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Autore: Kurosmind    19/03/2015    3 recensioni
Raccolta di traduzioni di one-shots di diversi autori, tutte incentrate su Bilbo e Thorin. Ci saranno diversi rating/situazioni/generi, e sarà tutto segnalato nell'indice e all'inizio di ogni capitolo!
Sommario dell'ultima shot pubblicata: I vecchi del prato, di TheBookshelfDweller

È la storia di un giorno di aprile, e di quanto sono fortunati di essere arrivati così lontano, di aver vissuto abbastanza da vedere i capelli l'uno dell'altro diventare bianchi, nel caso di Bilbo, e argentati, in quello di Thorin.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Two-Heart sound

by MistressKat
traduzione di KuroCyou

Rating: Verde
Genere: Angst, Malinconico
Note: EveryoneLives AU
Introduzione:

Dopo la battaglia c'è silenzio. Bilbo impiega un po' a ricordare cosa lo riempie.
Storia originale qui


Dopo la battaglia, c'è silenzio.

Non oggettivamente, certo. Oggettivamente, c'è il ruggito del fuoco, i lamenti dei morenti, persino l'occasionale esultare di coloro che realizzano la vittoria prima che la consapevolezza del suo costo arrivi. Oggettivamente, le pendici della montagna sono disseminate di rumore mentre i sopravvissuti cercano i loro compagni, echeggiano delle grida di gioia o di disperazione che seguono, a seconda di cosa trovano.

Oggettivamente, Bilbo corre attraverso il campo di battaglia, i piedi che scivolano sulla terra insanguinata, chiamando i nomi di amici che ha finito per amare. E quando gli viene risposto, il sollievo arriva in balbettii senza senso che persino lui non comprende, mordendosi le labbra per riprendere il controllo, rendendosi utile nei postumi di tutto. C'è sempre bisogno di un altro paio di mani per recuperare bende, per portare cibo e acqua, per scavare tombe.

Oggettivamente allora, il mondo è pieno di suono come prima, se non di più.

Ma, all'interno del cuore di Bilbo, c'è silenzio.

Batte ancora, ovviamente, e se lui ha bisogno di premere le dita sul proprio collo ogni tanto solo per controllare… beh, nessuno deve saperlo.

Non è un silenzio fisico che è sceso su di lui. Non è diventato né sordo né muto, parla e sente ancora, si volta ancora quando qualcuno chiama il suo nome. Anche se la voce che lo fa non è mai quella che vuole sentire quasi quanto teme di farlo.

Ma dentro di lui tutto tace, come se una quiete fosse calata sulla sua anima. È la quiete della sera, scesa a mezzodì. Bilbo si sente svuotato e freddo, lo spazio tra ogni battito del cuore si allunga come una mano nell'oscurità infinite.

È un vuoto che nessun pasto può riempire. Comincia a credere che nulla lo farà.

A parte, forse, tornare a casa.

"Pensa che tu non voglia vederlo," dice Bofur. "Per questo non ha chiesto di te."

Ha bloccato Bilbo nella tenda degli approvvigionamenti, guardando con aria d'intesa gli zaini pronti, ma senza fare nulla per fermarlo. Bilbo è grato per quello.

"Se volessi solo vederlo," Bofur supplica, e fa male a Bilbo vedere il suo viso, di solito allegro, deturpato da tanta angoscia.

Ma persino quello sembra distante e ovattato. Combattendo l'impulso di controllarsi di nuovo il battito, Bilbo sospira. "Io non…" Sbatte le palpebre per un po', lo sguardo che vaga senza meta da Bofur alle pareti della tenda agli zaini che lo attendono. "Non ho nulla  da dire," finisce in fine. È la verità. È per quello che se ne sta andando. Perché non ha nient'altro da dire, da dare, a nessuno di loro.

Le sopracciglia di Bofur si stringono insieme e per un secondo sembra che voglia discutere e poi che stia per piangere, ma in fine si limita a tener aperti i lembi della tenda, indicando a Bilbo di passare.

Fuori, il resto della compagnia attende. Bilbo pensa che avrebbe dovuto aspettarselo ma in qualche modo lo coglie impreparato e indifeso.

È un addio difficile e per un momento il silenzio dentro di lui è ricoperto da braccia amichevoli e corpi solidi; Bombur lo solleva da terra, i capelli di Kili gli solleticano il naso, la mano di Dwalin gli stringe la nuca abbastanza forte da far male.

Balin borbotta qualcosa sulla ricompensa e Bilbo si prende un minuto per tranquillizzarlo con la promessa di mandarla a prendere non appena è a casa, anche se non ha intenzione di farlo. Cosa se ne sarebbe fatto di gemme e tesori? E per quanto riguarda l'oro… non lo vuole vedere mai più.

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Dieci giorni sulla strada, Gandalf compare al fianco del pony di Bilbo, scivolando fuori dal bosco così silenziosamente e naturalmente che nessuno dei due ha l'opportunità di essere sorpreso.

Non dice nulla, si limita a camminare al suo fianco e Bilbo scrolla le spalle, ritornando a scrutare il paesaggio. Non è che non sia abituato al silenzio.

Proseguono così per il resto della giornata e solo quando Bilbo vede le luci di un villaggio più avanti, promessa di riparo per la notte, che Gandalf rallenta fino a fermarsi.

Bilbo si ferma con lui, girandosi nella sella.

"Beh allora," dice Gandalf. "Sembra che tu abbia preso una decisione."

"Vado a casa," dice Bilbo, il che è stupido perché è ovvio.

Gandalf, comunque, inclina la testa e lo guarda con curiosità, come se avesse appena detto qualcosa di straordinario.

"Davvero?" chiede, e scoppia a ridere fragorosamente. "Forse si, forse si." I suoi occhi luccicano come se sia particolarmente divertito per una qualche battuta privata che Bilbo non capirebbe neanche se sapesse cos'è.

"Ma poi" Gandalf aggiunge da sopra la spalla, già tornando verso la foresta, "forse no. Pensaci su, Bilbo Baggins!" L'oscurità lo inghiotte velocemente, ma le parole rimangono, come un rompicapo su cui Bilbo dovrà rimuginare fino a risolverlo.

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È piena estate per quando ritorna nella Contea; i campi stanno appena cominciando ad indorarsi e ogni giardino è rigoglioso e vivace come una ragazza nel giorno della sua legatura delle mani[1]. L'aria inebria con il profumo dei fiori e delle cose che crescono, e il suono dei bambini che giocano e i saluti entusiasti accompagnano Bilbo fino alla porta.

"Ho pulito un po'," dice Hamfast, "ogni tanto. Anche il giardino." Le sue labbra formano le parole intorno al bocchino della sua pipa, e quando Bilbo gli porge la mano viene tirato in un brusco abbraccio. Dura non più di un paio di secondi, ma quando ritorna a stare sulle proprie gambe, nel suo giardino immacolato, il canto degli uccelli sembra un po' più forte, un po' più allegro.

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Il silenzio rimane, anche se in qualche modo meno opprimente, non così divorante come prima. Rivedere i suoi mobili lo aiuta, sedersi nella sua sedia, fare il tè con il bollitore di sua madre e far scorrere le dita sulla carta consunta dei suoi libri, le storie e le mappe familiari che affondano nella sua pelle.

Certo, ora è stato lì lui stesso; ai confini della mappa e oltre, sopra le montagne e sotto di esse, e quel che ha trovato…

Bilbo mette giù il libro e va a fare una passeggiata. Il sole è caldo e non ha bisogno di pensare.

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Le lettere arrivano appena le foglie diventano del colore del tramonto. Ce ne sono molte, piene di notizie e auguri, e Bilbo le legge e legge e rilegge, ancora e ancora fin quando i suoi occhi si sfocano per la fatica e lacrime trattenute, finché riesce quasi a sentire il tono orgoglioso di Gloin, il chiacchiericcio eccitato di Fili.

C'è anche un'abbondanza di notizie su Thorin, e Bilbo mentirebbe se dicesse di non averle divorate come un hobbit affamato. Apprende della sua guarigione (lenta ma costante) e la graduale instaurazione di una vera corte e di un regno funzionante (persino più lenta e molto meno costante da come suonava).

Nonostante tutte le lettere su Thorin, non ce ne è una da lui.

Bilbo non sa se è deluso o sollevato.

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L'inverno è fortunatamente mite, pieno di sole e cieli blu, perfetto per costruire hobbit di neve e mangiare torte vicino al fuoco.

Primula e Drogo vengono in visita, e con loro Frodo, ovviamente. L'ultima volta che Bilbo lo ha visto era poco più di un neonato tra le sue braccia, tutto caldo e viziato, appena in grado di parlare. Ora parla come un turbine, superando velocemente l'iniziale timidezza per prendere Bilbo per la mano e trascinarlo in giro per la casa e fuori, facendo più domande di quante persino lui riesce a rispondere.

Ci prova però; spiega tutto pazientemente, dalla cartografia al modo migliore di conservare i mirtilli, mentre Primula li osserva con un sorriso affettuoso.

"Non è abbastanza grande per capire la triangolazione, sai," dice, scuotendo la testa divertita mentre Bilbo ripone con cura il suo sestante, dopo averlo tirato fuori dalla scatola per mostrarlo a Frodo.

"Non importa," dice Bilbo, "Glie lo mostrerò di nuovo quando è più grande."

Il silenzio gli risponde e Bilbo lancia un'occhiata al di sopra della propria spalla in tempo per cogliere l'impetuoso abbraccio di Primula, le sue braccia che lo avvolgono stringendolo forte.

"Sono così contenta che sei qui per farlo," dice, la voce che vacilla, "Non sapevo se saresti tornato."

Bilbo prende un respiro tremante, aggrappandosi all'abbraccio di sua cugina. "Neanch'io," sussurra, stranamente sollevato, "neanch'io."

Qualcosa dentro di lui si smuove con quest'ammissione, paura e rabbia che non sapeva di star trattenendo si sciolgono via. Ricorda ora chi era prima di essere uno scassinatore, un peso, un fastidio, prima di prendere in mano una spada, un anello, l'Arkengemma, prima di essere un membro della compagnia, un amico, il… di Thorin…

Prima di Thorin.

Ricorda ora e il silenzio si spezza, e dalle crepe cadono finalmente le lacrime, pesanti singhiozzi minacciano di strapparlo in due mentre piange tra le braccia di sua cugina. Perche poteva non essere stato nulla di speciale ma era comunque stato importante. È importante.

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Molto più tardi, siedono al tavolo della cucina, le mani intorno a tazze di tè, la notte avvolta intorno a loro come una coperta confortante.

"Quando te ne andrai di nuovo?" chiede Primula. La sua voce è calma e accogliente, con nessun cenno di censura. Ciò che sorprende Bilbo di più è quanto poco sorpreso sia dalla domanda. "Non lo so," dice.

È vero, non lo sa. Non può negare che lo farà, però, anche se è incerto del 'quando'. Primula annuisce, allungando la mano per infilargli un ciuffo ribelle dietro l'orecchio. C'è qualcosa in quel gesto che gli fa dolere il petto, proprio dov'è il cuore.

"Me ne parli?" invita.

Lo fa. La storia sgorga fuori, le parole inciampano l'una sull'altra, ansiose di essere ascoltate dopo essere state trattenute troppo a lungo, troppo strettamente. È come pulire una ferita infettata; ogni dolore e meraviglia, ogni perdita e gioia sono di nuovo tangibili, all'aperto - ancora suoi, sempre suoi, ma non tutto di lui.

E quando ha finito di parlare, Bilbo prende la penna e scrive.

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Gli ci vuole l'intero inverno. Primula e la sua famiglia vanno a casa, il solstizio passa senza quasi farsi notare e prima che se ne renda conto i boccioli spingono in su verso il sole primaverile, la Contea passa da bianco a marrone fino ad un verde delicato.

Quando Bilbo alza lo sguardo, il mondo è pieno di colore e rumore, il vento dolce come miele mentre sfreccia tra le strade e lungo il fiume, pieno di vita.

Sarebbe perfetto… ma non riesce a finire la sua storia.

Non è che non sappia il perché.

Dopo tutto, non si può terminare ciò che non è finito.

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Bilbo parte all'alba, i primi esitanti raggi di sole che inseguono le ombre. Il libro non finito è sul fondo della sua borsa, aspettando il capitolo successivo, e il cuore di Bilbo sembra più forte con ogni passo.

E quando, da oltre la curva della strada, emerge una figura familiare, camminando fuori dalla nebbia del primo mattino come un miraggio, eccetto è solida, reale, c'è una parte di lui che non si sorprende nemmeno, che pensa solo 'ma certo'.

I capelli di Thorin sono persino più lunghi ora, appesi pesantemente sulla sua schiena come un mantello, la sua falcata veloce e decisa. È solo e viaggia leggero, il suo seguito da qualche parte dietro e lontano dalla vista. Fili e Kili almeno devono averlo seguito, e se non l'hanno fatto Bilbo li spellerà personalmente.

Nonostante il senso di inevitabilità di Bilbo, Thorin non si era chiaramente aspettato di vederlo così, nel mezzo della strada, circondato da null'altro che campi e quiete, nessuna distrazione dietro la quale nascondersi. Esita, sorpresa e apprensione sono evidenti sul suo volto e fa male vederlo così aperto, così vulnerabile, ma c'è anche gioia lì, sotto tutto quanto, e speranza, fragile come la primavera.

Bilbo continua a camminare quando Thorin si ferma, continua a camminare quando le ginocchia di Thorin colpiscono il terreno e lui va giù.

"Re sotto la Montagna," dice Bilbo, prendendolo per le spalle, ancorandoli insieme. Preme il palmo sul calore del viso di Thorin, il bordo della barba morbido sotto le sue dita. "Hai ancora bisogno di un scassinatore?"

"No," dice Thorin, e la parola fuoriesce lunga e tremante, le labbra che sfiorano l'interno morbido del polso nudo di Bilbo. "Solo di te."

I suoi occhi sono liberi da tutta la pazzia e quando Bilbo si abbassa, posando la sua fronte contro la sua, il suo intero corpo crolla per il sollievo.

"Beh, sono qui," dice Bilbo, seppellendo le mani tra i capelli di Thorin, cercando e trovando l'incavo della sua gola e il pulsare costante del suo battito.

Intorno a loro, il giorno comincia con un'ondata di rumore: il grido gioioso delle allodole e il frusciare del vento tra gli alberi, il clangore di armature e il basso mormorio di conversazioni che arrivano da oltre le colline, dove la compagnia di Thorin li sta lentamente raggiungendo. Ma più forte di tutto quello è il suono del cuore di Bilbo e di quello di Thorin.

Chiude gli occhi e ascolta.
 

Fine


Note della Traduttrice
Ci ho messo un secolo a tradurre questa, chissà perchè o_o La fine mi ha fatto sempre pensare a quella scena finale di Orgoglio e Pregiudizio, in cui Elizabeth e Darcy si incontrano nel campo all'alba...
Alla prossima!
-Kuro

   
 
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