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Autore: MaidOfOrleans    24/03/2015    2 recensioni
Liam, studente poco più che ventenne, sta uscendo dal periodo più brutto della propria vita, grazie ad uno psichiatra con il panciotto, ad una famiglia che lo sostiene ed alla coppia di coinquilini più improbabile dell'Universo.
Eppure, i conti con il passato non possono considerarsi chiusi, almeno finché qualcosa di inaspettato non scuote Liam dalle fondamenta, sconvolgendo lui e il suo processo di guarigione. Forse, è il momento di imparare a non avere paura.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Well, I've been wrong, I've been down,

Been at the bottom of every bottle.

Nickelback, How you remind me

 

Nel vento tagliente di dicembre, Liam cammina, e Londra gli si stende davanti con le sue luci e i marciapiedi neri come ali umide. Ovunque, Babbi Natale di stoffa e acrilico gli sorridono dalle vetrine. Mancano poche ore alla vigilia, e lui è un caso pressappoco risolto.

Stare bene è complicato, e richiede un’energia quasi incomprensibile. A volte, si domanda come facesse prima, come fosse vivere senza la continua impressione di calpestare scalzo vetri rotti. Ci sono stati anni in cui era facile; anni feroci, bellissimi, in cui bastavano una chitarra scordata, un hamburger al McDonald’s, un voto alto in matematica. Anni conclusi. Oggi, con il freddo che gli allarga a forza i polmoni, Liam è grato, perché lo sforzo dà i propri frutti. Non riflette sul tempo in cui essere felice non richiedeva alcuna fatica. Non lo fa mai; non è bravo a guardare indietro.

Trecentosessantacinque giorni fa, nella mente di Liam, lo shopping natalizio era relegato in un angolo irrisorio, insieme al cibo, al libretto universitario compilato a metà e a qualunque genere di rapporti umani. Le cose importanti erano altre, come la bottiglia di Merlot da supermercato aperta sulla scrivania e il liquido torbido che occhieggiava dalle bottigliette d’acqua. Non fumava; i cerotti alla nicotina, diciassette tra spalle, braccia e addome, garantivano una scarica di vitalità che le sigarette non gli avevano mai concesso. Parlava poco, non mangiava e spesso non scendeva dal letto per giorni interi, la puzza di sudore e sperma che gli si cristallizzava sui vestiti.

Era al secondo anno di Medicina, e ogni settimana chiamava sua madre a Wolverhampton, raccontandole delle lezioni, di questo o quel professore, degli amici con cui pranzava da Prèt a manger, della ragazza bionda del corso di Istologia. Poi si sedeva a terra, piangeva per qualche ora e beveva a grandi sorsi, gli occhi aperti che non vedevano nulla. Il suo coinquilino era partito per l’Erasmus senza quasi salutarlo. Liam sprofondava un poco ogni giorno, anche se dalla finestra sporca qualche volta si vedevano le stelle.

Entra in un negozio di elettronica e sorride alla commessa grassottella. Nicola adorerà le cuffie verdi e morbide. Controlla di avere il bancomat in tasca, digita il codice e sorride di nuovo, senza quasi farlo apposta.

Was the face inside the mirror

Not a face you'd recognize?

Did the make up never make up

for the pain behind your eyes?

James Blunt, Miss America

 

Trecentosessantacinque giorni fa, Liam cercava di comprendere cosa gli fosse successo, da dove venisse il buio che lo intrappolava da qualche mese. Era cominciato dopo il funerale di nonna Ethel, ma non poteva essersi trattato solo di quello. Danielle lo aveva lasciato, certo; per due settimane aveva pianto, convinto di aver perso l’amore della propria vita. In seguito, pensando a lei non sarebbe riuscito a ricordare il suo viso, ma avrebbe rimpianto i suoi seni, i capezzoli di qualcun altro contro la pelle.

Si era chiesto se si trattasse della consapevolezza che la schiena muscolosa del suo coinquilino lo lasciava tutt’altro che indifferente. La prima sera che, da ubriaco, andò in un locale gay, Liam baciò un bel ragazzo dai capelli scuri e vomitò in un vicolo. Ricorda che faceva freddo, doveva essere ottobre. Pensò che, ora che era giunto a patti con quella parte di sé, non avrebbe più desiderato di suicidarsi guardandosi nello specchio del cesso.

Il giorno successivo, bevve e cercò di studiare Fisiologia. Forse, si disse, era colpa del suo inesistente rendimento universitario. Poco tempo dopo, Paul, che abitava con lui da quando si era trasferito a Londra, fece le valigie e prese un aereo per Lisbona. Liam smise di lavarsi. Ogni tanto ordinava una pizza da asporto, o cercava qualcuno disposto a vendergli dell’MD per le poche sterline che gli ballavano in tasca. Una volta al mese faceva la doccia e prendeva un treno per Wolverhampton. Se i suoi genitori e le sue sorelle erano preoccupati, non lo davano a vedere, anche se, nell’accompagnarlo alla stazione, Ruth lo abbracciava sempre leggermente troppo forte.

E’ il momento di un caffè bollente, che gli scaldi le mani mentre prosegue lungo Shaftesbury Avenue. Ha già comprato il regalo per sua madre, l’ultimo romanzo di Camilla Lackberg, e quello per suo padre, una selezione di sigari in un cofanetto di cuoio. Gli mancano Ruth, il nonno, il ragazzo che gli siede accanto a Microbiologia e che gli riserva sempre una pacca sulle spalle e un saluto strascicato. E poi, naturalmente, Harry e Louis. Si accende una sigaretta, chiedendosi se sia il caso di lasciarsi tentare dal sexy shop d’alto bordo che ha di fronte.

I fought against the bottle,

But I had to do it drunk.

Leonard Cohen, That don't make it junk

 

Trecentosessantacinque giorni fa, il Natale gli piombò sulle reni con la violenza di un pugno, gli fu sbattuto in faccia dalle luminarie dozzinali in strada, dai canti che esplodevano a tutte le ore dalle pareti della Chiesa Evangelica, dalle pubblicità continue in tv. Liam era passato dal vino alla vodka del supermarket russo all’angolo, e trascorreva più tempo addormentato che cosciente. Non andava a lezione da settimane. La casa tanfava di abbandono, depressione e piscio. Chiamò sua madre e disse che sarebbe riuscito a raggiungerli solo la vigilia, perché prima doveva lavorare ad un progetto di gruppo. Annegò la bugia in una canna, negli stracci bagnati che teneva premuti contro il rilevatore antifumo.

Liam aveva degli amici, a Londra, ma dopo mesi di tentativi smisero di chiamarlo per uscire. I conoscenti di vecchia data, quelli di Wolverhampton, cercavano di telefonargli su Skype, ma lui accendeva raramente il computer. Danielle gli mandava sporadici SMS, che lui cancellava senza leggerli. Non aveva la forza di trascinarsi sotto la doccia, né di affrontare lo sguardo indagatore della sua famiglia prima che fosse strettamente necessario. Aveva, invece, un bisogno allarmante di perdersi tra le braccia di qualcuno, qualcuno che sarebbe sparito la mattina seguente.

Let me take some of the punches

For you, tonight.

U2, Sometimes you can't make it on your own

 

Quando spinge la porta dell’appartamento, gli si para davanti una scena tanto usuale da essere diventata comica: Harry sul divano, avvolto in molteplici strati di pile, e Louis che gli si affaccenda intorno, angosciato come una madre italiana. Liam posa le buste nella propria camera, misura la temperatura dell’eterno malato sfiorandogli la fronte con le labbra e gli scioglie una pastiglia effervescente in poca acqua. E’ un’influenza, la sesta nel giro di pochi mesi. Rassicura Louis sul fatto che no, non devono per nessun motivo andare al pronto soccorso, e raccomanda ad Harry di comprarsi un cazzo di cappotto. Lui sorride, il sorriso goffo di un bambino pescato con le dita nel vasetto della marmellata. Liam sa che la settimana seguente lo vedrà ciondolare lungo Wandsworth Road nel suo maglione logoro, con i jeans stretti e l’arroganza da giovane rock star.

Fa troppo freddo e c’è troppa gente in giro per pensare di uscire, e così si raggomitolano tutti e tre sul divano, con qualche coperta e mezza bottiglia di whisky. In tv rifanno Miracolo sulla trentaquattresima strada. Harry si addormenta quasi subito, la testa sul petto di Louis; come spesso accade, Liam li guarda, e si lascia invadere da un miscuglio confuso di gratitudine e invidia.

I don't drink like everybody else,

I do it to forget things about myself.

Ed Sheeran, U.N.I

 

Trecentosessantacinque giorni fa, l’aria era tersa e gelida, una promessa di neve che sarebbe stata mantenuta il giorno seguente. Un tizio si era piazzato a vendere le caldarroste proprio all’inizio della strada. Liam lo ignorò, distratto dal miscuglio di alcolici che gli bruciava le viscere, e scese nella stazione della metropolitana. Al suo passaggio, una donna col velo strinse impercettibilmente a sé il bambino che le camminava accanto.

Riemerse in una viuzza dove il Natale non era sbarcato: niente festoni o cappelli vermigli, solo l’odore acre della disperazione. L’unica luminaria era l’insegna di un locale che fino ad allora aveva evitato, ripetendosi di non essere ancora caduto abbastanza in basso. Spinse la porta unta ed entrò.

Give me a taste of something new,

To touch, to hold,

To pull me through.

Midge Ure, Breathe

 

Verso le tre, mentre Liam sta considerando l’idea di trasferirsi nel letto, Louis scatta a sedere con un sorriso di trionfo. Harry, che gli sta rannicchiato in grembo, mugola, ma non si sveglia.

“Buone notizie?”, domanda Liam, accennando al cellulare dell’altro ragazzo.

“Splendide, Lee-yum!” trilla Louis. “Che fai a Capodanno?”

Liam fissa il suo coinquilino, il sopracciglio alzato. L’anno trascorso gli ha alienato chiunque conoscesse in quella che ormai considera una vita precedente. Senza inutili sbavature sentimentali, la sua famiglia e gli altri due occupanti del divano sono tutto quello che ha.

“Immaginavo”, replica Louis, imperterrito. “Ti ricordi che ti ho parlato di un certo Zayn?”

No, non ricorda. Gli dà il beneficio di sforzarsi per qualche secondo, poi scrolla le spalle.

“Ma sì, dai. Quel tipo che Harry ha conosciuto mentre suonava ad Hyde Park. Quello mezzo pachistano o boh, iraniano, che va in giro con i bonghi.”

La caligine nel cervello di Liam si dissipa quanto basta per focalizzare le mani di Lou che descrivono ampi movimenti nell’aria, tracciando le proporzione di un corpo da urlo. Harry rideva e rincarava la dose. Non esiste gelosia, tra di loro.

“Okay, sì.”

“Beh, abita verso Camden Town con un paio di ragazzi. Uno l’ho già conosciuto, rosso, cicciottello, canta molto bene.”

“E?” Far arrivare Louis al punto può richiedere una maieutica estenuante.

“E daranno una festa a casa loro. Un party vero. Con alcolici che costano più di quattro sterline.”

“Ci chiederanno una quota per il cibo e il bere.”

“Non credo. Metà della roba la sgraffigneranno.”

Liam esita, le mani che torturano la zip della felpa. Il suo amico sa bene quanto lui che il problema non è separarsi da un deca, per quanto siano tutti e tre al verde. Un party vero. Con, suppone, non meno di una trentina di invitati. L’antica morsa del panico gli serra lo stomaco.

“Ehi.”

E’ una voce profonda che non interveniva da qualche ora. Harry si srotola come un gatto, stropiccia i residui di sonno via dagli occhi verdi e sfiora lo zigomo di Liam con una mano fine e bollente. “Andrai alla grande. Ci siamo noi.”

Qualcosa si coagula nella gola di Liam, all’altezza del pomo d’Adamo. Per un momento, un momento assurdo, bellissimo, ci crede: con un angelo custode che sembra un musicista punk in declino e un altro che in qualche modo ricorda la versione maschile della regina Mab, chi oserebbe fargli del male?

“Sapevo che avresti reagito così”, conclude Louis, pragmatico. “Ecco perché domani li ho invitati tutti e tre a pranzo. Zayn e i suoi coinquilini, intendo. Tanto il tuo treno è al pomeriggio, no?”

Liam si sfrega la fronte, sopraffatto. Sa che Louis lo ha fatto per lui, per fargli conoscere almeno i padroni di casa prima di gettarsi nella mischia, ma non può impedirsi di rabbrividire.

“Sono bravi ragazzi”, assicura Harry, e tutti e tre ridono, perché ciascuno ha, da qualche parte, una vecchia zia, e questo è esattamente il genere di cosa che chiunque abbia una vecchia zia si sente dire ad ogni riunione di famiglia.

Liam va a dormire con la sensazione di respirare male.

So, how can you tell me you're lonely,

And that the sun for you don't shine?

Let me take you by the hand,

and lead you through the streets of London:

I'll show you something to make you change your mind.

Ralph McTell, Streets of London

 

Trecentosessantacinque giorni fa, Liam era ubriaco e il bar pieno di anime perse, come tutti i bar l’antivigilia di Natale. Un cinquantenne dall’aria benestante gli offriva drink a ripetizione. Se il disgusto per se stessi avesse avuto un peso, Liam sarebbe stato schiacciato, con lo sterno e la fronte appoggiati al bancone sudicio.

Si alzò per andare in bagno, e con la coda dell’occhio vide lo sguardo dell’uomo indugiare sulle sue gambe, sul sedere. Rabbrividì. Era distrutto, ma non abbastanza da trasformarsi in una puttana.

Dentro il cesso, probabilmente il più squallido e sporco che avesse mai visto, si fissò a lungo nello specchio macchiato. I capelli gli crescevano in tutte le direzioni, e aveva la barba di un paio di settimane. Le venuzze nelle cornee opache erano quelle di un vecchio.

Si voltò appena in tempo. La porta del cubicolo dove si trovava il gabinetto si stava spalancando, e, vista la ristrettezza di spazi, lo mancò di un pollice.

“Scusa, amico.” Una voce dall’accento spesso come porridge, un viso poco più che adolescente. Lo sconosciuto aveva gli occhi azzurri come le tuniche degli angeli di gesso che sua madre disponeva sul portico sotto Natale.

Scosse la testa, troppo stordito per parlare. Ad ogni modo, l’alito dell’altro ragazzo era sufficiente a fargli comprendere che non era l’unico ad aver esagerato con l’alcol.

Non gli chiese il nome.

Per qualche ragione che, in seguito, avrebbe tentato di comprendere, non gli chiese mai il nome; non in quel momento, sulla soglia dei gabinetti, non dieci minuti dopo, mentre brindavano con quelle che per ciascuno erano le ultime sterline. I suoi capelli di un biondo del tutto fuori contesto, il biondo sospetto del protagonista di un teen drama ambientato in California, rilucevano al chiarore malato delle alogene del bar. Parlarono di dove venivano. Liam disse “poco lontano”, l’altro Irlanda, inquadrando così una volta per tutte l’accento e la difficoltà nel contare soldi stranieri. Nessuno dei due nominò una città particolare, o chiese all’altro perché, il ventitré di dicembre, si trovasse da solo nei bassifondi di Londra con in corpo più gin che sangue.

Liam non gli chiese il nome mentre, protetti dalla caligine delle sigarette degli altri avventori, si baciavano con la fame furibonda dei loro vent’anni. E nemmeno quando si chiusero insieme in quel cubicolo soffocante che era il bagno, le fibbie piatte delle cinture si scontrarono con la maiolica delle piastrelle e si sentì solo più rumore di sfregamento, mani sulla schiena, mani sul culo, lingua sulla nuca, cosce contro cosce. I fianchi di Liam imprimevano da soli ritmo alle spinte, mentre il loro proprietario singhiozzava, colmo di tanta eccitazione e tristezza che pensò gli sarebbe scoppiato il cuore.

Invece, si tirò di scatto fuori dal corpo dello sconosciuto, che spinse di lato, e vomitò a pochi pollici dalla tazza del water.

Quando si voltò, il pene congestionato e floscio che d’un tratto gli pareva osceno, nonostante fosse roba sua, il Californiano irlandese con gli occhi azzurro gesso era sparito. Si chiuse i pantaloni e corse fuori dal bagno, ma nessun lampo biondo rispose al suo sguardo.

L’enormità di quello che aveva fatto gli piombò addosso mentre caracollava verso la stazione della metropolitana, svuotato. Non era tanto il fatto di aver scopato un uomo; aveva scopato uno sconosciuto, in un bar di quart’ordine, e- lo stomaco gli si serrò tanto che temette un nuovo conato- senza preservativo. Liam studiava medicina, perciò, anche nei fumi dell’alcol, le prime parole che gli si affacciarono alla mente avevano l’asprezza di altrettante condanne a morte: gonorrea, sifilide, epatite C, HIV. Il terrore che lo attanagliò fu tale che, nel momento in cui riuscì ad infilare le chiavi nella serratura, prima ancora di svestirsi cercò una bottiglia di vodka. La bevve a grandi sorsi, le lacrime che gli scorrevano lungo le guance, chiedendosi chi morisse in Philadelphia- Tom Hanks o Denzel Washington? No, no, era Tom quello con l’AIDS. La vodka non bastava, e frugò tutti gli stipi del piccolo appartamento, fino a mettere le mani su una bottiglia di sherry che avrebbe potuto anche essere appartenuta ai precedenti affittuari.

And in the morning I'll be with you,

But it'll be a different kind,

'cause I'll be holding all the tickets,

And you'll be holding all the fines.

Bon Iver, Skinny Love

 

A trovarlo fu Nicola. Il treno di Liam avrebbe dovuto raggiungere Wolverhampton alle cinque; si fecero le sei, dunque le sei e mezza, e il suo cellulare giaceva, spento e scarico, sul pavimento della cucina. Le sue sorelle telefonarono ai suoi amici, scoprendo che nessuno lo vedeva da mesi. Sua madre piangeva, la mente rivolta a chissà quale disastro ferroviario. Alla fine, la figlia maggiore salì in macchina e affrontò il viaggio di due ore cantando a squarciagola qualunque schifezza le propinasse la radio, per tenere sotto controllo l’angoscia. Nonostante facesse di tutto per evitarlo, Nicola, come sua madre, pensava spesso al peggio.

Bussò alla porta dell’appartamento in Wandsworth Road, le dita intirizzite nei guanti troppo sottili. Quando non le rispose nessuno, pensò di voltarsi e provare per l’ennesima volta a comporre il numero del fratello; ma, come avrebbe spiegato in seguito all’intera famiglia, sentì qualcosa che le si annodava dentro. Era convinta che non avrebbe funzionato, che le donne sfondassero le porte a calci solo nelle serie tv sull’FBI, ma il compensato cedette senza un lamento.

Quando si risvegliò, in una stanza troppo bianca, Liam mise a fuoco tre volti femminili a vari stadi di dolore e furia. Sua madre aveva gli occhi così gonfi che era quasi impossibile distinguerne il colore; la rabbia, invece, aveva irrigidito i tratti di Ruth, rendendola bella e pericolosa, come una statua greca. Si voltò verso il braccio destro, da cui proveniva un pizzicore smorzato, e vide la flebo. Suo padre non c’era, e nemmeno nello stordimento in cui si trovava a Liam parve giusto biasimarlo.

Nicola aveva fatto un salto all’indietro, colpita in pieno volto dall’odore dell’alloggio: cibo rancido, sudore, chiuso. Alla vista di un corpo raggomitolato sul tappeto del soggiorno, la paura era stata tale che si era sentita cedere le ginocchia. Si era avvicinata di qualche passo. Liam era in quello che sembrava un qualche livello di coma, puzzava come un cadavere, era circondato da bottiglie incrostate di liquori zuccherini. Era vivo, vivo, vivo.

La prima chiamata era stata per l’ambulanza, la seconda per la loro madre. Al St. Thomas Hospital, un medico dal viso sciupato aveva detto coma etilico, tasso alcolemico e disidratazione.

Liam si svegliò con il mal di testa più forte della sua vita, e il suo primo tentativo di dialogo con il resto della famiglia fu un debole “Buon Natale”.

Subito dopo la dimissione, in macchina verso Wolverhampton, ci furono lacrime, urla, dove ho sbagliato, perché non ci hai detto nulla, ma almeno lo sai che avresti potuto morire?, incredulità, ceffoni (uno da Ruth e uno da Nicola; sua madre tremava troppo, e anche se non fosse stato così probabilmente non lo avrebbe colpito). Liam pianse, grosse gocce salate che gli macchiavano i jeans, e finalmente raccontò; del mondo che si faceva sempre più nero, dell’incapacità di concentrazione, del desiderio di camminare camminare camminare camminare, in linea retta, lontano da tutto, delle sbronze, dei cerotti alla nicotina. Non disse niente dell’MD o della scopata con un uomo non meglio identificato, ritenendo che ci fosse un limite a quello che un genitore può sopportare in una volta sola.

Sulla soglia di casa, passate l’ira e lo spavento, tutte e tre le donne lo strinsero tra le braccia e gli promisero che non sarebbe più stato solo. Liam si sentiva come se gli avessero sollevato un blocco di cemento dal petto.

Al nonno dissero che Liam aveva avuto un calo di pressione e, svenendo, aveva urtato lo spigolo di un mobile, restando incosciente per diverse ore. Lui attaccò con una predica di mezz'ora sulle evidenti pecche del sistema sanitario britannico, che non garantiva screening continui ai ventenni. Liam si sforzò di buttare giù una cucchiaiata di patate arrosto e del pudding. Suo padre lo guardava dall'altro capo del tavolo, gli occhi così simili ai suoi scuriti dalla preoccupazione e dal disprezzo.

It's okay not to be okay.

Jessie J, Who you are

 

I mesi successivi furono una maratona e, insieme, un'aurora d'inverno, di quelle che ammantano le cose di tutti i giorni con il loro tocco d'argento. Liam rimase a Wolverhampton per quasi sei settimane, sotto l'egida inflessibile di Nicola e Ruth e quella più tenera di sua madre. Mamma, mamma; come aveva fatto ad infliggerle un dolore del genere? Smise di bere. A volte, di notte, si svegliava in una pozza di sudore ghiacciato e gridava, tormentato da incubi nei quali il suo viso si scavava e le orbite diventavano caverne. Quando fece ritorno a Londra, Ruth andò con lui. Ripulì la casa da cima a fondo senza quasi concedersi pause, i capelli chiari trattenuti da un'improbabile bandana arancione. Alla fine, dopo aver annodato l'ultimo sacco dell'immondizia, pianse e lo abbracciò, tempestandogli il petto di pugni. Si fermò per quattro giorni; Liam toglieva la polvere dalla tv con un panno, comprava cereali al miele, metteva a lavare le magliette. Arrivò una cartolina di Paul, che difficilmente avrebbe fatto ritorno; si era innamorato atrocemente (sic!) di una ragazza di Lisbona.

Il primo appuntamento con lo psichiatra fu un venerdì. Pioveva così forte che Liam rinunciò ad avere ragione degli elementi con un misero ombrello e si presentò zuppo, anche se sbarbato e in ordine. Il dottor Winchester, scovato chissà dove da sua madre, era alto e segaligno, con un panciotto- un panciotto!- verde oliva e spessi occhiali. Aveva una voce di caramello, viscosa, gentile.

Dopo alcune sedute, gli venne diagnosticata una depressione maggiore. Liam parlava del buio, sfogandosi con il tipo di sincerità che aveva sempre risparmiato a sua madre. Il dottore gli prescrisse delle medicine. Liam sapeva abbastanza di biochimica per comprendere le basi del loro funzionamento molecolare e, sorprendentemente, la cosa lo aiutò a prenderle. In un paio di mesi, si sentì abbastanza sicuro di se stesso per ritornare a lezione. I suoi amici gli sorrisero con la grazia cortese degli estranei, ma i corsi erano interessanti, e ben presto il suo problema maggiore fu cercare qualcuno con cui condividere il costo eccessivo dell'appartamento.

Anche questo, gli diceva il dottor Winchester, era crescere.

Well, life's got a funny way of sneaking up on you

When you think everything's okay and everything's going right;

And life's got a funny way of helping you out

When you think everything is going wrong and everything is blowing up n your face.

Alanis Morissette, Ironic

 

Circa due settimane dopo aver affisso degli annunci in università, Liam venne svegliato alle sette del mattino da una scampanellata vivace. Intontito, aprì, e si trovò davanti un ragazzo basso e snello dagli occhi sottili. Una delle sue piccole mani era perduta dentro quella di un altro tizio, alto qualcosa come sei piedi. Non potevano avere più di vent'anni, si disse; solo in seguito avrebbe scoperto che il gigante ne aveva diciannove e l'altro, pur sembrando più giovane, ventidue. Si presentarono come Louis e Harry, senza cognomi. Nessuno dei due studiava, meno che mai medicina; avevano trovato un annuncio che qualcuno doveva aver staccato dalla bacheca della facoltà e fatto cadere per terra poco dopo. Erano poveri, ovviamente, ma in due sarebbero riusciti a coprire una quota appena inferiore a quella di Paul.

“So cucinare”, disse il sosia giovane di Mick Jagger che rispondeva al nome di Harry con quieto orgoglio.

Louis annuì, compiaciuto. “Scopiamo un sacco, ma siamo molto bravi a non fare rumore.”

Il dottor Winchester espresse un parere positivo, e a metà aprile il trasloco di Harry e Louis divenne ufficiale. Si portavano dietro uno scatolone in due. Liam si lasciò avvolgere nel loro calore come in una coperta di pile, e l'amore altrui versò sulle sue ferite un disinfettante insperato e benefico. La vita, come diceva il medico, era forte.

Sono passati otto mesi. E' difficile, e ci sono giorni in cui Liam desidera soltanto raggomitolarsi sotto il piumone che gli ha regalato suo padre e lasciarsi non esistere. Sa che non si può, però, e che soprattutto non si deve.

And all the roads we have to walk are winding;

and all the lights that lead us there are blinding.

There are many things that I would like to say to you,

But I don't know how.

'Cause, maybe,

You're gonna be the one that saves me.

Oasis, Wonderwall

 

Effettivamente, Zayn è pakistano, e ha un corpo definibile solo come “da urlo”. Anche il viso è notevole: grandi occhi di velluto scuro, ciglia vertiginose, un'ombra di barba attorno alle labbra soffici. Parla con una calma che a Liam risulta del tutto sconosciuta, e fuma una sigaretta dietro l'altra. Ogni tanto, tamburella sul bordo del tavolo, come se sotto i suoi palmi ci fosse la superficie liscia dei bonghi.

L'altro ragazzo, quello che si è presentato come Ed, non ha spigoli. La sua faccia è un cerchio, così come gli occhi chiari e le spalle morbide coperte dalla felpa gialla. Ha un sorriso incantevole, e la voce venata di timidezza. A pelle, a Liam piace. Era qualche tempo che non provava un sentimento del genere nei confronti di qualcuno.

“E il terzo?” domanda Louis, inquisitorio. Sono seduti al minuscolo tavolo della cucina, ravvivato per l'occasione da una tovaglia trovata da Harry a Covent Garden per qualcosa come cinquanta pence. Ha dei quadretti azzurri, e allegre famiglie di papere che banchettano lungo il bordo. Liam non sarebbe incline all'indulgenza, se non fosse che il suo coinquilino ha preparato il pranzo. Una montagna di hamburger cotti alla perfezione si erge su un piatto di plastica, e le patatine sono fatte in casa, tagliate a spicchi grossolani, con la buccia.

“Ringrazia che non sia ancora arrivato”, ridacchia Ed, “O tutto questo ben di Dio sarebbe sparito da un pezzo.”

Zayn annuisce, meditabondo. “Tutto quello che fa Niall è mangiare e dormire. Oh, e dipingere. Un giorno o l'altro diventerà famoso, parola di talent scout.”

“Che saresti tu?”

L'ospite si concede un occhiolino. “Beh, chi è che ha sentito questo ragazzo in un cazzo di parco pubblico e gli ha detto che sarebbe stato la prossima vera rockstar?”

Louis passa un braccio attorno alle spalle di Harry, che sta sorridendo senza schermirsi. “Io ne ero sicuro anche prima di sapere che non faceva schifo a cantare.”

Ridono tutti, e lo squillo del campanello per poco non passa sotto silenzio. Liam va ad aprire. Si sente quasi bene; quasi, e sussulta nel pensarlo, a proprio agio. Quando la porta si apre, accoglie il nuovo venuto con un “Ehi” e si paralizza, la mano che vola a coprire la bocca come in una brutta soap sudamericana.

E' il ragazzo del bar.

Sente la strana necessità di ripetere le parole precise nella testa, per assicurarsi di avere ancora la capacità di articolare un pensiero.

E' il ragazzo del bar.

Occhi azzurro gesso, capelli improbabili, poco più basso di lui, e quel sorriso.

Un sorriso che lo ha perseguitato per un anno, un sorriso che fermerebbe una rivoluzione.

Nel secondo più lungo della propria vita, Liam vede le proprie emozioni riflesse sul volto dell'altro. Tranquilla curiosità, riconoscimento, consapevolezza, shock. In un tempo infinitesimale, il silenzio diventa doloroso. Risate e commenti riecheggiano dalla cucina; Liam sbatte le palpebre, come un prigioniero condotto alla luce dopo anni, e si aggrappa disperatamente ai consigli del dottor Winchester. Se ti senti crollare, inspira ed espira diverse volte, con lentezza. E allora, nell'androne male illuminato di un appartamento senza pretese, una voce dall'accento inconfondibile pronuncia le parole più inappropriate, le uniche che si possano dire in una circostanza del genere.

“Sono donatore di sangue da quando ho compiuto diciott'anni”, farfuglia Niall. “Esami obbligatori ogni sei mesi. Da me non puoi aver preso niente.” Deve fraintendere l'espressione di Liam, perché si affretta ad aggiungere “E di sicuro non mi hai attaccato nulla.”

Ed allora, visto che il gorgo dell'assurdità è già spalancato e non c'è niente da fare, se non lasciarsi portare via, Liam scoppia a ridere. Ansima, e le lacrime colano dagli occhi nocciola e si raccolgono sugli zigomi. Pensa ai mesi di ansia. Pensa ai controlli che ha fatto, prima e dopo il periodo finestra, ai risultati negativi che lo hanno spinto addirittura ad entrare in una chiesa e dire grazie. Un donatore di sangue. La vita non smette mai di sorprenderti; le piace, questa, doc? E' una massima abbastanza positiva?

“Io...noi...entra”, conclude, incapace di fare di meglio. “E' pronto in tavola.”

In cucina, un quartetto scordato di voci maschili li saluta con entusiasmo.

“Amico”, Zayn sfotte Niall, “Sembra che tu sia finito sotto un treno.”

“Ho solo ancora sonno”, riesce a tirar fuori il ragazzo, prima di buttarsi sulle patate come se non esistesse un domani. Lo stomaco di Liam è annodato così strettamente che dubita che riuscirà ad inghiottire un boccone.

L'argomento è il primo incontro fra Harry e Louis, ed è un bene, perché è una storia che Liam non si stanca mai di ascoltare. L'ha sentita un'infinità di volte; è la risposta ad una delle prime domande che la gente si pone di fronte ad un amore così sfacciato. Louis si fa carico della narrazione, lasciando intervenire Harry perché pronunci le sue battute.

A Liam piace tutto di quella storia. La concisione, l'inflessione di Louis nel parlare, la sensazione di familiarità che ormai gli trasmette, l'impressione che ci sia, in essa, almeno un fondo di verità. Cerca di ascoltare, mentre il cuore gli picchia contro le costole come un visitatore sgarbato.

“Sapete il posto dove lavoro, no? Super Superficial, in Earlham street. Felpe, t shirt, quella roba lì.” Zayn annuisce, Ed scuote la testa. Niall sta aggredendo un hamburger con ingiustificata violenza. Liam vorrebbe, ma non riesce a non ricordare la sensazione del suo pene eretto stretto nel pugno. Un rossore non invitato gli infuoca il collo e le orecchie.

“Beh, un giorno, saranno state le quattro, la porta si apre, ed entra questo tizio.” Harry china appena il capo, come uno scrittore in procinto di ricevere la corona d'alloro. “Ve l'immaginate? Aveva addosso un maglione- un maglione, cazzo. Era gennaio- e gli anfibi più malridotti che avessi mai visto. Bello come un dio e puzzolente come un cane.” La battuta sortisce il solito effetto: ridacchiano tutti. Persino Niall, dentro il lago di ketchup che ha sparso nel piatto di plastica. “Lì per lì non ho detto nulla. Continuava a guardarsi intorno, a scorrere le maglie sugli espositori, a cercare di darsi un tono, capite? E, proprio quando pensavo che avrei dovuto chiedergli cosa volesse e, in caso si trattasse di carità, rispedirlo per strada, lui ha aperto quella sua maledetta bocca e ha parlato per primo. Ha detto...”

E' il momento di Harry, che si pulisce gli angoli delle labbra con un pezzo di Scottex e domanda, in tono appena più roco del solito, “C'è qualcosa che mi posso permettere, qua dentro?”

Louis gli sorride, senza nemmeno darsi pena di nascondere il desiderio. “Bum. Ero finito. Fregato, capite? E' stata la voce. Quella fottutissima voce da Van Morrison. Gli ho risposto: -Sì. Me.-

Si è seduto per terra e mi ha aspettato fino all'ora di chiusura. Ce ne siamo andati insieme, e quella notte ha dormito dove dormivo io all'epoca- nell'appartamento della mia ragazza.” Come sempre a questo punto, una nuvola passeggera gli sporca gli occhi.

“Lei era dai suoi per il fine settimana. L'ho lasciata appena è tornata, la mattina dopo. Io e lui, invece” e tira una gomitata nelle costole a Harry, che gli arruffa i capelli castano chiaro, “non ci siamo mai più separati.

Questa è la storia” conclude “Di come Harry Styles ha rovinato la vita di un uomo per bene in sedici minuti esatti.”

“Cazzo, devo assolutamente scriverci una canzone”, prorompe Ed, sovrastando i commenti degli altri. Niall tace. Liam cerca il suo sguardo come un naufrago, ma quando lo trova distoglie il proprio. Sopravvivere al resto del pranzo è un obiettivo tanto ambizioso che ha la tentazione di chiudersi in bagno con una scusa.

Alza gli occhi dal piatto e raddrizza le spalle, pronto (più o meno) a ogni cosa.

You're a good soldier,

Choosing your battles;

Pick yourself up and dust yourself off,

and back on the saddle.

Shakira, Waka waka

 

La sera di Natale, quando il nonno è già tornato a casa e sua madre si è addormentata sul divano, Liam riceve da Nicola la fatidica domanda.

“Che fai a Capodanno, tesoro?” Nella sua voce c'è lo sforzo cosciente di non suonare troppo ansiosa o turbata, di non far intendere al fratello che ha capito quali siano i suoi attuali rapporti con gli amici di un tempo. Liam sorride debolmente.

“Lou e Harry hanno conosciuto un tizio che dà una festa. Andiamo tutti da lui.”

L'espressione di palpabile sollievo di sua sorella non fa che aggiungere assurdità alla situazione. Sulla porta, Zayn si è acceso l'ennesima sigaretta e ha detto che li aspetta alle nove, con una teglia di muffin (cucinati da Harry, ovvio) e una bottiglia di qualcosa (fregata al supermercato da Louis. Altrettanto ovvio); Ed ha detto in tono minaccioso di tenersi pronti, perché a casa loro ci sono tre chitarre e i bonghi; Niall si è guardato con attenzione i lacci arancioni delle scarpe. Si sono scambiati i numeri di telefono, per eventuali emergenze organizzative.

Liam è corso in camera con il pretesto di un'emicrania, e si è abbandonato ad uno degli attacchi di panico peggiori dell'ultimo anno. Con il dottor Winchester hanno lavorato per mesi su quel ventitré dicembre, sulla serata che ha segnato il punto di non ritorno; sul suo disgusto per se stesso, sulla disperazione che ha provato, sull'imprudenza con la quale ha rischiato di rovinarsi la vita. Hanno concluso che è acqua passata, e che Liam ha chiuso per sempre con quel tipo di esperienze. Che è impossibile andare avanti continuando a guardarsi indietro. Liam si è impegnato. Ci ha creduto.

E ora, il suo errore gli è esploso in faccia sulla porta di casa, in carne, ossa e capelli ossigenati, spingendolo di forza al punto di partenza. Si chiede come mai, trecentosessantasette giorni prima, Niall fosse ubriaco e solo in un gay bar. Se anche lui stia provando quello che lui sente in questo momento, mentre Ruth domanda a gran voce il suo aiuto per sparecchiare.

Mentre era nella sua stanza a cercare di prendere fiato, Harry e Louis hanno bussato, a turno, ricordandogli l'orario del treno. Lui li ha tenuti alla larga con risposte vaghe. Quei due squinternati, lo sa bene, sono suoi amici; al momento, gli unici amici che ha. Tuttavia, non è riuscito a dire loro una parola. Li ha salutati con la testa da un'altra parte, nell'atrio di King's Cross: il loro treno li avrebbe portati a Holmes Chapel, dalla madre e dalla sorella di Harry. Louis ha cinque fratelli.

“La casa è così piena che non sentiranno la mia mancanza”, ha detto, gli occhi affollati di nuvole. Liam gli ha sfiorato la tempia con le labbra. Non ha chiesto nulla.

Buona parte del suo viaggio è stato dedicato alle tecniche insegnategli dal dottor Winchester per dominare l'ansia. Ha contato sei volte i regali nelle buste. Si è divorato tutte le unghie, tranne quella dell'indice sinistro. Ha camminato avanti e indietro per la carrozza. Alla vista dei sorrisi che lo attendevano alla stazione di Wolverhampton, si è quasi sentito meglio. La cena della vigilia e la notte seguente sono filate abbastanza lisce, tra regali, auguri e la Messa alla quale sua madre ha insistito per trascinarlo; solo adesso, smaltita l'euforia festiva, ha di nuovo l'impressione di soffocare.

All'improvviso, ricorda il pacchetto avvolto in carta argentata che Louis ha lasciato scivolare dentro una delle buste che lui si trascinava appresso, facendogli promettere “Ricordati di aprirlo da solo, Lee-yum. E intendo solo solo.”

Curioso, nonostante l'angoscia che non si placa, fruga tra le borse fino a rinvenire il regalo incriminato. Si chiude in bagno e lacera la confezione con quel che resta delle unghie.

E' un libro piuttosto spesso, e un biglietto scritto a mano nasconde il frontespizio. La grafia di Louis è come lui- impaziente, minuta, incline a saltellare in tutte le direzioni.

Per le migliori risate, dice, e segue un elenco di numeri di pagina. Liam strappa il biglietto e quasi si strozza: Cinquanta sfumature di grigio.

Alle quattro di notte, sta sghignazzando così forte che Nicola si sveglia e scivola nel letto accanto a lui. Proseguono la lettura insieme, e solo alle sette si addormentano uno accanto all'altra, sfiniti dalle risa. Liam sogna Harry e Louis che si tengono per mano e lo guardano, indulgenti, infiniti.

Oh, my God! Look at that face!

You look like my next mistake.

Taylor Swift, Blank space

 

La mattina del trenta dicembre, Liam bacia sua madre sulle guance e riceve una pacca sulle spalle da suo padre. Ruth e Nicola lo acompagnano entrambe alla stazione, chiacchierando di abitini per Capodanno, film in uscita e quant'altro. Il loro cicaleccio protegge Liam dai suoi stessi pensieri come uno scudo. Lo abbracciano entrambe, e ciascuna gli raccomanda di fare il bravo. Lui si domanda se ci siano delle frasi di circostanza che le sorelle maggiori e le madri si tramandano di generazione in generazione.

Sul treno, Liam risponde a dieci messaggi di Harry, uno più volontariamente irritante dell'altro. All'improvviso, l'icona di Whatsapp si illumina, e un nome compare nero su bianco sul suo telefono poco personalizzato: Niall.

Liam si chiede se sia possibile morire d'infarto a ventun anni, in assenza di cardiopatie congenite, e subito dopo si impone di non essere ridicolo.

Nonostante tutto, le mani gli tremano così forte che deve fare un paio di tentativi per aprire l'applicazione. Sono poche parole.

Non sono il tipo di persona che si scopa gli sconosciuti.

Liam si alza e cammina in tondo per qualche minuto, cercando di non vomitare. Digita la risposta come posseduto.

Già. Nemmeno io.

La risposta non si fa attendere.

Ho pensato molto a quella notte. Sono un vero coglione.

Liam ride. Probabilmente sono i primi segni di un esaurimento nervoso.

Anche io. Risponde, con un secondo di riflessione in più. Non pensavo che ti avrei rivisto.

Nemmeno io, e la cosa mi faceva sentire molto meglio. E' la replica inaspettata. Ma non è colpa tua. In nessun modo.

E' colpa tua quanto mia, ribatte Liam, sincero. Si frega i palmi sudati sulle cosce. Il treno è quasi arrivato a King's Cross, e il suo cuore sembra dilatarsi di minuto in minuto. Ha le labbra asciutte.

Tutti commettiamo degli errori. Questo è qualcosa che il dottor Winchester approverebbe. Liam ridacchia, e la vecchia signora seduta accanto a lui si scosta di qualche pollice.

Io sono un campione, nell'ambito.

La leggera vibrazione si fa risentire. Non conosci abbastanza storie su di me, Liam Payne di Wolverhampton.

L'annuncio di termine corsa del treno arriva quasi inatteso. Liam sbaglia un paio di volte la fermata della metropolitana, gli occhi calamitati dal display del cellulare. Dopo un quarto d'ora di torturanti dilemmi, risponde Forse voglio scoprirne altre.

Tell me your secrets,

Ask me your questions.


Coldplay, The scientist 


 

Ha appena schiacciato “invio” quando il panico gli fa tremare le ginocchia e cerca di tornare indietro, di cancellare quello che ha appena fatto. E' troppo tardi; ha flirtato con il suo errore. Louis gli darebbe una bella pacca sul sedere, come incoraggiamento. Non è del tutto sicuro di quello che direbbe il suo psichiatra, ma lui se la sta facendo sotto, Cristo santo.

Whatsapp lampeggia. Ancora.

Non mancherà occasione, spero.

Liam infila le chiavi in toppa e trova solo Harry, stravaccato sul divano. Sta guardando I tre moschettieri, quello uscito da poco. Liam non l'ha mai visto, e non ci capisce niente.

“Ma il tizio con i capelli strani non è quello di Noi siamo infinito?”

“Eccome. Non hai voglia di scoparlo tipo dappertutto?”

Liam sorride. Non hanno mai parlato apertamente della sua sessualità, ma Harry dà per scontato che tutti siano gay, e Louis- beh, Louis dà per scontato che tutti siano attratti da qualunque cosa.

Per un istante, Liam è tentato di raccontargli tutto. I suoi coinquilini conoscono la storia della sua depressione, i pregressi problemi con l'alcol, il dottor Winchester; ma, proprio come sua madre, non sanno dell'episodio che lo ha fatto crollare, di Danielle, della sua incoercibile fame di affetto. Vorrebbe dirgli del telefono tiepido in tasca. Invece, per qualche motivo, quello che gli esce è “Harry, perché ami Lou? Voglio dire, c'è una ragione specifica?”

Harry non sembra sorpreso. Si stira e gli appoggia i piedi addosso.

“A parte perché è bello, e scopa come un dio?” domanda dolcemente. Liam ride proprio malgrado. “Vedi, Louis ha un dono. Vede la bellezza nelle persone, anche quando queste non sono in grado di vederla in se stesse. Quando ci siamo conosciuti, dormivo dove capitava. Bevevo come una spugna, ed ero così povero da considerare seriamente l'ipotesi delle marchette”. Lo dice con la solita voce strascicata, ma negli occhi si è indurito qualcosa. “Lui mi ha detto che puzzavo, e che ero bellissimo, una rockstar. Che un giorno avrei scritto canzoni su di lui. E ci credeva, sai? Ci crede ancora.” ride, roco, stanco. “Anche se faccio il commesso in panetteria. Anche se dieci mie canzoni non ne valgono una di Ed.”

“Non mi dispiacciono le tue canzoni”, dice Liam, appoggiando i piedi sul fianco dell'altro.

“Il che dimostra, mio caro” ed Harry si accende una sigaretta, “che non capisci un cazzo di musica.”

Si addormentano entrambi. Liam ha appena scritto Domani mi aspetto almeno un racconto o due. Ha paura, ma le gambe di Harry sono calde, e lui è stanco, stanchissimo.

I'd like it, if you stayed.

Lorde, 400 Lux


“Ohi! Signorine!”

Liam sussulta così forte da mollare una testata al telaio del divano, e bestemmia a mezza voce, stordito. Davanti a loro c'è Louis.

Louis con addosso un maglioncino blu scuro decorato con disegni dall'aria vagamente norvegese, jeans aderenti risvoltati e scarpette di tela. Le sue caviglie sono nude nell'aria gelida dell'appartamento, e presumibilmente lo sono state in quella ghiacciata dell'esterno. Liam si farebbe anche delle domande, ma ha smesso da tempo.

“Che ore sono?” mugugna Harry, sbadigliando.

“Mezzanotte e dieci.”

“E tu dov'eri?” nessun astio, solo curiosità.

Louis sorride come un bambino dispettoso e apre lo zaino che si è appena tolto dalle spalle. Quattro bottiglie di vodka, una di rum, due di whisky, nemmeno troppo economico. “Grazie, Hammersmith & Fulham”, chiosa, scostandosi i capelli dagli occhi.

Liam dovrebbe sentirsi in colpa, ma non può impedirsi di applaudire. “Grandioso.”, esclama, mettendo a tacere il suo dottor Winchester interiore con un gesto secco.

“E ora a letto, bellezze al bagno. Domani dobbiamo essere produttivi, e pronti a stonarci a morte, of course.”

“E non potevi semplicemente lasciarci continuare a dormire?”

Louis si alza in punta di piedi e gli depone un bacio sul naso. “Giovane Payne”, spiega “Pensi forse che mi priverei di una deliziosa notte in compagnia dello splendido Harry solo per lasciarlo continuare a dormire?”

Harry ride, e cinge l'altro, sempre piccolo, sempre sottile, con le proprie lunghe braccia. Liam si trascina nella propria stanza, lasciandoseli alle spalle, un microcosmo di ordine e bellezza nel disastro inveterato del mondo.

To whom it might concern:

Just run around with scissors,

When you want to get hurt.

Shakira, Gipsy

 

La mattina del trentuno scivola via, tra il sonno agitato e l'ansia che gli afferra le viscere nei momenti di veglia. Il cellulare tace. E' comparsa una doppia spunta blu, ma Niall ha smesso di rispondergli. Vorrebbe convincersi che non gliene frega niente.

Una festa con una trentina di persone. E che sarà mai?

Niall Horan, il cui cazzo ha tenuto in mano senza neppure conoscerne il nome.

Non può farcela, ne è sicuro. Vorrebbe telefonare al dottor Winchester, ma non ha intenzione di diventare il tipo di paziente che chiama il proprio strizzacervelli il giorno di Capodanno.

Lui è Liam Payne, un caso pressappoco risolto.

Si fa una doccia. Poi, dieci minuti dopo, un'altra.

Harry dorme ancora, ma Louis fuma in cucina e beve caffè. E' così raro che Louis fumi che Liam si sente legittimato ad accendersi una Malboro.

Il cellulare si illumina.

Quanto devi essere ubriaco per baciare un ragazzo?

Se ne accende un'altra col mozzicone della precedente.

“Tutto a posto?” domanda il suo coinquilino, con una cautela che non gli si addice.

Come la sera precedente, Liam risponde con un'altra domanda. “Da quant'è che state insieme, tu e Hazza?”

Louis non necessita nemmeno di un istante di riflessione. “ Tre anni, undici mesi e nove giorni.”

“E...non ti capita mai di aver voglia di...beh, di qualcun altro? Mai?”

Louis sorride, e si passa le dita tra i capelli. “E perché? Ogni sera, ringrazio Dio e mi sdraio accanto all'uomo migliore d'Inghilterra. Che senso avrebbe correre dietro ad un pianetucolo, quando posso fottere Proxima Centauri?”

Liam ride, come sempre, e ruba il caffè dalla tazza di Louis. Si chiede, e non per la prima volta, se lui sarà mai degno di un amore come quello.

Il dottore direbbe che non si tratta di essere degni, ma di sentirsi degni. E intanto, Niall Horan gli scrive scemenze, infarcendo i messaggi di faccine.

Liam odia le faccine.

Now, everyone dreams of a love lasting and true,

But you and I know what this world can do.

So, let's make our steps clear, so the other may see;

And I'll wait for you.

If I should fall behind, wait for me.

Bruce Springsteen, If I should fall behind

 

All'orario stabilito, sono sulla soglia di un appartamento di Camden Town, il cui campanello reca la dicitura Gente. Louis persiste con il suo ridicolo maglioncino e gli stinchi al vento. Liam ha dato il meglio di sé: la camicia bianca che gli ha regalato sua madre a Natale è del tutto fuori contesto, ma persino i suoi coinquilini hanno dovuto ammettere che gli si addice.

Quanto ad Harry, lui porta il suo unico maglione pesante, dei jeans incredibilmente stretti e gli stessi anfibi del giorno in cui ha conosciuto Louis. Sono ridotti a un brandello di pelle appeso a una borchia, ma gli portano fortuna, e comunque non ha soldi per comprarne degli altri.

Ad aprire è Zayn, bello come l'aurora sul Tamigi anche con un paio di occhiali dalla montatura nera in bilico sulla punta del naso. “Sono da lettura”, precisa immediatamente, vedendo che Harry spalanca la bocca. In effetti, tra le sue mani c'è un libro, il cui titolo, con somma sorpresa di Liam, è La fisica spiegata al mio cane. “Siete i primi”, aggiunge il ragazzo. “Non credevo esistesse ancora gente che si presenta alle nove, quando le viene detto di presentarsi alle nove.”

Liam si lascia andare ad una risatina isterica. E' stato lui ad insistere sulla puntualità. “Siamo d'intralcio?”

“Al contrario”, esclama Ed, emerso dalle profondità della casa. Ha una felpa uguale a quella della vigilia, però celeste. Il colore gli dona decisamente di più. “Sei braccia da schiavizzare. Entrate, avanti.”

L'alloggio è simile al loro, ed a qualunque altro alloggio di giovani squattrinati: spoglio e caotico. Per vivere, a quanto pare, Zayn fa il traslocatore. Ed insegna musica alle elementari; Niall, l'unico che può contare su un esiguo mensile spedito dai genitori, ha una borsa di studio alla Royal Academy of Arts. Un paio dei suoi dipinti sono esposti in soggiorno; uno è un acquarello, e ritrae una bambina che guarda fuori dalla finestra, gli occhi tristi, un'aureola di bolle di sapone. Senza comprendere il perché, Liam sente il cuore stringersi fino ad assumere le dimensioni di un'arachide.

In quel momento, l'artista in persona fa il proprio ingresso in salotto, con i denti quasi troppo bianchi che baluginano nella penombra.

Il Liam di trecentosettantun giorni fa ha la tentazione di scostare Zayn con una spallata, guadagnare la porta e fuggire all'esterno, sul pianerottolo; gettarsi in ginocchio, sentire il marmo freddo sotto la faccia. Il Liam di adesso per poco non lo accontenta.

Restano entrambi fermi, invece, a fissarsi negli occhi per un secondo di troppo.

Gli occhi di Niall, pensa Liam, irritato, non hanno un colore normale; sono azzurri come il gelato al Puffo che sua madre non gli comprava mai, come il fondo di una piscina olimpionica, come il cielo di Wolverhampton quando vuole farsi perdonare settimane di maltempo. E poi, sono morbidi, vulnerabili come un fianco scoperto, come la voce strascicata con cui canta Harry, come il pudding che Nicola prepara la vigilia di Natale. Sono, e questo complica non poco le cose, in ogni situazione e in ogni senso, occhi ai quali è impossibile fare del male.

Quasi spaventato, Liam distoglie lo sguardo, giusto in tempo per vedere Louis che aggrotta la fronte. E' un attimo; non sa quanto e cosa, ma capisce che il suo coinquilino ha capito.

Nel frattempo, nel mondo in cui le persone sono capaci di interazioni sociali normali e non passano il tempo a delirare sugli occhi di qualcun altro, Harry sta porgendo ad Ed la teglia dei muffin (briciole di Oreo e cuore di cioccolata spalmabile, i preferiti- beh, di tutti) e Zayn si è infilato sopra la t shirt un maglioncino di lana grigia a coste. Ha l'aria da libraio indie, soprattutto considerando gli occhiali, e Louis glielo dice, con la consueta miscela di innocenza e malizia. Harry concorda. In un lampo di demenza, Liam si chiede se i suoi coinquilini stiano considerando il sesso a tre, poi ricorda che sta solo cercando di fuggire dalle questioni che richiedono la sua attenzione, e che comunque non sono affari suoi.

Segue Ed in cucina, dove ci sono svariati cartoni di pizza, bottiglie e sacchetti di patatine in quello che sua madre chiama formato caserma. Ubbidiente, inizia ad estrarre i tovaglioli di carta da un cassetto, e a scrivere i nomi che gli vengono dettati sui bicchieri di carta. Hannah, Jemima, Perrie.

“Ci saranno un sacco di ragazze”, lo informa Ed, con il suo incrollabile, bellissimo sorriso. Un attimo dopo, l'incertezza s'impadronisce dei suoi tratti. “Beh, sempre che ti interessino. In caso contrario, non è un problema, amico.”

Liam risolve il primo dei propri dubbi: nemmeno Niall ha raccontato i loro trascorsi agli amici, o quanto meno non ad Ed. Si limita a sorridere. La gente gli chiede spesso se sia gay, perché lo associa ad Harry e Louis, e lui non risponde mai. In quel momento, mentre la voce acuta di Louis urla “Maledizione, mi stai dicendo che non c'è neppure un limone in questo buco di casa?”, suona il campanello, e le famose, temutissime trenta persone iniziano a riversarsi nell'appartamento.

“Ehi, sfigati. Let's get the party started”, canticchia una delle ragazze più belle che Liam abbia mai visto, con gli occhi blu- non azzurri, né tantomeno innocenti come quelli di Niall; blu- e i capelli così chiari da sembrare un velo di tulle argentato. Bacia in fronte Ed, sulla guancia Harry, che probabilmente non ha mai visto, e sul naso Louis, che la fissa con moderato terrore.

Dopodiché, cattura Zayn in un abbraccio al limite dell'osceno a affonda la bocca dentro la sua, sussurrando un incongruo “Ciao, Malik.”

“Sono Perrie”, si presenta un secondo dopo, ancheggiando in direzione del soggiorno, una sigaretta accesa già in mano.

“E' la ragazza di Zayn?” sussurra Liam ad Ed, che non ha l'aria di uno che si irrita per le domande stupide. L'altro tentenna.

“E' molto più complicato di così.”

Liam annuisce senza chiedere ulteriori chiarimenti. Con la lampante eccezione di Harry e Louis, la vita gli ha insegnato che è sempre molto più complicato di così.

Dalle dieci a mezzanotte, l'obiettivo principale di Liam è evitare di essere immediatamente additato come “il tipo strano che se ne sta in un angolo”. Respira a fondo, mangia nacho chips, chiacchiera con un paio di ragazze che non lo fanno sentire minacciato perché gli ricordano un po' le sue sorelle. Risponde agli sms di auguri che sua madre e suo padre gli mandano sempre troppo presto. Nell'appartamento non c'è una TV con cui aiutarsi per seguire il conto alla rovescia, quindi scelgono come riferimento l'orologio di Louis, il quale, come sempre alle feste, è riuscito a ritagliarsi il ruolo della star.

Il loro 2015 inizia con diciassette secondi di anticipo.

Nel caos di brindisi ed effusioni che segue, Liam abbassa il bicchiere quasi intatto e, tra sé e sé, brinda alla guarigione, forse incompleta, probabilmente appena iniziata. Perrie e Zayn sono avvoltolati in un ammasso di arti e lingue, ma è il bacio tra Harry e Louis ad attirare tutti gli sguardi. Come al solito, la rockstar sovrasta la regina Mab, cingendola con lunghe braccia magre; i loro corpi non si compenetrano, sono appena appoggiati l'uno all'altro, in un equilibrio perfetto, segreto. Non ci sono violenza o possesso; solo la calma di chi sa di avere davanti tutta una vita. Quando Liam distoglie gli occhi, soffocato dal solito groppo di affetto e disperazione, si rende conto che qualcuno non si è lasciato calamitare da quella scena così casuale, così pura.

Senza la minima possibilità d'errore, Niall sta guardando lui. Con le guance in fiamme, Liam scappa in bagno, e si concede una risata alla vista della paperella di gomma appoggiata sul lavandino.

Si inumidisce il viso e, come gli ha insegnato il dottor Winchester, conta alla rovescia, da trenta a uno. Riprova, questa volta in Tedesco. Un disastro. Alle superiori ha studiato Tedesco, ma la biochimica gliel'ha fatto uscire dal cervello a calci.

Di che hai paura?, chiede alla propria immagine riflessa, labbra carnose, barba non fatta, occhi nocciola. In fondo, è stato lui a cominciare, con quel messaggio provocatorio. E' stato lui a trovare, sopito chissà dove, il coraggio di flirtare con il suo errore. E adesso?

Fuori le palle, Payne, si dice, con un tono che il suo psichiatra non assumerebbe mai.

Già che c'è, piscia. Un biglietto scarabocchiato affisso alla cassetta del water recita “Non si chiede di fare centro, ma almeno di farla dentro”. Non può farsi spaventare da persone del genere, decide, e ritorna in salotto.

We were born sick”; I heard them say it,

My Church offers no absolutes.

She tells me: “Worship in the bedroom.

The only Heaven I'll be sent to

Is when I'm alone with you.”

I was born sick,

and I love it.

Command me to be well: Amen!

Take me to church;

I'll worship like a dog at the shrine of your lies.

I'll tell you my sins, and you can sharpen your knife,

Offer me the deathless death.

Dear God, lemme give you my life.

Hozier, Take me to church

 

Alle quattro, metà degli ospiti se n'è andata, e quelli rimasti sono in condizioni tali da rendere superfluo il dialogo. Due ragazze dormono sul divano, abbracciate, con le mani l'una tra i capelli dell'altra. Un tizio dalla pelle color caramello suona da solo i bonghi di Zayn, il quale, dal canto proprio, è sparito da una mezz'oretta insieme a Perrie; nessuno presta particolare attenzione ai suoni smorzati che arrivano dalla sua stanza da letto. La canzone che qualcuno ha messo su è Paint it black, ma Harry e Louis non sono i tipi da cambiare idea per così poco e ballano un lento, e davvero, è come se Mick Jagger fosse ringiovanito e tenesse tra le braccia un folletto. Ed canticchia tra sé, abbracciato ad una bottiglia di gin.

Quando sente i passi che si avvicinano, Liam non è sorpreso. Si scosta soltanto, per ricavare un ritaglio di spazio: il balcone è minuscolo. Niall si lascia cadere accanto a lui e spinge le gambe tra le larghe maglie dell'inferriata, lasciandole penzolare nel vuoto.

“Fumi?”, domanda, sventolandogli davanti un pacchetto di Camel Blu.

“No”, replica Liam, prendendone una.

“Già, nemmeno io.” Niall tira fuori un accendino ridicolo, a fiorelloni, e due puntini arancio prendono vita nella notte.

Come l'ultima volta, è il ragazzo biondo a parlare per primo. “Ho ricevuto un'educazione cattolica”, è tutto quello che dice.

Liam rimane in attesa, i gomiti confitti nelle cosce.

“A diciassette anni ho baciato il mio primo ragazzo.”

Liam vorrebbe inserirsi nel discorso, ma sente che non è ancora il momento.

“Poi mi sono confessato. Mi hanno detto che sarei andato all'Inferno.”

“E' ridicolo”, scatta Liam, incapace di trattenersi oltre. Niall scrolla le spalle.

“E' quello che insegnano loro a dirti. Il loro lavoro, se vogliamo. Non che mi sia fatto spaventare dall'Inferno, ma come avrei potuto parlarne con mia madre? Lei è catechista, una parrocchiana esemplare.”

Liam lascia che la voce dell'altro gli risuoni nei muscoli, gli vibri nelle ossa. Non ha paura. Non che si senta rilassato, ma l'impulso di fuggire via sta lentamente abbandonando il suo corpo, lasciandolo stanco, inerte.

“Quando ho vinto la borsa di studio, ho raccontato a me stesso di avercela fatta. A Londra, mi ripetevo, sarei stato libero. Di vivere come mi andava, dico.”

Liam ride senza allegria. Ricorda molto bene una sensazione simile.

“Indovina un po'? Dentro di me c'era mia madre, tale e quale, solo più rigida e completamente incapace di qualunque perdono.

Ho conosciuto un ragazzo adorabile all'accademia, tutto ciglia chiare e lentiggini. Continuava ad offrirmi da bere, a invitarmi fuori. Mi sentivo così sporco che ho rifiutato qualunque proposta.

Alla fine, lui si è messo con un altro, e io mi sono trovato di nuovo solo come un cane. Non ne ho parlato nemmeno ad Ed e Zayn, perché, beh, loro sono sempre talmente a proprio agio con se stessi...”

“Sono eterosessuali. La società è costruita intorno a loro”, fa notare Liam, nel tono morbido del dottor Winchester. Niall aspira e annuisce.

“Suppongo tu abbia ragione. Ma sono pieni di amici gay”, continua, accennando all'interno dell'appartamento. In effetti, Harry e Louis sono solo l'esempio più eclatante. “E nessuno mi è mai sembrato torturato come mi sentivo io.”

Liam lascia cadere nella neve fradicia del marciapiede ogni cautela, e si appoggia alla spalla dell'altro, così che i loro corpi vengano separati solo da qualche strato di tessuto- una camicia, una t shirt, una felpa, un maglione. Niall non si ritrae. Il suo respiro odora di whisky, ma è una sensazione piacevole.

“Quel che è successo quella sera...” Liam spalanca gli occhi, cercando di non perdere una sillaba, nonostante il sonno. Il nodo è arrivato al pettine. Sfiora lo zigomo di Niall con un dito e si ritrae immediatamente, sopraffatto dalla propria audacia. “Sono scappato più in fretta che ho potuto, perché mi vergognavo di me stesso. Non mi era mai successo, prima. E nemmeno dopo.”

Con una lentezza utile a dissipare il caos che ha in testa, Liam risponde. “Nemmeno a me.”

Lo sguardo azzurro di gesso e blue curacao lasciato al fondo della bottiglia che ha Niall balugina nel buio. “Sai una cosa, Liam Payne di Wolverhampton?”

Liam scuote la testa, avvolto da una cappa di freddo e irrealtà.

“Tra tutti quelli con cui mi poteva capitare, ringrazio Dio che mi sia capitato con te.”

Liam si sente ridere nella notte dell'anno nuovo. “Immagino di poter dire lo stesso”, confessa, con una voce così sottile che non è sicuro di essersi reso udibile. A quanto pare, però, il suo errore irlandese ha un orecchio fuori dal comune, perché si sporge in avanti e gli sfiora le labbra con le proprie.

Sono le quattro e quarantasei del primo gennaio, ci sono venticinque gradi Fahrenheit, e Liam, escludendo quella famosa serata, ha ricevuto il primo accenno di bacio da quando Danielle si è presentata a casa sua con una dolcevita color lampone e gli ha detto addio.

Si sente, e ha paura anche solo a pensarci, quasi felice.

Put your lips on me,

And I can live underwater.

Mika, Underwater

 

Le sette e mezza, e Harry e Lou dormono nel letto di Ed, una testa bruna e ricciuta che spunta dalle coperte. L'altra, quella biondo sporco di Louis, è sepolta da qualche parte, contro il petto dell'altro ragazzo. Perrie è uscita di casa strepitando e lanciando un bicchiere di carta contro il muro; Zayn ha fissato la macchia di vodka sull'intonaco e poi è crollato sul divano, intimando ai pochi ancora svegli di tirare giù le tapparelle. Le ragazze che occupavano il divano prima di lui si sono alzate per trascinarsi a casa, ringraziando chiunque capitasse loro a tiro. Liam le ha guardate dalla finestra; erano piccole, nei primi stracci di mattino, come Hansel e Gretel per mano nella foresta.

Ed è, dunque, nel letto di Zayn, vestito, con la chitarra di traverso sul cuscino accanto. Ha un mezzo sorriso sul volto perfino nelle nebbie del sonno, e Liam si sente grato, perché al mondo esistono persone come lui.

Dopo il contatto improvviso e destabilizzante con Niall, lui ha trovato una scusa e si è defilato in bagno, dove ha contato da trenta a uno non solo in Tedesco, ma anche in Francese. La gioia, si è reso conto nelle ultime ore, può spaventare più del buio, più ancora del vuoto.

Quando ha fatto ritorno in salotto, ha trovato i suoi coinquilini mezzo assopiti, ma ancora in grado di lanciarsi in una Stereo Hearts a un ritmo molto personale. Harry esibiva la voce roca e sensuale che lo ha reso la star di Hyde Park, Louis un controcanto troppo acuto. Ed, alla chitarra, a un certo punto ha smesso di seguirli e cominciato con qualcosa che faceva “All I want is the taste that your lips allow.”

“Bella”, gli ha detto Liam.

“Lui non capisce un cazzo di musica”, ha chiosato Harry, continuando per la propria strada. Niall era ancora sul balcone, ma Liam non lo ha raggiunto.

Adesso, un paio d'ore più tardi, lo cerca, e lo trova nel suo letto, unica isola di normalità in una festa i cui strascichi hanno sconvolto gli equilibri dell'appartamento. Indossa la stessa felpa di prima e ha l'aspetto sereno di un bambino. Quegli occhi sconvolgenti sono chiusi, e il nuovo Liam, nato nel bagno troppo piccolo, può ammirarlo in tutta la sua bellezza senza ritrarsi, colmo di ansia: la carnagione compatta, i capelli ridicoli- ma va bene, va bene così-, la fossetta sul mento, la disarmante resa del collo disteso, del braccio rilassato sul copriletto.

Il dottor Winchester direbbe di pensarci due volte, e di mettere in pratica l'idea solo se lo fa sentire a proprio agio con se stesso. Fino a tre ore fa, Liam l'avrebbe ascoltato; adesso, dentro di lui si agita qualcosa di non meglio identificato che lo spinge a sfilarsi le scarpe e a riporle ordinatamente contro il muro.

Domani te ne pentirai, dice una voce razionale nella sua testa. Ti verranno tali paranoie che non riuscirai a mettere piede fuori di casa. Sono passate quasi ventiquattr'ore dall'ultima volta che hai preso le medicine. Non hai idea di quello che stai facendo.

Sono affermazioni sensate, e soprattutto, Liam ammette a se stesso, giuste. Eppure, scosta le lenzuola verde menta del letto di Niall e vi scivola sotto, nel calore prodotto dal corpo dell'altro.

Intontito dal sonno, cinge la vita di Niall e appiccica le gambe alle sue, facendo combaciare cosce con cosce, ginocchia con ginocchia. Il suo errore si muove nel sonno, e intreccia le dita alle sue; dita sottili macchiate di china, dalle unghie intatte.

Liam appoggia le labbra dietro l'orecchio di Niall, e aspira il profumo del suo collo: sudore, deodorante del supermercato, detergente al limone. Dopodiché, con proprio inesauribile shock, si addormenta.

Senza pillole, senza sensi di colpa, senza paura.

Il dottor Winchester direbbe che, forse, fin dall'inizio si era trattata di una questione d'amore. Liam non è uno che conosca le parole giuste al momento giusto, ma il mattino seguente, quando l'altro ragazzo si sveglia e si volta, sfiorandogli lo zigomo con la bocca, si rende conto di conoscere l'aggettivo che descrive le sue sensazioni in quel momento.

E' pronto.

Ed esserlo è un sollievo, perché comunque la vita non aspetta. E non guarda in faccia nessuno.

 

I'm full of light, I'm full of wonder.
 

Credo che io e questa fanfiction abbiamo una maledizione.
E' la quarta volta che, dopo molte esitazioni, cerco di postarla senza riuscirci. Sperando di farcela, sottolineo che i miei tentennamenti sono dovuti al fatto che ho trattato temi molto delicati, e ho il terrore di averlo fatto con superficialità o supponenza. Se qualcosa di quello che ho scritto vi disturba o vi offende, vi prego, fatemelo sapere, perché l'ultima cosa che desidero è svilire argomenti come la depressione.

Ciò detto, ovviamente non possiedo nessuno dei personaggi citati (sigh), li ho inseriti in situazioni e scene frutto della mia immaginazione e i pensieri che ho attribuito loro non corrispondono in alcun modo alla realtà. 
Ringrazio le solite: imp, Maraudersrain, Larrys_bravery, xsheneedsjonas. E anche te, o intrepido/a che sei arrivato a leggere fin qui. Un abbraccio caramelloso a chiunque recensierà, preferirà, ricorderà, coserà o anche solo apprezzerà almeno un pochino. Alla prossima, 
                                                                                                                                                                            Tonks 
   
 

 


 

  
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