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Autore: _Orlando_    19/03/2015    2 recensioni
"Ci incontreremo ancora" aveva sussurato all'orecchio dell'amante, durante la loro ultima notte.
Le stesse parole le aveva ripetute a se stesso, quando aveva posato Orcrist sulla sua tomba.
E così sarebbe stato.
Ma la sua magia si faceva lentamente più debole, e sempre meno grande il territorio, all'interno del vasto bosco, che poteva proteggere.
Genere: Dark, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Thranduil
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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"E dicono anche che i Sette Padri dei Nani ritornano, per rivivere nei loro discendenti e riprendere gli antichi nomi: e di essi, Durin fu il più rinomato in ere successive, padre di quella stirpe massimamente amica degli Elfi, le cui dimore erano a Khazad-dùm" -
Il Silmarillion, J.R.R. Tolkien

 

 

 

I primi ad andarsene furono gli Avari. Appassivano piano, diventando incorporei, luci incerte che si aggiravano tra le vaste sale del regno. Li chiamavano fate.

Ciò che era rimasto dei Sindar, invece, partì per il Reame Beato, secondo il consiglio della Dama di Loren.

A nulla valsero le preghiere del figlio. Thranduil non lo seguì ai Porti Grigi.

Troppo grande era il suo orgoglio e, forse, quella speranza che non aveva mai abbandonato.

Al contrario di tutti gli altri, decise di restare.

 

Trovava inoltre intollerabile il pensiero che tra gli alberi del rinato Bosco di Foglieverdi, tra i suoi alberi, potesse cadere la stessa spettrale desolazione che regnava su Lothlorien.

Da quando erano partiti il Signore e la Dama nessuno osava più avvicinarsi a quel luogo. Chi lo facesse, difficilmente ritornava sano di mente alla propria casa. A lungo vi aveva abitato la Stella del Vespro, a seguito della morte di re Elessar. Quando anch'ella si spense, Thranduil comprese che presto il Reame Boscoso - o ciò che di esso restava - sarebbe stato l'unico luogo dove ancora i primogeniti avrebbero potuto calpestare la terra.

 

Con il volgere al termine della Quarta Era l'arroganza degli uomini si era fatta sempre più grande, e la loro memoria fugace. Thranduil scelse, come era sua indole, la via del ritiro. Nessuno dei suoi sudditi più abbandonò le verdi profondità del bosco, ma si nascosero agli occhi del mondo mortale.

Presto gli abitanti delle aule tra gli alberi vennero ricordati solo nelle leggende, materiale per i racconti che gli uomini si scambiavano attorno al fuoco. Ma ancora esistevano.

 

Delle altre razze, invece, sopravvisse ben poco. Ciò che restava degli Orchi, dispersisi dopo la morte del Nemico, venne sterminato dagli uomini, fino a quando non ne restò più traccia. Quanto agli Hobbit, alcuni si confusero con gli uomini, molti morirono per loro mano. I pochi rimasti si rifugiarono in cunicoli sotterranei, e non se ne seppe più nulla.

 

Come era prevedibile, fu la cocciutaggine la causa dell'estinzione dei Nani. Le loro donne, già in numero scarso, spesso si rifiutavano di procreare se non con chi a loro piacesse e, qualora questi le rifiutasse, non sceglievano un altro compagno. I maschi, invece, preferivano assai di più lavorare le gemme che pensare agli affari amorosi. Il sangue naugrim sopravvisse nelle ere successive soprattutto grazie a quelli della stirpe di Durin che si unirono alle donne di Gondor, ma le caratteristiche tipiche della loro razza lentamente si persero, fondendosi a quelle degli uomini.

Contro ogni previsione, furono i Goblin a resistere più a lungo. Erano più piccoli, più scaltri e più tenaci degli Orchi, pronti a maggiori sacrifici. Si muovevano rapidi, in gruppo, ed erano inclini per natura al vivere celati alla luce del sole. Ma presto tra i regni fiorenti dei secondogeniti si diffuse l'usanza di organizzare battute di caccia tra le caverne, per crudele divertimento dei vincitori. Le teste dei Goblin venivano esibite come trofeo, le loro pelli pallide utilizzate per manufatti e calzature.

 

Gli ultimi gruppi rimasti si rifugiarono ai confini del Reame Boscoso. Quel luogo infatti, grazie alle illusioni di chi ancora vi regnava, era ritenuto infestato da spiriti malvagi, e pochi osavano addentrarvisi. Thranduil decise di non cacciarli. Capriccioso, aveva invisa la tracotanza degli uomini ancor più della presenza dei Goblin entro i suoi confini. Trovava detestabile che un'altra delle stirpi di Arda, per quanto orrida e malevola, venisse spazzata via da chi non ne aveva il diritto. Del resto, dopo la sconfitta di Sauron, i Goblin si erano fatti meno molesti, seppur non meno disgustosi, e si limitavano a sopravvivere in modo miserabile, nutrendosi di insetti e di piccoli animali, senza attaccare quel poco del suo popolo che era rimasto.

 

Col passare del tempo i più anziani tra gli Eldar rimasti nel regno, delle stirpe dei Nandor, si facevano pallidi e stanchi, seguendo la sorte degli Avari. La loro speranza lontano dalle Terre Beate svaniva, e la nostalgia del mare li consumava, senza che essi potessero farvi ritorno. Il mondo infatti era mutato, e non esistevano più navi che potessero percorrere la Strada Dritta, quand'anche fossero state comandate dai primi figli di Illuvatar. Uno dopo l'altro, lentamente, diventavano ombre. Thranduil aveva scelto di attendere, e avrebbe atteso, fosse anche rimasto l'ultimo Eldar di Arda, per tutti i millenni a venire.

 

"Ci incontreremo ancora" aveva sussurato all'orecchio dell'amante, durante la loro ultima notte.

Le stesse parole le aveva ripetute a se stesso, quando aveva posato Orcrist sulla sua tomba.

E così sarebbe stato.

Ma la sua magia si faceva lentamente più debole, e sempre meno grande il territorio, all'interno del vasto bosco, che poteva proteggere.


La pace derivata dalla paura degli uomini era destinata ad avere vita breve. Le leggende sugli spiriti silvestri presto non furono più sufficienti a tenerli a freno. I più cabarbi sdegnarono gli antichi racconti, e il bosco fu invaso.

I Goblin che vivevano al limitare degli alberi cadevano come mosche sotto le lame degli uomini. Spesso li trascinavano nelle città vicine, e ne facevano oggetto di torture crudeli. Le loro grida stridule echeggiavano fin nelle aule di Thranduil.

Fino a che, un giorno, il Re decise che ne aveva avuto abbastanza.

 

E così, quando i cacciatori varcarono di nuovo le soglie del bosco, udirono una musica celestiale, irresistibile, diffondersi tra gli alti alberi. La seguirono, stregati. Si addentrarono tra le fronde, dimentichi dei loro scopi e del loro cammino. Trovarono ad accoglierli un lauto banchetto. Attorno ad esso, fanciulle eteree che scortavano efebi alteri, tra visi gioiosi e risa argentine.

A capotavola sedeva il Re, circondato di luce. Gli uomini, che dei primogeniti avevano dimenticato persino il nome, credettero di trovarsi di fronte ad un dio. Senza dubbio, era giunto a premiarli per il loro coraggio. La sua voce era un invito di sconfinata dolcezza, una promessa di gioia imperitura, un ordine di ferrea volontà.

 

"Bevete con me"

 

Obbedirono, come bambini al macello. Ma al primo sorso, la musica cessò, ed i ballerini ridenti smisero di danzare. Avanzavano in silenzio, stringendoli in cerchio. Uno degli uomini, forse il capo, fece per afferrare il polso di una vergine dai capelli argentati la sua mano si perse nel vuoto. Non ci fu il tempo per la paura.

Una fiamma li invase, bruciando loro le membra, facendogli schizzare gli occhi dalle orbite, aprendo le loro carni, e nessuno li vide mai più nel mondo degli uomini.

 

Thranduil ordinò che i Goblin rimasti venissero condotti in catene nelle sue sale. Gli Eldar continuavano a disprezzarli, ma erano ormai pochi, e trovavano utile che essi si occupassero delle mansioni più umili. Li lasciarono vivere nelle aule più profonde e nascoste, senza recar loro alcun male, in cambio di servitù e devozione.

 

Altre ere trascorsero, ed enormi sconvolgimenti colpirono la Terra di Mezzo. Il diluvio cadde per molti giorni, i monti sprofondarono in mare, nuove terre emersero, spazzando via quasi del tutto i secondogeniti dal mondo.

 

Il Re allora utilizzò la magia che gli era rimasta per sigillare le sue aule scavate nella roccia, separandole per sempre dall'esterno. La porta si chiuse sul mondo, ed essa divenne invisibile per i mortali.

I Goblin continurono a scavare, instancabili, un labirinto senza fine di cunicoli. Il regno si accrebbe, vorticando su se stesso, in un susseguirsi di geometrie impossibili.

Ma gli elfi avevano nostalgia per le stelle, e così Thranduil coprì la volta più alta con l'illusione del cielo.

 

Il prezzo fu alto.

 

Da quel giorno l'aspetto del re apparve trasfigurato, il suo volto invecchiato, i suoi capelli più simili a serpenti argentati che a fili di seta. E se, a fatica, riusciva ancora a coprire le cicatrici che aveva sul corpo, l'occhio colpito dal fuoco del drago appariva sbiadito, di un azzurro glauco rispetto a quello più intenso dell'altro. Quando l'ultimo Nandor pianse la sua ultima lacrima e si sciolse in una nube di luce, il Re non fu solo.

I suoi sudditi restavano accanto a lui, nella forma di tremule luci incorporee, e li si poteva udire suonare l'arpa durante i banchetti, accompagnando le macabre danze dei Goblin.

 

Dopo millenni di caos, nel mondo tornò la quiete. Non dimenticò mai, Thranduil, il giorno in cui potè nuovamente ammirare le stelle del vero cielo, e riempirsi i polmoni del profumo della notte.

La stirpe degli uomini si era fatta di nuovo numerosa, ma era pavida e ingenua, assai più debole della precedente, e meno temibile. Nelle notti senza luna, talvolta, il re tornava alla superficie attraverso vie sottorranee, con il suo corteo di Goblin e di ombre argentate. Si aggirava allora nei boschi terrestri, intonando canti antichi.

Chi li scorgesse danzare perdeva la voce, o la vista, e impazziva. Col passare del tempo, le leggende degli uomini si ripopolarono di creature incantate, con le quali minacciare i bambini capricciosi, od indurli al sonno sul far della sera. Più di tutti, temevano il loro Re. Ma poiché non conoscevano il suo nome, lo chiamavano Jared, "colui che è disceso". Ed egli era Jareth nel dialetto del nord.

 

Le donne presero l'abitudine di abbandonare i bambini indesiderati nei luoghi dove, si diceva, uscissero spiriti fatati dalle profondità della terra, nella speranza che il Re li portasse con sé.

Ed infatti essi crescevano nei giardini del Sottosuolo, e l'eco dei loro passi tra le ampie aule vuote mitigava la solitudine dell'ultimo Eldar.

Egli ancora attende, paziente, il risveglio del figlio di Durin ed il compimento della profezia. Quando rinascerai, dovrai solo chiamarmi.

 

 

 

"Vorrei davvero che i Goblin ti portassero via. All'istante."

 

 








 

 

Note - editate con ispirazioni sopravvenute: Temo un po' di avere offeso la sensibilità di ben due fandom con questa arbitraria unione di due figure che mi sono care: il Thranduil tolkieniano (qui ho utilizzato quello del movieverse) e il Jareth di Labyrinth. Nella mia idea, sembrano riconducibili ad un simile mitologema, e si assomigliano un po', ma sono consapevole che si tratti di punti di vista personali e molto discutibili.
Complice forse un pizzico di inconsapevole sadismo verso lo sfortunato Re degli Elfi, che pure massimamente adoro, mi sono divertita a mettere in scena questa danza macabra. Penso che abbia contribuito ad isipirarmi la recente visione de "Il labirinto del Fauno" di Guillermo del Toro, con le sue malinconiche, nostalgiche attese di un mondo in rovina. Per la scena del banchetto, potrebbe aver contribuito l'influenza dell'ultimo codex dei Wood Elves di Warhammer, nel quale gli Ogre ricevono un trattamento simile, benché con modalità, esiti e intenti diversi. Ma l'ispirazione principale l'ho tratta dalle feste incantate a cui si accenna ne "Lo Hobbit" stesso - quelle che vengono interrotte dai nani.
Come da regole, ricordo che i personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.R.R. Tolkien (di P. Jackson gli aspetti riferibili alle trasposizioni cinematografiche) e di Terry Jones (o di chiunque altro ne detenga i diritti); questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Il titolo, naturalmente, è tratto dall'omonima canzone di David Bowie.


Con immenso affetto,

 

_Orlando_

  
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