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Autore: Lucy Farinelli    15/12/2008    7 recensioni
1948: l'anno dell'incontro di Jasper e Alice. 1950: l'anno dell'incontro di Jasper e Alice con i Cullen. Ma come si svolse quell'incontro cruciale? Jasper non lo ha mai raccontato in Eclipse. Come andarono le cose quella volta...
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Jasper Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I FELT HOPE…AND THEN I WAS SAVED

“Zio Jasper!” cantilenò una voce squillante e, allo stesso tempo, divertita.
Lo zio Jasper in questione, colto alla sprovvista, si voltò sorpreso verso le due figure armoniose di Alice e Rosalie che scendevano allegramente le scale con Reneesme in braccio.
Seduto sullo sgabello del pianoforte accanto a me, Edward ridacchiò piano dopo aver letto nei pensieri delle tre cosa mai stessero architettando. Da parte mia, mi limitai a considerare la scena con un vago sorriso incuriosito. Stavo troppo bene lì accanto a mio marito per andare ad indagare qualcosa che Alice avrebbe rivelato a tutti di lì a qualche secondo. E infatti…
“Jazz,” trillò Alice, piroettando tra le braccia del compagno. “Nessie vuole che lo zio Jasper e la zia Alice le raccontino di quando hanno incontrato zia Rose, zio Emmett, papà, la nonna Esme e il nonno Carlisle.”
“Vi prego, no,” gemette Emmett dalla  veranda.
Fece capolino con la sola testa dal vano del portone d’ingresso spalancato, seguito a ruota da quella di Jacob, tutta sporca di grasso.
“L’ho già sentita così tante volte che mi sembra di averla vissuta in prima persona anche se non ero presente.”
“Io no, invece,” replicò Jacob.
Scomparve per un attimo, poi entrò in casa pulendosi le mani con uno straccio. “Se a Nessie interessa, la ascolterò con lei.”
“Ma…e la moto?” piagnucolò Emmett, sventolando un pezzo di metallo che non riuscii ad identificare.
“Finiremo di sistemarla dopo,” gli rispose Jake come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Emmett bofonchiò qualcosa che assomigliava ad un Mannaro traditore, ma Jacob si era già avvicinato a Rosalie e le aveva delicatamente prelevato Reneesme dalla braccia, giocherellando con i boccoli ramati di mia figlia. Poi sedette per terra, la schiena contro il lato del divano e la bambina sulle ginocchia, in attesa che Alice e Jasper cominciassero il loro racconto.
Reneesme gli posò una manina pallida e vagamente luminosa sul viso, contrastando in modo straordinario sulla tonalità più scura della pelle di Jake.
“Lo so che sono comodo, Ness,” ridacchiò. “Anche la mamma me lo diceva sempre.”
Sbuffai e lui rise ancora di più.
Rosalie si accomodò graziosamente accanto a loro; avevo notato che non si allontanava mai troppo dalla bambina.  
Emmett, invece, rassegnatosi, rientrò in casa sbuffando e brontolando, sistemandosi a gambe incrociate alla destra di Rose.
Alice e Jasper si sorrisero e chiusero il cerchio, dal momento che io ed Edward eravamo ancora sul nostro sgabello e non avevamo intenzione di lasciarlo, mentre Esme e Carlisle non c’erano proprio: erano usciti fuori a caccia qualche ora prima.
“Se tua madre fosse qui, starebbe sicuramente gongolando di gioia,” mormorai all’orecchio di Edward.
“Già,” confermò lui, osservando con un sorriso affettuoso Reneesme. “Adora questi quadretti di famiglia.”
Gli appoggiai la testa sulla spalla quando cominciò a sfiorare pigramente i tasti con le dita, creando una specie di sottofondo musicale per la voce pacata di Jasper.
“Il nostro incontro con i Cullen risale al 1950. Io e la zia Alice eravamo insieme da due e sposati da uno. In quel periodo, ci trovavamo a Seattle. Alice continuava ad avere visioni un po’ sfuggenti riguardo ad una strana famiglia di vampiri dagli occhi dorati come iniziavano ad esserlo i nostri, ma i particolari non erano mai abbastanza chiari. Tuttavia, i nostri tentativi per interpretarli ci avevano condotti fin lì, più precisamente ad un hotel chiamato St. Royale, e sapevamo di essere sulla pista giusta.”
“Erano le undici del mattino ed ero tesa come una corda di violino,” continuò Alice. “Sia per il fatto che fosse una bella giornata di sole che ci impediva di uscire, sia perché odiavo – odio – non capire le mie visioni. Vagavo come un’anima in pena dentro la nostra suite, così nervosa da non riuscire nemmeno a scegliere un vestito.”
“Allora la situazione era davvero grave,” borbottò Emmett.
Alice gli tirò un cuscino con uno scatto così repentino che persino i miei occhi faticarono a seguire il movimento. Emmett venne centrato in pieno.
“Ti stavi lamentando del fatto che saremmo dovuti rimanere al chiuso tutto il giorno quando tu volevi andare a spasso per la città,” riprese Jasper. “Poi, all’improvviso, ti sei interrotta e sei rimasta in trance così a lungo che stavo cominciando a preoccuparmi.”
Alice gli sorrise. “ ‘Li vedo,’ ti dissi. ‘Sono qui, sono a Seattle e sono in cinque. Riesco a vedere persino i loro nomi!’ “
“Eri così felice che non avevo cuore di rovinarti quel momento, ma dovevo comunque cercare di farti ragionare,” ridacchiò Jasper. “Ti domandai se eri davvero sicura di quello che stavamo per fare, se non ci saremmo messi nei guai. Soprattutto per via del mio aspetto.”
Alice gli accarezzò una guancia, tracciando con la punta dell’indice il contorno di una delle tante cicatrici che gli segnavano il corpo. “ ‘Ci penserò io a spiegare tutto,’ ti risposi. ‘Vedo che saremo felici con loro.’ “
“E io, come sempre, mi fidai di te.”
“Certo, perché io ho sempre ragione,” ridacchiò Alice.
“No, perché mi hai trovato e mi hai restituito una vita che credevo di aver perduto per sempre.”
Jasper le dedicò un sorriso così intimo che, per un attimo, mi fece sentire quasi a disagio.
“Fatto sta che aspettammo che calasse la sera, poi saldammo il conto dell’albergo e partimmo. Fummo costretti ad effettuare parecchie soste – le mie visioni si chiarivano a poco a poco – ma alla fine trovammo la casa.”
“Non era affatto bella come questa,” commentò pensieroso Jasper.
“Non farti sentire da Esme, Jazz,” disse Edward, scarabocchiando qualcosa sullo spartito aperto sul leggio di fronte a lui. “Si era innamorata di quel posto a prima vista.”
“Che posto era?” chiese Jacob.
Si mosse per mettersi più comodo, ora che Reneesme gli si era stesa a pelle d’orso sul petto, come se Jake fosse stato il suo orsacchiotto gigante.
“Una fattoria,” rispose Alice.
“Una fattoria?” ripetei sorpresa, alzando la testa. “Ma se avete sempre detto che la roba di Edward era finita in garage!”
“Era una fattoria,” precisò Rosalie. “Esme l’aveva rimodernata, rendendola simile ad una più confortevole casa colonica.”
“Mi piaceva quel posto,” aggiunse Emmett. “Era bello spazioso.”
Edward gli lanciò un’occhiata di sottecchi. Allora non ero l’unica a pensare che la metà delle parole da lui pronunciate trasudassero doppi sensi. Rincuorata, pensai che, però, stavolta, potesse essere innocente.
“Avevamo letti d’epoca in ferro battuto e il garage più moderno e attrezzato della città,” continuò Emmett. “Esme è davvero un’artista.”
“Letti?” corrugai le sopracciglia. Coraggio, ancora qualche istante di beneficio del dubbio…
Edward sogghignò mentre canticchiava un motivetto di prova muovendo appena le labbra.
“Beh, ok,” concesse Emmett. “Io e Rose, Carlisle ed Esme avevamo letti d’epoca in ferro battuto. Edward il suo solito divano. Contenta?”
“Bene, andiamo avanti con la storia e non fissiamoci sui particolari!” esclamò Jacob, coprendo le orecchie di Reneesme con le mani.
“Io e Alice viaggiammo per un paio di giorni – dal centro della città dovevamo raggiungere la periferia ed eravamo costretti a nasconderci spesso. Poi, alla fine, in un giorno luminoso ma non soleggiato, vedemmo Rosalie, Esme e Carlisle fuori in giardino,” riprese Jasper.
“Discutevano su dove piantare il biancospino e se fosse il caso che Carlisle andasse in ospedale quel week-end. Se fosse risultato o meno troppo sospetto,” completò Alice.
“Ci eravamo rannicchiati lontano da loro, sottovento, in modo che non ci vedessero,” disse Jasper. “ ‘E ora? Cosa facciamo?’ chiesi ad Alice.”
“Io mi alzai, presi per mano Jasper e insieme andammo loro incontro. I tre rientrarono quando noi non eravamo nemmeno a metà strada, così continuai a tirarmi dietro Jazz e suonai il campanello.”
“Mi sistemai più vicino a te, mentre aspettavamo, per sicurezza.”
“ ‘Salve, Carlisle,’ lo salutai allegramente quando venne finalmente ad aprirci.” Alice rise di gusto al ricordo. “Lui strabuzzò gli occhi e sembrò che gli stesse per venire un infarto! Anche perché, dal nostro odore, aveva capito subito che eravamo come loro.”
“Beh, prima che dall’odore, dal colore degli occhi,” commentò Jacob.
“Qualcuno di loro due avrebbe anche potuto creare delle illusioni, lui che ne sapeva?” gli rispose Emmett. “Dopotutto, vivevamo con uno che sapeva leggere nella mente!”
“E allora avrebbero anche potuto creare visioni olfattive,” ribattè Jacob. “Come quella vampira – come si chiama quell’amazzone – Zafrina, dico bene? E poi Carlisle aveva già conosciuto quei simpaticoni dei Volturi, quindi era abituato alle stranezze – “
“Carlisle,” li interruppe allora Edward alzando la voce, “vi fece entrare in casa perché offre un’opportunità a chiunque bussi alla sua porta – nel vostro caso, letteralmente parlando. Il fatto che voi due vi foste presentati con gli occhi già chiari, gli diede un motivo in più per accogliervi.”
“Carlisle chiamò allora Esme e Rosalie, e Alice salutò anche loro chiamandole per nome e lasciandole senza parole.”
“ ‘Noi siamo Alice e Jasper Whitlock’ “, le fece il verso Rosalie. “ ‘Vi stavamo cercando. Edward e Emmett sono fuori, vero?”
“ ‘I casi erano due: o ci stavano spiando o quei due avevano qualcosa di particolare,’ ricordo che pensò Carlisle quando tornammo a casa,” soggiunse Edward.
“Ma Carlisle optò ovviamente per la seconda ipotesi e ci fece entrare, solo che non capì una parola finchè non gli raccontammo tutta la nostra storia almeno tre volte,” disse Jasper. “Erano terrorizzati, pensavamo volessimo attaccarli. Rose, almeno.”
“Non ci saltò alla gola solo perché Esme e Carlisle la trattennero.”
Alice sorrise a Rosalie, guadagnandosi uno sbuffo sarcastico come risposta.
“Carlisle fu subito affascinato da voi, dai vostri doni,” intervenne Rosalie. “Si divertì come un pazzo quando scoprì gli effetti di quello di Jasper.”
“Già. Il suo lato scientifico era già entrato in azione,” concordò Alice. “Voleva capire la dinamica – cosa fosse scattato in noi che ci avesse permesso di arrivare fin lì senza lasciarci una scia di cadaveri alle spalle.”
“Non tanto la tua – tu eri già pulita da molto prima di me – quanto la mia,” disse Jasper. “Io ricordo di essere rimasto impressionato dal vostro stile di vita…così umano. Soldi, abiti, lavoro, reputazione. Io e Alice vivevamo alla giornata, rubando il necessario e spostandoci frequentemente. Era troppo…troppo bello per essere vero, all’improvviso sentii il mio cuore riempirsi di sollievo.”
Alice intrecciò le proprie dita a quelle di Jasper. “Te l’avevo detto di fidarti di me.”
“E non è passato giorno dal nostro primo incontro in cui non l’abbia fatto,” le assicurò Jasper.
“Comunque,” riprese Alice, tornando a rivolgersi al gruppo. “Carlisle ci chiese di tutto e avrebbe continuato all’infinito se Esme non gli avesse detto di smetterla e di darci una stanza in cui potessimo riposare.”
Edward si lasciò sfuggire un grugnito.
“ ‘La stanza di Edward è quella con la vista migliore, potremmo avere quella?’ “ trillò Alice. “Tanto già sapevo che saremmo finiti lì, quindi ci organizzammo per trasferire tutta la sua roba in garage. Temporaneamente,” precisò a voce alta.
“Temporaneamente un corno,” replicò Edward, continuando a suonare e a scarabocchiare lo spartito. “Esme ci ha messo una settimana per ricrearmi una stanza.”
“Io e Ed tornammo a casa il mattino dopo,” continuò Emmett. “Capimmo subito che c’era qualcosa di diverso. Chiamatela sensazione, se volete. Esme ci sentì arrivare e venne ad accoglierci fuori dalla porta, lasciando che Edward leggesse la novità nella sua mente e non ci allarmassimo.”
“Grazie tante,” lo prese in giro Alice.
“E poi,” andò avanti Edward, “sulla veranda, accanto ad Esme, comparve quel mostriciattolo pestifero. Rimasi inorridito quando lessi nelle loro menti cosa avevano fatto alla mia camera e alla mia roba. L’avrei uccisa solo per quello,” sorrise, scorrendo i fogli.
“Ma non l’hai fatto!” esclamò Alice con voce squillante.
“Anche perché quel mastino che ti eri portata dietro non l’avrebbe di certo permesso!” tuonò Emmett.
“E che faccia tosta, poi!” aggiunse Edward, muovendo le dita più velocemente sui tasti, mentre si avvicinava alla conclusione. “ ‘Ciao, Edward. Ciao, Emmett,’ ci salutò. Anche se sapevo già, rimasi comunque colpito da lei e da quello che potevo leggere nella sua mente. E anche il potere di Jasper non era da sottovalutare.”
“Avevo appena visto che saremmo diventati ottimi parenti,” spiegò Alice.
“Ci studiammo a lungo, non avevo mai visto niente del genere.”
“ ‘Vedi di trovarmi al più presto un’altra stanza, folletto,’ mi minacciò.”
“Già manifestava le sua attitudini da cleptomane.”
Scoppiammo tutti a ridere.
“E così, la nostra famiglia fu finalmente completa,” commentò Emmett stiracchiandosi. “Beh, quasi: mancava ancora Bella.”
Edward concluse la melodia con note sempre più basse e lente, poi le appuntò sullo spartito, rimise in ordine i fogli e alzò finalmente la testa. Sorrise ad Alice e abbracciò me.
“Alla fine ti sei rivelata un buon acquisto. Anche tu, Jazz.”
“Era un mortorio senza di me, ammettilo, Edward.”
Edward scoppiò a ridere, genuinamente divertito.
“Ehi, Bells,” ci interruppe Jacob, voltandosi a mezzo verso di noi. “Nessie è crollata.”
“Santo cielo, ci credo,” esclamai guardando prima l’orologio, poi fuori. “Sono quasi le otto e lei non ha nemmeno fatto il solito pisolino pomeridiano.”
Era calata la sera e non ce ne eravamo accorti, coinvolti come eravamo dal racconto di Alice e Jasper.
Edward si alzò e andò a prendere con delicatezza Reneesme dalle braccia di Jacob. Per l’ennesima volta, rimasi affascinata dalla somiglianza tra i due, a cominciare dal colore dei capelli.
“È ancora presto per portarla a casa. La porto di sopra sul mio divano, va bene, mamma?”
Annuii. Rosalie si alzò per dare un bacio alla bambina e sistemarle una ciocca di capelli fuggitiva dietro l’orecchio. Reneesme si agitò senza svegliarsi.
“Hai sbagliato a dire che con Bella siamo davvero al completo,” mormorò Rosalie. Parlava con Emmett, ma non staccava gli occhi da Reneesme. “Mancava ancora quest’angelo.”
Edward se la rigirò tra le braccia senza disturbarla e la portò di sopra. Io lo seguii. Mi ero appena ricordata di dover fare un salto da Charlie per prendere e portare alcuni vestiti di mia figlia e dovevo dirlo ad Edward che non ne sapeva ancora nulla.
Mio marito aveva adagiato Reneesme sul grande divano nero e le aveva rimboccato sopra una coperta. Ora le stava accarezzando i capelli e il viso, canticchiandole a bassa voce la stessa melodia che aveva appena finito di comporre al piano.
Mi si riempì il cuore di tenerezza, a vederli così, padre e figlia. Lo stesso Edward che non voleva nemmeno farla nascere finchè non aveva ascoltato i suoi pensieri. Ora, nei suoi occhi, brillava una luce che non avevo mai visto prima. Chissà se se ne rendeva conto.
Mi avvicinai a loro e sedetti accanto a mia figlia.
“Faccio un salto da Charlie,” sussurrai.
“Torni presto, vero?” mi chiese Edward, senza staccare gli occhi di dosso a Reneesme.
“Vado e torno,” gli assicurai. “Le chiavi della Volvo sono nella tua giacca, giusto?”
“Allora torna presto.” Edward alzò la testa, il sorriso sghembo sulle labbra, una luce diversa, più intensa e carica di significati negli occhi. “Sarò a casa ad aspettarti.”
Accarezzai la spalla di mia figlia, diedi un lungo bacio a mio marito e corsi da Charlie il più velocemente possibile.



Innanzitutto, un enorme grazie a roby the best, isteria e beab che hanno recensito MISSING: so che volevate un seguito, ma davvero non avrei saputo come continuarla. Queste one-shot mi vengono così, a scene più o meno lunghe, senza capo nè coda. So già in partenza che mi verrebbe fuori una schifezza se avessi la pretesa di continuarle senza avere già in mente l’idea di farlo.

In compenso, vi ho scritto questo. Quando il racconto di Jasper, in Eclipse, si è interrotto, ci sono rimasta malissimo: la Meyer ha saltato proprio il punto più interessante (ma lasciamo stare certi difetti stilistici della Meyer, che è meglio ^_^).
Perciò ho pensato di creare la mia personale versione dei fatti, anche se dubito molto che le cose possano essere andate così. Ma la storia/fossile dentro di me ha voluto così, quindi io mi sono limitata a “cavarla” fuori (sto parafrasando una frase detta da un certo Mr. Stephen King).
Se vi è piaciuta, lasciatemi un commento.
Se non vi è piaciuta, lasciatemi un commento.
Se leggete e basta, sono contenta ugualmente.
Un bacio.
Alla prossima.
Lucy Farinelli

P.S. Colgo l’occasione per ringraziare anche tutti coloro che mi hanno lasciato una recensione per gli altri racconti. ^_^ (*me tanto felice*)

       
  
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