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Autore: Chloe R Pendragon    18/03/2015    4 recensioni
Alsia e Saela sono due inseparabili sorelle, principesse del regno di Grenlath; un giorno le loro vite vengono sconvolte dall’incontro con la misteriosa Triade Oscura. Cosa accadrà? Riusciranno a ricongiungersi? Non ho mai scritto una One Shot fantasy prima d'ora, dato che sono abituata a creare trame piuttosto intricate e che richiedono parecchi capitoli per poter essere sviluppate: spero di essermela cavata, aspetto con ansia le vostre impressioni e le vostre critiche! *^*
Ha partecipato al turno finale del concorso a turni "Tutti i generi più uno!" indetto da aturiel sul forum di EFP.
Quinta classificata al contest "Of Monsters and Masters (Fantasy Contest)" indetto da La sposa di Ade sul forum di EFP.
Ottava classificata al 'Fantasy Contest - Alternative Route' indetto da Mokochan sul forum Torre di Carta.
Partecipa alla challenge "La sfida dei duecento prompt" indetta da msp17 sul forum di EFP.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Two sides of the same coin

Two sides of the same coin

Decine di trombe iniziarono a squillare dai bastioni del regno di Grenlath, lacerando l’aria carica di tensione e trasformando i suoni pieni di vitalità in grida di terrore: l’imponente esercito della Triade Oscura si trovava a poche miglia di distanza dalle mura esterne e avanzava rapidamente, lasciando una scia di morte e distruzione al suo passaggio. Alsia osservava l’agghiacciante spettacolo dalla finestra della sua camera, i lunghi capelli biondi costretti a una furiosa danza dal vento gelido che entrava prepotente dall’esterno. Nei suoi occhi azzurri e limpidi come acqua sorgiva si poteva scorgere un vortice di sentimenti contrastanti, talmente violento da scuotere ogni cellula del suo esile corpo e ogni fibra della sua anima. Mentre le sue orecchie percepivano il suono dei cavalieri che si affrettavano lungo i corridoi del castello per raggiungere le armerie, la sua mente si lasciava trascinare da tumultuosi ricordi che avrebbero fatto meglio a restare sepolti negli abissi del cuore.

Le palpebre cedettero al peso delle immagini che stavano riaffiorando dai margini della coscienza della ragazza, liberando una lacrima selvaggia dalla prigione oculare in cui era stata rinchiusa. Persino all’interno di quell’unica goccia si potevano leggere i suoi oscuri pensieri, quei cupi presagi di una guerra fratricida che ebbe inizio tre anni prima, quando ancora sua sorella Saela non aveva ceduto alle lusinghe di Tarsil, la subdola comandante dei Demoni Alati. Durante una delle loro passeggiate nei boschi limitrofi, le due fanciulle si erano imbattute in una sinistra radura circondata da maestose querce, le cui fronde erano talmente fitte da impedire il passaggio dei raggi solari. Immerse in quella penombra, si erano guardate intorno con un misto di eccitazione e timore, ignare degli strani simboli tracciati nel manto erboso che avevano inavvertitamente calpestato.

«C’è qualcosa che non mi convince...» aveva mormorato Saela, gli occhi nocciola ridotti a due fessure per cercare di vincere quell’oscurità impenetrabile: nel sentire quelle parole, Alsia aveva avvertito un brivido gelido attraversarle la schiena, nonostante si fosse avvolta nel pesante mantello verde. Istintivamente, aveva stretto la presa sull’impugnatura della spada, immancabile compagna di avventure insieme all’arco della sorella maggiore, al quale era già stata incoccata una freccia. Un fruscio alle loro spalle le aveva fatte sobbalzare, spingendole rispettivamente a sguainare la spada e puntare il dardo in direzione del rumore: era stato allora che una densa nube di fumo, ben più nera e minacciosa di quella radura, le aveva travolte, costringendole a piegarsi su loro stesse e a tossire incessantemente.

Le mani non erano state più in grado di reggere le armi e i polmoni avevano reclamato aria pura con crescente disperazione, straziando le povere ragazze e causando loro dolori sempre più intensi; proprio quando Alsia aveva creduto di essere spacciata, la malsana cortina si era diradata, lasciando nuovamente il posto all’originale penombra e permettendole di riprendere fiato. Una volta placati gli spasmi, la giovane si era accorta di essere stretta tra le braccia della compagna, la quale aveva continuato a sussurrare il suo nome come una nenia. Turbate dall’accaduto, avevano deciso di tornare a casa, quando di fronte a loro erano apparse tre sinistre fanciulle vestite di nero, i volti nascosti dietro degli elmi dalla foggia animalesca.

«Chi siete?» aveva chiesto la donna al centro del gruppetto, colei che aveva indossato l’elmo a forma di toro; quella voce cupa aveva raggelato il sangue della sorella più piccola, ma non era stata in grado di piegare lo spirito indomito di Saela, la quale si era alzata e l’aveva fronteggiata senza timore.

«Siamo le figlie di re Garth, voi invece?» aveva replicato con fermezza, accrescendo l’ammirazione che Alsia aveva sempre nutrito nei suoi confronti.

«Noi siamo le sacerdotesse del Potente Udrin, Signore della Guerra. Cosa porta le due principesse di Grenlath fuori dalla cinta muraria?»

«Non sono affari che vi riguardano, non vi dobbiamo alcuna spiegazione: lasciateci andare e vi garantisco che non racconteremo a nessuno quanto è accaduto»

Alsia non aveva potuto fare altro che spostare lo sguardo dalla sorella alle sacerdotesse, tanto impressionata dalla prima quanto turbata dalle seconde: aveva scrutato con sospetto quegli strani abiti, costituiti da corpetti eccessivamente corti e gonne talmente lunghe da toccare il terreno, arricchiti con veli, piccole catene e frange che avevano reso le loro figure ancora più eteree di quanto già non fossero state. I copricapo a forma, rispettivamente, di scorpione, toro e aquila avevano dato a quelle fanciulle un’aria inumana, rafforzata dalla loro misteriosa apparizione e dalla nube che le aveva precedute: come aveva fatto Saela a mantenere il sangue freddo?

«Non so se il vostro sia coraggio o insolenza, ma lo scopriremo subito...» aveva gracchiato la donna con l’elmo aquilino, per poi fare un cenno alla compagna rimasta in silenzio che, senza ulteriori indugi, aveva sollevato il braccio destro e piegato il polso per sfiorare il pungiglione sopra il capo. Alsia aveva appena avuto il tempo di voltarsi verso la sorella quando questa aveva lanciato un grido carico di dolore prima di perdere i sensi e stramazzare al suolo in preda alle convulsioni: terrorizzata, la giovane principessa era corsa al suo fianco e aveva cercato di farla riprendere, ma era stato tutto inutile.

«Come avete potuto...? Cosa le avete fatto?» aveva chiesto alle sacerdotesse in preda alla disperazione, il viso rigato dalle lacrime e la voce incrinata dai singhiozzi.

«Non dovreste angustiarvi, principessa: il Potente Udrin reclama una vita, ma non quella di vostra sorella...» aveva risposto la responsabile del dolore di Saela, per poi svanire con le compagne nella stessa nube di fumo da cui erano apparse. Rimasta sola, Alsia aveva tentato ancora una volta di ridestare la sorella, tuttavia, non riuscendovi, si era decisa a correre spedita verso il castello portando la morente principessa sulle sue spalle. Giunta all’interno della cinta muraria, aveva attraversato come una furia le strade affollate, superando il mercato gremito di gente e il quartiere degli artigiani al fine di arrivare alla dimora del sommo Gunther, celeberrimo medico del regno; aveva bussato alla sua porta con violenza, quasi avesse voluto abbattere il ligneo ostacolo che si era frapposto tra lei e il rinomato guaritore. Quando la porta si era aperta, la principessa aveva varcato la soglia con una rapidità sovrumana, sovrastando il minuto anziano con una raffica di parole sconnesse circa la gravità della situazione: accortasi delle perplessità dell’uomo, si era avvicinata al robusto tavolo al centro della stanza e su di esso aveva adagiato il corpo in fin di vita di Saela, implorando il dottore di trovare un modo per salvarla.

Questi aveva sgranato gli stanchi occhi verdi e, avvicinatosi alla paziente, aveva mandato Alsia a prendere dell’acqua al pozzo, la quale era uscita dall’umile abitazione senza esitare; durante la sua corsa si era imbattuta in Voegith, uno dei cavalieri più vicini al re, nonché suo caro amico.

«Lady Alsia, cosa avete? Dov’è la principessa Saela?» aveva domandato stringendole delicatamente le spalle, allarmato dalle lacrime che avevano rigato il volto solitamente radioso della figlia minore di Sua Maestà.

«Saela è... io non... oh, Voegith!» aveva balbettato la ragazza per poi gettare le braccia al collo del condottiero, il quale aveva cercato di calmarla e le aveva chiesto di raccontarle cosa era accaduto. Avviandosi insieme verso il pozzo, la giovane gli aveva riferito dell’incontro con le sacerdotesse di Udrin e di come queste avessero avvelenato la povera Saela, chiedendogli al termine del racconto di avvisare i suoi genitori e di scortarli a casa del sommo Gunther: presa l’acqua, i due si erano separati per svolgere i rispettivi compiti e rendersi utili per il bene della principessa moribonda, tuttavia, ricongiuntisi nella dimora del medico, avevano ricevuto una notizia talmente sconvolgente da abbattere ogni speranza.

«Mio Signore, purtroppo le condizioni di vostra figlia sono critiche: il veleno che ha in circolo trasuda malvagità e non esiste antidoto capace di debellarlo» aveva annunciato il guaritore con voce carica di mestizia; la regina Amani non aveva saputo trattenere il pianto, stringendo la gelida mano della figlia morente e acuendo inconsapevolmente il dolore e il senso di colpa di Alsia, anch’essa sciolta in lacrime.

«Sciocchezze! Deve esserci un modo per salvarla!» aveva tuonato re Garth, i pugni serrati e gli occhi nocciola dardeggianti, incapace di accettare quella terribile situazione: era sempre stato un uomo d’azione, abituato a risolvere i suoi problemi con la spada, per cui gli era impossibile concepire quell’impasse.

«Posso darvi una mano?»

Quella domanda aveva fatto sobbalzare tutti i presenti, mozzando loro il respiro ed esortando il sovrano e il cavaliere a sguainare le rispettive spade. All’interno della stanza era comparsa una densa nube di fumo, la stessa che era apparsa nella radura e dalla quale si erano materializzate le tre sacerdotesse nere: quella volta solo la donna con l’elmo dello scorpione era comparsa, un corpetto cortissimo che aveva lasciato ben poco all’immaginazione e la lunga gonna che era sembrata un’espansione della cortina che aveva continuato a nasconderle i piedi. La sua voce aveva mantenuto lo stesso timbro roco e distante, come se avesse avuto origine dalle profondità della terra; aveva teso una mano verso il corpo esanime di Saela, ma una lama si era frapposta tra loro, quella del monarca.

«E tu chi saresti?» aveva chiesto a denti stretti, le dita strette attorno all’elsa nera tempestata di smeraldi.

«Mi chiamo Derarz, somma sacerdotessa del Potente Udrin, Signore della Guerra» aveva annunciato, facendo sobbalzare la regina e rabbrividire Alsia: avrebbe voluto saltarle al collo in quel preciso istante, col senno di poi avrebbe dovuto...

«Hai detto di poterci aiutare, in che modo?»

«È nostra intenzione salvare la vita della principessa, poiché ha dato prova di essere meritevole, tuttavia...»

«No, Garth!» aveva esclamato Amani con apprensione «Non darle ascolto: nessuno dà nulla per niente!»

«Tuttavia,» aveva proseguito Derarz «è necessario offrire un’altra vita per ristabilire l’ordine naturale delle cose...»

«Non sono dell’umore giusto per questi giochetti, arriva al punto» l’aveva esortata il monarca, ignorando l’ammonimento della moglie e gli sguardi allarmati di Alsia, Voegith e Gunther.

«Dovrete offrire l’altra vostra figlia in sacrificio al Grande Udrin»

Quella frase era stata seguita dalle reazioni più disparate: il medico aveva dovuto sedersi per lo shock di tale rivelazione, la principessa aveva portato le braccia al petto per farsi forza e capire se fosse stato il caso di fidarsi o meno, il cavaliere si era schierato davanti alla ragazza per farle scudo con il corpo mentre aveva puntato la spada verso la straniera e la regina aveva preso il marito per le spalle per spronarlo a ragionare. Nessuno di loro si sarebbe mai aspettato una proposta simile, ma soprattutto, nessuno aveva previsto la risposta di Garth.

«Prima devi salvare Saela, solo allora ti darò Alsia»

Un coro di proteste si era levato di fronte a quell’affermazione, tuttavia la decisione era stata presa e il re era stato irremovibile; la stessa ragazza aveva accettato il suo destino e, superato il cavaliere e affiancata la madre, si era fatta avanti come per dare una tacita garanzia alla perfida donna. Quest’ultima aveva annuito soddisfatta, per poi sollevare la mano e mormorare frasi in una lingua sconosciuta, simile al sibilo di un serpente; un globo verdastro era apparso sul suo palmo aperto e si era ingigantito sempre più, fino a diventare grosso come la testa di un orso. La principessa morente aveva emesso un sospiro e aveva mugugnato il nome della sorella, mentre il viso aveva iniziato a riacquistare il normale colorito e le membra irrigidite avevano cominciato a sciogliersi.

«E adesso, se non vi dispiace, mi prendo la ragazza...»

Derarz aveva mosso un passo verso Alsia, ridendo sommessamente, quando una lama l’aveva trapassata da parte a parte all’altezza dell’addome.

«Pensavi davvero che avrei accettato così a buon mercato?» aveva ringhiato il sovrano, spingendo con maggiore forza la spada; la sacerdotessa si era piegata su se stessa senza emettere alcun suono, per poi esplodere in una sinistra risata capace di gelare il sangue di chiunque.

«Siete uno sciocco, re Garth, se pensate di averla spuntata: le vie del Grande Udrin sono più numerose di quanto pensiate e presto pagherete le conseguenze di quest’azione sconsiderata» aveva gracchiato la donna, mentre la nube di fumo era riapparsa all’interno dell’abitazione, avvolgendo ogni cosa; era stato allora che con un impeto improvviso Derarz aveva scagliato il globo velenoso contro l’impotente Amani, facendola stramazzare al suolo priva di sensi e in preda alle convulsioni. Alsia aveva gridato e si era precipitata insieme al sommo Gunther verso la regina, tentando inutilmente di prestarle soccorso; Voegith e Garth non avevano fatto in tempo a voltarsi che la densa cortina li aveva scagliati dall’altra parte della stanza, facendoli sbattere con forza contro la parete. In quel trambusto nessuno si era accorto di Saela, la quale, ancora inerme, era stata avvolta dalle spire di quella coltre oscura. In una frazione di secondo, la sacerdotessa era svanita nel nulla e, con lei, anche la principessa svenuta, lasciando tutti in preda al panico.

Da quel giorno nulla era stato più come prima: la regina non si era più ripresa da quell’attacco e le sue condizioni continuavano a peggiorare, il re aveva affidato a Voegith il comando di una squadra di ricerca per ritrovare Saela, ma tutte le spedizioni erano state un fallimento, mentre Alsia aveva iniziato ad allenarsi strenuamente con la spada, decisa più che mai a ritrovare sua sorella e a sconfiggere quelle perfide sacerdotesse. Era stato un terribile colpo scoprire che, contemporaneamente, Saela aveva preso il posto di Derarz nella Triade Oscura del Signore della Guerra e che aveva accettato di radere al suolo il regno di Grenlath per compiacere Udrin: era stata lei stessa a comunicare quella nefasta notizia, uccidendo tutte le sentinelle a eccezione di Voegith per far sì che questi riferisse a Garth di prepararsi a combattere contro l’esercito di Demoni Alati di Tarsil, la donna aquilina, le orde di troll di Devra, la sacerdotessa dall’elmo di toro, e soprattutto contro di lei.

 

Un ruggito spaventoso costrinse Alsia a riaprire gli occhi e a guardare dalla finestra cosa stesse accadendo: il cuore mancò un battito quando il suo sguardo riuscì a scorgere la fonte di quel verso, un immenso drago nero dalle iridi rosse come il sangue, sul cui dorso sedeva la donna con l’elmo aquilino, l’implacabile Tarsil. Senza ulteriori indugi, la principessa si decise a uscire dalla sua camera, rischiando di travolgere un giovane scudiero intento ad attraversare il corridoio su cui si affacciava la stanza. Borbottando delle scuse, corse a perdifiato lungo i passaggi granitici, le frange della gonna nera che frustavano l’aria insieme alla sua chioma bionda. Raggiunte le scale, si precipitò verso il corrimano marmoreo, il respiro sempre più corto e le orecchie piene delle grida dei soldati.

«Veloci con quelle armature!»

«Presto, passatemi le lance!»

«Muovetevi, Sir Voegith ha bisogno di aiuto!»

Quei commenti acuirono l’apprensione della ragazza, che si fece largo tra la folla per prendere la sua preziosa corazza e assicurarla sul petto; dopo averla agganciata, cercò di recuperare i componenti mancanti della sua armatura, così da poter scendere sul campo di battaglia il prima possibile. Infilò frettolosamente schinieri e ginocchiere e, assicurate anche le protezioni su cosce e fianchi e indossati bracciale e corona, afferrò la sua preziosa spada e si avviò fulminea verso l’ingresso principale. Il suono metallico dei suoi passi le rimbombava nella mente insieme a un pensiero persistente: doveva trovare Saela e farla rinsavire. Mai si sarebbe immaginata di vedere sua sorella attaccare il regno per il quale avrebbe dato la vita: lei era sempre stata la vera principessa tra le due, colei che sapeva gestire le responsabilità derivanti dal loro ruolo, l’unica che avrebbe potuto sostituire Garth alla guida della nazione. Cosa le era accaduto di così terribile da cambiarla tanto drasticamente? Doveva scoprirlo e porvi rimedio, ora più che mai aveva bisogno di sua sorella!

Attraversata la città e varcate le mura, si confuse tra i cavalieri sguainando la spada, pronta a combattere insieme a suo padre e a Voegith. Rimase basita nel vedere uno strano cavaliere interamente coperto da un’armatura bianca sbaragliare i nemici grazie alla sua alabarda; era incredibilmente forte e sembrava non accusare minimamente la stanchezza mentre avanzava imperterrito verso la Triade. Fu proprio quando si accorse delle sacerdotesse che Alsia si riscosse dal flusso dei suoi pensieri e si separò dalla calca di soldati per raggiungere quel macabro gruppo. Mentre lei si avviava verso di loro, Tarsil scese dal drago nero e affiancò le altre due compagne, insieme alle quali fece cenno al loro esercito infernale di attaccare. Il gigantesco mostro aprì le ali membranose e spiccò il volo, gli enormi occhi rossi puntati verso gli arcieri sopra le mura: simultaneamente, un’orda di troll apparve alle spalle del trio, le grandi mazze levate al cielo mentre si avvicinavano a passo di marcia, affiancati da delle serpi antropomorfe i cui arti superiori erano ricoperti da aculei venefici.

La Triade Oscura restava nelle retrovie a impartire gli ordini, i piedi avvolti dalla nube oscura come fossero una turpe emanazione: attorno a loro regnava un buio innaturale, capace di oscurare perfino le alte colonne di marmo bianco che segnavano l’inizio del sentiero che portava all’ingresso del regno. Solo alle loro spalle si poteva scorgere una luce sanguigna, che conferiva loro un aspetto ancor più feroce di quanto non facessero gli elmi dalla foggia bestiale; gli abiti neri davano un’ulteriore sensazione di corruzione, indipendentemente dalle forme sinuose che veli, catene e frange accarezzavano sensuali. Emanavano un fascino primordiale e sconosciuto, talmente sottile da insinuarsi nell’animo di Alsia e spingerla ad avvicinarsi sempre più, incurante del pericolo; per un attimo aveva dimenticato quali fossero le sue intenzioni, voleva solo raggiungere quella nube e...

Un’ombra luminosa spezzò quello stato di trance nel quale era caduta, abbattendosi sulle guerriere con una violenza inumana: il misterioso cavaliere bianco aveva raggiunto le sacerdotesse ed era intenzionato a battersi senza esclusione di colpi. Tornata in sé, la principessa iniziò a correre verso di loro, superando i cadaveri amici e facendo mulinare la spada per eliminare i nemici che la ostacolavano: doveva raggiungere sua sorella a tutti i costi. Mentre si dibatteva tra gli uomini-serpe, osservava il condottiero agitare l’alabarda con vigore, mettendo in difficoltà le tre seguaci di Udrin nonostante la superiorità numerica; messe alle strette, Tarsin, Devra e Saela lanciarono un grido primitivo che fece innalzare la coltre di fumo nero, travolgendo così il luminoso guerriero. Fu in quell’istante che dalla folla indistinta di soldati comparvero Garth e Voegith, i quali corsero a dare manforte all’alleato e a sottrarlo dalle spire soffocanti.

«Ora basta giocare: è tempo di chiudere la partita, Amani!» tuonò una voce profonda come le viscere del mondo, la cui fonte era un gigantesco cavaliere emerso dalla nube insieme al bianco alleato, ora privo di elmo: per poco la spada non cadde dalle mani di Alsia quando comprese che il guerriero misterioso era sua madre, i fulgidi capelli biondi intrecciati ordinatamente dietro la schiena. Come poteva trovarsi lì se poche ore prima giaceva incosciente sul suo letto?

«Per una volta sono d’accordo con te, Udrin: finiamola qui, io e te!»

Udrin? Il dio Udrin, Signore della Guerra?, si chiese la principessa allibita, gli occhi sgranati per lo stupore.

«Da non credere, vero sorella?» la voce di Saela la costrinse a distogliere lo sguardo dalla regina e a voltarsi; finalmente aveva l’opportunità di far tornare in sé sua sorella, eppure era lei stessa a non sentirsi più sicura di niente in quel momento. Troppe domande affollavano la sua mente, su sua madre, sul suo rapporto con Udrin, sul ruolo di suo padre in quella storia e sulle motivazioni che avevano spinto l’altra principessa a tradire tutto ciò in cui credeva per seguire la Triade Oscura. Alsia rinsaldò la stretta attorno all’impugnatura della spada, tuttavia decise di non attaccare, almeno non fisicamente...

«Saela! Non sai da quanto tempo aspettavo questo momento, sebbene non lo avessi immaginato così... cruento!» esclamò misurando attentamente le parole, ma tutto ciò che ottenne fu una risata sprezzante, resa macabra dall’elmo che le copriva il volto.

«Anch’io ho atteso con impazienza questo giorno, anche se le mie motivazioni sono ben diverse...» rispose velenosa la sorella, per poi sguainare una lunga spada dalla lama sottile e nera come le sue vesti: senza dare ad Alsia il tempo per alzare la guardia le si scagliò contro con un urlo belluino, tentando un affondo che la mancò per un soffio. La principessa cercò di approfittarne per disarmarla, ma la sua rivale la schivò con una rapidità impressionante e ribaltò nuovamente la situazione: sferrò un calcio contro il piatto della lama bianca, che scivolò via dalle dita affusolate della padrona per finire a terra qualche metro più in là, e puntò la sua arma dritta contro il ventre della sorella disarmata, premendo leggermente contro il corsetto bianco decorato con dei ricami in pizzo nero.

«Perché, Saela? Perché ti stai comportando così?» chiese con voce tremante Alsia, più per il timore di aver definitivamente perduto sua sorella che per paura di essere trapassata dalla spada. Attorno a loro, la battaglia infuriava senza esclusione di colpi: la regina Amani vibrava continui colpi della sua alabarda contro Udrin, il quale respingeva con disinvoltura quegli attacchi e rispondeva con il suo mastodontico maglio, la cui potenza era tale da far vibrare l’intero regno di Grenlath. Garth, determinato a soprassedere sulla vicenda per il bene del suo popolo e visibilmente sollevato dalla comparsa della moglie, attaccava incessantemente Devra, la quale invece sembrava spazientita dalla resistenza nemica; Voegith si era scagliato contro Tarsil, cercando disperatamente di sconfiggerla prima che il drago potesse radere al suolo la città bassa.

«In quale altro modo dovrei comportarmi? Io non devo niente a questa gente, specialmente ai regnanti, visto che sono stati loro a scegliere te al posto mio...» sibilò la traditrice con tutto l’odio che le ribolliva in corpo, gelando il sangue della sorella con sadico piacere. «Vedi, Alsia, forse mammina non è stata del tutto sincera con voi...»

«Che vuoi dire?» sussurrò debolmente, timorosa di scoprire la verità da chi era stato corrotto da essa.

«Come spero tu abbia capito, nostra madre conosce molto bene il Grande Signore della Guerra: sai perché?» le rispose con un misto di derisione e comprensione, «Perché anche lei è una divinità!»

«Stai scherzando!» ribatté Alsia, incredula.

«Sconvolgente, non trovi? Anch’io stentavo a crederci, eppure è così: lei è la Signora della Pace, la Grande Thalin»

«No...»

«Oh, sì invece! E se pensi che le rivelazioni siano terminate, ti sbagli di grosso: vogliamo parlare di mio padre?» la incalzò Saela con macabra soddisfazione.

«N-nostro padre, vorrai dire...» balbettò la principessa con un filo di voce, incapace di metabolizzare la precedente rivelazione.

«Voglio dire mio padre, non nostro: tu sei figlia di Garth, io invece no! Mio padre è Udrin, Alsia: io sono figlia del Potente Udrin! Cominci a capire, ora?»

«No! Io non ti credo!» esclamò Alsia in un improvviso impeto di rabbia: non poteva essere vero...

«Certo che non mi credi, ma questo non cambia la realtà dei fatti. Io sono la figlia del Signore della Guerra e della regina, colei che mi avrebbe lasciato morire piuttosto che perdere il frutto del suo amore per un patetico mortale! Rispondimi, sorella: tu, al mio posto, chi proteggeresti?» le domandò melliflua, premendo con più forza la spada contro il suo addome. Si tolse l’elmo con la mano libera, mostrando il ghigno sadico che alterava i lineamenti di un viso un tempo puro: stava assaporando ogni frammento del dolore della sorella, godendo delle lacrime che le rigavano il volto esangue, eppure i suoi occhi nocciola avevano qualcosa di strano.

Alsia non ebbe modo di analizzare quello sguardo inquietante per via di una cacofonia di suoni che era giunta alle sue orecchie; voltandosi, vide il corpo di sua madre, ancora imprigionato dalla candida armatura, rotolare al suo fianco, un enorme lancia nera l’attraversava da parte a parte. La risata di Udrin risuonò nefasta per il campo di battaglia, scatenando un’ondata di urla violente e mostruose: la Grande Thalin era stata sconfitta, la sua forma incarnata era stata uccisa. La principessa le corse incontro, lasciata libera da un’impassibile Saela: strinse il suo corpo tra le braccia, rimorso e desiderio di vendetta si agitavano dentro di lei. Sua madre, che nel profondo del suo cuore sarebbe sempre stata una semplice donna mortale, aveva avuto l’ardire di sfidare una divinità, e ora ne pagava le conseguenze.

«Questo è il prezzo da pagare...» mormorò tra sé Saela, attirando l’attenzione della sorella: non c’è rabbia nei suoi occhi, né derisione, né qualsiasi altro sentimento umano. I suoi sembrano gli occhi di una statua o, più semplicemente, quelli di un morto: per Alsia era troppo da sopportare. Si asciugò le lacrime e si alzò in piedi, dirigendosi spedita verso la sua spada; si chinò per raccoglierla, incurante dei cadaveri disseminati attorno a lei, a eccezione di quello alla sua sinistra o, per meglio dire, del suo scudo.

«Perdonami, sorella: non sono stata in grado di salvarti...» disse semplicemente, la mente rivolta a coloro che poteva ancora proteggere da quella carneficina: Saela era un’anima perduta, giacché neanche la morte della madre era riuscita a farla rinsavire. Con la rabbia negli occhi e la morte nel cuore, la principessa le corse incontro con tutto l’ardore che aveva in corpo, tenendo la spada alta sopra la chioma albina: le due lame si scontrarono, producendo un clangore metallico che rimbombò nelle orecchie di entrambe, per poi separarsi e scontrarsi ancora, e ancora... Erano in perfetta parità: quando una attaccava, l’altra parava o scartava il fendente e cercava di approfittare dell’errore, invano. Se non fossero state circondate da urla, sangue e cadaveri, avrebbero potuto essere scambiate per due danzatrici che si muovevano sinuose al ritmo della battaglia: era uno spettacolo di letale eleganza.

Minuto dopo minuto, le forze delle sorelle andavano dimezzandosi, a differenza di concentrazione e determinazione sempre incrollabili. Sarebbe stato un duello interminabile, se non fosse stato per l’urlo straziante a pochi metri di distanza: il re era stato ferito mortalmente dalla mazza di un troll, stramazzando al suolo in un letto di polvere.

«Padre!» gridò Alsia con tutto il fiato che aveva in gola, offrendo a Saela l’occasione perfetta per colpire: in una frazione di secondo, la lama nera lacerò il corsetto candido della principessa e penetrò nel suo ventre, imbrattando la mano della sacerdotessa con un fiotto di sangue denso e caldo. La giovane si sentì perduta, costretta ad assistere alla morte di una madre che le aveva nascosto la sua vera natura e un padre che aveva anteposto i suoi doveri reali alla sua famiglia, il tutto sotto o sguardo impietoso della sorella che non esisteva più: cosa le restava?

Un altro urlo attraversò il campo di battaglia, un latrato di dolore seguito da un ruggito fin troppo acuto: con la coda dell’occhio, la principessa vide che almeno Voegith era riuscito a sconfiggere la sua rivale, abbattendo la sua guardia con un affondo imparabile. Senza la sua comandante, l’unica in grado di mantenere l’incantesimo di evocazione, il drago demoniaco non poteva più sopravvivere in questo mondo, svanendo così in un mucchio di cenere. Le labbra di Saela si piegarono in un ghigno feroce, mentre estraeva la lama nera dal corpo agonizzante della sorella. Aprì la bocca, ma le parole le morirono in gola per colpa dell’ennesimo grido: dal petto di Devra fuoriusciva la punta di una lancia, scagliata da Garth con le ultime forze, un sorriso tirato rivolto verso le principesse.

«Addio...bambine...mie...» sussurrò tra le lacrime prima di esalare l’ultimo respiro, facendo disperare Alsia: dunque lui non sapeva?

«A quanto pare, l’ultimo vero baluardo di Grenlath è Voegith: sarà un vero piacere ucciderlo...» annunciò Saela inespressiva, muovendosi verso il cavaliere senza dare il colpo di grazia alla sorella. Quest’ultima cercò di fare ricorso alle sue energie residue per stringere la spada e, facendo leva su di essa, si alzò in piedi e afferrò il braccio dell’ultima sacerdotessa, per poi trafiggerla all’altezza del petto. Il grido belluino di Udrin squarciò il cielo quando si accorse dell’accaduto, tuttavia non ebbe il tempo di reagire poiché una densa nube di fumo iniziò ad avvilupparlo e a trascinarlo sempre più giù, portando con sé i troll, gli uomini-serpe e i cadaveri di Tarsil e Devra.

«A quanto pare sei stata in grado di salvarmi, sorella...» mormorò Saela voltandosi verso di lei e sorridendole dolcemente. Alsia inarcò un sopracciglio, interdetta da quelle parole, la vista che iniziava a offuscarsi per la ferita profonda e per le lacrime che aveva trattenuto troppo a lungo: quell’oscura cortina stava per raggiungerle, desiderosa di separarle per sempre prima che potessero chiarirsi.

«Mi dispiace di averti fatto soffrire, ma non c’era altro modo: se non ti avessi spinta a odiarmi, non avresti mai ucciso le mie spoglie mortali...» continuò la sacerdotessa, la voce sempre più flebile.

«Di cosa stai parlando? Vuoi farmi credere che hai scatenato una guerra per farti uccidere?»

«Non l’ho scatenata io, la guerra: è iniziata tanto tempo fa, quando Thalin si è incarnata in Amani per sfuggire all’amore possessivo di Udrin. Le altre divinità non poterono negarglielo, ignare di quanto sarebbe accaduto: il Signore della Guerra sfruttò l’ingenuità di Tarsil, Devra e Derarz per assumere il controllo di tre corpi mortali che gli avrebbero permesso di trovare la sua amata e punirla, finché non ha scoperto la nostra esistenza.

In quel momento, egli ha deciso di sfruttare le bugie di nostra madre per usarmi come arma nella sua guerra, certo dell’incommensurabile amore materno che provava per me. Non aveva previsto l’ascendente che hai su di me, il potere che è insito nella tua natura: tu rappresenti la fusione tra l’amore e la pace. Questa consapevolezza mi ha permesso di portare a termine la missione: causare la morte di coloro che trattenevano Udrin in questo mondo, me inclusa. Ti prego, Alsia: promettimi che non ti arrenderai mai, per quanto disperata sia la situazione! Voegith sarà sempre al tuo fianco, lo sai. Fatevi forza l’uno con l’altra e seguite il vostro cuore: non vi tradirà mai! Ti voglio bene, sorel...»

«Saela!» gridò Alsia con tutte le sue forze, cercando di afferrare la sorella, ma era troppo tardi: la nube nera l’aveva portata via con sé.

«Principessa!» esclamò Voegith, appena sopraggiunto al suo fianco. «Cos’è accaduto? È finita?»

«Sì, Voegith. È finita...» mormorò con un filo di voce, per poi aggiungere: «Forza, torniamo a casa: il popolo ha bisogno di noi!»

Così ebbe iniziò un’era di pace e speranza per il regno di Grenlath, forgiata dal sacrificio di due principesse forti e inseparabili, nel bene e nel male.

 

 

 

 

 

 

 

Autore: Chloe R Pendragon
Titolo: Two sides of the same coin
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Violenza (lieve)
Introduzione: Alsia e Saela sono due inseparabili sorelle, principesse del regno di Grenlath; un giorno le loro vite vengono sconvolte dall’incontro con la misteriosa Triade Oscura. Cosa accadrà? Riusciranno a ricongiungersi?
Note dell'Autore: La storia è stata pensata per partecipare a tre contest, nella fattispecie:

1)      “Tutti i generi più uno” – Turno Finale, nel quale era richiesta la produzione di una One Shot Fantasy;

2)      “Fantasy Contest – Alternative Route”, il quale prevedeva la partecipazione di One Shot di minimo 1500 parole e massimo 5000 parole;

3)      “Of Monsters and Masters (Fantasy Contest)”, nel quale era richiesto l’uso della traccia “Stringe il suo corpo morto tra le braccia, rimorso e desiderio di vendetta si agitano dentro di lei. Aveva avuto l'ardire di sfidare una divinità, e ora ne pagava le conseguenze. 
"Questo è il prezzo da pagare." Non c'è rabbia nei suoi occhi, né derisione, né qualsiasi altro sentimento umano. I suoi sembrano gli occhi di una statua o, più semplicemente, quelli di un morto. “, nonché l’uso delle immagini
http://i57.tinypic.com/fn4row.jpg e http://i57.tinypic.com/2vwwf2v.jpg

All’interno del testo sono presenti alcune citazioni tratte dal videogioco “The Legend of Spyro: Dawn of the Dragons”, mentre il titolo vuole essere un rimando alla serie Tv “Merlin”; concludo precisando che si tratta di una prova alla quale ho voluto sottopormi, giacché sono solita scrivere unicamente long fiction di genere Fantasy e non One Shot. Mi auguro che il testo risulti gradevole, scorrevole e di facile comprensione.




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