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Autore: cecy_99    21/03/2015    2 recensioni
«RYAN!»
Mi sta chiamando, ha bisogno di me.
«RYAN!»
Mi guardo intorno ma non riesco a distinguerla nell'oscurità.
«RYAN!»
Dal suo tono disperato capisco che è in pericolo. Perciò comincio ad urlare come un matto sperando che la mia voce la conforti.
«Riley sono qui!»
[...]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«RYAN!» 
Mi sta chiamando, ha bisogno di me.
«RYAN!» 
Mi guardo intorno ma non riesco a distinguerla nell’oscurità.  
«RYAN!»
Dal suo tono disperato capisco che è in pericolo. Perciò comincio ad urlare come un matto sperando che la mia voce la conforti.
 «Riley sono qui!»
Quando mi giro per l’ennesima volta la vedo. I capelli rossi che le circondano il volto come la prima volta che la vidi, i suoi dolci occhi neri sono sgranati dalla paura e dalla preoccupazione, emozioni che poche volte ho visto solcare il suo viso. Appena mi vede si rasserena. Cominciamo a rincorrerci. Stavo per raggiungerla, già potevo sentire le sue morbide labbra sulle mie, finché, ad’ un tratto qualcosa mi bloccò. Era una specie di muro invisibile, che, non ci permetteva nemmeno di sfiorarci. Ero disperato. Provavo in tutti i modi di abbatterlo, ma era impossibile. Dopo molti, inutili tentativi caddi a terra, stanco ed’ esasperato. Alzai la mano per spostare dalla fronte sudata, i capelli biondi, ma quello che vidi mi tolse totalmente il fiato. La mia mano stava cominciando a sparire. 
«No! Non di nuovo!» gridai con tutte le mie forze. Non potevo abbandonarla un’altra volta lì. Riley mi guardava sconvolta. Quando stavo per scomparire del tutto, però, riuscii a captare qualche parola «Ryan, no…».   
Mi svegliai urlante e madido di sudore. Quando mi calmai, controllai l’ora. Le 6:58. Avevo dormito più del solito, anche se non mi sentivo per niente riposato. Mi sentivo fiacco ed ero tormentato da un terribile mal di testa. Cercai di alzarmi, anche se i dolori alla schiena non me lo permettevano. Quando riuscii nell’intento, cominciai a vagare per le stanze, ripensando al solito incubo, che non mi abbandonava da almeno sessantotto anni. Dopo, stanco e dolorante, mi sedetti in soggiorno su una vecchia poltrona ingiallita. Un nuovo giorno monotono era iniziato. Nuovamente senza di lei. Il campanello di casa mi distolse dai miei pensieri. Mi alzai stupito, non sapendo chi mai avrebbe potuto venirmi a trovare, a quell’ora del mattino. Quando aprii la porta, mi trovai davanti Amelia, mia nipote, con in braccio sua figlia Jenna. 
«Buon giorno nonno» mi disse Amy. Ero stupito da quell’apparizione, ma allo stesso tempo, immensamente felice. «Buongiorno, ma che ci fate qui?»
«Wow! Che ospitalità. Non ci fai nemmeno entrare?» chiese con un sorriso.
«Certo» dissi aprendo completamente la porta e spostandomi per farle entrare. «Ma ora dimmi, non dovresti essere a lavoro? Non ti avranno mica licenziato?» 
«No, tranquillo. Ma non te lo sarai mica dimenticato? Te ne ho parlato proprio ieri al telefono!» chiede alzando le sopracciglia sorpresa da quella mia dimenticanza. «Sono venuta qui per portarti Jenna. Papà è ancora all’estero, e oggi la zia non può occuparsi di lei.» Detto questo posò la bambina a terra e si sistemò una ciocca dorata dietro l’orecchio. Fra tutta la mia famiglia lei è l’unica ad occuparsi davvero di me. Non mi aiuta per soldi o per sentirsi la coscienza a posto, tutto ciò lo fa con amore. Per questo è la mia nipotina preferita. E poi in molte cose è così simile a lei…  
«Ok, allora vengo a prenderla dopo. Passate una buona giornata. Ciao» e con questo chiuse la porta e ci lasciò da soli. Non ci ho mai saputo fare con i bambini. Non stanno mai zitti, e poi se li rimproveri cominciano a frignare fino a farti venire il mal di testa. Infatti passammo qualche minuto a scrutarci imbarazzati, finché decisi di rompere il silenzio.
«Allora… che cosa facciamo noi due?». Lei continuava a guardarmi come se fossi un alieno. Fino a che mi rispose «Non so». «Bè…», dissi cercando di arrampicarmi tra gli specchi «giocattoli non ne ho, perciò se vuoi, puoi…»
«…Raccontami una storia!» gridò eccitata da quell’idea. «…la nonna era l’unica a raccontarmi delle storie, prima di addormentarmi… questo prima che andasse via…» L’atmosfera si era appesantita, perciò cercai di rallegrarla. 
«Allora ti racconterò qualcosa di unico… di un’avventura. La mia avventura.»
E chiudendo gli occhi mi accinsi a narrare.

   
 
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