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Autore: Bill Kaulitz    21/03/2015    4 recensioni
Certo, chi combatte può morire... chi fugge resta vivo, almeno per un po’... Agonizzanti in un letto, fra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi per avere un'occasione, solo un'altra occasione, di tornare qui sul campo a urlare ai nostri nemici, che possono toglierci la vita, ma non ci toglieranno mai... la libertà!
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Incest
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BRAVEHEART

Certo, chi combatte può morire... chi fugge resta vivo, almeno per un po’... Agonizzanti in un letto, fra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi per avere un'occasione, solo un'altra occasione, di tornare qui sul campo a urlare ai nostri nemici, che possono toglierci la vita, ma non ci toglieranno mai... la libertà!

Nella seconda metà del XIII secolo, la Scozia era oppressa dalla tirannia del sovrano inglese Edoardo I. Dopo la morte del Re di Scozia, senza eredi, la regione cadde nell'anarchia ed i nobili locali cominciarono ad azzuffarsi tra loro per salire sul trono. Il re, approfittando della contesa, decise di convocare tutti i pretendenti al trono ad una riunione, con lo scopo di decidere quale sarebbe stato il futuro della Scozia. I nobili scozzesi, giunti disarmati su richiesta del re, caddero facili vittime della sua trappola, venendo impiccati proprio nel luogo in cui, Edoardo I, decise di incontrare i pretendenti.

Gordon Wallace, un borghese, in attesa di notizie dall'incontro, si recò sul luogo della strage, insospettito dal fatto che nessuno fosse ancora tornato dalla riunione. Qui con i due figli Georg e Thomas, scoprì il massacro e, la sera stessa, con altri contadini del luogo, organizzò un attacco contro gli inglesi alla frontiera. Nello scontro però, sia Georg che Gordon, vennero uccisi, lasciando orfano il piccolo Thomas; egli però, venne successivamente preso in affidamento dal fratello di Gordon, Gustav, insegnando al giovane diverse lingue, quali il latino e il francese e, soprattutto, come maneggiare una spada.

‹‹Un giorno sarai un grande guerriero, Thomas. Libererai la Scozia dall’anarchia dell’Inghilterra.›› disse l’uomo, durante uno dei tanti allenamenti del ragazzo.

‹‹Come potete prevedere il futuro, zio? Sono ancora troppo piccolo per poter combattere contro gli inglesi.››

L’uomo posò una mano sulla spalla del giovane, in segno di comprensione. ‹‹Io lo so, Thomas. Tuo padre avrebbe voluto questo. Che Dio l’abbia in gloria.›› l’uomo alzò gli occhi al cielo, facendo il segno della croce, in memoria del fratello defunto.

A quel punto, il ragazzo, strinse i pugni con rabbia, facendo diventare le nocche delle sue mani, bianche. Urlò, mentre scagliava la spada contro un albero, infilzando con una grande facilità.

Il suo respiro era pesante ed affannato. Le spalle si muovevano lentamente alzandosi ed abbassandosi ripetutamente. Guardò lo zio che, a sua volta, gli volse uno sguardo compiaciuto.

‹‹Io vendicherò mio padre, un giorno. Mi batterò per lui.››

*

La moglie di Gustav, Susanne, aveva appena chiamato l’unità familiare a tavola; così, sia l’uomo che il giovane, rincasarono.

Una volta entrati, vennero invasi da un forte profumo di zuppa e cinghiale arrosto. Lo stomaco di Thomas brontolava già un po’. Non aveva fatto colazione con il solito tozzo di pane con le mele cotte. Lui e lo zio, erano usciti presto per potersi allenare con la spada.

Inspirò a pieni polmoni il pungente odore della carne arrosto e, in maniera composta, si sedette a tavola, in attesa che la zia mettesse il cibo nei piatti.

‹‹Avete visto Wilhelm?›› chiese poi Susanne, rivolgendosi al marito. Gustav annuì.

‹‹Era uscito con noi questa mattina, era a raccogliere le more nel bosco. Presumo sia ancora lì.››

Wilhelm era il figlio di Susanne, ma non di Gustav. La donna, in seguito alla gravidanza, era rimasta vedova del suo primo marito. Dopo la nascita del figlio, aveva incontrato Gustav, sposandosi una seconda volta.

Categoricamente, Wilhelm, era il cugino – adottivo – di Thomas; praticamente, lui lo considerava il suo migliore amico – aveva solo lui, per giunta – o forse anche qualcosa di più. Gli voleva molto bene, e si era legato particolarmente, nonostante avessero due anni di differenza. Thomas ne aveva dodici, Bill dieci.

Passavano ogni singolo istante assieme, fatta eccezione di quando Thomas doveva imparare il latino e il francese, oppure allenarsi con la spada.

Si dicevano i ‘segreti’, così come li chiamava lui; uscivano la sera di nascosto, andando a caccia di scoiattoli, oppure di lucciole. Un giorno vennero sorpresi da Gustav, a fare il bagno, in piena notte, nello stagno vicino la loro casa. Non aveva detto nulla alla moglie; sapeva che si sarebbe arrabbiata, se così avesse fatto.

‹‹Thomas, caro, potresti andare a cercare tuo cugino, prima che il pasto si raffreddi? Te ne sarei immensamente grata.››

Il giovane non disse nulla, si alzò dalla panca di legno e, chiudendo la porta dietro di sé, corse verso il bosco. Era poco distante dalla loro abitazione e, soprattutto, poco fitto. C’erano prevalentemente arbusti di more, bacche e mirtilli; non ci si poteva perdere, lì dentro.

Quando Thomas su abbastanza vicino, cominciò a chiamare il nome del ragazzino.

‹‹Wilhelm! È pronto il pranzo!›› urlò Thomas, mettendo le mani ai lati della bocca, come per farsi udire meglio. Lo chiamò due volte, prima di iniziare a vedere un’esile e piccola figura incamminarsi nella sua direzione. Sorrise inconsciamente, vedendo il ragazzino.

Wilhelm portava un cesto – più grande lui – colmo di more e di bacche. La madre era decisamente troppo brava a fare delle marmellate o delle crostate.

Vedendolo impacciato, Thomas corse verso di lui, cercando di aiutarlo con il cesto stracolmo di frutti.

‹‹Lascia stare, Thomas, faccio io. Ce la faccio.››

‹‹Ma no che non ce la fai, Wilhelm. Lascia che ti aiuti.››

Il più piccolo lo guardò storcendo il naso. Forse aveva ragione; una mano gli sarebbe stata d’aiuto.

‹‹Grazie.›› un flebile suono uscì dalla sua bocca. Chinò il capo e sorrise lievemente, diventano improvvisamente rosso. Thomas inarcò gli angoli della bocca a sua volta, prendendo il cestino e mettendolo su una spalla.

‹‹Ti sei dato da fare, oggi. Hai raccolto un sacco di frutti.›› Thomas afferrò una manciata di more e, in un gesto lesto, le infilò tutte assieme in bocca, sporcandosi leggermente del succo.

‹‹Ehi, quelle servono per la marmellata.›› scherzò Wilhelm, tirando un pugno sulla spalla del più grande. Thomas lo canzonò, prendendo un’altra manciata di more e mangiandole – a dispetto – guardandolo negli occhi.

‹‹Vedi che ho fatto un sacco di fatica a coglierle.›› il più grande non disse nulla, gli scompigliò i capelli e lo prese per mano, incamminandosi verso la loro casa.

‹‹Ti voglio bene, Tom›› disse il ragazzo più giovane, stringendosi ancora di più al maggiore.

‹‹Te ne voglio anche io, Bill. Molto.››

 

 Quattro anni dopo

Il giovane Thomas Wallace, era diventano uno dei più giovani ed abili maneggiatori di spade di tutta la Scozia e, per giunta, aveva imparato alla perfezione sia il latino che il francese. Suo zio continuava ad ogni modo ad allenarlo, ogni giorno, ripetendogli quale sarebbe diventato il suo destino. Doveva salvare la Scozia dalla tirannia. Doveva liberarla una volta per tutte, costi quel che costi.

*

‹‹Non voglio che tu vada via, Tom. Non voglio. Non farlo, per favore.›› il giovane ragazzo, ora quattordicenne, supplicò Thomas di non lasciare Lanark. Lo strinse forte a sé, affondando il volto fra i lunghi e castani capelli del moro, inspirando profondamente il suo profumo.

Thomas sospirò profondamente, carezzando dolcemente i capelli del ragazzo inginocchiato davanti a lui. Cominciò a baciargli delicatamente la testa, socchiudendo gli occhi, perdendosi nei suoi pensieri.

‹‹Sai che devo andare, Bill. Ho passato quattro anni della mia vita a prepararmi per questo. È il mio destino. Lo sai anche tu. Devo partire prima che anche la nostra città venga assediata. Farò ritorno presto, Bill. Te lo prometto. ››

Il più giovane non rispose. Lo strinse ancora più forte e si avventò contro il petto del moro, liberandosi in un pianto struggente.

‹‹Tu non mantieni mai le promesse. Il tuo destino è già stato scritto. Devi passare la tua vita qui con me, Tom. Non puoi lasciarmi. Possono fare gli altri questo lavoro. Non c’è motivo che vada tu, in Inghilterra.››

Il cuore del maggiore si distrusse, all’udire di quelle parole. Ma non poteva fare assolutamente nulla. Lo zio aveva già preparato un cavallo per la sua imminente partenza. L’indomani sarebbe dovuto andare.

‹‹Chi meglio di te, può capire quanto sia importante la libertà, Bill? Siamo schiavi e succubi degli inglesi da anni.››

Il giovane non fiatò. Thomas aveva pienamente ragione. Suo padre era stato ucciso in battaglia proprio dagli inglese e, la sua povera madre, violentata da uno di loro, diversi anni addietro. Lui non ne aveva mai proferito parola con nessuno; ma lo sapeva. Lo sapeva benissimo.

‹‹Proprio per questo ti supplico di restare qui con me. Non riuscirei a vivere sapendoti morto. Preferirei uccidermi, piuttosto.››

A quelle parole, Tom riuscì a stento a trattenere le lacrime. Abbracciò ancor più forte il ragazzo e, successivamente, gli avvolse il viso fra le mani, guardandolo dritto negli occhi.

Il suo sguardo era indecifrabile; lo era sempre stato. Era un misto fra odio, rabbia, ribellione e, soprattutto, voglia di lottare; ma, nello stesso tempo, perveniva un grande sentimento nei confronti del giovane Wilhelm. Non era semplice bene, il suo. Con il passare degli anni aveva sviluppato qualcos’altro, oltre al forte legame. Non riusciva a capire con fermezza di cosa si trattasse; ma quand’era in sua compagnia, sentiva una forte morsa allo stomaco, e il cuore prendeva a battere più forte del dovuto. Quattro anni orsono, ancora troppo innocenti, non avrebbero mai immaginato cosa stesse nascendo; ora però, ormai abbastanza grandi, capirono: provavano quel sentimento chiamato amore.

‹‹Io non ti lascerò mai, Bill. Tornerò da te.››

‹‹No. Tu non tornerai. Non mantieni mai le tue promesse.››

Thomas sorrise, poggiando la propria fronte contro quella del ragazzo più giovane. Non distolse mai lo sguardo da lui. Gli prese la mano destra e la poggiò contro il proprio petto.

‹‹Io ti prometto solennemente che farò ritorno a Lanark. Non ti abbandonerò, Bill.››

Il cuore prese a battergli forte e il suo stomaco iniziò a contorcersi.

‹‹Promesso?›› la voce di Bill era un flebile sussurro, indeciso. Thomas non disse nulla. Socchiuse leggermente gli occhi e, cautamente, si avvicinò alle labbra del ragazzo. Le sfiorò delicatamente, come se avesse paura di fargli del male. Le loro bocche si toccarono a malapena, in un bacio talmente casto e delicato, da essere quasi impercettibile. Bill vibrò al loro contatto, e Tom ebbe timore che non volesse. Si distaccò quasi immediatamente.

‹‹Mi…mi dispiace, Bill. Io…io non so cosa mi sia preso. Non avrei dovuto. Perdonami.›› imbarazzato, Tom scattò in piedi, tentando di uscire dal fienile nel quale si era rintanati e, proprio quando era intento ad uscire, si sentì afferrare per un lembo della propria casacca.  

‹‹Non mi è parso che ti abbia detto di andare via adesso.›› disse Bill, alzandosi lentamente, fronteggiando così il ragazzo. Era leggermente più alto di Tom, giusto un paio di centimetri.

Il silenzio incombeva nel fienile, si udivano solo i respiri dei due ragazzi e, ogni tanto, il nitrire dei cavalli. Si guardarono intensamente negli occhi, fino a quando uno dei due non cedette, focalizzando la propria attenzione sulle labbra dell’altro. Fu Bill a cedere.

Improvvisamente, Tom venne sopraffatto dal ragazzo più piccolo. Si avventò sulle sue labbra famelicamente, come se volesse divorargliele. Fu costretto ad afferrarlo per i fianchi, per evitare di cadere all’indietro. Fortunatamente, dopo parecchi passi indietro, si ritrovò con la schiena contro la parete in legno del fienile.

I loro respiri divennero irregolari e sempre più pesanti. I baci, dapprima delicati, presto divennero morsi. Tom si era sempre chiesto che sapore avesse Bill, e viceversa. Ora lo sapevano entrambi.

‹‹Tornerai da me, Thomas?›› ansimò nella sua bocca il moro. Il maggiore non rispose e, con le mani leggermente ruvide, cominciò a tastare la pelle diafana e morbida di Bill, da sotto la sua casacca. Gli sfiorò la magra schiena, passando poi dal petto e dall’addome. Lo sentiva contorcersi ogni qual volta lo sfiorava.

‹‹Dimmi che tornerai da me. Dimmelo, Tom.››

‹‹Tu sai che sarà così, Bill. Tu mi appartieni. Mi sei sempre appartenuto.››

Thomas gli promise che, prima della sua partenza, avrebbero dormito assieme nel fienile. Gustav non obiettò, fu pienamente d’accorso anche Susanne. Dopotutto, cosa c’era di male nel dormire da solo in un fienile assieme al proprio cugino adottivo? Nulla, se non si era a conoscenza dei sentimenti che provavano l’uno per l’altro.

Quella notte, i due ragazzi, si appartennero per davvero. Fecero l’amore sul letto di paglia che, giorni addietro, si erano preparati; promettendo di amarsi per il resto della loro vita.

 

La mattina dopo, Bill venne svegliato dal chicchiricchio del gallo. Doveva essere l’alba, molto probabilmente. I suoi occhi erano ancora troppo assonnati per mettere a fuoco la situazione e la sua mente ancora annebbiata dalla sera prima. Era ancora nudo. Era avvolto solo da una coperta fatta di pelliccia di orso. Si strinse ancora di più sotto di essa.

 ‹‹Tom… ti amo.›› sussurrò il ragazzo. Allungò un braccio alla sua sinistra dove, poco dopo, aveva dormito assieme a Tom ma, quando si rese conto che accanto a lui non c’era nessuno, si levò in piedi di scatto. La parte del letto era ancora tiepida; ciò stava a significare che, il ragazzo, era andato via da poco.

C’era un foglio di carta, sul suo cuscino, con accanto un fiore appena raccolto. Una margherita gialla: tornerò da te.

‹‹Tom?›› urlò. Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata. Afferrò il pezzo di carta. Le mani tremavano. Strinse forte il foglio, stropicciandolo leggermente.

Indossò la casacca e le scarpe ed uscì velocemente dal fienile. Iniziò a correre verso il bosco, poi verso la fattoria e, successivamente, al campo, dove lui e il suo patrigno facevano allenamento con la spada. Quando si accorse che non c’era nemmeno lì, lasciò che le ginocchia cedessero, cadendo in terra. Si mise ad urlare e cominciò a strappare ciuffi d’erba. Susanne, spaventata, uscì di corsa dalla sua abitazione, dirigendosi verso il figlio.

‹‹Se n’è andato, mamma. Tom è andato via.›› la madre, premurosa, gli avvolse il capo e lo mise contro il proprio petto. Cominciò ad accarezzarlo dolcemente, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene.

‹‹Tornerà, tesoro. Tornerà.››

‹‹Non ho potuto nemmeno dirgli addio, madre.›› Wilhelm stava stringendosi sempre di più contro il petto della donna, cercando conforto nel suo abbraccio. Susanne, dal canto suo, prese a baciargli il capo, poggiandovi successivamente la guancia.

‹‹Conosci la determinazione di Thomas, figlio. Sai che farà di ritorno qui a Lanark.››

Bill voleva crederci; voleva crederci più di ogni altra cosa; ma sapeva benissimo che non sarebbe mai tornato.

 

Dieci anni dopo

Sguainò la spada contro il soldato inglese, recidendogli la gola con una maestria inaudita. Vide il corpo dell’uomo cadere di peso sulle ginocchia, per poi riversarsi in terra come un fantoccio senza vita. Aveva il respiro pensante.

La prateria era completamente ricoperta dal sangue e dai corpi degli uomini che erano stati uccisi. Thomas si guardò attorno. Molti inglese si erano ritirati e, centinaia dei suoi uomini, erano morti. Giacevano in terra. Erano morti per lui. Avevano giurato lui fedeltà.

Fino alla morte.

Aveva combattuto assieme ai suoi uomini per più di sei anni. Senza sosta. Una battaglia interminabile. Avevano sterminato gran parte dell’esercito del re ma, ovviamente, avevano perso anche molti dei loro.

La vittoria però, era ancora molto lontana.

Pulì la propria fronte con il dorso della mano, lavando via sangue, sudore e fango. Bruciavano gli occhi. Si diresse verso un suo compagno, stremato anche lui.

‹‹Quanti uomini abbiamo perso, Craig?››

Thomas si avvicinò all’uomo, seduto in terra. Poggiava la schiena contro una parete rocciosa. Cercava anche lui di riprendere fiato.

‹‹Non saprei dirti con precisione, Thomas. Ci sono corpi dappertutto. Il nostro sangue è mischiato con quello degli inglesi. So per certo, però, che abbiamo perso una buona metà dei nostri.››

Thomas alzò gli occhi al cielo, socchiudendoli successivamente.

‹‹Farai ritorno a Lanark, adesso? Ho saputo che si trova definitivamente sotto il dominio inglese da diversi anni.››

Non rispose subito. Erano passati dieci anni, da quando aveva lasciato la sua città per dirigersi a York. Aveva dei bei ricordi, legati a quella città.

‹‹Il mio compito qui è finito, Craig. Domattina partirò per Lanark.››

Pulì la propria spada dal sangue sul prato grigio della prateria e la rinfoderò. Salì in groppa al suo cavallo e tornò al villaggio. Doveva rifocillarsi, in quanto, l’indomani, avrebbe affrontato un lungo viaggio; stava per tornare a casa.

Tornerò da te.

*

Quando arrivò a Lanark, il suo cuore perse un battito. Tutto era esattamente come l’aveva lasciato dieci anni fa. Il bosco, il fienile, la sua casa. L’unica cosa che la differenziava, erano le bandiere dell’Inghilterra piantate ogni cento metri sul terreno. Questo stava a significare l’assedio. Venne scosso da una serie di brividi lungo la schiena. Avrebbe voluto distruggerli.

Il suo cavallo fece qualche altro passo prima di fermarsi proprio dove, l’ultima volta, aveva lasciato l’altro. Scese con un balzo e, guardandosi attorno, notò che nulla era cambiato. Man mano che si avvicinava alla sua vecchia dimora, il suo cuore, prendeva a palpitare sempre più forte.

Sarà ancora lì?

Il suo primo pensiero andò a Bill. Il suo Bill. Il loro non era stato uno dei migliori arrivederci. Thomas ricordò che, tempo fa, l’aveva lasciato da solo, nel fienile.

Sicuramente si sarà fatto una vita.

Pensò poi, continuando a camminare verso l’entrata di quella che, fino a dieci anni prima, era stata la sua casa. Deglutì con fatica e, quando fu proprio davanti la porta, non ebbe nemmeno il coraggio di bussare. Aveva la mano destra schiusa e pugno, tremante; eppure con quella aveva ucciso centinaia di uomini. Bussare a quella porta, ora, gli sembrava l’impresa più difficile del mondo.

Sospirò rumorosamente. Alzò gli occhi al cielo e, dopo svariati minuti, prese coraggio e bussò alla porta. Si ritrasse immediatamente. All’interno della fattoria, udì dei rumori di pentole e di legna scoppiettante. C’era sicuramente qualcuno. Bussò una seconda volta.

Solo dopo una manciata di secondi, la porta si aprì lentamente. Uno zio piuttosto invecchiato gli si presentò dinnanzi. Inizialmente, il vecchio faticò a riconoscerlo, ma quando i loro occhi si incrociarono per un breve istante, un rassicurante sorriso si dipinse sul suo volto, susseguito da un forte abbraccio paterno. Thomas ricambiò l’abbraccio con affetto e sicurezza.

‹‹Figliolo, sei tornato.›› il vecchio tossì leggermente, continuando ad abbracciare il nipote ormai diventato uomo.

‹‹Dovevo farlo. Questa è casa mia.››

Sugli occhi del vecchio si leggeva una tale amarezza. Thomas giurò di aver visto una lacrima ricadere tristemente lungo la guancia rugosa dell’anziano zio, per poi perdersi e morire nella sua ispida barba bianca.

‹‹Sono cambiate molte cosa da quando sei andato via, Thomas. Gli inglesi hanno preso il sopravvento. Hanno distrutto tutto. Hanno violentato le nostre donne. Hanno ucciso…›› Gustav non proseguì. Chinò il capo, e questa volta le lacrime caddero copiose. Thomas poggiò una mano sulla sua spalla.

‹‹Hanno ucciso mia moglie, Thomas.››

Il giovane si incupì.

E Bill? Cosa n’è stato di Bill? Aveva paura di sapere la risposta.

‹‹E…Wilhelm? Dov’è, zio?››

‹‹Dove potrebbe essere, secondo te? Da quando sei partito, dieci anni fa, non ha fatto altro che trascorrere giorni interi nel fienile, senza mai uscire. Passava le ore a raccogliere le bacche. Riempiva i cestini e poi li gettava via. Da quando è morta sua madre, lo vedo di rado. Capisci vero? Ha perso in poco tempo le persone a cui teneva di più. Credo sarà molto felice, non appena ti vedrà.››

Il suo stomaco prese ad infiammarsi. Come avrebbe reagito Bill nel vederlo dopo così tanti anni?

‹‹Vuoi entrare a mangiare? Immagino ti manchi un buon piatto caldo.›› Thomas lo ringraziò cordialmente, ma preferì salutare suo cugino, prima.

‹‹Vi aspetto per pranzo. Di a quel ragazzo di farsi vivo, ogni tanto. Io sono sempre qui. Sono felice che tu sia salvo, figliolo.›› e solo dopo averlo stretto forte un’altra volta, lo lasciò andare.

*

Il fienile era esattamente così come l’aveva lasciato. Il tempo l’aveva solo consumato leggermente da fuori. Si fece coraggio e scostò la grossa porta in legno. Un forte odore di paglia e legno gli invase le narici. Ebbe un tuffo al cuore quando si accorse del letto ‘provvisorio’ che lui e Bill avevano arrangiato per l’ultima notte. Quella notte. Ebbe un altrettanto tuffo al cuore quando si accorse che, quel letto, non era vuoto.

Una magra ed esile figura gli dava le spalle. Sembrava dormisse. Thomas sapeva che era lui. Sorrise inconsciamente, mentre iniziò ad accorciare la distanza. Un passo dopo l’altro, si ritrovò praticamente ai piedi del letto in paglia. Non ebbe il coraggio di guardargli il viso. Erano passati dieci anni dall’ultima volta che l’aveva visto. Ora Wilhelm era diventato un uomo adulto. Aveva ventiquattro anni. Come avrebbe reagito nel vederlo dopo così tanto tempo?

‹‹Wilhelm?›› sussurrò leggermente. Il ragazzo non l’udì. Provò a scostargli i capelli dal volto e, quando lo fece, Thomas sentì una forte morsa allo stomaco, come se l’avessero appena trafitto da parte a parte con la spada. Il dolore, doveva essere senza dubbio quello.

Il viso del moro, era angelico. D’altronde, lo era sempre stato. La sua espressione, però, non era affatto serena. Thomas lo dedusse dal modo in cui le sue sopracciglia erano incurvate. Provò a chiamarlo di nuovo, spostandogli una ciocca dietro l’orecchio.

‹‹Wilhelm?››

Non rispose. Provò di nuovo e questa volta, posò le labbra accanto al suo orecchio, sospirando il suo nome.

‹‹Bill?››

Il moro si destò dal sonno spaventato. I suoi occhi si aprirono di scatto e, il suo istinto, gli disse di sferrare un pugno dietro le sue spalle, proprio dove quella voce gli aveva sussurrato al suo orecchio. Poteva essere chiunque.

Tom fu lesto ad afferrare il polso dell’esile ragazzo, prima che questo gli desse un pugno dritto nell’occhio.

‹‹Sono appena tornato e già vuoi picchiarmi?›› disse Thomas gentilmente, accarezzandogli delicatamente una guancia con le dita. Wilhelm, inizialmente, si ritrasse e fu pronto a strattonare il polso per potersi liberare.

Thomas ebbe un tuffo al cuore, quando i suoi occhi incrociarono quelli scuri del ragazzo moro. Poté sentire il suo stomaco contorcerci in modo alquanto brusco, quasi da fargli male.

Dio…i suoi occhi.

‹‹Chi…›› sussurrò flebilmente il ragazzo, cercando di focalizzare gli occhi del ragazzo che si trovava difronte. Thomas non rispose, gli bastò sorridere per fargli comprendere che era tornato da lui.

‹‹Thomas? Tom?›› Wilhelm si destò immediatamente, mettendosi seduto sul letto di paglia. Cercò di catturare ancor di più lo sguardo del ragazzo.

‹‹Sono tornato, Bill. Sono tornato da te.››

Gli occhi del ragazzo si riempirono improvvisamente di lacrime e, prima che Thomas potesse accorgersene, il suo collo venne avvolto da delle magre braccia. Di riflesso, lui gli cinse i fianchi. Pianse forte anche lui.

‹‹Dio, Tom. Ho pregato giorno e notte. Chiedevo al Signore che tornassi di nuovo da me. Ho sperato ogni sera. Ho pianto ogni notte, qui, in questo letto, dove ci siamo appartenuti per sempre. Il tuo odore è sparito tempo fa, da questo cuscino, ma io l’ho sempre ricordato. Sempre.››

Inspirò forte il profumo dei suoi capelli.

‹‹Pensavo ti fossi sposato, avuto dei figli magari, e che ciò che successe fra noi, quella sera, fosse rimasto solo un lontano ricordo.››

Bill scosse convulsivamente il capo, abbracciando ancora di più Tom. Si premette forte contro il proprio petto, socchiudendo gli occhi ormai troppo colmi di lacrime.

‹‹Non ho potuto, Tom. Non potevo farlo. Guarda qui…›› si allontanò in maniera riluttante dall’abbraccio del ragazzo, cominciando a trafficare sotto il suo cuscino. Dopo pochi istanti, ritrasse le mani. Ciò che Tom vide, gli procurò uno sfarfallio nello stomaco, più forte delle altre volte.

‹‹Non ci credo…tu…tu hai…il mio fiore?››

‹‹…e il tuo messaggio. Ho conservato tutto per dieci lunghi anni. Era l’unico ricordo di te, oltre al fatto di averti avuto in me. Non mi sono mai dimenticato di quella notte, Tom. Mai.››

Thomas non disse nulla, gli accarezzò una guancia, e Bill vi premette la sua mano contro, per percepire ancora di più quel tocco che tanto gli era mancato.

‹‹Eri sempre con me. Qui dentro.›› Thomas si portò la mano sul cuore, e se la spinse contro il petto.

‹‹Anche tu. Grazie a Dio, sei tornato.››  Una lacrima sfiorò dolcemente la ruvida mano di Tom; lui l’asciugò piano con un pollice. Gli occhi fissi sul ragazzo.

‹‹Non andare via, Thomas. Non farlo mai più.›› il minore socchiuse gli occhi, chinò il capo e, le lacrime, iniziarono a scendere copiose sul suo volto. A quel punto, Tom, lo strattonò con forza a sé, avvolgendogli il viso con le sue mani e portandolo alle sue labbra. Lo baciò con avidità e con possessione.

Le mani del moro iniziarono a percorrere avidamente lungo tutta la schiena del più grande, graffiandogli leggermente la pelle. Scorse numerose cicatrici, che tracciò una per una, con l’indice.

‹‹Non ricordavo questi segni sul tuo corpo.›› ammise Bill, continuando a baciarlo, restando quasi senza fiato, mentre Thomas iniziò a privarlo degli indumenti.

‹‹Sta zitto, e continua a baciarmi.›› Tom si avvinghiò al collo, iniziando a succhiare con forza la pelle delicata e sensibile del moro, lasciandogli un evidente segno violaceo.

‹‹Adesso sei segnato anche tu…da me.›› si allontanò dal collo diafano del ragazzo, con uno schiocco della lingua, ammirando il suo lavoro. Era un segno piuttosto evidente.

‹‹Ti appartenevo già da prima, Tom. Ti sono sempre appartenuto, da quando hai messo piede nella mia famiglia.››

Lo placcò, facendo cadere entrambi sul letto in paglia. Tom sotto di lui. Continuarono a baciarsi, a rincorrersi, a cercarsi con lo sguardo.

‹‹Ho ucciso tante persone, Wilhelm. Gli inglese mi danno la caccia. Mi detestano.›› ammise Thomas, tra un bacio e l’altro. ‹‹Non sei al sicuro qui con me. Possono arrivare da un momento all’altro.››

‹‹Non mi importa.›› disse lui, senza fiato. ‹‹Ormai non siamo più un popolo libero, Tom. Se vogliono uccidermi, sono pronto a morire.››

Con un colpo di reni, Thomas ribaltò la situazione. Gli portò le braccia in alto, bloccandogli i polsi con le proprie mani. Lo fissò con insistenza.

‹‹Non permetterò a nessuno di farti del male, amore mio. Sono pronto a tagliare la gola di migliaia di inglesi, a bruciare centinaia di abitazioni, pur di difenderti.›› lo baciò con prepotenza, cercando avidamente la sua lingua. Si insinuò con estrema facilità nella sua bocca e, il contatto con il palato del moro, lo fece rabbrividire, creandogli una scarica elettrica che puntò direttamente al suo inguine. Istintivamente, cominciò a spingersi contro il ragazzo sottostante, ansimando e gemendo nella sua bocca.

‹‹Sei mio. Mi sei sempre appartenuto.››

‹‹Fammi tuo un’altra volta, Tom. Voglio sentirti.››

Il maggiore non se lo fece ripetere, gli afferrò i fianchi con entrambe le mani e gli sollevò leggermente il bacino. Le gambe del moro intrecciate ai fianchi di Thomas.

Entrambi si scambiarono un intenso sguardo complice. Bastò che Bill annuisse, per far comprendere a Tom che poteva farlo.

*

Delle urla provenienti da fuori il fienile, fecero rinvenire entrambe i ragazzi che, dopo aver fatto l’amore, si erano beatamente addormentati l’uno fra le braccia dell’altro.

Thomas si destò immediatamente dal letto, afferrando d’impulso la spada. Quando aprì la porta in legno, vide l’inferno. Donne, bambini, uomini ed animali, scappavano in maniera furiosa. Erano appena stati attaccati dall’esercito inglese del re. Gran parte delle abitazioni, erano state bruciate. Negli occhi di Thomas, le fiamme si rispecchiavano in maniera cristallina. Il suo villaggio stava bruciando.

 ‹‹Tom, cosa sta succedendo?›› chiese il minore, terrorizzato.

‹‹Resta lì dove sei, Bill. Non uscire per alcun motivo. Resta qui.›› ruggì Thomas, afferrando i propri abiti.

‹‹Dove credi di andare, Thomas?››

‹‹Bill, il villaggio sta bruciando. Non ti permetterò di uscire di qui.›› impugnò la spada e, proprio quando stava per uscire dal fienile, si sentì strattonare. Voltò rapidamente lo sguardo e poté notale Bill con gli occhi colmi di lacrime.

‹‹Non puoi andare lì fuori, Tom. Verrai ucciso.›› con un tono di supplica, Bill cercò di convincere l’amante a restare lì con lui, ma sapeva benissimo che niente e nessuno al mondo avrebbe fatto cambiare idea al ragazzo. Ormai lo conosceva fin troppo bene, nonostante fosse mancato dieci lunghi anni. Era caparbio. Thomas sarebbe uscito lì, in quell’inferno.

Thomas non rispose. Lo baciò sulle labbra e, guardandolo intensamente negli occhi, gli sorrise.

‹‹Ti amo, Bill. Ti ho sempre amato.›› Un fiume di lacrime cominciò a rigare il viso del minore e, tra i singhiozzi, provò a rispondere.

‹‹Ti amo anche io. Non puoi essere così egoista. Non lasciarmi.›› uno strattone dopo l’altro. Thomas restò immobile. ‹‹Non puoi lasciarmi di nuovo.››

Urla. Grida. Colpi di spada. Rumore di cavalli in corsa.

Thomas guardò dietro le sua spalle, dopodiché volse nuovamente lo sguardo verso Bill.

‹‹Prendi un cavallo. Aspettami al fiume. Io arriverò presto. Ce ne andremo da questo posto, amore mio. Te lo prometto.›› e prima che Bill potesse rispondergli, lo baciò un’altra volta e si lanciò tra le fiamme dell’inferno.

*

Tagliò la gola ad un soldato inglese, mozzò il braccio ad un altro, tranciò la testa ad un altro ancora. Il sangue schizzò sul suo volto, misto tra terra, cenere e sudore. Bruciava maledettamente. Era la fine. Erano in troppi.

Non riusciva a vedere suo zio, la gente che correva terrorizzata. La situazione stava sfuggendo letteralmente dalle mani. I suoi compagni erano venuti in loro soccorso, quando seppero dell’assalto al piccolo villaggio di Lanark.

‹‹Devo tornare al fienile. Devo tornare da Bill.›› urlò ad un suo compagno, mentre tagliava la gola di un altro soldato; ma quando si voltò, notò che la porta del fienile era completamente distrutta e una decina di soldati vi erano entrati.

‹‹Noooo!!›› l’urlo di Tom venne coperto dalle grida delle donne e dallo scoppiettare delle fiamme che si aizzavano alte. Corse in quella direzione, uccidendo tutti coloro che si paravano dinnanzi al suo cammino. Uno dopo l’altro, cadevano sulle ginocchia come ramoscelli di quercia spezzati. Dovette lottare contro un soldato più alto e più grosso di lui, prima di raggiungere quegli altri due che tentavano di violentare Wilhelm.

‹‹Toooom!›› urlò il minore, cercando di lottare con tutte le proprie forze. ‹‹Aiutami, ti prego!›› divincolandosi, riuscì a tirare un forte calcio nello stomaco del soldato più esile, mentre l’altro, ricevette un graffio in pieno volto.

‹‹Aaaah. Lurido schifoso.››

Coprendosi con la mano destra l’occhio graffiato, il soldato riuscì a sferrare improvvisamente un forte schiaffo sul viso del ragazzo, facendo arrossare immediatamente la pelle candida e diafana.

‹‹Non devi toccarlo, bastardo!›› e prima che questi potesse capire ciò che stava accadendo attorno a lui, l’ultima cosa che vide, fu la lama della spada di Thomas trapassargli lo sterno. Cadde in ginocchio, gemendo. Rivoli di sangue fuoriuscivano dalla sua bocca. Thomas lo fissò intensamente, fino a quando non vide spegnersi la luce della vita nei suoi occhi.

Posò la spada in terra, precipitandosi immediatamente dal suo amato. Bill gli cinse automaticamente le braccia attorno al collo, baciandolo.

‹‹Ti hanno fatto del male? Ti hanno violentato?›› una mano di Thomas si posò sulla guancia arrossata, l’accarezzò delicatamente. Negli occhi di Bill, Tom poté leggere diverse emozioni: paura, terrore, speranza, gratitudine e…amore.

‹‹Non lasciarmi mai più, Tom. Ti prego, non farlo.›› andò a rifugiarsi nuovamente fra le sue braccia, cercando protezione; quella protezione che Tom era riuscito sempre a dargli.

‹‹Dobbiamo andare via, amore mio. Dobbiamo andarcene da questo posto.››

‹‹E dove andremo?››

‹‹Qualsiasi posto è meglio di questo.›› lo fissò intensamente negli occhi. Dolcemente prese ad accarezzargli i capelli.

‹‹…Non smetterò mai di dirtelo, Bill. Ti amo.››

‹‹Ti amo anche io.››

*

Un tonfo. Uno sguainare di spade. Un urlo acuto. Il buio.

*

Quando riprese conoscenza, istintivamente provò a muovere le braccia ma, ben presto, si accorse che erano bloccate dietro la sua schiena da ciò che, molto probabilmente, doveva essere una corda. Non riusciva a muovere nemmeno le gambe. Bloccate anche quelle con una corda piuttosto stretta attorno le caviglie. Aveva gli occhi aperti, ma era come se non li avesse affatto. Era completamente buio. Dedusse di avere un sacco sulla testa.

Di due cose era certo: era legato in ginocchio con un sacco in testa, e si trovava fuori. Riusciva ad udire delle urla provenire da una folla in delirio e il calore del sole battere sulla propria pelle. Per il resto, non aveva la minima idea di cosa stesse accadendo.

Dov’è Bill.

‹‹Abbiamo catturato il nostro guerriero!›› si sentì afferrare per i capelli e, improvvisamente, un’abbagliante luce lo stordì, costringendolo a tenere gli occhi chiusi per svariati secondi. Non riusciva a mettere a fuoco ciò che, la sua vista, gli stava proponendo. Vedeva migliaia di sagome davanti a sé che si muovevano ed esultavano felici.

Dov’è Bill.

‹‹Troppo sangue inglese, ha versato su questa terra. Troppe madri di famiglia, ha lasciato vedove…›› altre esultazioni. Altre urla. ‹‹…è arrivato il momento di ripagare il sangue…con il sangue.›› un altro strattone, questa volta più forte. Il soldato inglese lo costrinse a piegare la testa all’indietro, mettendo in bella mostra la sua gola.

‹‹Questi due scozzesi dovranno ripagare con il loro sangue!››

La gente era inferocita. Esultava e delirava ad ogni parola che pronunciava il comandante dell’esercito inglese. Solo quando riacquistò appieno la propria vista, riuscì a capire cosa stesse accadendo. Stava per essere giustiziato.

Dov’è Bill.

Deglutì a fatica. Il suo collo era messo in una posizione del tutto innaturale.

‹‹Giustiziamoli!›› sentì l’urlo del comandate e nuovamente quello della folla. Solo allora il soldato lasciò la presa, permettendo a Thomas di tornare diritto. L’intera popolazione inglese era presente quel giorno.

Bill.

Istintivamente, Thomas rivolse il proprio sguardo alla sua sinistra. Bill era lì. In ginocchio, con le mani legate dietro la schiena e la corda attorno le caviglie. Nemmeno lui aveva più il sacco. Il suo capo era rivolto verso il basso. Respirava. Non era morto, ancora.

‹‹Wilheeeelm!›› il suo grido non riuscì a sovrastare il frastuono delle migliaia di voci ma, come se l’avesse sentito, Bill alzò lentamente lo sguardo, rivolgendolo verso di lui. I loro occhi si incrociarono e, da quel momento in poi, non si persero più. Vide il boia avvicinarsi lentamente. Aveva la sua spada in mano. Quella spada con cui aveva tolto la vita a molti soldati inglesi; quella stessa spada, con cui avrebbero posto fine alla loro vita.

‹‹Uccideteli!›› ordinò il comandante. La folla esultò, contenta di assistere a quel macabro momento. Il respiro di Bill si fece irregolare; Thomas lo poté notare dal suo petto. Andava in avanti e indietro molto rapidamente. Strizzò gli occhi e le lacrime amare cominciarono a rigargli il viso. Non distolse mai lo sguardo da lui.

‹‹Ti amo…›› mimò Bill con le labbra. Un’espressione di dolore sul suo volto.

‹‹Ti amo…›› ripeté Tom. Il suo cuore batteva all’impazzata ogni qual volta il boia faceva un passo verso di lui. Era finita. Era stato sconfitto. Non ce l’aveva fatta.

Il boia lo raggiunse, piazzandosi dietro di lui. Fece roteare la spada tre volte sopra la sua testa, prima che questa si schiantasse violentemente contro di lui. Tom riuscì in tempo a chiudere gli occhi, prima di vedere la decapitazione dell’amore della sua vita. Capì che l’esecuzione era appena avvenuta, solo quando sentì la folla urlare più forte e nonostante le grida gli martellassero le orecchie, riuscì a percepire il corpo di Bill che cadeva per terra, ormai privo di vita. Non ebbe il coraggio di guardare.

Volse così la propria attenzione al sole. Sentiva il calore battergli sul viso. Le lacrime continuavano a correre lungo le sue guance e, il cuore, chiedeva pietà.

‹‹Ultima parola prima di morire, Thomas Wallace?››

Tom né rispose, né distolse lo sguardo dal sole. Respirò profondamente e buttò tutto in un colpo. Sentì i passi pesanti del boia dietro di lui. Un forte spostamento d’aria sopra la propria testa. D’un tratto però, tra la folla, giurò di aver visto Bill quando ancora aveva appena quattordici anni, sorridergli tranquillo, che gli faceva cenno con la mano di venire da lui.

Ricambiò il sorriso e, inconsciamente, gli disse che stava arrivando.

   
 
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