Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    23/03/2015    4 recensioni
«Ricordi sbiaditi, luci soffuse, amori spezzati e ombre evanescenti. Il tempo si porta via tutto: anche le nostre storie.» — Dal Capitolo IV
Sono passati alcuni mesi dalla fine delle scuole superiori, e ogni membro dell'ex Generazione dei Miracoli ha ormai intrapreso una strada diversa.
Kuroko è rimasto solo, non fa altro che pensare ai chilometri di distanza fra lui e Kagami, tornato negli Stati Uniti.
Tuttavia, incontrato uno dei suoi vecchi compagni di squadra della Teiko, Kuroko comincia una crociata per poter ripristinare la vecchia Gerazione dei Miracoli, con l'aggiunta di nuovi membri, scoprendo, attraverso un lungo e tortuoso percorso, realtà diverse e impensabili.
«La Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.» — Dal Capitolo VII
[Coppie: KagaKuro; AoKise; MuraHimu; MidoTaka; NijiAka; MomoRiko; forse se ne aggiungeranno altre nel corso della fanfiction.
Accenni: AkaKuro; KiseKuro; MiyaTaka; KiMomo; KuroMomo; KagaHimu.
Il rating potrebbe salire.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altri, Ryouta Kise, Satsuki Momoi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hall of Fame'
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Capitolo XXXIX





Siamo raggi di sole che trafiggono le ciglia e si insinuano fra le dita, siamo l'onda impetuosa che si infrange sulla sabbia dorata e la intinge d'oscurità.

Murasakibara increspò le labbra in una smorfia, le schiuse in un rantolio sommesso e, appena dopo aver gonfiato le guance, sbuffò sonoramente; Kise, che aveva continuato a camminargli accanto, contemplò le sue gote vagamente arrossate dal calore che aleggiava nel supermercato, la pelle liscia e tesa che all'improvviso si rilassò e si decontrasse - come un palloncino trafitto da uno spillo -.
«Mukkun!» Momoi, al contrario di Kise, sembrò offendersi al sonoro sbuffo di Murasakibara e quindi gli punzecchiò il gomito con le dita, emettendo un sommesso mugolio lagnoso.
«Se-chin, Sa-chin, lasciatemi in pace!» Murasakibara era certo che molto presto avrebbe vissuto l'esperienza della crisi di nervi, perché quei due intasavano il suo cellulare con sms di ogni tipo e molto spesso si presentavano al locale sostenendo che si trovavano lì per Aomine quando, invece, si recavano immediatamente in cucina e cominciavano a tartassarlo con le loro voci lagnose e fastidiosi pizzicotti sulle braccia. Quel che Atsushi non riusciva a sopportare in quel momento, tuttavia, era il fatto che Momoi e Kise si fossero decisi a rovinare un evento tanto importante e vitale come quello della spesa: per colpa loro si ritrovava a correre da uno scompartimento all'altro senza fare troppa attenzione a ciò che infilava nel carrello e ogni volta che giungeva alla cassa si stupiva del prezzo sempre troppo alto - questo perché, ovviamente soggiogato dalla fretta e dal nervoso, ignorava il costo dei prodotti prescelti -.
«Non dico che dovresti andare a Los Angeles, ma almeno chiamalo!» Satsuki strepitò con voce argentina «che ti costa?»
«Io dico che dovrebbe andare a Los Angeles, invece.» Kise replicò con calma, affiancandosi al carrello di Murasakibara e attorcigliando le dita della mano sinistra alla fitta rete di maglie metalliche, forse nel tentativo di arrestare - o per lo meno rallentare - quella che ormai si poteva definire senza alcun dubbio una corsa.
Atsushi non riusciva a capire perché insistessero così tanto.
Un tempo erano stati compagni di scuola e di squadra, ma di certo non poteva vantare di aver stretto grandi amicizie in quel periodo, - come in tutta la sua vita, del resto -, tanto meno con Kise e Momoi, e allo stesso modo era convinto che neppure Himuro fosse riuscito ad instaurare con loro un vero e proprio rapporto di fiducia e confidenza reciproco tale da condurli alla disperata ricerca di una soluzione, quindi non riusciva davvero a comprenderne il motivo - e questo lo innervosiva ancora di più della loro stessa presenza -.
Forse volevano aiutarlo perché anche loro erano innamorati e credevano di sapere perfettamente come ci si sentisse in una situazione del genere, peccato che un ragionamento simile agli occhi di Murasakibara li facesse sembrare solamente due presuntuosi ficcanaso.
«Non puoi continuare a farti raccontare tutto da Kagamicchi!»
Murasakibara serrò le labbra e allargò le narici, sfiatando sonoramente: Kise non sapeva quello che diceva, perché, sì, molto spesso lasciava che Kagami gli desse notizie di Himuro, ma non gli raccontava tutto. Era quasi scontato che l'ex asso del Seirin cercasse di eluderlo, di omettere particolari nemmeno troppo insignificanti, ma lui ascoltava in silenzio e annuiva appena, non osava chiedere di più perché nonostante vi fosse una parte di lui che desiderasse ardentemente sapere qualsiasi cosa, l'altra si struggeva al solo pensiero di una parola in più.
Murasakibara, in cuor suo, aveva cominciato a conoscere il peso delle parole e a intuire la loro forza distruttiva - probabilmente aveva iniziato a comprenderle riflettendo proprio su quelle che lui e Himuro si erano detti prima della partenza di quest'ultimo -.
«Muro-chin sta bene, non c'è bisogno che io lo chiami.» perché effettivamente era questo che Himuro voleva far credere a tutti, ma Kagami stesso sosteneva che l'altro avesse cominciato ad erigere un muro di bugie in funzione di difesa e, d'altro canto, bastava guardarlo negli occhi per capire, almeno a giudicare dalla nota di malinconia che Murasakibara credeva di scorgere ogni volta, che non era affatto convinto di ciò che gli riferiva.
«Non c'è bisogno che io vada fino a Los Angeles.» riprese con voce flebile, virando con un movimento veloce del busto e ascoltando le ruote sottili del carrello stridere contro il pavimento polveroso del supermercato.
«Mukkun, guarda che se non vuoi andare da solo ti basta chiedere.» Momoi esordì e si dichiarò a completo sostegno dell'altro, che si lasciò scappare un flebile sbuffo.
«Ho detto di no...» Murasakibara ribatté con tono annoiato e, una volta arrestatosi di fronte alla cassa, cominciò ad estrarre dal carrello pacchetti di patatine di ogni gusto possibile e una quantità spropositata di dolciumi fra caramelle, tavolette di cioccolata e merendine, sistemandoli frettolosamente sul rullo scorrevole.
Nel momento in cui il commesso annunciò il costo totale e Murasakibara estrasse il portafoglio dalla tasca della giacca, Momoi ne approfittò per rivolgere un'occhiata sconsolata a Kise, che sbuffò appena e negò con un movimento della testa.
«Anche io ho parlato con Himurocchi, sai?» tuttavia, Ryouta non aveva alcuna intenzione di arrendersi - anche a costo di dire qualche piccola bugia pur di smuovere le acque -.
«Eh?» Murasakibara inarcò appena un sopracciglio e gli rivolse un'occhiata repentina, per poi tornare a fissare il pavimento con disinteresse.
«Sì!» Kise sembrò quasi saltellare e fu il primo ad uscire dal supermercato «l'ho chiamato un paio di giorni fa.»
Era vero che aveva parlato con lui, ma se gli avessero chiesto di raccontare sinceramente le sue impressioni avrebbe risposto che gli era sembrato di conversare con una persona arida, completamente svuotata di qualsiasi emozione o sentimento, una persona che aveva perso l'amore e che ne possedeva soltanto un vago e doloroso ricordo.
«Ha chiesto di te, sai?» Kise era consapevole di starsi avventurando in acque pericolose, soprattutto perché Murasakibara avrebbe potuto pensare che Himuro aveva chiesto di lui anche a Kagami e che questo glielo aveva tenuto nascosto, tuttavia prese coraggio e decise di procedere «voleva sapere come stai e mi ha chiesto se eri arrabbiato con lui.»
«Cosa...» Murasakibara mormorò e lo guardò con occhi curiosi «cosa gli hai risposto?»
«Che sei triste, ma non arrabbiato.»
Murasakibara continuò a guardarlo e annuì piano, come incantato dagli occhi color miele dell'ex compagno di scuola.
«Era così dispiaciuto...» anche questa era una delle tante cose che Himuro non gli aveva detto, ma che si poteva capire con estrema facilità dal tono flebile e scostante della sua voce «ha detto che avrebbe voluto rivederti.»
«È l'occasione giusta per contattarlo, Mukkun!» Momoi si decise a dare man forte a Kise «ti conviene farlo il prima possibile, prima che l'umore di Himuro-san diventi cattivo!»
Murasakibara aveva paura. Paura che Kise continuasse a parlare di Himuro e gli raccontasse tutto quello che Kagami gli aveva tenuto nascosto fino a quel momento.
«Momocchi-chan ha ragione!» Kise annuì energicamente e increspò le labbra in un piccolo sorriso, ma Murasakibara non voleva sentire ragioni: in quel momento il suo unico desiderio era potersi scrollare di dosso gli occhi insistenti e brillanti degli altri due.
«Siete fastidiosi.» borbottò, stringendo la presa sui manici dei pacchetti della spesa e resistendo alla tentazione di cominciare a divorarne il contenuto «avrei dovuto distruggervi prima, quando insistevate riguardo al progetto di Kuro-chin.»
Dopotutto la sensazione di fastidio era proprio la stessa che aveva provato qualche mese prima, quando, appena tornato da Los Angeles, Momoi e Kise avevano cominciato a chiamarlo ripetutamente per convincerlo ad accettare la proposta di Kuroko e quindi ad arrendersi all'idea di ripristinare la Generazione dei Miracoli, e quando Himuro, a sua insaputa e sfruttando i suoi continui rifiuti, aveva stretto un patto con l'ex ala piccola del Teikou pur di unirsi a loro.
Kise e Momoi erano due mosche insistenti che continuavano a ronzargli nelle orecchie, fin quasi a fargli sanguinare i timpani, allora cercava di colpirle con schiaffi rabbiosi che fendevano l'aria ma non arrivavano neppure a sfiorare quei due animaletti fastidiosi.
Quelli erano i momenti in cui, pur di non dare ascolto a quei diavoli tentatori, Atsushi ripensava alle parole di Akashi e si scopriva il suo più fedele e leale servitore: era giusto che Himuro se ne fosse andato, era giusto pensare che non sarebbe più tornato indietro, questo perché il suo posto non era fra i membri della Generazione dei Miracoli, ma altrove, ben più lontano. Era un mantra che Murasakibara aveva cominciato a ripetersi da quando l'altro se n'era andato, sempre più frequentemente, seppur contro voglia e con l'amaro in bocca ed un grande dolore nel petto.
«Murasakibaracchi, che ne dici di un uno contro uno?!»
«Umh?» Murasakibara arricciò le labbra e aggrottò la fronte, rivolgendo un'occhiataccia nervosa a Kise.
«Sì, a basket! Chi arriva prima a diec–»
«Non sono Mine-chin.» risolvere i problemi con il basket non era da lui, e poi non desiderava certo correre il rischio di perdere e quindi di ritrovarsi costretto a fare qualcosa contro la propria volontà.
«E poi perderesti sicuramente.» ma nonostante il pensiero di un'eventuale sconfitta, Murasakibara ostentò sfrontatezza e arroganza e si affrettò a punzecchiare e istigare l'altro, che gonfiò le guance indispettito.
«Se sei così convinto di vincere, perché ti tiri indietro?» Ryouta, comunque, dimostrò una certa prontezza ed una certa abilità nel rimbeccare la provocazione del suo avversario.
«Non ne ho voglia.» Atsushi fu sincero: non aveva alcuna voglia di ritrovarsi a marcare e scartare il proprio avversario, sforzare i propri occhi e i propri muscoli pur di mettere a segno più canestri possibili. A malapena aveva voglia di camminare, e lo dimostrava il fatto che non fosse ancora corso via per sfuggire alle appiccicose grinfie di Momoi e Kise.


Quando udì il sonoro sospiro della madre alle sue spalle, Himuro se ne guardò bene dal voltarsi verso di lei.
«Questa è la seconda volta, Tatsuya.» allora fu la donna a muoversi, si affiancò a lui e lo guardò dall'alto in basso con il viso contratto in un'espressione nervosa, stringendo fra l'indice e il pollice l'elastico sottile di un tanga di pizzo che gli sventolò davanti al naso con un movimento concitato della mano.
«Scusami...» Himuro allontanò il viso dall'indumento femminile e cercò di rilassare il busto contro il morbido schienale del divano: nonostante non avesse mai avuto problemi a tenere camera sua pulita e ordinata, sua madre si ostinava a violare la sua privacy ogni volta che poteva pur di controllare che ogni cosa fosse al suo posto. Tatsuya comprendeva le motivazioni che la spingevano a comportarsi così quando era piccolo - dopotutto era una donna sola e si era sempre dimostrata molto materna e apprensiva nei suoi confronti, quindi era logico che volesse assicurarsi che ogni angolo della sua stanza fosse sicuro -, ma a diciannove anni suonati non riusciva davvero a capire perché continuasse ad atteggiarsi in quel modo.
«Tatsuya, dico sul serio.» non le piaceva l'idea che in casa sua vi fossero altre presenze femminili, soprattutto se, come aveva intuito, si trovavano lì soltanto per fare sesso con suo figlio e poi se ne andavano per sempre, lasciando come ricordino delle mutandine succinte.
«Lo so che stai male e che lui ti manca...» Himuro la vide uscire dal salotto e la sua voce si fece improvvisamente più bassa, ovattata, tornando chiara solamente quando fece marcia indietro - molto probabilmente era andata in cucina per buttare via il tanga, visto si trovava di nuovo di fronte a lui ma con le mani pallide e magre libere da qualsiasi impiccio -.
«Però, piuttosto che buttarti via così, non credi che sarebbe meglio trovare qualcuno che ti faccia stare bene? E con trovare intendo stare
Himuro restò in silenzio e si scostò appena, per permetterle di sedersi accanto a lui.
«Capisco che tu non sia pronto, ma devi chiudere questo capitolo più in fretta che puoi, tesoro.» la donna lo guardò e Himuro si soffermò sui suoi occhi acquosi e brillanti, incantato da quel colore particolare che a seconda della luce andava dal castano chiaro fino al verde oliva e al grigio spento.
Era felice che quegli occhi somigliassero tanto ai suoi, così come il viso magro e appuntito e i capelli corvini. Era felice di avere l'aspetto di sua madre.
«Io l'ho fatto con tuo padre.» la donna sussurrò a fior di labbra e tese un braccio, gli accarezzò affettuosamente la guancia, scostandogli il ciuffo con estrema delicatezza per liberare i suoi occhi stanchi dai capelli scuri.
«Ma non ti sei più avvicinata ad altri uomini, non ti sei mai ripresa del tutto.» Himuro parlò piano e socchiuse gli occhi, focalizzando la propria attenzione sulla carezza calda e gentile della madre.
«Non mi interessavano più gli uomini, Tatsuya. Volevo soltanto che tu fossi felice e che non rischiassi di perdere un altro padre, per questo ho deciso di crescerti da sola.»
«Ma sono cresciuto da un po', ormai.»
«Adesso ho il mio lavoro. Non ho tempo per gli uomini.» sua madre gli sorrise «e poi, in tutta franchezza, non mi sembri affatto cresciuto.»
Tatsuya restò in silenzio, ma le rivolse la propria attenzione con un movimento repentino degli occhi.
«Fai i capricci proprio come un bambino, anche se al posto di piangere e battere i piedi per terra frequenti ragazzine che starebbero meglio su una strada e fumi erba.»
«Mamma!»
«Che c'è? Non sono scema, so che odore ha.»
L'espressione lievemente accigliata di sua madre e le labbra leggermente protese gli strapparono un debole sorriso, ma Tatsuya tornò immediatamente serio e forse ancor più sconsolato di prima.
«Pare che, oltre a fare i capricci, io abbia ereditato da papà l'abitudine di scappare quando le cose si fanno difficili.»
La donna scostò la propria mano dal viso del figlio e serrò le labbra, per poi inspirare appena e sfiatare sommessamente.
«Tu sei molto diverso da tuo padre, Tatsuya.» sua madre cercò di nuovo i suoi occhi «tu hai una coscienza e ti sei sempre reso conto dei tuoi errori, in te risiede qualcosa che tuo padre non ha mai avuto e che un giorno ti darà la forza di tornare indietro.»
«Che cos'è?» Himuro non riusciva a smettere di fissarla, pendeva dalle sue labbra proprio come un bambino desideroso di imparare una nuova parola.
«Il coraggio.»


Himuro schiuse le labbra ed emise un sibilo sommesso, rafforzò la stretta sul cellulare, che ancora vibrava fra le sue dita, e continuò a fissare il nome sullo screensaver, forse nella speranza che la chiamata si interrompesse e che, di conseguenza, fosse lasciato in pace.
Kagami lo chiamava quasi ogni giorno, e non che gli dispiacesse, anzi, riservandogli tutte quelle attenzioni, l'altro stava dando prova concreta della sua amicizia, ma le loro conversazioni telefoniche ripiegavano inevitabilmente sul suo litigio con Murasakibara e sul fatto che si trovasse a Los Angeles e conducesse una vita che non gli apparteneva.
Kagami, in occasione di quelle conversazioni, pareva perdere il ruolo del fratello e assumere quello della bocca della verità, e ogni volta che si salutavano per tornare alle loro vite, Himuro si ritrovava a riflettere con gli occhi lucidi e l'amaro in bocca. I loro dialoghi lo straziavano, e dal desiderio di sfuggirvi nasceva la tentazione di ignorare qualsiasi chiamata ricevesse.
Tatsuya sbuffò sonoramente e avvicinò il cellulare all'orecchio.
«Ciao.» in cuor suo, nonostante faticasse tanto a rispondere, sapeva che non sarebbe mai riuscito ad ignorare più di due chiamate di seguito: dopotutto, respingere Kagami avrebbe significato recidere anche l'ultimo, sottile filo che lo teneva stretto a Tokyo, il che sarebbe stato solo un male.
«Ciao.» Kagami rispose di rimando.
«Come stai?» Himuro si affrettò a precederlo, quindi accennò un debole sorriso in attesa di una risposta.
C'era un motivo ben preciso se si dimostrava così diffidente nei confronti di Kagami, in quanto aveva l'impressione che non fosse il solo ad impugnare l'intenzione di dargli uno scossone per spingerlo a tornare in Giappone; se in quel breve periodo era riuscito a capire qualcosa dei membri della Generazione dei Miracoli, era pronto a scommettere che anche Kise - e forse Momoi - fossero coinvolti nella questione.
In quei giorni si era chiesto spesso se anche Murasakibara fosse oggetto delle loro pressioni, e in ogni occasione si era risposto che doveva essere proprio così.
«Io sto bene.» Kagami rispose come se si trattasse di un'ovvietà, come se il malumore di Himuro fosse il rovescio della medaglia dei buonumori altrui e per questo stessero tutti bene - o, per lo meno, meglio di lui -.
«Tu, piuttosto?»
«Bene.» Himuro si strinse nelle spalle dando la solita risposta spiccia, che Kagami accolse con un pesante sospiro di rassegnazione.
«Stavo pensando di riprendere con il basket.» ma Tatsuya non aveva più voglia di sostenere una conversazione fatta solo di domande brevi e risposte ancora più fugaci, quindi riprese a parlare «magari la prossima settimana.»
«La prossima settimana?» Kagami parlò con voce più bassa, poi tacque ed Himuro immaginò si stesse mordendo le labbra, indeciso su come continuare e scoraggiato dal sentirlo parlare del suo futuro a Los Angeles.
«Taiga, a te come sta andando con il basket?» Tatsuya decise di intavolare quell'argomento perché sapeva come gli avrebbe risposto, ovvero che a causa del lavoro aveva iniziato a trascurarlo, quindi avrebbe cominciato a sfogarsi o a raccontargli come andavano le cose al locale e, di conseguenza, avrebbe finito per scordarsi il motivo preciso per cui gli aveva telefonato.
«Tatsuya...» tuttavia, Kagami lo chiamò come se non avesse udito neppure l'eco della sua domanda; Himuro si irrigidì un poco, serrando le labbra con forza e trattenendo il respiro per qualche secondo.
«Tatsuya, non è passato già un bel po' di tempo, ormai? Dovresti tornare a casa.»
«Taiga...»
«No, dico sul serio.» Kagami sospirò pesantemente: doveva essere esasperato, forse perché Kise e Momoi erano per davvero coinvolti nella questione e facevano pressione anche su di lui, oltre che - come sospettava Himuro - su Murasakibara.
«Perché dovrei tornare a Tokyo? Sto bene a Los Angeles, qui c'è mia madre e‒»
«E?» la voce alterata di Kagami sovrastò la sua all'improvviso «oltre tua madre, credo che l'unica cosa che ti tenga ancora legato a Los Angeles sia l'orgoglio.»
Himuro sfiatò sommessamente, affondò il canino nel labbro inferiore senza riuscire a controbattere: Kagami lo aveva punto nel vivo e si stava rivelando, ancora una volta, la bocca della verità.
«Quando siamo tornati a Los Angeles hai sempre cercato di incitarmi a fare chiarezza sui miei sentimenti, di affrontare l'amore a viso aperto.»
Himuro restò in silenzio, incurvò leggermente la schiena, come a ripiegarsi su se stesso, e chiuse gli occhi.
«Volevi che provassi a chiamare Kuroko e che riflettessi, c'erano giorni in cui non facevi altro che punzecchiarmi...» Kagami fece una piccola pausa e si schiarì appena la voce «anche io farò così, se sarà necessario. Non voglio prendere le difese di Murasakibara, ma ormai ha imparato la lezione, quindi è inutile che tu insista per restare a Los Angeles, ti stai facendo del male da solo.»
«Ma tu che ne sai? Che ne sai se sto male o no?» Tatsuya si sentì ridicolo perché, nonostante cercasse di dimostrarsi impassibile, la sua voce aveva subito un evidente fremito che aveva vanificato del tutto la sua piccola farsa.
«Guarda che Alex mi racconta di quando vi incontrate.»
Tatsuya l'aveva pregata di non dire niente a nessuno - e con nessuno intendeva proprio Taiga -, ma allo stesso tempo si era confidato spesso con lei proprio perché era sicuro che, nonostante le sue suppliche, avrebbe riferito tutto all'ex asso del Seirin.
«Che chiacchierona...» non sapeva più cosa dire, voleva solo che la chiamata si concludesse in fretta, quindi si limitò a brontolare qualcosa a sfavore di Alexandra.
«Tu stai male, Tatsuya. Continui a pensarci.»
«È normale che io ci pensi, Taiga, ma un giorno mi passerà.»
«Una volta mi hai detto che...» Kagami esitò, forse perché non ricordava le precise parole o forse perché, più semplicemente, era imbarazzato dalla situazione«nessuno può stare bene in un posto se... umh, sì: se continua a pensare a qualcuno che vive altrove
Himuro fu percosso da un brivido improvviso, aveva le vertigini, come se avesse avuto la febbre alta: non riusciva a capire che cosa avesse detto Kagami, anzi lo aveva compreso perfettamente, si ricordava l'esatto instante in cui, alcuni mesi prima, aveva proferito quelle parole, ed ora che venivano rivolte a lui si sentiva pervadere da un senso di nausea così forte che per un istante non riuscì neppure a respirare.
Si sentì un ipocrita, un egoista e un codardo.
Avrebbe voluto chiedere a Kagami che cosa pensava di lui, avrebbe voluto una garanzia riguardo al perdono di Murasakibara nel caso avesse deciso di tornare a Tokyo.
«Taiga...» e allo stesso tempo si pentiva amaramente di aver risposto alla sua telefonata, e questo rimorso lo metteva costantemente di fronte alla persona sfuggente ed egoista che era divenuto «ti prego, voglio restare solo per un po'.»
«Che ti costa tornare indietro? Se andrà male avrai tutto il diritto di prendertela con me, ma se–»
«Taiga, ti prego.»
Tatsuya voleva piangere, scomparire per sempre per non avvertire più quell'orribile cambiamento che era germogliato e fiorito nella sua persona.
«Basta.»


Tetsuya chiuse gli occhi solo per un istante, inspirando appena e continuando ad avanzare con passi rapidi e decisi: Aomine si sarebbe infuriato quando avrebbe scoperto che Kagami era rimasto al locale con Murasakibara per ultimare le decorazioni di una torta commissionatagli dalla moglie di un ministro per il suo compleanno e che, quindi, avrebbero dovuto rimandare il due contro due che avevano pianificato un paio di giorni prima.
Appena Kuroko attraversò la strada e si affiancò all'alta rete metallica del campetto, si soffermò sulla figura che si stagliava sotto uno dei due canestri e rallentò improvvisamente il passo.
«Aomine-kun?» appena sorpassata la rete di maglie metalliche, Kuroko lo chiamò a voce bassa.
Aomine restò in silenzio e, dopo essere rimasto ancora per qualche istante con il capo sollevato verso il canestro, si voltò verso di lui e lo salutò con un rapido cenno della mano.
«Sei solo?» Kuroko increspò le labbra in un piccolo sorriso e gettò il pallone a spicchi verso di lui.
«Kise ha un po' di febbre.» Aomine afferrò il pallone e se lo rigirò fra le mani con aria disinvolta «voleva venire, ma si è lamentato per tutta la sera dei continui capogiri, quindi l'ho costretto a restare a casa.»
«Mi dispiace.»
«Piuttosto...» Aomine riprese a voce bassa, come se si vergognasse «l'idiota dov'è?»
«Kagami-kun è rimasto al locale.»
«Quelle maledette torte.» Aomine alzò gli occhi al cielo e schioccò la lingua contro il palato, per poi dargli le spalle e compiere un paio di palleggi, dirigendosi a passo rapido verso il canestro «beh, Tetsu, pare proprio che dovremo limitarci ad un uno contro uno.»
Daiki lasciò aderire il palmo della mano al cuoio duro, sollevò il braccio destro e con una spinta gettò il pallone nel canestro.
«Ha un sacco di lavoro da fare a quest'ora perché passa tutto il pomeriggio a cercare di convincere Himuro a tornare qui a Tokyo.» poi brontolò, afferrando il pallone in rimbalzo.
Dopo qualche istante di esitazione, Aomine tornò a guardare Kuroko e gli restituì il pallone.
«Non sei più geloso?»
«Di Himuro-san?» Tetsuya accarezzò il cuoio con le dita e cominciò a palleggiare, negando con un cenno quasi impercettibile del capo «e tu, Aomine-kun?»
«Eh?» Aomine aggrottò la fronte e sfiatò sommessamente «io? Perché dovrei essere geloso di quello lì
Tetsuya afferrò il pallone e accennò un sorriso vagamente divertito; Aomine, dal canto suo, sembrò retrocedere di un paio di passi e strizzò gli occhi, cercando di ignorare il pizzicore che aveva cominciato a stuzzicargli le guance.
«Non sono geloso, dopotutto lui e Kise sono solo amici.» quel brontolio lamentoso fece sorridere Kuroko, che gli porse il pallone a spicchi con gentilezza.
«Io ho smesso di essere geloso di Himuro-san da molto tempo.» da quando avevano fatto ritorno dalla Svizzera, Kuroko si era sforzato così tanto di comprendere il sentimento che Kagami provava per Himuro che alla fine, forse grazie alle sue doti di osservazione, era sicuro di essere riuscito a cogliere l'essenza del loro rapporto nella sua interezza e, oltre questa, l'affetto sincero e superiore che il suo fidanzato nutriva nei suoi confronti.
Tetsuya schiuse le labbra, intento a dire qualcos'altro, ma una voce sovrastò la sua e la recise sul nascere.
«Daiki, Tetsuya.»
Aomine inclinò leggermente il busto per dare un'occhiata alle spalle di Kuroko, che, dal canto suo, si voltò immediatamente.
«Akashi-kun, Nijimura-san...» Kuroko sussurrò, per poi ricambiare il sorriso sottile di Akashi.
«Ryouta e Kagami non sono con voi?»
«Non sono potuti venire.»
Akashi restò a fissare Aomine in silenzio, sbattendo le palpebre solo per un istante, per poi ampliare il sorriso.
«Quindi avevate in programma un due contro due?»
Nijimura si avvicinò un poco di più a lui e gli pizzicò il fianco con delicatezza, quasi a volergli chiedere se per lui non fosse un problema il fatto che non avrebbero potuto allenarsi da soli e se fosse sicuro di volersi mettere in gioco.
«Voi due facevate squadra una volta, quindi che ne direste di sfidare me e Shuuzou?» Akashi confermò la sua sicurezza pronunciando quella sfida a voce alta e con le labbra increspate in un sorriso sornione.
«Akashi-kun, tu non stai...?»
«Ci fermeremo non appena arriveremo a venti canestri.» Nijimura intervenne e Kuroko annuì appena.
«Bene...» Aomine palleggiò con le labbra increspate in un ghigno «io e Tetsu vi faremo assaggiare la polvere.»
«Ma sentilo!» Nijimura sfiatò con un sorrisetto divertito e Akashi non tardò a cogliere quella provocazione.
«Vediamo se in questi mesi sei migliorato, Daiki.»


«A quanto pare Ki-chan non verrà al campetto, domani!»
«Umh? E come mai?» Riko, che si trovava già distesa sul letto, si sollevò un poco sui gomiti e si soffermò sulla figura di Momoi che, a sua volta, pareva estremamente concentrata ad osservare lo screensaver luminoso del cellulare che teneva stretto fra le mani.
«Ha un po' di febbre.»
«Oh...» Aida trattenne un sospiro nervoso: Kise e Kuroko erano gli unici che si presentavano regolarmente agli allenamenti, ma se il primo restava assente, allora il secondo si sarebbe ritrovato da solo al campetto e ciò gli avrebbe impedito di allenarsi adeguatamente; pensò istintivamente a Midorima, ma era quasi certa che avrebbe rifiutato, quindi la sua attenzione si spostò quasi immediatamente su Takao, che era decisamente più facile da convincere - e da rintracciare -.
«Brr!» il verseggiare improvviso di Satsuki la strappò via dalle proprie congetture, quindi Riko si accorse che l'altra aveva già adagiato il cellulare sulla scrivania e, ormai pronta per infilarsi nel futon, si era sfilata la gonna.
Aida pensò di chiederle se desiderasse una coperta in più, ma divenne improvvisamente muta.
Scorse con un rapido movimento degli occhi le gambe sinuose di Momoi, dai polpacci fino alle cosce piene, quindi si soffermò sui fianchi sottili, ben distinguibili oltre la canottiera bianca, - talmente leggera da essere quasi trasparente -, e infine sulle natiche sode che facevano capolino dalle trame di pizzo nero degli slip.
Quando Momoi si voltò verso di lei, Aida non fece in tempo a togliersi il rossore dalle guance e l'espressione estasiata dalla faccia, e non appena si rese conto del sorrisetto malizioso che l'altra le stava rivolgendo emise un gridolino strozzato e si sfregò nervosamente il viso.
«A-allora? Andiamo a dormire o no?» si sforzò di mantenere un tono di voce fermo e autorevole, ma Momoi non si intimidì e ampliò appena il sorriso.
«Il vantaggio di lavorare in un negozio di intimo è che posso permettermi molti capi scontati, se ti piacciono posso mettere una buona parola per te.»
«Eh?!» Aida aveva il viso in fiamme e si mise a sedere in fretta.
«Oppure guardavi qualcos'altro, Riko-chan?» Satsuki le si avvicinò, canticchiando sommessamente il suo nome, e Riko si sentì invadere e percuotere da un improvviso calore.
«Cosa vuoi? Sta ferma lì!» Aida tese le braccia e la afferrò per le spalle non appena Momoi si inginocchiò di fronte a lei, tuttavia non riuscì a respingerla e, anzi, si arrese quasi immediatamente all'impertinente prepotenza dell'altra.
Momoi le afferrò il viso fra le mani e le stuzzicò le labbra con un bacio leggero, a cui Aida non rispose.
«Momoi...» la più grande borbottò, socchiudendo gli occhi nel percepire di nuovo le labbra carnose dell'altra così vicine alle sue «ci sono i miei genitori...»
Momoi scostò il viso e la guardò negli occhi, carezzandole le gote con un lento movimento dei pollici.
«Non facciamo niente di male, Riko-chan.»
Aida, dal canto suo, serrò le labbra in una smorfia e inclinò il capo nel tentativo di nascondere il viso imporporato agli occhi dell'altra.
«Lasciami dormire con te, dai!» all'improvviso, però, la malizia di Momoi si tramutò in una richiesta che alle orecchie di Aida risuonò decisamente esaltata ed infantile, e ciò le permise di liberarsi dal vincolo del pudore e di respingere l'altra con più risolutezza.
«Non ci provare! Vai a dormire nel futon!»
«Ma... ma ho freddo!»
«Staremmo scomode, il letto è troppo piccolo!»
«E dai, Riko-chan!» la lagna di Momoi si esaurì quasi immediatamente perché, via via che supplicava Aida di accoglierla nel suo letto, era già riuscita a strapparle le lenzuola di mano e a scostarle fino a scoprire le sue gambe.
«T-ti ho detto che...» quando le loro gambe nude furono a contatto, Aida tornò ammutolita a causa della vergogna, poi, non appena Momoi avvolse entrambe con la coperta e adagiò la guancia sinistra sul suo sterno, carezzandole i fianchi con un lento e docile movimento delle mani, cominciò a rilassarsi e decise di arrendersi ai suoi capricci.

Siamo stracci di nubi nere che dissipano l'arcobaleno, siamo l'ululato straziato del vento che fischia durante la tempesta.




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L'angolino invisibile dell'autrice:

Eccomi qui! Finalmente riesco ad aggiornare! >w<
Questi ultimi capitoli mi stanno lasciando un po' insoddisfatta, ma ho notato che molte di voi hanno accolto con entusiasmo l'iniziativa: “Diamo un'età celebrale più alta a Murasakibara!” e ne sono davvero felice!
Nonostante questo capitolo non mi soddisfi appieno, comunque, c'è una parte che ha tutte le carte in regola per diventare una delle mie preferite, ovvero la conversazione fra Himuro e sua madre.
Adoro la mamma di Himuro, insomma, io la immagino come questa donna estremamente complessa, dolce, apprensiva, ma forte come una tigre e pronta ad affilare i coltelli per il suo bambino ;u;
Poi--- allora, all'inizio vediamo Kise saltellare di qua e di là, ma alla fine ha la febbre, perciò direi che questo capitolo copre più o meno l'arco di due giorni (?)
Per il resto non credo di avere molto da dire, tranne che ho di nuovo concluso la “tabella di marcia” e quindi devo prepararne un'altra. Non sarà molto lunga perché non manca tanto alla fine, ma sento che ci impiegherò almeno un giorno ad elaborarla! ;3;
Spero di poter aggiornare il più presto possibile!
Grazie a tutti quelli che continuano a seguirmi! >w<
Alla prossima!
   
 
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