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Autore: shadow_sea    18/03/2015    3 recensioni
La romance fra il comandante John Shepard e Jack, narrata in pochi capitoli ambientati alla fine di Mass Effect 3, ma costituita prevalentemente da rapidi flash back. Un'interpretazione personale del finale di questa saga.
Avverto i lettori che il linguaggio utilizzato è quello di Jack.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Uomo, Jack, Liara T'Soni
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Avvertenza
Non sono esattamente impazzita e so bene che sto ancora correggendo i vecchi capitoli di Come ai vecchi tempi. Tuttavia da qualche giorno penso a questa breve storia e oggi ho ritrovato il suo primo capitolo nel mio pc. Credo che continuerò a scrivere anche questa, ammesso che possa valerne la pena.


1. Il rumore degli schianti
Il rumore degli schianti rimbalzava, sordo e cupo, fra i rami incurvati degli alberi nerastri che si chinavano fino a terra, quasi a volerle sbarrare il cammino. Vividi e rossi, come sprazzi di luce che trapelassero fra le nubi di un tramonto spettacolare, i raggi portatori di morte arrivavano dalle profondità del cielo scuro seminando distruzione ovunque attorno a lei.
Ogni tanto un’esplosione diversa, di colore bianco-azzurro, divampava abbastanza vicina da illuminare il terreno su cui stava correndo a perdifiato, rivelando i veri colori di quel giardino incantato: il grigio pallido dei grossi tronchi ed il verde tenue dei rami penduli dai quali si dipartivano, in spirali delicate e regolari, strette foglioline appuntite e allungate, rese dorate dal mite autunno terrestre.
Detriti metallici piombavano dal cielo, tutto intorno a lei, scheggiando le cortecce dei salici piangenti come colpi di un’ascia affilata o schiantando interi rami, ma non riuscivano a oltrepassare la barriera azzurrina biotica che lei aveva eretto attorno a sé.

Un breve istante di silenzio, fuori luogo e illogico, se non addirittura comico in quella fine del mondo, le portò alle orecchie le voci dei suoi allievi che la stavano chiamando invano, sovrapponendo il suo nome, Jack, a quello che lei stava continuando a pronunciare a bassa voce, ma con costanza, da quando aveva iniziato quella folle corsa.
- John - ripeté ancora una volta in un bisbiglio affannoso, mentre inciampava in un ramo scuro che le aveva sbarrato il passo, nascosto fra le tenebre.

I frammenti tondeggianti della ghiaia sparsa sul terreno le escoriarono la pelle del braccio destro, che aveva teso istintivamente avanti nel tentativo di proteggersi nell'inevitabile caduta.
- Merda! - fu l’esclamazione irritata che soppiantò all’improvviso il nome di battesimo del comandante della Normandy sulle sue labbra, mentre gli occhi si ritrovarono a fissare il grande tronco ferito da cui il ramo era stato divelto. Il raggio rosso di un Razziatore ne sfiorò la chioma residua rivelando la ferita fresca nella corteccia da cui colava una resina viscosa, mentre le foglie che si staccavano dai rami scossi dal vento ondeggiavano lievi come piume nell’aria densa di fumo, prima di posarsi in terra e confondersi con la ghiaia e il pietrisco, ormai prive di ogni eleganza e alone di magia.

Approfittò della pausa imposta dalla caduta per riprendere fiato e cercare di orientarsi nell’oscurità interrotta dai colpi delle armi da fuoco degli eserciti in lotta.
“E' una stramaledetta guerra del cazzo. Non ha alcun senso!” si trovò a urlare dentro di sé, rispondendo mentalmente alle accuse che il comandante le avrebbe rivolto nel sapere che aveva abbandonato la sua postazione e i suoi allievi, senza lasciare alcuna istruzione, senza avvertire nessuno.
“E va bene… non è vero che non abbia senso” ammise poi, sentendo sopra di sé due occhi azzurri implacabili e severi “Però sai bene non posso a continuare a combattere senza sapere cosa cazzo ti è successo. Non avrei la lucidità necessaria per guidare i miei ragazzi” gli confessò silenziosamente, rimanendo però insicura che lui avrebbe compreso quella motivazione. Un tempo se ne sarebbe fregata anche lei. Un tempo avrebbe agito come lui, che di certo avrebbe continuato a combattere senza cercarla, se le parti fossero state invertite.
Ma chiunque le avesse assegnate, le parti di quella cazzo di tragedia, se ne fregava di certo di lei, di lui, dell’umanità intera e addirittura di tutte le razze senzienti della galassia.
Si tirò su, sedendosi sul ramo divelto dal tronco, mentre tutto cominciava a vorticarle attorno: le foglie, i rami strappati, la polvere sollevata dal terreno, i fumi della battaglia. Le sembrò che l’aria fosse diventata troppo densa per poterla respirare e i suoi occhi notarono come le immagini diventassero sempre più indistinte.
- Cazzo! - esclamò con rabbia, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani.
“Non posso fermarmi” si impose, flettendo i muscoli delle gambe per tornare in posizione eretta e concentrandosi per rinforzare la barriera biotica che aveva lasciato sfumare inavvertitamente, per la troppa fatica accumulata.

Erano passati pochi minuti da quando Steve l’aveva avvertita, ma li aveva trascorsi tutti in una corsa troppo rapida nel dannato parco che si frapponeva fra la posizione dei biotici e il punto in cui Liara e Garrus erano tornati a bordo della Normandy, costretti ad abbandonare il comandante al suo destino.
Tentare di percorrere quei due chilometri con un’andatura da centometrista era stato un atto idiota e irresponsabile, ma le sue gambe erano scattate e lei si era lasciata trascinare da un impulso che non era stata in grado di controllare.
Ora la testa le girava, rendendole ancora più difficile la determinazione della direzione giusta.
- Cazzo, cazzo, cazzo - bisbigliò mentre girava più volte su se stessa, incapace di orientarsi nel buio che le era improvvisamente calato addosso.

La distruzione di uno scafo di grosse dimensioni, che esplose nel cielo sovrastante con un frastuono che mise fuori uso i suoi timpani per qualche secondo, illuminò improvvisamente l’area circostante, e la sagoma sbilenca di un edificio semidistrutto le restituì la certezza della sua posizione.
Liberò gli stivali dal groviglio dei rami contorti che si intrecciavano sul suolo e ripartì con uno scatto rapido, trovandosi a calpestare dopo poche centinaia di metri la lunga strada in discesa lungo la quale il veicolo di terra, colpito dal fuoco dei Razziatori, aveva travolto Garrus, ferendolo in maniera così grave da costringerlo ad accettare l’ordine del comandante di tornare a bordo della Normandy. Ma Liara aveva dovuto trattenerlo a forza sulla piattaforma dello scafo quando il turian si era reso conto che il comandante avrebbe proseguito quella dannata missione da solo.

Era stato quello lo scarno resoconto che le aveva fatto Steve, ma lei non aveva posto ulteriori domande, grata che il pilota delle Kodiak fosse stato conciso, limitandosi allo stretto indispensabile.
- Avrei voluto che qualcuno mi avvertisse, se fossi stato io al tuo posto - le aveva confessato il pilota, con una voce rotta dal pianto alla fine della narrazione, mentre lei si limitava a ringraziarlo solo con il pensiero, senza neppure accorgersi che aveva lasciato cadere in terra l'apparecchio di comunicazione e che i suoi piedi avevano cominciato a correre verso il punto in cui la Normandy era tornata a sollevarsi alta nei cieli, abbandonando il comandante.

Fissò la lunga discesa di asfalto rognoso le cui buche mostravano la terra sottostante. Macchie di colori diversi ricoprivano il suolo di colori cangianti, mischiando fluidi organici e sintetici come su una tavolozza di un pittore folle. Le pozze di sangue blu, rosso e violaceo, confluivano in rivoli alimentati dall’olio di motori. Quei rigagnoli iridescenti e multicolori scorrevano lentamente sull’asfalto seguendo il profilo delle sue crepe e deviando leggermente il proprio corso quando incontravano resti di natura chiaramente organica, anche se troppo dilaniati per poter immaginare a quale razza potessero appartenere, e pezzi di metallo che una volta costituivano armi considerate letali e potenti armature. Ma le armi e le armature di cui disponeva l’esercito di cui lei faceva parte erano del tutto inadeguate per affrontare le grandi seppie giganti che spalancavano intorno il loro occhio purpureo e dispensavano morte senza alcuna esitazione o rimorso.

Macchine guidate da cervelli inorganici, in grado di decretare stermini di massa senza un nanosecondo di esitazione, senza il minimo dubbio, senza emotività.
Dispensavano una morte ‘pulita’ che veniva somministrata senza preferenze, con una unicità di intenti ammirevole, per alcuni versi. I Razziatori erano un concentrato di logica, capaci di valutazioni tanto sofisticate da non risultare comprensibili ai semplici esseri organici. In qualche modo li si poteva paragonare a degli dei. Ma non ai semplici dei che erano stati variamente concepiti dalle civiltà galattiche di qualsiasi era. I Razziatori erano dei veri, non simulacri. Erano arrivati senza bisogno di essere implorati ed ora agivano in nome dell’ideale più nobile: la preservazione della vita organica.
Non avevano scrupoli a legar loro le mani, non avevano tarli a rodere le loro menti. Avevano uno scopo preciso e lo seguivano con una sicurezza arrogante, indifferenti alle suppliche disperate delle creature che si erano arrogati il compito di tutelare.

Lì allo scoperto, sulla strada asfaltata lontana dal parco rigoglioso di salici secolari alti decine di metri, lo spettacolo che si offriva agli occhi di Jack era ancora più crudo e disperato.
Distolse lo sguardo da ciò che giaceva al suolo immoto e da ciò che a fatica vi strisciava sopra, emettendo gemiti o mantenendo un silenzio che suonava più disperato delle urla, per spingere gli occhi verso la fine della strada, là dove un sottile raggio biancastro si levava verso il cielo: la scorciatoia per la Cittadella, il traguardo che John si era sforzato di raggiungere.

Era verso quel raggio che il comandante aveva continuato a correre, una volta rimasto solo, ed era lì che, mentre la Normandy virava, alcuni membri dell’equipaggio, con i volti schiacciati contro le finestre di babordo, avevano creduto di vederlo cadere al suolo dopo un'altra bordata di fuoco del Razziatore posto a difesa di quella zona di terreno. Steve Cortez era fra loro e l'aveva chiamata per darle la notizia.

Il raggio era ancora lì, bianco e stabile, puntato verso il cielo nero costellato da esplosioni, così come era ancora lì il Razziatore, fermo sulle sue zampe come un feroce cane legato ad una catena che faccia la guardia alle proprietà del suo padrone. Doveva essere stato l’occhio purpureo di quella seppia gigante ad aver falciato la corsa del comandante, immaginò Jack, sentendo che un urlo di rabbia cieca si faceva strada a forza fra le sue labbra.

Se le morse fino a quando avvertì un sapore salato e ferroso impastarle la lingua, poi portò una mano sugli palpebre gonfie di lacrime, nell’inutile tentativo di cancellare le visioni dell’incubo a occhi aperti che la sua mente continuava a riproporle con testardaggine ostinata.

“Il comandante Shepard è sopravvissuto alla sua morte” continuò a rassicurarsi, sentendosi tornata ad essere la bambina di un tempo, quella rannicchiata sul lettino metallico, con la coperta aggrovigliata fra le mani serrate: la bambina che tentava di rassicurarsi che l'inferno a cui Cerberus la stava sottoponendo da troppo tempo avrebbe avuto fine.

Capì di provare paura. Non aveva più assaggiato quel suo sapore, acre e persistente, che nasceva all’interno della bocca ma finiva per contagiare tutto il corpo, restringendo polmoni e piegando gambe, facendo tremare le mani e confondendo gli occhi fino a quando le sembrava di vorticare dentro un turbine che disperdeva nel vuoto ogni altra emozione, come fossero proiettili sparati da un mitragliatore.
Si sentiva sola e paralizzata su quell’asfalto ora, esattamente come quando, da bambina, sentiva che sotto il suo letto era in agguato il mostro più terribile che potesse essere immaginato, pronto ad azzannarle un piede e a trascinarla dentro la sua tana sotterranea, dove l’avrebbe spolpata lentamente leccandosi il muso aguzzo e fissandola con occhi freddi, iniettati di sangue.

Non provava la paura di morire, perché quella l’aveva persa tanti anni prima e sapeva che non sarebbe mai più tornata. La morte era diventata la madre che l’avrebbe cullata fra le braccia asciugando ogni sua lacrima, l’amica che le avrebbe stretto le braccia attorno così che lei potesse appoggiare il suo capo contro la spalla e riposarsi, l’amante che le avrebbe baciato gli occhi perché potessero chiudersi fiduciosi e trovare finalmente un po’ di quiete.
Il fiato non riusciva a riempire i suoi polmoni e le gambe non trovavano l’energia necessaria a muovere un solo passo perché al termine di quella discesa sapeva che avrebbe potuto trovare il suo comandante. L’immagine del suo corpo confuso fra i tanti altri, moribondi o già senza vita, che tappezzavano la lunga discesa verso l'esile colonna di luce biancastra che faceva da ponte fra la città di Londra e la stazione spaziale della Cittadella, le dava un senso di vertigine contro cui non riusciva a combattere.
“Ma tu non puoi morire!” gridò all'improvviso ad alta voce verso il cielo scuro, come se quell'affermazione fosse una formula magica capace di cambiare il destino di Shepard e, di conseguenza, quello della battaglia ancora in corso.
Come risposta a quel grido disperato e pieno di speranza, il Razziatore che aveva di fronte girò un paio di volte la sua grande testa da destra a sinistra e da sinistra a destra, come se stesse scrutando attentamente il terreno, poi fletté leggermente le lunghe zampe e infine spiccò il volo, atterrando a qualche chilometro di distanza, come se avesse concluso che in quella zona non restava più alcuna traccia di resistenza, nessun nemico a cui togliere la vita.

Bastò quel cambiamento perché Jack ritrovasse la speranza per un miracolo che le sembrava impossibile e riprendesse a correre a rotta di collo, con le lacrime che le offuscavano la vista.
Inciampò più di una volta contro ostacoli invisibili non solo a causa del buio, ma perché il suo sguardo correva lontano, senza soffermarsi su ciò che la circondava da vicino.
Sapeva per istinto che se John era davvero caduto, falciato dal raggio di quel Razziatore, ne avrebbe trovato il corpo vicino a quella colonna di luce che si levava verso il cielo scuro: perché il comandante Shepard sarebbe comunque arrivato fino a lì, in ogni caso e ad ogni costo.
  
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