorrerla senza poterti vedere.

Mi dico che la tua felicità viene prima di tutto, che devo gioire perché stasera realizzerai il tuo sogno e sarai cinta dalle braccia dell’uomo che ami e a cui hai votato il tuo cuore, ma non ci riesco. Forse il mio amore per te non è così grande da farmi anteporre la tua felicità alla mia, o forse è troppo grande per sopportare di saperti di un altro.

Mia nonna mi chiama, ecco, stai uscendo dalla tua camera da letto. Vorrei coprirmi gli occhi con le mani per non guardarti, se non temessi di apparire come un bambino capriccioso, come effettivamente apparirei. Quindi ti guardo.

Mio Dio, Oscar, sei una visione. Ma non è il tuo abito che ti rende così splendida, né il trucco, né il modo in cui hai acconciato i capelli. Tu sei sempre bellissima, anche quando indossi l’uniforme.

È il tuo sguardo scintillante che ti rende così luminosa, così irraggiungibile.

Sei una dea Oscar, e io so che cosa succede agli esseri umani che si congiungono con gli dei. È un peccato mortale anche solo desiderarlo. È ubris, superbia, e si paga con la vita.

Il pensiero che presto lui ti stringerà ti arrossa le gote; il tuo passo è malfermo mentre scendi le scale, non so se è l’emozione o sono le scarpe col tacco a cui non sei abituata. Scendi gli ultimi gradini e inciampi. Ti sorreggo per un braccio e per un istante il calore della tua pelle nuda mi stordisce. “Grazie Andrè” mormori, appena udibile. Da dove ti viene fuori questa voce così carezzevole?

Ti porgo il mio braccio e tu vi appoggi con grazia la tua mano delicata, lentamente ci avviamo verso l’ingresso dove la carrozza ci sta aspettando. Ti aiuto a salire e prendo posto accanto a te. Tieni gli occhi bassi e non dici una parola, forse hai paura che la voce ti tremi per l’emozione.

La carrozza corre veloce e ti porta sempre più vicino a lui.

Lo odio. Odio il giorno in cui è comparso nella tua vita, sconvolgendola, odio il fatto che ti farà soffrire, odio ogni lacrima che verserai per lui, ogni sospiro che gli dedicherai, ogni pensiero che ti porta da lui.

In un estremo tentativo di distrarmi, guardo fuori dal finestrino, che è poi il solo modo che ho per non guardare te. Ed è in questo momento che mi accorgo che qualcosa non va.

Questa non è la strada per Versailles.

Questa è la strada per Parigi.

 

* * *

 

“Vetturino! Jerome! Stai sbagliando strada! Accidenti, questa è la strada per Parigi, non per Versailles!”

Speravo che Andrè ci impiegasse di più a rendersi conto che la carrozza si stava dirigendo nella direzione opposta a quella che pensava lui, ma mi sono fatta l’ennesima illusione. Ho cercato di rimandare questo momento il più possibile, ma ora è giunto. Devo solo fare finta che sia un altro duello con la spada. Solo che Andrè non è il mio nemico. Anzi, è esattamente il contrario.

“Calmati Andrè. Jerome non ha sbagliato strada, sta andando esattamente dove io gli ho detto di dirigersi.” La mia voce è calma, ma è chiaramente una finta. Dentro di me sento il vento della tempesta che si agita furioso. Il mio cuore batte all’impazzata e spero che lui non lo senta, non ho il coraggio di alzare il viso e guardarlo. Continuo a fissare il pavimento della carrozza, come se fosse la cosa più interessante che abbia mai visto.

“Cosa? Ma che succede? Oscar, non capisco. Perché andiamo a Parigi?”

“Al ballo, Andrè. Andiamo al Gran Ballo di Primavera di Parigi. All’Opéra.”

Andrè mi guarda attonito con la bocca semiaperta e un’espressione di stupore tale dipinta sul viso, che se non fossi così mortalmente in apprensione e in imbarazzo, mi verrebbe da ridere. È evidente che si aspetta una spiegazione da me, ma non sono in grado di fornirgliela. Apro e chiudo la bocca a vuoto un paio di volte e abbasso nuovamente lo sguardo. Anche la mia espressione non è tra le più intelligenti. So che non posso stare qui e non dire niente. E infatti lui esige spiegazioni.

“Oscar mi vuoi dire che cosa sta succedendo? È a Versailles che dovevamo andare, non a Parigi! Ti sei messa questo abito, ti sei preparata per questo ballo per giorni. La regina non ci sarà e invece ci sarà Fersen e tu ballerai con lui. È questo che volevi fare stasera!”

“E tu che ne sai Andrè? Solo perché vai vantandoti di sapere tutto di me, non è sempre detto che sia così, non credi?” Oddio, non mi è uscita proprio come volevo. Il tono era tagliente, quasi sprezzante. Devo assolutamente cercare di correggere il tiro. Con uno sforzo supremo di sovraumana volontà mi costringo a guardarlo, concentrandomi sui suoi occhi. Ignoro i capelli neri, legati in una coda e trattenuti da un nastro, il naso dritto, il viso regolare, la bocca carnosa, mi concentro solo sugli occhi. E forse non è una buona scelta, perché occhi così davvero non esistono in natura in nessun altro. Solo il mio Andrè ha occhi così.

“Andrè, posso farti una domanda? Come ti è venuta quest’idea assurda che io mi sia innamorata di Fersen? Che io mi sia messa quest’abito per Fersen?”

Adesso Andrè non è nemmeno più stupito. È sconvolto, anzi stravolto è il termine più adatto. Occhi sbarrati, bocca spalancata, non riesce a proferire verbo. Quasi temo che gli venga un’apoplessia, ma se mi fermo adesso, non sarò più capace di continuare.

“Rispondimi Andrè. Ti ho mai detto di voler andare a Versailles stasera? O di voler ballare col conte di Fersen? Hai mai scorto nei miei rapporti con lui un che di diverso che non fosse semplice cameratismo, ammirazione, forse anche affetto se vogliamo. Ma tu vi hai mai visto qualcosa di più?”

“Ma Oscar, io…io ero convinto che tu fossi innamorata di lui. Ultimamente sei diventata così taciturna, così introversa. Non desideravi più la mia compagnia, passavi tutti il tuo tempo con lui, non siamo più andati a cavalcare insieme, non mi hai più portato alla reggia. Non avremo trascorso insieme nemmeno un giorno nell’ultimo mese. Io…mi è venuto naturale pensare che tu preferissi stare con lui. Poi quest’idea di vestirti da donna, e la luce nuova che ho visto nei tuoi occhi…insomma ho tratto le mie conclusioni!”

“E non ti è venuto in mente, nemmeno per un secondo, che le tue conclusioni fossero giuste, ma si riferissero alla persona sbagliata?”

“Ma chi?...Che cosa?”

Continuo a fissare le sue iridi verdi e per un attimo la comicità della situazione mi si palesa in tutta la sua evidenza e mi porta a sorridere. Certo, se io sono digiuna di faccende d’amore, non mi pare che Andrè sia messo molto meglio. E si supponeva che dei due fosse lui quello che sapeva che cosa fare, dopo tutto è lui l’uomo. Io sono la donna, quella che porta il vestito da sera.

“Andrè…” adesso gli parlo con lentezza, quasi come voler spiegare con pazienza un concetto difficile ad un bambino un po’ ottuso. “È vero che ti ho evitato in quest’ultimo periodo, perché la tua presenza mi metteva in agitazione. E così ho preferito la compagnia di Fersen, con cui non c’erano altre implicazioni o possibili equivoci da chiarire. Mi dispiace Andrè di averti ferito, ma tu hai frainteso completamente la situazione. È anche vero che mi sono messa quest’abito per un uomo. Ed è vero che stasera volevo andare ad un ballo e danzare con quest’uomo tutta la notte. Ma quell’uomo non è, non è mai stato il conte di Fersen. Quell’uomo… sei tu, Andrè.”

Le mie ultime parole, pronunciate con un tono di voce appena udibile, cadono in un silenzio siderale. L’atmosfera nella carrozza si è fatta spessa, una pesante coltre di imbarazzo. Non so più dove guardare. Mi sento soffocare, mi sembra di respirare cotone.

“Andrè ti dispiacerebbe dire qualcosa? Sembri proprio un idiota con quell’espressione!” adesso sono aggressiva e lo investo con la mia rabbia per essermi resa così ridicola davanti a lui.

Era ovvio che fosse un’idea sciocca. Sciocca come me, a pensare che gli sarei potuta interessare. Piacere. Che avrebbe potuto anche lui provare dei sentimenti per me. Invece io sono solo il suo amico di infanzia, il suo compagno di avventure. Anche con questo ridicolo vestito addosso, che ormai mi è diventato insopportabile, lui non vede e non vedrà mai una donna in me, ma solo un soldato.

“Andrè, parla! Ti ordino di dire qualcosa!” ora sì che sto veramente toccando il fondo. Fargli pesare il mio rango e la nostra differenza di classe è davvero un colpo basso. Tipico mio. Attacca quando sei in difficoltà. Attacca e non difenderti, perché se ti difendi e non attacchi sei morto.

Ma lui non dice niente. La sua espressione è indecifrabile, una maschera. Ad un certo punto si muove impercettibilmente verso di me. Siamo seduti l’uno di fronte all’altra e lui si sporge per avvicinarsi a me. Allunga una mano, che va a posarsi sul mio viso, teso. Sono sull’orlo delle lacrime, ma non mi scosto. Andrè mi accarezza con dolcezza, mi guarda con intensità, ma continua a non emettere un suono.

Intanto la carrozza continua la sua corsa verso Parigi.

Mi rilasso per un attimo, sentendo il contatto caldo della mano di Andrè sulla mia guancia e chiudo gli occhi. Non sono più in grado fisicamente di sopportare il suo sguardo.

“Oscar, perché hai fatto questo per me? Perché hai indossato quell’abito?”

“Non capisci niente Andrè. Lasciami in pace. Torniamo a casa.”

“No. Oscar aspetta, lasciami parlare. Tu non hai bisogno di quel vestito per essere bella. Non hai bisogno del trucco per essere donna. Oscar, guardami. Tu sei la creatura più bella su cui io abbia mai posato gli occhi in vita mia. Il tuo essere donna non viene mai meno, nemmeno quando ti nascondi dietro quella maledetta uniforme che tuo padre ti ha messo addosso e che ti ha complicato la vita sin dal primo giorno. Nemmeno quando mortifichi il tuo corpo con le fasce per stringere il seno. Nemmeno allora, Oscar, io ho mai dimenticato che sei una donna. E sei una splendida donna, Oscar. E stasera voglio danzare con te. Non c’è niente che desideri di più. Non c’è niente, Oscar, che io non farei per te. Tu mi sei cara più della mia vita.”

“Andrè…” la gola è serrata non riesco più a parlare. Lui mi guarda e sorride, poi scuote la testa. Non ce n’è bisogno. Non c’è più bisogno di dire nulla.

La carrozza si ferma nella piazza dell’Opéra, e Andrè non ha ancora tolto la mano dalla mia guancia. Non ho mai visto tanta dolcezza in uno sguardo.

“Madamigella, datemi il braccio. Il vostro cavaliere è pronto per farvi danzare”.

 

* * *

 

Oscar è una ballerina meravigliosa. A parte un primo momento di impaccio, in cui cerca di guidare lei e sono costretto a ricordarle i nostri rispettivi ruoli, si lascia condurre da me volteggiando per tutta la sala, sotto gli occhi ammirati dei presenti. Nessuno qui ci conosce, nessuno può sospettare la nostra storia.

L’usciere ci annuncia come il duca e la duchessa Chevalier. Alle sue parole sobbalzo e guardo Oscar di sottecchi, ma lei rimane impassibile, col suo sorriso garbato, ma non falso dipinto in viso.. Una dama perfetta. La sala ammutolisce quando entriamo e non ho certo la presunzione di pensare che stiano guardando me.

Oscar è divina nel suo abito bianco, una luce che irradia tutto il salone al suo passaggio. Ed io, in quanto ombra di quella luce, mi sento felice come mai nella vita.

Ballando dimentichiamo tutto il mondo che ci circonda. Palazzo Jarjayes, il generale, mia nonna, la reggia di Versailles, la regina, il caro conte di Fersen, ora nuovamente amico, da quando ho scoperto che la mia Oscar non prova niente per lui, il fatto che lei sia il comandante delle guardie di sua Maestà e io soltanto il suo attendente, la mancanza di una sola goccia di sangue blu nelle mie vene. Nulla esiste più per noi, solo la musica e quel volteggiare ritmico e aggraziato della mia donna.

Per tutta la sera ci guardiamo negli occhi, e non c’è spazio per nessun altro in quegli sguardi.

Nelle iridi color genziana di Oscar leggo tutti i suoi tormenti, i suoi dubbi, le sue angosce, ma anche la sua decisione, la determinazione con cui ha agito stasera e sussulto pensando che sono io l’oggetto dei suoi pensieri.

Non so che cosa veda lei nelle mie, ma spero riesca a scorgervi tutto l’amore senza fine che provo per lei.

La musica termina alle prime luci dell’alba. Solo allora ci fermiamo, come svegliandoci da un sogno, e sorridendoci senza parlare ci dirigiamo nuovamente verso la nostra anonima carrozza.

Non smetto per un solo istante di stringerla, di cingerle la vita, di darle il braccio, di tenerle la mano, e sento che Oscar trema al contatto della nostra pelle, abbandonandosi a me, affidandosi senza timore.

 Il contatto tra i nostri corpi è appena accennato, eppure così intimo, così ricco, così carico di promesse.

La carrozza riparte, riportandoci verso casa.

 

* * *

 

Ho ballato con Andrè. Stasera sono stata la sua dama. La sua donna. Sento ancora caldo nel punto in cui il suo braccio ha stretto la mia vita.

La carrozza procede in maniera lenta e ritmica verso palazzo Jarjayes, mi riporta alla mia vita reale, al mio ruolo di soldato, alle mie responsabilità di erede. Ma non è più tutto come prima. Qualcosa è mutato questa sera, l’ho letto negli occhi verdi del mio Andrè.

Questa volta non sediamo più l’uno di fronte all’altra, ma vicini sullo stesso sedile. La mia mano è abbandonata sul mio grembo. Improvvisamente sento un calore dolce che l’avvolge. È lui che mi cerca. Le sue dita si intrecciano con le mie e giocano con loro.

Per un istante lungo una vita nessuno dei due parla.

“Andrè…” “Oscar…” iniziamo tutti e due contemporaneamente e tutti e due ci blocchiamo repentinamente. Sorridiamo e ci riproviamo.

“Oscar…” “Andrè…”. Altro sorriso nervoso.

“Prima tu.”

“No, prego, prima le signore.”

Ma la verità è che non riesco a dire niente. E che forse non c’è niente da dire.

Andrè mi prende il viso tra le mani e mi bacia con una delicatezza che mi fa quasi male al cuore. Senza pensarci, senza esitare rispondo di slancio al suo bacio.

“Non voglio tornare a casa.” mormoro tra le sue labbra.

“Perché no?” mi chiede lui teneramente.

“Perché se torniamo a casa tutto questo sarà finito. Perché torneremo alle nostre vite e tutto sarà difficile e io…non voglio più saperti lontano da me, Andrè…”

“Nulla di tutto questo sarà finito Oscar. Tutto questo è appena iniziato. Noi due insieme…siamo appena cominciati…”

Mi bacia di nuovo, piano, lentamente, voluttuosamente e io lo ricambio, provando un piacere che mai avrei creduto possibile. E in quel momento capisco che Andrè ha ragione.

Questa sera è soltanto l’inizio di noi due insieme. E insieme niente di male potrà accaderci.

Insieme.

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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