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Autore: Roxanne Potter    18/03/2015    1 recensioni
Luke amava Michael e amava tutte quelle piccole cose che lo rendevano lui, persino quelle che non sopportava. Ma forse non aveva mai davvero compreso quanto lo amasse fino al momento in cui Michael se n’era andato, via da quell’appartamento che condividevano ormai da più di un anno, il momento in cui per la prima volta Luke era rientrato in casa e aveva sentito letteralmente il suo cuore spezzarsi davanti al salotto vuoto e silenzioso, all’angolo spoglio dove era sempre stato abituato a vedere la chitarra acustica di Michael.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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C’erano  tante cose che Luke Hemmings non sopportava di Michael Clifford, tante quanto quelle che amava. Non sopportava il modo in cui lo ignorava e si rifiutava di rispondere alle sue domande quando era arrabbiato con lui per qualche motivo stupido. Non sopportava la sua mania del caffè, la sua abitudine di lasciare tutte quelle  tazzine sporche sparse per casa, sul tavolo, sui pensili della cucina, sulla scrivania. Non sopportava le pile di vestiti che rovesciava sul letto o sul pavimento , la sua totale mancanza di ordine e organizzazione, le macchie di tinta che lasciava sullo specchio del bagno o sul cuscino ogni volta che decideva di cambiare colore di capelli, il che accadeva con la frequenza di una volta al mese.
E poi lo amava, Luke amava Michael. Amava i colori folli e sgargianti dei suoi capelli, i suoi piercings a lato del sopracciglio. Amava le sue labbra carnose che lo baciavano, amava la sua risata, la sua voce, le sfumature e anche le lievi stonature della sua bellissima voce quando cantava. Amava le sue mani grandi e affusolate che a volte sfioravano a volte aggredivano la chitarra, le ballate acustiche o i riff sparati a tutto volume in cui Michael metteva il cuore. Amava le loro serate passate davanti al televisore, a mangiare pizza, bere qualche birra e parlare di tutto e niente, per poi finire a baciarsi e fare l’amore su quel vecchio divano consumato.
Luke amava Michael e amava tutte quelle piccole cose che lo rendevano lui, persino quelle che non sopportava. Ma forse non aveva mai davvero compreso quanto lo amasse fino al momento in cui Michael se n’era andato, via da quell’appartamento che condividevano ormai da più di un anno, il momento in cui per la prima volta Luke era rientrato in casa e aveva  sentito letteralmente il suo cuore spezzarsi davanti al salotto vuoto e silenzioso, all’angolo spoglio dove era sempre stato abituato a vedere la chitarra acustica di Michael.
“Non è per sempre, lo sai. Tornerò Natale, per Pasqua e tutte le vacanze possibili e comunque  ci vedremo ogni volta che potremo.  Possiamo farcela, Luke.”
Gli aveva detto così, con le labbra tirate in un sorriso in contrasto con gli occhi lucidi, quando gli aveva annunciato di aver ricevuto la proposta per un college; un college che distava ore di treno da lì e per cui avrebbe dovuto trasferirsi. Un college prestigioso, molto più di quello che Michael frequentava nella piccola città dove erano nati e cresciuti e di cui si era sempre detto insoddisfatto, che gli avrebbe assicurato possibilità che lì non si sarebbe neanche sognato.
Michael aveva chiesto il suo parere prima di decidere se partire o no. E Luke, nonostante tutto dentro di lui gridasse il contrario, non glielo avrebbe mai impedito. Non gli avrebbe mai negato una simile possibilità solo per tenerlo vicino a sé, per egoismo, perché sapeva quanto fossero importanti per Michael i suoi studi e il desiderio di fare qualcosa nella sua vita. Qualcosa che forse non avrebbe mai ottenuto, se fosse rimasto a vivere lì.
Credeva di essere pronto; le relazioni a distanza erano una cosa normale per migliaia di persone in ogni angolo del mondo, ormai. Lui e Michael si sarebbero sentiti ogni giorno per telefono e in webcam, si sarebbero visti durante le vacanze e ogni volta che sarebbe stato possibile. Sarebbero stati in grado di gestirla. Non avrebbe fatto poi così male.
Invece aveva fatto molto più male di quanto Luke potesse immaginare. Non di quel dolore che ti spacca la gola e ti strazia il petto, ma più un dolore quasi placido che avvelena lentamente ogni tuo lembo di pelle, la luce nei tuoi occhi, la risata sulle tue labbra, fino a lasciarti dentro un vuoto che neanche le cose che hai sempre amato sembrano riuscire a colmare.
Una mattina Luke si era svegliato, si era rigirato nel letto e Michael non era lì, non  era lì a rivolgergli il suo sorriso ancora assonnato. Al suo posto solo parole su un freddo schermo del cellulare, un messaggio in cui gli augurava il buongiorno e gli diceva di aver dormito malissimo quella notte senza di lui. Parole che nonostante tutto gli avevano strappato un sorriso.
Con il passare dei giorni, Luke aveva dovuto iniziare ad abituarsi all’assenza di Michael. Un’assenza che gli pesava terribilmente, che gli sembrava irreale. Gli sembrava irreale trascinarsi in cucina la mattina e non sentire più il pungente odore di caffè che riempiva l’aria. Nessuna tazzina lasciata sul tavolo o vicino al televisore. I vestiti perfettamente in ordine negli armadi. Niente oggetti rovesciati a terra, niente telecomando che finiva chissà come sopra il frigorifero, niente segnalibri svolazzanti per casa.
Dalla scrivania di Michael erano spariti i suoi libri, i romanzi e i fumetti giapponesi. (“Si chiamano manga, Luke, non è difficile da ricordare!”) Nel bagno non c’era più la pila di prodotti per capelli accatastata in un angolo, tutte quelle boccette di tinte, decolorante e altra roba di cui Luke non aveva mai capito nulla.
Erano le cose, piccole cose che ogni giorno gli sbattevano in faccia l’assenza di Michael e contribuivano a scavare quel vuoto nel suo petto, quel dolore paralizzante.
Si scrivevano e si telefonavano quasi ogni giorno, sì, ma non era la stessa cosa. Perché non c’erano più mani da stringere, labbra da baciare, occhi in cui perdersi. Perché la sera Luke si ritrovava sul divano, a guardare con scarso interesse il primo film trovato in tv e sorseggiare una birra, da solo, a inseguire i fantasmi di ricordi brucianti. E in quei momenti sospirava e pensava che avrebbe fatto di tutto, letteralmente di tutto per poter avere Michael al suo fianco, disteso sul divano o intento a divorare una pizza, e sentire la mano del ragazzo che toccava la sua o scorreva tra i suoi capelli.
-Mi manchi.- gli diceva sempre Luke al telefono, e quei “Mi manchi anche tu. Ti amo.” che per un po’ gli facevano di nuovo battere il cuore e scorrere il sangue nelle vene, e forse era stupido stare così male per qualcuno e lasciare che la tristezza lo divorasse in quel modo ma, da quando si erano conosciuti e innamorati, Luke aveva sempre dato tutto di sé a Michael, si erano legati tanto profondamente che ormai non riusciva più a concepire l’idea di una vita senza di lui.
Gli mancava come non aveva mai immaginato potesse mancargli una persona. Lui e tutte quelle piccole cose di cui era così follemente innamorato.
Forse sarebbe stato più facile se avesse avuto abbastanza soldi per poter prendere un treno e andare da lui (Purtroppo i turni al negozio di cd dove lavorava precariamente gli erano stati dimezzati e Luke riusciva appena a sostenere le solite spese mensili) o se Michael non avesse deciso di far visita ad alcuni zii a Sydney per Natale prima di tornare da lui. Certo, questo voleva dire che l’avrebbe rivisto i primi di gennaio invece che a dicembre, una piccola differenza di una settimana, ma a lui pesava lo stesso.
Per questo quella sera, il giorno della vigilia di Natale, Luke aveva cercato di distrarsi il più possibile uscendo con Calum e Ashton. Stare insieme a loro era l’unico modo che aveva per stare bene e impedirsi di pensare troppo a Michael, l’unica cosa che gli aveva impedito di impazzire in quegli ultimi mesi. Anche quella sera non faceva eccezione; i tre ragazzi erano andari in giro per bar e locali, a bere qualcosa e cercare di rimorchiare ragazze, (O meglio, Ashton e Calum avevano cercato di rimorchiare ragazze) e adesso camminavano ridendo e chiacchierando tra loro lungo la strada che portava alla palazzina degli appartamenti dove viveva Luke.
Calum scolò l’ultimo sorso di birra rimasto della bottiglia che aveva in mano prima di gettarla via con noncuranza. Ashton, leggermente brillo, gli tirò una gomitata e iniziò a biascicare qualcosa sull’importanza di mantenere pulito l’ambiente circostante.  Luke si morse un labbro per non ridere; anche lui aveva bevuto ma meno degli altri due, era ancora lucido, e forse questo era il motivo per cui adesso aveva solo voglia di tornare a casa e raggomitolarsi tra il caldo delle coperte. (Di solito quando beveva troppo Luke si trasformava in un vero e proprio animale da festa, ma quella sera, nonostante si fosse divertito ad andare in giro con Calum e Ashton, non era proprio il caso.)
Arrivati davanti alla sua palazzina, Luke si voltò verso i due ragazzi e li osservò con un’espressione scettica.
-Siete sicuri che non crollerete per strada?
-Ma certo, siamo stati molto peggio di così.- rise Ashton. –Tu invece sei proprio sicuro di voler tornare  a casa? Non è neanche così tardi, dai.
-Beh, ora sono qui.
-Allora ci vediamo domani se riesco a trovare un po’ di tempo.- disse Calum. –‘Notte, Luke.
-Notte, ragazzi.- li salutò Luke, e li guardò mentre si voltavano e si avviavano lungo la strada, entrambi un po’ barcollanti. Ecco, adesso che i suoi due migliori amici se n’erano andati era arrivato il momento di ritrovarsi ad affrontare il vuoto di ogni giorno.
Trafficò nella tasca del giubbino, tirò fuori le chiavi e aprì il portone della palazzina; attraversò il piccolo atrio e salì quasi di corsa le scale, fino a raggiungere la porta del suo appartamento al secondo piano. Una volta entrato in casa e accesa la luce, Luke si affrettò a scalciare via le scarpe, a togliere il giubbino e sedersi sul divano davanti alla piccola tv della cucina salotto; voleva andare a dormire ma prima avrebbe controllato un po’ il cellulare, come faceva sempre. Lo sfilò dalla tasca dei jeans e iniziò a scorrere i messaggi; niente da parte di Michael, ma andava bene così. Avevano messaggiato quel giorno, Michael gli aveva raccontato di come stesse scoppiando dopo il solito pranzo della vigilia preparato da sua zia, e il giorno dopo si sarebbero telefonati. Poi ancora una settimana e Michael sarebbe tornato, per passare qualche giorno con lui prima di ripartire per l’inizio delle lezioni.
L’idea di rivederlo dopo quei mesi di lontananza lo fece sorridere, il petto stretto in un misto di felicità ed entusiasmo. Ormai mancava così poco al momento in cui avrebbe potuto finalmente abbracciarlo, baciarlo, sentirlo di nuovo vicino a sé.
Luke alzò lo sguardo e lanciò un’occhiata al piccolo albero di Natale che aveva preparato e sistemato nell’angolo dove una volta c’era la chitarra acustica di Michael; un alberello di media altezza, decorato con palline dai colori fluorescenti e una stellina rossa sulla punta. Aveva voluto fare una cosa semplice, perché lui non era mai stato tipo da decorazioni e ornamenti; non gli erano mai interessati più di tanto gli alberi di Natale, i festoni, le luci, i fronzoli.
Michael era tutto il suo opposto. Lo scorso Natale, aveva letteralmente trascinato Luke in tutti i negozi possibili alla ricerca di un albero adatto e aveva speso quasi un capitale per le palline decorative. Dopo aver finito di addobbare l’albero, si erano ritrovati con scatole inutili pieni di palline colorate che Michael aveva deciso di spargere e appendere ovunque per casa “giusto per dare un po’ di atmosfera natalizia”. Per la prima volta in vita sua Luke si era ritrovato ad apprezzare veramente quelli che aveva sempre considerato fronzoli, si era divertito a decorare quell’albero e ad aiutare Michael ad appendere le palline al soffitto della loro camera, il tutto mentre ridevano come matti e nello stereo risuonavano cd dei Blink 182 e dei Good Charlotte. Era sempre stato così con Michael, era capace di farlo ridere e farlo sentire felice come nessun altro poteva, di fargli vedere le cose sotto una luce diversa, di coinvolgerlo nella vita con quella sua risata adorabile e la luce che gli brillava negli occhi, con l’entusiasmo che gli animava la voce e l’energia che metteva in ogni cosa.
Michael dava vita alle cose, dava vita a lui. Era così che Luke si era accorto di essere innamorato, perché non si sentiva mai così vivo e felice come nei momenti in cui Michael era al suo fianco.
Per questo forse quella lontananza gli faceva così male. Perché nel momento in cui Michael se n’era andato la vita si era come spenta, non era più stata la stessa. E Luke aveva semplicemente un disperato bisogno di lui, ne aveva sempre avuto bisogno.
Sospirò, la tristezza con la quale ormai aveva imparato a convivere che tornava ad offuscargli la mente. Avrebbe avuto solo pochi giorni da passare con lui, poi sarebbero stati separati di nuovo. Non sapeva come reggere tutto questo. Non sapeva come sarebbe riuscito ad andare avanti così…
Il suono improvviso del campanello lo fece letteralmente sussultare; Luke alzò lo sguardo e lanciò un’occhiata perplessa alla porta, chiedendosi chi diavolo potesse essere a quell’ora. Forse Calum o Ashton che si erano dimenticati di dirgli qualcosa, ma in tal caso avrebbero potuto benissimo telefonargli o mandargli un messaggio.
Non riusciva comunque a immaginarsi di chi altro potesse trattarsi,  pensò Luke mentre si alzava e si dirigeva verso la porta.
-Ash, se è per Calum che è di nuovo collassato vedi di chiamare un’ambulanza invece di trascinarlo qui a casa mia!- esclamò in tono ironico, aprendo la porta. –E comunque…
Si bloccò. Rimase lì con la bocca spalancata e le mani che iniziavano a tremare. Perché davanti a lui non c’erano né Ashton né Calum ma Michael. Il suo Michael Clifford, in carne e ossa, che gli accennò un sorriso e disse: -Ehi, non sei contento di vedermi?
A Luke servì qualche secondo per elaborare il tutto. Sì, quello ero davvero Michael, con il suo grosso borsone da viaggio in una mano e la custodia della chitarra sulle spalle. Indossava la sua giacca nera preferita e, rispetto all’ultima volta che si erano visti, aveva un po’ di barba in più sul mento e i suoi capelli verdi erano diventati di un viola intenso, dalle sfumature quasi fucsia.
-Io pensavo tu fossi a Sydney…- riuscì a balbettare Luke, poi non si trattenne più e scattò in avanti, abbracciandolo e affondando la testa sulla sua spalla. Sentì Michael ricambiare l’abbraccio, quelle braccia che lo stringevano forte e che gli erano mancate così tanto, il suo profumo familiare, e in quel momento Luke si sentì la persona più felice e completa del mondo.
Si separarono solo dopo un bel  po’ e Luke sapeva che le sue guance erano diventate rosse, sentiva il cuore battere all’impazzata per lo shock e l’emozione mentre poggiava un leggero bacio sulle labbra di Michael. Poi tirò un respiro profondo e disse: -Spiegami che cosa ci fai qui. Avevi detto di essere andato a Sydney dai tuoi zii. Ti aspettavo per il due gennaio.
-Beh, all’inizio il piano era quello. Ma poi ho avuto la geniale idea di farti una sorpresa e arrivare qui un po’ prima, senza avvertirti. La tua faccia poco fa era impareggiabile, te lo giuro.
Quello era il Michael che conosceva, pensò Luke soffocando una risatina. Non riusciva a credere che il suo ragazzo fosse finalmente lì, davanti a lui, dopo tutti quei mesi passati a stare male per la loro lontananza. Non importava se Michael sarebbe ripartito anche dopo pochi giorni, adesso tutto quello che contava era averlo lì con lui.
-Non pensavi che a quest’ora forse avrei potuto essere addormentato?- gli sorrise, e Michael scosse la testa.
-Ho incontrato qui vicino Ash e Calum, mi hanno detto che ti avevano appena riscaricato a casa e io lo so che tu non vai mai direttamente a letto, perdi prima mille anni di tempo sul cellulare o davanti alla tv. A dire il vero pensavo di arrivare nel pomeriggio, ma l’amico che mi ha portato in auto fino a qui ha avuto un imprevisto e siamo potuti partire solo stasera. Ma almeno sono qui ed è questo l’importante, no?
-Sì, è questo l’importante. Dai, entra. Mi sei mancato tantissimo, lo sai?
Più di quanto tu possa immaginare.
-Luke Hemmings versione quindicenne sdolcinata.- disse allegramente Michael, entrando nell’appartamento e chiudendosi la porta alle spalle. –Scherzavo. Anche tu mi sei mancato, da morire.
Gli sorrise, di quei sorrisi a metà tra la dolcezza e la malizia. Poi lasciò cadere a terra il borsone da viaggio, si avvicinò a lui, gli prese il viso tra le mani e lo baciò di nuovo.
Rimasero lì a baciarsi per qualche minuto, e per la prima volta dopo mesi Luke riscoprì che cosa significava stare davvero bene; il sapore della bocca di Michael, il suo respiro, quegli occhi che splendevano di felicità e gli dicevano senza parole che sì, anche lui era stato male durante quella lontananza, anche lui stava morendo dalla voglia di tornare per poterlo abbracciare e baciare come stava facendo in quel momento.
Si separarono leggermente e Luke gli poggiò una mano sulla guancia, accarezzandola, come a volersi assicurare che lui fosse davvero lì.
-Ti amo.- mormorò sulle sue labbra. Michael sorrise, gli afferrò delicatamente la mano e rispose:  -Ti amo anche io.
Dovette lasciarlo andare per permettergli di iniziare sistemare le sue cose, o meglio di fare ciò che nel mondo di Michael Clifford significava sistemare; la custodia della chitarra finì in un angolo, il borsone e la giacca furono rovesciati sul divano.
-Abbiamo un appendiabiti, lo sai?- gli disse divertito Luke. Michael, che si era seduto sul bracciolo del divano, gli lanciò un’occhiata stranita.
-Davvero? Non lo sapevo.- rispose ironico. –Piuttosto dimmi cosa ne pensi dei miei nuovi capelli. Li ho rifatti ieri, apposta per te.
-Sono bellissimi.- rise Luke, lanciando un’occhiata alla chioma viola di Michael. Si sedette accanto a lui sul divano e lo abbracciò di nuovo; per un po’ rimasero così, semplicemente abbracciati, pochi minuti che sembrarono infiniti nel silenzio perfetto della stanza. Fu Luke il primo a parlare: -Che cosa pensi di fare domani? Io vado dai miei per il pranzo di Natale, ma poi abbiamo il resto della giornata tutto per noi.
-Anche io dai miei genitori, ma devo ancora avvertirli che sono qui. Loro credono che io sia andato dai miei zii a Sydney. Capisci, non volevo che si lasciassero sfuggire qualcosa con te perché stasera volevo sconvolgerti…
-E ci sei riuscito!- esclamò Luke, arruffando i capelli di Michael. –Adesso però ho sonno e anche tu devi essere stanco dopo ore di viaggio. Pensi di venire a dormire con me così, in jeans e maglietta?
-Oh, no, affatto. Pensavo che avresti potuto occuparti tu dei miei vestiti adesso. Sai, non credo di essere poi così stanco.
Un sorriso malizioso sulle labbra di Michael. Luke non disse niente mentre gli prendeva la mano e lo tirava su dal divano, per poi trascinarlo in quella che anche solo per qualche giorno sarebbe finalmente tornata ad essere la loro camera. Ripresero a baciarsi, iniziarono a toccarsi come non avevano fatto per troppo tempo, baci umidi sul collo, mani tra i capelli, lungo la schiena, sui fianchi. Luke afferrò la maglia di Michael e gliela sfilò, poi lo spinse sul letto e si sistemò a cavalcioni su di lui; continuò a baciarlo freneticamente, prima sulle labbra poi sul collo, dove si soffermò a succhiare fino a lasciargli un evidente segno rosso. Fece scivolare le mani fino ai suoi jeans, che iniziò a sbottonare; Michael si agitò e gemette sotto di lui, il respiro che si faceva più affannoso. Aspettò che Luke avesse finito di spogliarlo del tutto prima di tirarsi su e invertire i ruoli; lo fece distendere sul letto, gli sfilò rapidamente via la maglia, i pantaloni, i boxer.
Luke trattenne il fiato quando la mano di Michael lo afferrò e iniziò a stuzzicarlo; quasi tremò nell’incrociare lo sguardo del ragazzo, quegli occhi brillanti di desiderio come i suoi. Si baciarono di nuovo e Luke si sentì esplodere di un misto tra felicità, amore totale ed eccitazione che prevaleva su di lui, cancellando ogni segno di stanchezza.
Michael ritirò la mano e lo baciò sulle labbra, prima di iniziare a spingersi dentro di lui. All’inizio fece male, come sempre, ma presto Luke si abituò ai suoi movimenti lenti e controllati; le mani di Michael strinsero piano le sue, dolcemente, le loro bocche si incontrarono di nuovo. E fu pura dolcezza che lo mandò fuori di testa, insieme al piacere che gli montava nello stomaco, e fianchi che si scontravano e il respiro che si spezzava e i deboli gemiti che gli sfuggirono incontrollati dalle labbra.
Non voglio lasciarti andare, pensò Luke, mentre Michael prendeva a muoversi un poco più veloce. Era bello fare l’amore così, con quella delicatezza, senza nessuna fretta e urgenza ma assaporandosi lentamente, godendosi a fondo ogni tocco, ogni brivido, ogni contatto, ogni bacio; avrebbe voluto continuare a cullarsi per sempre in quella sensazione paradisiaca insieme a Michael, il suo Michael, perché la cosa più importante in quel momento era il fatto che lui fosse lì, che lo stringesse e lo baciasse, che fosse lui a farlo sciogliere e ansimare ed eccitare in quel modo.
Luke chiuse gli occhi e si morse il labbro, mentre la sensazione di piacere cresceva. Strinse forte le spalle di Michael e mormorò, con la voce spezzata: - Credo di star per venire.
-Ti aiuto io.- sorrise il ragazzo. Lo afferrò nuovamente con una mano, mosse il polso con movimenti esperti e continuò a spingersi in lui, adesso più forte. Luke spalancò gli occhi e trattenne un urlo, quando la scarica dell’orgasmo lo attraversò; istanti di puro piacere che gli scosse il basso ventre e gli annullò i pensieri.
Chiuse gli occhi e cercò di riprendere fiato, mentre la sensazione scivolava via. Michael continuò a muoversi e ci vollero un paio di minuti prima che anche lui venisse; si irrigidì e ansimò, poi si lasciò ricadere su Luke e gli affondò la testa sulla spalla. Gli posò qualche piccolo bacio sul collo prima di spostarsi da lui e stendersi al suo fianco.
-Sai, ora credo di essere veramente stanco.- mormorò, chiudendo gli occhi.
-Ci scommetto.- ridacchiò Luke, tirandosi su a sedere. Diede un’occhiata ai vestiti gettati sul pavimento, prendendo mentalmente nota di riordinare tutto il giorno dopo, poi afferrò la coperta sfatta del letto per tirarla su di loro; si strinse a Michael e chiuse gli occhi, sentendo la stanchezza piombargli addosso. E fu facile addormentarsi così, tenendosi abbracciato a Michael, che aveva le labbra premute sulla sua tempia e gli accarezzava piano i capelli.
Per la prima volta dopo mesi, Luke si addormentò senza aver bisogno di fissare lo schermo di un telefono e trattenere le lacrime che gli premevano contro gli occhi.

Quando si svegliò il mattino dopo, Luke si raggomitolò ancora di più nelle coperte e, con la mente ancora annebbiata dal sonno, si concesse ancora un po’ di tempo per dormire. Non che fosse facile, a causa della dannata luce che filtrava dalla finestra e andava a battergli sulle palpebre chiuse. Luke sbuffò e si girò per affondare la faccia sul cuscino; odiava la luce del sole al primo mattino, gli dava un fastidio incredibile e gli impediva di riaddormentarsi come avrebbe voluto. Per questo lui tirava sempre per bene le tende prima di andare a dormire e…
Si rese conto solo in quel momento di non indossare il pigiama, anzi, di essere del tutto nudo. Luke spalancò gli occhi; di colpo ricordò quello che era successo la sera prima e il motivo per cui aveva dimenticato di tirare la tende della finestra. Un enorme sorriso gli spuntò sulle labbra, mentre si tirava su di scatto e gettava via la coperta. Fu deluso nel vedere che Michael non era lì, sicuramente si era già alzato ed era andato a fare colazione, ma… aggrottò le sopracciglia, notando delle chiazze di colore viola sul cuscino di Michael. Subito dopo sorrise; gli erano mancati i suoi cuscini macchiati di tinta.
Si alzò e si affrettò a recuperare boxer e jeans dal pavimento, per poi vestirsi velocemente. Quando entrò in cucina, fu colpito dal forte profumo di caffè che si spandeva nell’aria; Michael era lì, seduto al tavolo, anche lui a petto nudo e con i capelli scompigliati intorno al viso assonnato, che sorseggiava il caffè da una tazzina. Nel vederlo entrare Michael poggiò subito la tazzina sul tavolo, accanto al sandwich col prosciutto che si era preparato, e gli sorrise.
-Buongiorno. Hai dormito bene?
-Benissimo.- Luke sorrise a sua volta e gli si avvicinò per poggiargli un bacio sulle labbra.
-Scusa per il disordine, ti prometto che dopo ti aiuterò a mettere tutto a posto. Ormai non devi più esserci abituato, no?
Luke si lanciò un’occhiata intorno; la custodia della chitarra di Michael era nell’angolo, il suo borsone e la giacca ancora sul divano. La macchinetta del caffè sul fornello spento, scatole di biscotti e altro cibo preso dal frigo sul ripiano della cucina. Sembrava tornato tutto come prima, pensò, con il cuore che accelerava i battiti. Michael era di nuovo lì, insieme a tutte quelle sue piccole cose che gli erano mancate da morire, il suo disordine, i suoi capelli colorati, il profumo di caffè.
-Non m’importa. Mi era mancato tutto questo, se devo essere sincero.
-Davvero?
-Sì.
Gli passò una mano tra i capelli e sorrise di nuovo. Michael era tornato, così all’improvviso, aveva cancellato quel vuoto che lo accompagnava da mesi. E sapeva che sarebbe durata pochi giorni, forse appena una settimana prima che lui ripartisse, ma non gli importava.
-Tu mi sei mancato.- aggiunse, chinandosi per baciarlo un’ultima volta.
E in quel momento, in quella mattina di Natale del 2014, per la prima volta dopo mesi Luke Hemmings riscoprì cosa significava sentirsi davvero felici.

Note

Sono secoli che voglio scrivere una Muke e ne ho iniziate tante, questa è l'unica che sono riuscita a concludere per ora. Il titolo è ispirato a "Little things" degli One Direction, avevo appena iniziato ad ossessionarmi con quella canzone quando ho scritto la storia. Riguardo al rating spero che vada bene l'arancione, alla fine la scena tra Luke e Michael non è poi così dettagliata e spinta, quindi ho pensato che andasse bene. Ok, la smetto di dire cose inutili, spero che la Muke vi sia piaciuta. Ne sto scrivendo un'altra che dovrebbe contare tre o quattro capitoli, quindi spero la leggerete quando la pubblicherò. A presto!:3
   
 
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