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Autore: Chamelion_    16/12/2008    6 recensioni
Ignobile lo scultore. Avaro il tempo. Meschino il mio corpo stesso. Inetta la mia lingua.
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un altro giorno è passato. Un altro giorno passato a riempire fogli su fogli di informi scarabocchi colorati, a litigare con i pennarelli perché facessero quello che ordinavo loro; un altro pomeriggio passato in questa familiare stanza, lasciandomi riempire le orecchie di musica popolare, di cui non mi rassegno a riconoscere l'inutilità del tentare di afferrare le note, per farle mie: trasmetterle alle mie membra, sentirne il ritmo, muovermi a tempo e... ballare?
Un'altra serata densa di sorrisi, tesi verso di me nel tentativo di frugarmi e cercare dentro di me quella cosa che palesemente manca. I soliti cari sorrisi, inframezzati, qua e là, da qualche sorriso costruito, come un fragile ponte cartaceo che vorrebbe apparire solido -specialmente a se stesso- , ma non riesce a nascondere l'assenza della speranza che anima quegli altri ponti saldi: la speranza che questo frugare dentro di me possa portare a trovare qualche cosa. Non so dire se, mentre lascio che i loro sorrisi mi frughino, ho speranza che trovino dentro di me quello che in superficie non riescono a trovare; mentre percepisco che tra loro non hanno bisogno di frugarsi, capisco che solo così facendo possono sperare di trovare qualcosa che hanno loro anche in me. Non so dire se possiedo la fiducia di quelli che cercano dentro di me, o se non la possiedo, come quelli che ritengono inutile una ricerca. Non lo so dire. Io mi lascio frugare... Chissà che non trovino quello che sto cercando anche io.
In fin dei conti, quello che cerco non è nulla più di quanto vedo in chi mi sta intorno.

Chi mi riparlerà di domani luminosi, dove i muti canteranno e taceranno i noiosi?



Ignobile lo scultore: le sue mani erano scheggiate quando distratto, incurante, plasmò i lineamenti del mio viso.
Avaro il tempo: per dieci anni che pesano sul mio corpo, di cinque priva il mio aspetto agli occhi degli altri, cinque e anche più ne sottrae alla mia mente.
Meschino il mio corpo stesso: sonnolento, intorpidito, cocciuto adolescente che non obbedisce ai mie comandi.
Inetta la mia lingua: cavalcatura imbizzarrita che rifiuta i comandi che i fantini, i miei pensieri, cercano d'imporle.

Le parole che dico non han più forma né accento:
si trasformano i suoni in un sordo lamento.

Perchè non hanno fatto delle grandi pattumiere per i giorni già usati, per queste ed altre sere?
E soprattutto chi e perchè mi ha messo al mondo, dove vivo la mia morte con un anticipo tremendo?



Maledetta lentezza, maledetta la mia mente lenta, maledetta la mia mente che mi mente, che vuole farmi credere che la lentezza della mia mente è solo un inganno della mia mente. Malgrado però le menzogne della mente, so che la mia mente è tiranna, so che mai mi renderà abile a scrivere una cosa come questa. E dire che di cose da dire ne avrei da dire, se solo sapessi dire quello che voglio dire, se solo potessi pensare quello a cui sto pensando di pensare e di dire...

Un'altro gorno e pasato. Un'altro, è non e cambiato gnente. E ne passerano tanti. Tu che mascolti insegniami un'alfabeto che sia diferente da quelo della mia...

...mente.

















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Dedicato a Jessica, la prima ragazza "down" con cui abbia avuto un vero contatto (oggi pomeriggio). E a tutti quelli che conoscerò in futuro. E a tutti soprattutto a tutti quelli che non conoscerò mai.


  
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