Unable
to stay, unwilling to leave
{Storia
partecipante al contest “All Those Years Living In a Blur” di _Jacaranda
(Little_Cricket su EFP) indetto sul forum di EFP}
New
York era avvolta da una pesante cappa di umidità, talmente densa da rendere
l’aria irrespirabile; si appiccicava sulla pelle nuda e s’insinuava tra i
vestiti, quasi volesse intrappolare gli abitanti nel suo sgradevole abbraccio. Nonostante
ciò, Alec si ostinava a girare per la città indossando un paio di jeans
sbiaditi e una logora felpa nera. Aveva sfruttato la prima occasione utile per
allontanarsi dall’Istituto e farsi una passeggiata, cercando di ignorare la
gamba dolorante: non si era ancora interamente ripreso dallo scontro con
Abbadon, tuttavia non aveva potuto fare a meno di prendersi del tempo per sé.
Troppe
cose erano accadute in quegli ultimi giorni, troppe notizie andavano
metabolizzate: Jace e Clary, il ritorno di Valentine, il tradimento di Hodge...
Era come se la realtà fosse collassata su se stessa, trasformandosi in un
incubo caotico e crudele. In tutto quel marasma, il primogenito dei Lightwood
si era visto perduto, al punto da trovarsi sospeso tra la vita e la morte solo
per dare prova delle sue capacità; se non fosse stato per Magnus...già, Magnus:
era lui il problema, o forse la risposta? Alec non lo aveva ancora capito, per
questo motivo era andato a fare quattro passi: il suo parabatai, pur non ammettendolo,
era in piena crisi e ora più che mai aveva bisogno di lui, per cui non poteva
permettersi il lusso di crogiolarsi nella sua confusione.
Mentre
camminava senza metà, lasciò che la sua mente si perdesse tra i ricordi nella
speranza di poter trovare qualcosa a cui aggrapparsi. Bastava un indizio, una
semplice emozione sfuggita al suo controllo per capire cosa fare per risolvere
la sua impasse interiore: in quel momento, il cuore dello Shadowhunter era
diviso tra il suo primo amore e il suo primo spasimante. Una fitta alla gamba
lo costrinse ad appoggiarsi al muro più vicino, imprecando a denti stretti per
l’inopportuno cedimento fisico.
Alzò
lo sguardo per cercare di distrarsi dal dolore e rimase colpito da ciò che
vide: davanti a sé, l’Empire State Building si ergeva in tutto il suo
splendore, protendendosi con eleganza fino al cielo. Quell’edificio longilineo
era così maestoso da lasciare senza fiato chiunque lo guardasse, incluso lo
stesso Alec; in fin dei conti, quando s’impegnavano i mondani sapevano creare
qualcosa di veramente magnifico. Mentre si perdeva a osservare quella
meraviglia, sentiva il suo corpo diventare sempre più leggero e un timido
sorriso si affacciò sul suo viso, illuminandolo: era così assorto in quella
visione estatica da non accorgersi che qualcuno dall’altra parte della strada
lo stava fissando sornione, le dita piene di anelli che tamburellavano sulla
cintura nera Louis Vuitton.
Incapace
di restare immobile, la persona si avvicinò con apparente noncuranza, certa di
passare inosservata: non aveva fatto i conti però con i sensi sviluppati del Nephilim,
il quale con la coda dell’occhio aveva captato un movimento nelle immediate
vicinanze e si era voltato di scatto, per poi pentirsene amaramente. Non solo
quella reazione rapida gli aveva procurato un’altra fitta, per giunta
l’incontro-scontro con il Sommo Stregone di Brooklyn lo aveva stupito al punto
da farlo sobbalzare e fargli sbattere la testa contro il muro a cui era
appoggiato.
«Alexander!
Tutto bene?» domandò Magnus con apprensione, facendo un passo verso il ragazzo
che, però, mise una mano avanti per fermarlo: un paio di giorni prima erano
usciti insieme, concludendo la serata con lunghi e profondi baci, tuttavia Alec
era stato abbastanza chiaro sul fatto che non voleva si sapesse in giro. Per
quanto fosse stato bene quella sera e per quanto fosse preso dal Nascosto, il
giovane Lightwood era ancora troppo combattuto per potersi lasciare andare e
vivere una storia d’amore alla luce del sole. Se qualcuno li avesse visti insieme,
la reputazione della sua famiglia sarebbe stata rovinata e lui non se lo
sarebbe mai perdonato: non voleva deludere i suoi genitori, tanto meno
danneggiarli per una storia che non sapeva se definire tale.
«No...voglio
dire, sì...ehm, cioè...non lo so più, Magnus. Non so più cosa sia giusto e cosa
no...» rispose lo Shadowhunter con una sincerità disarmate, la stessa che aveva
colpito lo Stregone fin dal primo istante in cui lo aveva visto.
«Riguarda
me e te, o te e il biondino?»
«Riguarda
entrambi, ma al tempo stesso nessuno: è complicato...» sospirò affranto Alec,
le gote leggermente imporporate per l’imbarazzo: si stava veramente confidando
con il suo ragazzo/non-ragazzo, colui che, insieme a Clary, aveva sconvolto la
sua vita sentimentale?
«Credimi,
Alexander,» replicò il Sommo Stregone di Brooklyn con un sorriso bonario «ho
vissuto abbastanza a lungo per capire certi problemi. Fammi indovinare: al
momento ti senti di fronte a un bivio, da una parte c’è quel Nephilim e
dall’altra ci sono io, dico bene?»
Le
iridi blu del Cacciatore furono illuminate da una strana luce mentre annuiva
guardingo, le mani che si torceva a vicenda per trovare il coraggio di dire ad
alta voce ciò che da troppo tempo teneva dentro.
«Magnus,
tu mi piaci per mille ragioni diverse: sei imprevedibile, divertente,
attraente... Insomma, sei praticamente perfetto, solo che...che io non...che
tu...»
«Solo
che io non sono Jace, giusto? Tralasciando la gioia che mi dà la conferma di
non avere nulla in comune con quel ragazzino spocchioso, sappi che sono
consapevole di quello che provi, non devi giustificarti con me. A me piaci tu
proprio perché sei tu, non devi sforzarti di essere quello che non sei...»
disse Magnus con dolcezza, mascherando il dolore che provava al pensiero di
Alec tra le braccia dell’altro Nephilim.
«Non
è solo questo il problema: tu hai già avuto altre esperienze, mentre io sono
ancora alle prime armi. Tu sei abituato a vivere alla luce del sole, mentre io
non ci riesco. Tu sei coraggioso, mentre io sono solo un codardo. Sarebbe
ingiusto da parte mia condannarti a questo, sarei solo un vile egoista...»
Le
dita di Magnus si posarono sulle labbra del giovane per zittirlo, gli occhi
felini velati da lacrime di commozione che il giovane Lightwood non riusciva a
capire.
«Alexander,
tu non mi stai costringendo a fare un bel niente, sono io che voglio stare con
te. Sono consapevole della tua inesperienza e della tua confusione ed è proprio
per questo che voglio vivere ogni attimo in tua compagnia, senza pressioni e
senza fretta: quando sarai pronto, farai la tua scelta e nessuno oserà
criticarti o sbeffeggiarti se non vorrà vedersela con me, chia...»
Lo
Stregone stava per finire la frase, ma le labbra di Alec furono più rapide
delle sue: senza preavviso, il Nephilim lo attirò a sé e gli diede un bacio
leggero ma pieno di gratitudine. Quelle parole erano tutto ciò di cui aveva
bisogno e solo Magnus era stato in grado di dirgliele. Sebbene quella fastidiosa
impasse fosse ancora presente nel suo cuore, ora si sentiva più sicuro e
motivato, pronto a supportare il suo parabatai in quel delicato frangente e a
vivere lo stravagante rapporto che aveva intrecciato con il Nascosto senza
troppe paturnie.
Qualche
minuto dopo i due amanti si erano separati, tuttavia al suo rientro il Cacciatore
aveva trovato una piacevole sorpresa sotto il cuscino: una piccola palla di
vetro con la neve, al cui interno c’era una miniatura dell’Empire State
Building. Alec sorrise sereno mentre agitava il globo, ripensando alla
conversazione avuta qualche ora prima e al primo bacio che lui e Magnus si
erano scambiati in pubblico. Se c’era una cosa che lo Stregone sapeva fare era
vivere alla giornata, magari stando al suo fianco avrebbe imparato a farlo
anche lui, no?
«Alec!
Dannazione, è tutta la mattina che ti cerco: vuoi venire ad allenarti o devo
inseguirti per l’Istituto con una spada angelica?!» sbraitò Jace dal corridoio,
costringendo lo Shadowhunter a nascondere in fretta e furia il regalo sotto il
cuscino e a precipitarsi fuori dalla stanza: era molto meglio che il suo
parabatai pensasse che fosse imbarazzato per il ritardo piuttosto che per la
sua relazione clandestina, no?