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Autore: TonyCocchi    24/03/2015    1 recensioni
La storia dei popoli è stata scritta col sangue. Il sangue delle migliaia e migliaia di uomini, soldati, che si sono scontrati, epoca per epoca, in luoghi diversi, con armi diverse, con scopi e ideali diversi. In questa raccolta, ripercorriamo i passi delle nazioni sui campi di battaglia di ogni epoca: a volte in gloria, a volte nella polvere, in quel triste, perenne, circolo di violenza, eroismo, e sofferenza di cui l’uomo è da sempre prigioniero.
1 – Battaglia di Azincourt
2 - Battaglia di Isandlwana
3 - Battaglia di Waterloo
4 - Quattro giornate di Napoli
5 - Battaglia di Teutoburgo
6 - Battaglia di Berlino (WWII)
7 - Battaglia di Caporetto
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anno 9 D.C.

 

 

 

“VARE!”

Non c’era, dalle più vaste sale ai più angusti cubicoli degli schiavi, un angolo nell’intero palazzo in cui non s’arrivassero ad udire quelle grida. Sempre lo stesso nome, la stessa frase. In alcuni momenti le parole ruggivano intrise di cieca furia, in altri frammentate da gemiti di cupa, dolorosa disperazione.

“MIHI LEGIONES REDDERE! VARE!”

Così era stato l’intero giorno prima, e il giorno prima ancora.

Roma, ritiratosi in disparte nei suoi alloggi sin dal suo ritorno dal nord, disteso su un triclinio, tra soffici cuscini imbottiti cercava inutilmente di riposare, di riprendersi dalle ferite, quelle del corpo ma soprattutto quelle dello spirito.

Ma non ci sarebbe riuscito, anche senza avere nelle orecchie le urla a squarciagola del suo Princeps Imperator, ridotto a un folle vaneggiante dal momento stesso in cui gli era giunta la notizia. Una cosa è la notizia di un disastro, un’altra è essercisi trovato nel bel mezzo.

Le voci spezzate dei compagni, fidi legionari dell’Urbe, sempre più distanti dietro di sé, che lasciato in pasto ad umana paura il suo orgoglio di milite invitto, si precipitava col cuore in gola tra le buche, i pantani, gli imponenti alberi e le asperità della oscura selva. Fuggiva, Roma, lasciandosi alle spalle uomini, aquile dorate, e quella che sembrava l’ennesima conquista. Inciampava di continuo: i rami e i sassi lo graffiavano e lo ferivano, il fango gli inzaccherava la corazza, ma mai si sarebbe fermato, perché non c’era nulla lì intorno che non temesse.

Nell’ombra impenetrabile della foresta, nel gelo di quella terra selvaggia come i suoi abitanti, Roma si guardava intorno, trasaliva e gemeva ad ogni rumore di ramoscello spezzato, ad ogni fruscio, ad ogni ondeggiare di rami al vento, ad ogni ombra, sinistra, intravista dietro una delle immense colonne di legno tutto intorno. Perché tra quelle ombre lo stava osservando, seguendo, come un lupo la preda. Lo percepiva in ogni attimo e di sfuggita, dietro gli alberi avvolti nella bruma, riusciva a scorgerlo: appariva e scompariva, come uno spettro del Tartaro. Per singoli attimi incrociava quegli occhi, come lame di ghiaccio puntate su di lui, brillanti come diamanti in quel folto intrico, piccoli lampi impassibili, crudeli, fissi su di lui che aveva osato avventurarsi lì dove non doveva, troppo oltre anche per lui.

Rivedeva ora quello spettro, quel gigante dai biondi capelli, nei suoi incubi.

Incubi che forse sarebbero cessati un giorno, ma qualcosa gli era rimasto dentro e vi aveva posto salde radici. Lui, Roma, l’impero più potente di tutti i secoli, aveva guardato dritto negli occhi il suo opposto, e aveva imparato ad averne paura.

“VARE!”

Lui, la luce della civiltà, non avrebbe mai più osato penetrare il fosco di quel santuario di selvaggia, fiera, indomabile arretratezza.

“VARE!”

In cuor suo ne era certo: Germania non sarebbe mai stato suo.

 

 

 

La Battaglia di Teutoburgo fu un autentica disfatta per Roma: tre intere legioni (circa 15.000 uomini), sotto il comando di Publio Quintilio Varo, in marcia in colonna attraverso la selva tedesca furono completamente annientate da un imboscata dei barbari germani capeggiati da Arminio, in precedenza alleato dei romani stessi.

Sotto il principato di Ottaviano Augusto, la Germania si avviava a diventare una provincia romana a tutti gli effetti, ma il governatore Varo si comportò in maniera dispotica con gli “incivili” germani, accrescendone il risentimento verso i conquistatori. Accecato dalla sua  presunzione di superiorità, non sospettò minimamente che Arminio, capo della tribù dei Cherusci, una delle sue guide, fosse in realtà il capo della ribellione: questi condusse i romani su un terreno impervio dove furono facili prede di un imboscata, dalla quale, stanchi per la lunga marcia, fiaccati dal freddo, non poterono che uscirne massacrati (lo stesso Varo, vistosi perduto, si suicidò) e, se presi vivi, torturati. A ulteriore disonore, le tre aquile-insegne delle legioni andarono perdute, e solo due di esse poterono essere recuperate nel corso di una spedizione punitiva anni dopo.

La notizia fece immenso scalpore nell’impero. Si narra che Augusto, per il dolore dell’accaduto, abbia pianto per giorni, continuando a chiamare Varo perché gli restituisse le sue legioni (“Vare, mihi legiones reddere!”, ovvero “Varo, ridammi le mie legioni!”).

Al di là della perdita di uomini e onore però, a funestare Augusto c’era sicuramente il pensiero che la Germania era stata perduta per sempre: il confine venne posto sul fiume Reno che divenne lo spartiacque tra l’Impero e la barbarie per secoli.

Indubbiamente, senza Teutoburgo, con una Germania pacificata e romanizzata, il corso della storia dell’Impero Romano e dell’umanità sarebbe potuto andare diversamente…

 

 

INFO
Battaglia di Teutoburgo:
http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_della_foresta_di_Teutoburgo

Arminio: http://it.wikipedia.org/wiki/Arminio

  
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