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Autore: dimouniak    23/03/2015    1 recensioni
La vecchiaia porta via molte cose, come il colore dagli occhi di un uomo che nella sua vita si riempie di sfumature di grigio. Ma non sempre la vecchiaia lascia che la polvere e la cenere ricoprano un vecchio cuore, che si scopre ancora capace di amare e meravigliarsi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il gelo tormentò le ossa del vecchio guerriero seduto sulla veranda, in quella scura penombra dell'alba della stagione invernale, in un giorno indefinito di un tempo indefinito, là, tra le colline della terra dove un tempo i cavalli correvano selvaggi, una terra che a lui apparteneva dagli avi dei suoi avi, in cui il sangue e la linfa del suolo stesso si fondevano a dar vita ad un'eterea discendenza di uomini che col tempo era divenuta grigia e sterile come coloro che avevano vissuto lì. Faceva così freddo che i respiri nemmeno si trasformavano in condensa, ma direttamente in ghiaccio, e sopratutto nebbia, che oscurava la vista da qui a due metri. 
Oltre il legno che componeva per intero la tettoria, di un un freddo marrone scuro, il resto della visuale era ammantato in un grigiore spettrale ed austero che trasformava il panorama in forme distorte e apatiche. Il vecchio guerriero sentiva da tempo i propri occhi divenire come quelle forme che svanivano, ammantarsi di nebbia a loro volta. Stava abbandonando quel mondo che ormai era andato troppo avanti.
Gli uomini che avevano vissuto troppo tempo a contatto con quel panorama fatto di colline infinite, senza nulla a proteggerli dai gelidi venti del nord  che sussurravano da montagne nascoste dal mare di nebbia, la cui vita era andata avanti in un'esistenza priva delle forme del mondo che correva al galoppo verso il futuro, quegli uomini, presto, divenivano polvere, sgretolati dal vuoto e da quella stessa nebbia che presto li oscurava tutti, che li nascondeva agli occhi del mondo. Tutti guerrieri, tutti che, prima o poi, versavano il sangue, la loro linfa, nella terra, che perdevano la loro speranza dietro il metallo delle spade e l'acciaio delle corazze che non avevano mai brillato al sole di quelle colline, scomparso da centinaia di anni, divenuto forse anch'esso polvere come le sterili terre che lo inghiottivano. C'era la luce, c'era il buio, ma erano solo sfumature dello stesso tono di grigio. Immutabili.
Il vecchio guerriero di battaglie ne aveva viste a iose, e nonostante tutto non era mai il sangue dei nemici e degli amici caduti, non era mai il suono degli zoccoli dei cavalli al galoppo o le trombe dei combattenti che li spronavano, non erano le effigi, sempre diverse, sempre effimere, che indossavano o i colori dei vessilli al vento o, appunto, il calore o il gelo di quei venti, ma il grigio, la lucente apatia del metallo di quelle armi, il colore delle pelli d'acciaio temprato di chi lo affrontava. Il mondo era grigio, e gli occhi del vecchio guerriero non pensavano che a quello, divenendo sterili di ricordi più caldi, colorati, felici. Il mondo era andato troppo avanti, ed il vecchio guerriero diveniva polvere con esso, un bieco ricordo.
Ma c'erano giorni in cui il colore s'affacciava nei suoi pensieri: c'erano giorni in cui toni caldi infondevano una delicata linfa nelle ossa, che lo tenevano ancora ancorato a quelle sterili colline. Ripensava a sua figlia, anche lei una guerriera, partita tanto tempo prima per la guerra e mai tornata: ripensava ai suoi occhi delle stesse sfumature del cielo, ed alle pagliuzze verdi nei giorni scuri passati davanti al fuoco del camino quando l'inverno era troppo freddo per arrivare in città, a quella pelle pallida come la neve che circondava guance morbide e rosse come le mele. Il vecchio guerriero guardava oltre la nebbia attendendo il suo ritorno ogni giorno, ma la figlia non tornava mai. Ed anche se la speranza svaniva ogni giorno un po' di più, sedeva comunque ogni giorno sotto quella veranda ed attendeva. Ma la cenere tornava ad affacciarsi, di nuovo, ed il colore e la fiamma che portava nel suo cuore, affievoliva. 
Un giorno molto più scuro ed annebbiato degli altri, quando nemmeno la pioggia della primavera in arrivo riusciva a dipanare il banco nebbioso formatosi attorno alla propria figura, il guerriero fumava sulla sua veranda una lunga pipa ricavata dallo stesso legno degli alberi attorno alla casa. Gli occhi si piantarono verso est, sicuro della direzione, dove le fronde degli alberelli radi ed incostanti, piegati da anni di magra, erano appena scosse da un soffio quasi divino quando, improvviso e che squarciò il silenzio delle colline, un rumore di passi ed un tonfo sordo gli scatenarono dei brividi dietro la schiena. Per un po' fu il silenzio, da parte propria, chiedendosi se la morte fosse giunta per lui, se fosse il momento in cui abbandonava per sempre quelle colline assenti di vita, ma un fuoco parve risvegliarsi, non era ancora pronto, nonostante tutto, e si alzò, stanco, massiccio, da quella seduta per issarsi nella veranda e scendervi, andare a vedere perché la morte, signora invisibile di tutte le cose, aveva fatto tanto rumore nell'avvicinarsi a lui, e sopratutto aveva compiuto quel passo di troppo da creare un simile baccano.
Scese i pochi gradini della veranda, appiattendosi al terreno quando da sotto il legno ripescò nella polvere un ferro, vecchio ed a tratti smussato, ma ancora pesante, il solo afferrarne l'elsa testa di drago rendere vive le dita artritiche, risvegliare i possenti muscoli delle braccia. Brillò, nel giorno scuro, di una luce pallida e sbiadita, come i ricordi di come usarla che si stavano pian piano risvegliando, ed i suoi passi pesanti e sicuri del terreno verso quell'est che aveva portato il tonfo, seguendo la pista di un lieve rumore di gemiti silenziosi. Ma non abbastanza da non fargli intuire la posizione, si diresse fiero come non ricordava d'esser mai stato, sino alla morte.
Si fermò solo ad una coppia di alberi, unico luogo per molto lontano in cui qualcuno avesse potuto nascondersi, lì dove le tombe dei suoi avi e dei suoi familiari riposavano statiche ed abbandonate, ma mai dimenticate, in una cripta la cui entrata era nascosta a chiunque. E lì proprio attese un gesto della morte che mai arrivò, perché ad attenderlo, seppur inaspettato, non v'era la morte che cercava, bensì un fagotto lurido e dalle movenze di serpente.
Il giovane uomo che vi trovò si teneva una gamba dolorante, gemiti borbottati in una voce calda ed ancora infantile che imprecavano della poca attenzione, un manto del colore del fuoco a chiudere un corpo che non era quello di un uomo, ma troppo grande per essere un bambino. Era un ragazzo dai corti capelli neri e la pelle della neve, le guance dipinte di un rosso delicato che mostrava l'imbarazzo ed il dolore, e gli occhi blu, screziati di pagliuzze grige che brillavano nell'oscurità del giorno, anche se ancora non accennava ad iniziare.
Il guerriero lo fissò per un tempo che pareva non finire mai, forma indefinita tra le illusioni della nebbia che s'alzava irrompendo sempre più. Alla fine alzò la propria voce, roca e graffiante, ma che aveva ancora il sentore degli anni di fierezza e gioventù, un qualcosa che, al sentirsi da solo, gli fece paura, ma ne regalò anche un certo orgoglio.
Chi sei, tu? Sparisci dalla mia terra, o morirai per mano mia!
Al che il giovane alzò la testa, mostrando i lineamenti pallidi ed infantili, occhi coperti da un velo di lacrime che non voleva far uscire, un'espressione che regalò al vecchio guerriero una recondita sensazione alla bocca dello stomaco, un tuffo in cui vi gettò parte del proprio, malandato, cuore.
Non fatemi del male, signore! Non sono che un viaggiatore, un cantastorie! Vi prego, aiutatemi e ne riceverete una grande ricompensa!
E parte della ricompensa, il vecchio guerriero decise, era già vedere nell'asprezza di quella terra tanto colore, tanta giovinezza, ma non lo mostrò: rimase impassibile, il viso rigato di crepe della vecchiaia e smorto del grigiore della linfa ormai quasi perduta della sua discendenza, una discendenza di cui era l'ultimo, non avendo più la figlia a salvarla dalla scomparsa. 
Lo portò nella sua casa, aiutando il ragazzo a muoversi usandosi egli stesso come perno per farlo camminare, il braccio del giovane che a fatica arrivava alla sua altezza, a cingerne le spalle ancora larghe, ancora un fascio di muscoli, ancora cariche di una forza che stava lentamente morendo, dimenticata nella staticità del luogo. Lo fece accomodare davanti al fuoco, che nel pallore generale, quando la cappa del ragazzo fu a portata di calore parve risplendere di una certa vita e di un certo calore, che la pelle del vecchio guerriero non sentiva da nni, troppi anni. 
Dinnanzi a quel fuoco, parlarono presto di molte cose: il vecchio guerriero scoprì che il giovane proveniva dalla città, ed era figlio di una coppia di mercanti che da molto poco s'erano conosciuti quando egli nacque nel loro talamo nuziale, che i suoi genitori presto lo spinsero a viaggiare alla ricerca di coloro che pagassero per avere da lui una storia, ed impararne sempre di nuove. Ed il giovane bardo chiese la sua al vecchio guerriero, la sua e di quelle colline grigie, fredde, dalla vita assente. Restio a parlarne, alla fine davanti ad un bicchiere di vino ed una fetta di pane col formaggio passarono il giorno scuro e piovoso davanti al fuoco, ed il vecchio guerriero, animato di momento in momento dalla vita che i ricordi gli portarono man mano che li ricacciava dalla memoria per regalarli al giovane, sentiva una serenità che da ormai troppo tempo mancava nell'aria che circuiva la casa e le brughiere annebbiate del suo cuore ormai debole e privato di gioia.
Gli narrò delle sue origini nel fuoco e delle battaglie per difendere vessilli di cui a stento ricordava il nome, di compagni ed eroi, nemici abili ed onorevoli ed altri le cui voci risuonavano nelle sue orecchie anche quando il tempo aveva tolto dai suoi occhi le loro facce. Narrò a lungo dei cavalli che una volta galoppavano e brucavano l'erba fresca della rugiada del mattino, del sole che sorgeva nella direzione da cui il giovane proveniva. La direzione, gli narrò ancora a lungo, da cui non vide mai tornare la figlia perduta, e di lei, della sua bellezza e fierezza, della forza che egli le aveva donato e del cuore gentile che ella aveva donato lui, un cuore che poi era avvizzito, cenere nel fuoco dei ricordi, ma che sapeva ancora dolerne, nonostante gli anni ormai trascorsi.
Il giorno passò veloce, ed altrettanto veloce venne la notte, ed era ormai buio pesto quando il vecchio guerriero aveva ormai sviscerato ogni suo sapere al ragazzo. Il bardo, di suo, si tolse la cappa, fuoco e rosso che brillarono di luce propria nella stanza polverosa, vecchia, a tratti marcia.

Il mio regalo per voi, mio signore. Non possiedo nulla di più prezioso, e se lo rivendete in città ai miei stessi genitori essi vi faranno dono di infiniti tesori! Vi prego, accettatelo!

Ma mentre il ragazzo parlava il cuore si tuffò, stringendosi in una morsa che il vecchio guerriero mai prima d'allora aveva mai sentito. Si piegò su sé stesso, i grandi occhi blu che si riempirono di lacrime amare, ma le labbra secche, nascoste dal barbone scuro, si piegarono in un sorriso. Il giovane tentò di tenerlo dritto, poggiò la schiena possente alla sedia, ma le mani non lasciavano quel vecchio cuore, tanto grande quanto, di nuovo, pieno di vita, vita che lo stava lentamente lasciando. Le lacrime corsero ad entrambi, piansero insieme per brevi momenti.

Muoio, felice di aver conosciuto la stirpe delle colline di cenere. Muoio, felice di aver rivisto il colore in queste terre, e la luce negli occhi tuoi, mio caro nipote. Bacia tua madre, che possa perdonare questo vecchio stolto per non averla rivista più.

E la morte, così come l'aveva sentita, prese il cuore di nuovo vivo del guerriero, addormentandosi entrambi nelle spire del giorno che venne.
Un giorno che fu triste, in cui il giovane, a conoscenza della locazione della cripta dei suoi avi, fece riposare infine il vecchio nonno, per sempre con un nuovo sorriso a stendere la fredda e grigia pelle nel sonno della morte. Pianse, ma durò poco, poiché poi alzò gli occhi al cielo, e vide qualcosa che il vecchio guerriero tanto gli aveva narrato, che sapeva egli aveva sperato, e che ora giungeva nella sua bellezza infinita.
Il sole sorse, brillò in un cielo terso che dissipò le nubi dei caldi venti del sud, e le colline polverose, cenere in un mondo consumato dal fuoco, tornarono verdi e rigogliose come mai era successo negli anni passati, che nessuna primavera aveva mai più mostrato all'uomo, e fiori di tanti tipi diversi colorarono il paesaggio finalmente vivo e fatto di una nuova luce. Il tutto in memoria di un vecchio stolto che aveva ritrovato l'amore e la speranza.
   
 
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