SOLTANTO
L’INIZIO
Sono
quasi due ore che sono chiusa qui dentro, con Nanny
che si occupa di me, e francamente non ne posso più. Il caldo mi sta
esasperando, sento piccoli rivoli di sudore che mi scendono lungo la schiena,
tra le scapole, ma non mi posso grattare, primo perché non ci riesco,
intrappolata come sono in questo stupido corsetto e secondo perché, dice Nanny, “non sta bene”.
Non
sta bene è la sua frase preferita. Non sta bene che una signorina si gratti, non
sta bene che una signorina guardi fisso negli occhi, non sta bene che una
signorina respiri, pensi, viva. È un incubo.
Non
so perché mi è venuta questa idea assurda, e mi sta venendo voglia di levarmi
da dosso questo catafalco e rimettermi la mia comoda e familiare uniforme.
Almeno potrei riprendere a respirare correttamente! Mi sento il diaframma
completamente stritolato tra le costole.
Mi
guardo allo specchio e non riconosco la figura di donna che mi guarda, a sua
volta, un po’ sorpresa anche lei di trovarsi lì.
Il
vestito è meraviglioso, questo persino io riesco a vederlo. È di una seta
sottile e vaporosa, bianco, bordato di un delicato velluto azzurro, impalpabile
come la sabbia di certe spiagge di luoghi remoti di cui ho soltanto sentito
parlare. È abbastanza scollato, evidentemente Nanny
ritiene che le signorine per bene possano tranquillamente mettere in mostra il
decolté senza rischiare di apparire volgari, e mi lascia le spalle scoperte.
Non
porto gioielli, perché non ne possiedo. Un soldato non ha ovviamente bisogno di
simili orpelli e con la stessa solerzia con cui alle mie sorelle regalava
diamanti e rubini, mio padre mi ha sempre regalato armi di ogni genere, per tutti
i miei compleanni. Non mi pare il caso di portare con me la mia spada.
Il
mio viso è sapientemente truccato, c’è voluta un’eternità per completare
l’opera. Non capisco come possano esserci donne che si sottopongono
volontariamente a questa tortura tutti i santi giorni. Io la trovo
intollerabile, anche se devo ammettere che il risultato finale non è
sgradevole.
I
miei capelli sono tirati su con grazia, solo due ciocche scendono a
incorniciare il viso, mio o di questa signora che mi guarda dallo specchio,
devo ancora decidere. Le forcine mi si conficcano nella testa e mi sembra che
mi vogliano penetrare nel cranio, ma Nanny mi
assicura che è così che i capelli vanno portati. Mi fido ciecamente, lei è
un’autorità nel settore, ha tirato su tutte e cinque le mie sorelle, e loro si
sono vestite da donna, sempre, per tutta la loro vita.
Quasi
sveniva dalla gioia quando le ho detto che stasera sarei andata al ballo con un
abito da sera! Povera Nanny! Almeno una delle due è
felice.
Io
ero così baldanzosa oggi, così piena di aspettative per questa serata, ma
adesso non sono più sicura di aver fatto la cosa giusta.
Questa
sera ballerò con lui. Volteggeremo insieme per la sala, sarò stretta tra le sue
braccia, potrò sentire il suo odore, guardarlo da vicino, appoggiarmi al suo
petto. Mi vengono le vertigini.
Ma,
se lui non volesse danzare con me? Se non mi degnasse di uno sguardo? Peggio
ancora, se mi trovasse ridicola, così conciata?
Forse
il mio è solo un patetico tentativo di dimostrargli una volta per tutte che non
sono solo un uomo, il suo compagno di duelli con la spada e di corse a cavallo,
ma che sono una donna, capace di sedurre, capace di ammaliare…capace di amare…a
questo pensiero arrossisco e meno male che Nanny è
uscita un momento per andare a prendere non so quale altro essenziale
accessorio della mia toeletta.
Sono
arrossita al solo al pensiero. Cominciamo bene. Sono arrivata alla mia età
senza sapere nulla dell’amore e adesso, in un atto di estrema superbia, ho
deciso di dare vita a questa farsa per dare anche a me una possibilità di
conoscere che cosa significa amare ed essere amati.
Ma
potrò mai essere amata da lui?
Mi
chiedo se avrò mai una risposta e se per averla ci fosse davvero bisogno di
tutta questa messinscena, ma ormai è tardi.
Andrè
mi aspetta per accompagnarmi in carrozza, devo sbrigarmi. È tardi per
analizzare le implicazioni del gesto che sto per compiere, ormai devo andare
fino in fondo.
Se
esco da quella porta, nulla sarà mai più come prima, in un modo o nell’altro.
Ma è un rischio che devo assolutamente correre.
Perché
almeno di una cosa sono certa, in questa serata di incoscienza: io lo amo con
tutto il mio cuore e solo accanto a lui potrei sentirmi davvero completa.
*
* *
Continuo
a passeggiare avanti e indietro nel salottino dove di solito tu ed io ci
fermiamo a bere un bicchiere di vino davanti al fuoco. Mi sento una fiera in
gabbia, incapace di oppormi al corso degli eventi che si stanno dipanando verso
una direzione che io non posso in nessun modo cambiare. Ed è chiaramente la
direzione sbagliata.
Sei
chiusa in quella stanza da ore insieme con mia nonna e so che ti stai vestendo
per andare al ballo. Con lui.
Questo
pensiero mi fa salire in gola un affanno senza nome, che mi impedisce di
respirare. Mi devo fermare e contare fino a dieci per riprendere coscienza
dell’aria che entra ed esce dai miei polmoni. Dentro e fuori, dentro e fuori.
Così si vive, se si smette di farlo, si muore. È semplice, eppure mi sembra il
risultato di uno sforzo sovraumano.
Cerco
di pensare che sarai ridicola in abiti femminili, che sarai goffa e impacciata,
ma so già che non è così. Sarai superba Oscar, sarai una dea, e mai e poi mai
potrai esserlo per me.
Stai
facendo tutto questo per Fersen, che nemmeno ti vede,
che non si accorgerà mai di te, che non lo merita, perché non ha mai capito né
capirà mai la tua anima.
Mi
hai chiesto di togliere le insegne della famiglia Jarjayes
dalla carrozza, in modo che nessuno ti riconosca, e mi hai chiesto di
accompagnarti, perché non te la senti ti fare il tragitto da casa al ballo da
sola. E io, come al solito, ti obbedisco.
Sono
pietoso. Se avessi la coda sarei felice, così potrei anche scodinzolarti un po’
intorno. Ma preferisco starti vicino, eventualmente anche scodinzolando, che
vivere senza di te. Perché l’unica cosa che ho veramente capito con lucidità in
questi anni è che alla fine la sola cosa intollerabile della mia vita sarebbe
trascorrerla senza poterti vedere.
Mi
dico che la tua felicità viene prima di tutto, che devo gioire perché stasera
realizzerai il tuo sogno e sarai cinta dalle braccia dell’uomo che ami e a cui
hai votato il tuo cuore, ma non ci riesco. Forse il mio amore per te non è così
grande da farmi anteporre la tua felicità alla mia, o forse è troppo grande per
sopportare di saperti di un altro.
Mia
nonna mi chiama, ecco, stai uscendo dalla tua camera da letto. Vorrei coprirmi
gli occhi con le mani per non guardarti, se non temessi di apparire come un
bambino capriccioso, come effettivamente apparirei. Quindi ti guardo.
Mio
Dio, Oscar, sei una visione. Ma non è il tuo abito che ti rende così splendida,
né il trucco, né il modo in cui hai acconciato i capelli. Tu sei sempre
bellissima, anche quando indossi l’uniforme.
È
il tuo sguardo scintillante che ti rende così luminosa, così irraggiungibile.
Sei
una dea Oscar, e io so che cosa succede agli esseri umani che si congiungono
con gli dei. È un peccato mortale anche solo desiderarlo. È ubris, superbia, e si paga con la
vita.
Il
pensiero che presto lui ti stringerà ti arrossa le gote; il tuo passo è
malfermo mentre scendi le scale, non so se è l’emozione o sono le scarpe col
tacco a cui non sei abituata. Scendi gli ultimi gradini e inciampi. Ti sorreggo
per un braccio e per un istante il calore della tua pelle nuda mi stordisce.
“Grazie Andrè” mormori, appena udibile. Da dove ti viene fuori questa voce così
carezzevole?
Ti
porgo il mio braccio e tu vi appoggi con grazia la tua mano delicata,
lentamente ci avviamo verso l’ingresso dove la carrozza ci sta aspettando. Ti
aiuto a salire e prendo posto accanto a te. Tieni gli occhi bassi e non dici
una parola, forse hai paura che la voce ti tremi per l’emozione.
La
carrozza corre veloce e ti porta sempre più vicino a lui.
Lo
odio. Odio il giorno in cui è comparso nella tua vita, sconvolgendola, odio il
fatto che ti farà soffrire, odio ogni lacrima che verserai per lui, ogni
sospiro che gli dedicherai, ogni pensiero che ti porta da lui.
In
un estremo tentativo di distrarmi, guardo fuori dal finestrino, che è poi il
solo modo che ho per non guardare te. Ed è in questo momento che mi accorgo che
qualcosa non va.
Questa
non è la strada per Versailles.
Questa
è la strada per Parigi.
*
* *
“Vetturino!
Jerome! Stai sbagliando strada! Accidenti, questa è la strada per Parigi, non
per Versailles!”
Speravo
che Andrè ci impiegasse di più a rendersi conto che la carrozza si stava
dirigendo nella direzione opposta a quella che pensava lui, ma mi sono fatta
l’ennesima illusione. Ho cercato di rimandare questo momento il più possibile,
ma ora è giunto. Devo solo fare finta che sia un altro duello con la spada.
Solo che Andrè non è il mio nemico. Anzi, è esattamente il contrario.
“Calmati
Andrè. Jerome non ha sbagliato strada, sta andando esattamente dove io gli ho
detto di dirigersi.” La mia voce è calma, ma è chiaramente una finta. Dentro di
me sento il vento della tempesta che si agita furioso. Il mio cuore batte
all’impazzata e spero che lui non lo senta, non ho il coraggio di alzare il
viso e guardarlo. Continuo a fissare il pavimento della carrozza, come se fosse
la cosa più interessante che abbia mai visto.
“Cosa?
Ma che succede? Oscar, non capisco. Perché andiamo a Parigi?”
“Al
ballo, Andrè. Andiamo al Gran Ballo di Primavera di Parigi. All’Opéra.”
Andrè
mi guarda attonito con la bocca semiaperta e un’espressione di stupore tale
dipinta sul viso, che se non fossi così mortalmente in apprensione e in
imbarazzo, mi verrebbe da ridere. È evidente che si aspetta una spiegazione da
me, ma non sono in grado di fornirgliela. Apro e chiudo la bocca a vuoto un
paio di volte e abbasso nuovamente lo sguardo. Anche la mia espressione non è
tra le più intelligenti. So che non posso stare qui e non dire niente. E infatti
lui esige spiegazioni.
“Oscar
mi vuoi dire che cosa sta succedendo? È a Versailles che dovevamo andare, non a
Parigi! Ti sei messa questo abito, ti sei preparata per questo ballo per
giorni. La regina non ci sarà e invece ci sarà Fersen
e tu ballerai con lui. È questo che volevi fare stasera!”
“E
tu che ne sai Andrè? Solo perché vai vantandoti di sapere tutto di me, non è
sempre detto che sia così, non credi?” Oddio, non mi è uscita proprio come
volevo. Il tono era tagliente, quasi sprezzante. Devo assolutamente cercare di
correggere il tiro. Con uno sforzo supremo di sovraumana volontà mi costringo a
guardarlo, concentrandomi sui suoi occhi. Ignoro i capelli neri, legati in una
coda e trattenuti da un nastro, il naso dritto, il viso regolare, la bocca
carnosa, mi concentro solo sugli occhi. E forse non è una buona scelta, perché
occhi così davvero non esistono in natura in nessun altro. Solo il mio Andrè ha
occhi così.
“Andrè,
posso farti una domanda? Come ti è venuta quest’idea assurda che io mi sia
innamorata di Fersen? Che io mi sia messa quest’abito
per Fersen?”
Adesso
Andrè non è nemmeno più stupito. È sconvolto, anzi stravolto è il termine più
adatto. Occhi sbarrati, bocca spalancata, non riesce a proferire verbo. Quasi
temo che gli venga un’apoplessia, ma se mi fermo adesso, non sarò più capace di
continuare.
“Rispondimi
Andrè. Ti ho mai detto di voler andare a Versailles stasera? O di voler ballare
col conte di Fersen? Hai mai scorto nei miei rapporti
con lui un che di diverso che non fosse semplice cameratismo, ammirazione, forse
anche affetto se vogliamo. Ma tu vi hai mai visto qualcosa di più?”
“Ma
Oscar, io…io ero convinto che tu fossi innamorata di lui. Ultimamente sei
diventata così taciturna, così introversa. Non desideravi più la mia compagnia,
passavi tutti il tuo tempo con lui, non siamo più andati a cavalcare insieme, non
mi hai più portato alla reggia. Non avremo trascorso insieme nemmeno un giorno
nell’ultimo mese. Io…mi è venuto naturale pensare che tu preferissi stare con
lui. Poi quest’idea di vestirti da donna, e la luce nuova che ho visto nei tuoi
occhi…insomma ho tratto le mie conclusioni!”
“E
non ti è venuto in mente, nemmeno per un secondo, che le tue conclusioni
fossero giuste, ma si riferissero alla persona sbagliata?”
“Ma
chi?...Che cosa?”
Continuo
a fissare le sue iridi verdi e per un attimo la comicità della situazione mi si
palesa in tutta la sua evidenza e mi porta a sorridere. Certo, se io sono
digiuna di faccende d’amore, non mi pare che Andrè sia messo molto meglio. E si
supponeva che dei due fosse lui quello che sapeva che cosa fare, dopo tutto è
lui l’uomo. Io sono la donna, quella che porta il vestito da sera.
“Andrè…”
adesso gli parlo con lentezza, quasi come voler spiegare con pazienza un
concetto difficile ad un bambino un po’ ottuso. “È vero che ti ho evitato in
quest’ultimo periodo, perché la tua presenza mi metteva in agitazione. E così
ho preferito la compagnia di Fersen, con cui non
c’erano altre implicazioni o possibili equivoci da chiarire. Mi dispiace Andrè
di averti ferito, ma tu hai frainteso completamente la situazione. È anche vero
che mi sono messa quest’abito per un uomo. Ed è vero che stasera volevo andare
ad un ballo e danzare con quest’uomo tutta la notte. Ma quell’uomo non è, non è
mai stato il conte di Fersen. Quell’uomo… sei tu,
Andrè.”
Le
mie ultime parole, pronunciate con un tono di voce appena udibile, cadono in un
silenzio siderale. L’atmosfera nella carrozza si è fatta spessa, una pesante
coltre di imbarazzo. Non so più dove guardare. Mi sento soffocare, mi sembra di
respirare cotone.
“Andrè
ti dispiacerebbe dire qualcosa? Sembri proprio un idiota con
quell’espressione!” adesso sono aggressiva e lo investo con la mia rabbia per
essermi resa così ridicola davanti a lui.
Era
ovvio che fosse un’idea sciocca. Sciocca come me, a pensare che gli sarei
potuta interessare. Piacere. Che avrebbe potuto anche lui provare dei
sentimenti per me. Invece io sono solo il suo amico di infanzia, il suo
compagno di avventure. Anche con questo ridicolo vestito addosso, che ormai mi
è diventato insopportabile, lui non vede e non vedrà mai una donna in me, ma
solo un soldato.
“Andrè,
parla! Ti ordino di dire qualcosa!” ora sì che sto veramente toccando il fondo.
Fargli pesare il mio rango e la nostra differenza di classe è davvero un colpo
basso. Tipico mio. Attacca quando sei in difficoltà. Attacca e non difenderti,
perché se ti difendi e non attacchi sei morto.
Ma
lui non dice niente. La sua espressione è indecifrabile, una maschera. Ad un
certo punto si muove impercettibilmente verso di me. Siamo seduti l’uno di
fronte all’altra e lui si sporge per avvicinarsi a me. Allunga una mano, che va
a posarsi sul mio viso, teso. Sono sull’orlo delle lacrime, ma non mi scosto.
Andrè mi accarezza con dolcezza, mi guarda con intensità, ma continua a non
emettere un suono.
Intanto
la carrozza continua la sua corsa verso Parigi.
Mi
rilasso per un attimo, sentendo il contatto caldo della mano di Andrè sulla mia
guancia e chiudo gli occhi. Non sono più in grado fisicamente di sopportare il
suo sguardo.
“Oscar,
perché hai fatto questo per me? Perché hai indossato quell’abito?”
“Non
capisci niente Andrè. Lasciami in pace. Torniamo a casa.”
“No.
Oscar aspetta, lasciami parlare. Tu non hai bisogno di quel vestito per essere
bella. Non hai bisogno del trucco per essere donna. Oscar, guardami. Tu sei la
creatura più bella su cui io abbia mai posato gli occhi in vita mia. Il tuo
essere donna non viene mai meno, nemmeno quando ti nascondi dietro quella
maledetta uniforme che tuo padre ti ha messo addosso e che ti ha complicato la
vita sin dal primo giorno. Nemmeno quando mortifichi il tuo corpo con le fasce
per stringere il seno. Nemmeno allora, Oscar, io ho mai dimenticato che sei una
donna. E sei una splendida donna, Oscar. E stasera voglio danzare con te. Non
c’è niente che desideri di più. Non c’è niente, Oscar, che io non farei per te.
Tu mi sei cara più della mia vita.”
“Andrè…”
la gola è serrata non riesco più a parlare. Lui mi guarda e sorride, poi scuote
la testa. Non ce n’è bisogno. Non c’è più bisogno di dire nulla.
La
carrozza si ferma nella piazza dell’Opéra, e Andrè non ha ancora tolto la mano
dalla mia guancia. Non ho mai visto tanta dolcezza in uno sguardo.
“Madamigella,
datemi il braccio. Il vostro cavaliere è pronto per farvi danzare”.
*
* *
Oscar
è una ballerina meravigliosa. A parte un primo momento di impaccio, in cui cerca
di guidare lei e sono costretto a ricordarle i nostri rispettivi ruoli, si
lascia condurre da me volteggiando per tutta la sala, sotto gli occhi ammirati
dei presenti. Nessuno qui ci conosce, nessuno può sospettare la nostra storia.
L’usciere
ci annuncia come il duca e la duchessa Chevalier.
Alle sue parole sobbalzo e guardo Oscar di sottecchi, ma lei rimane impassibile,
col suo sorriso garbato, ma non falso dipinto in viso.. Una dama perfetta. La
sala ammutolisce quando entriamo e non ho certo la presunzione di pensare che stiano
guardando me.
Oscar
è divina nel suo abito bianco, una luce che irradia tutto il salone al suo
passaggio. Ed io, in quanto ombra di quella luce, mi sento felice come mai
nella vita.
Ballando
dimentichiamo tutto il mondo che ci circonda. Palazzo Jarjayes,
il generale, mia nonna, la reggia di Versailles, la regina, il caro conte di Fersen, ora nuovamente amico, da quando ho scoperto che la
mia Oscar non prova niente per lui, il fatto che lei sia il comandante delle
guardie di sua Maestà e io soltanto il suo attendente, la mancanza di una sola
goccia di sangue blu nelle mie vene. Nulla esiste più per noi, solo la musica e
quel volteggiare ritmico e aggraziato della mia donna.
Per
tutta la sera ci guardiamo negli occhi, e non c’è spazio per nessun altro in
quegli sguardi.
Nelle
iridi color genziana di Oscar leggo tutti i suoi tormenti, i suoi dubbi, le sue
angosce, ma anche la sua decisione, la determinazione con cui ha agito stasera
e sussulto pensando che sono io l’oggetto dei suoi pensieri.
Non
so che cosa veda lei nelle mie, ma spero riesca a scorgervi tutto l’amore senza
fine che provo per lei.
La
musica termina alle prime luci dell’alba. Solo allora ci fermiamo, come
svegliandoci da un sogno, e sorridendoci senza parlare ci dirigiamo nuovamente
verso la nostra anonima carrozza.
Non
smetto per un solo istante di stringerla, di cingerle la vita, di darle il
braccio, di tenerle la mano, e sento che Oscar trema al contatto della nostra
pelle, abbandonandosi a me, affidandosi senza timore.
Il contatto tra i nostri corpi è appena
accennato, eppure così intimo, così ricco, così carico di promesse.
La
carrozza riparte, riportandoci verso casa.
*
* *
Ho
ballato con Andrè. Stasera sono stata la sua dama. La sua donna. Sento ancora caldo
nel punto in cui il suo braccio ha stretto la mia vita.
La
carrozza procede in maniera lenta e ritmica verso palazzo Jarjayes,
mi riporta alla mia vita reale, al mio ruolo di soldato, alle mie
responsabilità di erede. Ma non è più tutto come prima. Qualcosa è mutato questa
sera, l’ho letto negli occhi verdi del mio Andrè.
Questa
volta non sediamo più l’uno di fronte all’altra, ma vicini sullo stesso sedile.
La mia mano è abbandonata sul mio grembo. Improvvisamente sento un calore dolce
che l’avvolge. È lui che mi cerca. Le sue dita si intrecciano con le mie e
giocano con loro.
Per
un istante lungo una vita nessuno dei due parla.
“Andrè…”
“Oscar…” iniziamo tutti e due contemporaneamente e tutti e due ci blocchiamo
repentinamente. Sorridiamo e ci riproviamo.
“Oscar…”
“Andrè…”. Altro sorriso nervoso.
“Prima
tu.”
“No,
prego, prima le signore.”
Ma
la verità è che non riesco a dire niente. E che forse non c’è niente da dire.
Andrè
mi prende il viso tra le mani e mi bacia con una delicatezza che mi fa quasi male
al cuore. Senza pensarci, senza esitare rispondo di slancio al suo bacio.
“Non
voglio tornare a casa.” mormoro tra le sue labbra.
“Perché
no?” mi chiede lui teneramente.
“Perché
se torniamo a casa tutto questo sarà finito. Perché torneremo alle nostre vite
e tutto sarà difficile e io…non voglio più saperti lontano da me, Andrè…”
“Nulla
di tutto questo sarà finito Oscar. Tutto questo è appena iniziato. Noi due
insieme…siamo appena cominciati…”
Mi
bacia di nuovo, piano, lentamente, voluttuosamente e io lo ricambio, provando
un piacere che mai avrei creduto possibile. E in quel momento capisco che Andrè
ha ragione.
Questa
sera è soltanto l’inizio di noi due insieme. E insieme niente di male potrà accaderci.
Insieme.
FINE