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Autore: Clarance    24/03/2015    1 recensioni
John Smith è un uomo comune: un bell'appartamento in periferia, un lavoro stabile e amici che gli vogliono bene. Eppure, qualcosa nella sua vita non sembra quadrare. Una voragine a riempirgli il petto e nulla sembra essere in grado di colmarla. Eppure, le cose sembrano diverse, quando John cede al suo mondo onirico... lì non è più un uomo comune, ma un cacciatore. In particolare, il cacciatore di un grande lupo cattivo.
NDA: E' una storia in corso e io stessa non so come andrà a finire,al momento. Godetevi l'avventura con me, se volete!
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bad Wolf, Companion - Altro, Doctor - 10, Rose Tyler
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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{Did you just say Bad Wolf?

 
                                                                    - I - Nightmares.

La foresta era parte di lui ed allo stesso tempo, il suo unico nemico. Si passò distrattamente una mano sulla bocca per pulirla dal sangue rappreso, tornando poi ad impugnare con entrambi i palmi il fucile che aveva tenuto in spalla fino a quel momento. Lo osservò. Non sembrava ci fossero danni. Il respiro appena affannato. Lei era vicina. Lui la sentiva. Sempre. Chiuse gli occhi, concentrandosi sui rumori che lo circondavano: il vento tirava verso nord, scuotendo le fronde degli alti e scuri pini che lo circondavano, gli uccelli cinguettavano in lontananza.. mentre un enorme corvo nero, si era appostato su un ramo non troppo distante da lui; aprì gli occhi, per osservare quella presenza inaspettata, per quanto sembrava fosse diventata una costante di ogni sua battuta di caccia. Abbassò dunque lo sguardo.. gli stivali in pelle ormai sporchi di fango, poggiavano saldamente al suolo. Sarebbe dovuto essere il più silenzioso possibile. Quel gioco infantile alla ‘gatto e il topo’ lo aveva messo anche fin troppo in difficoltà: nel correre, cercando la preda, aveva finito con il cadere e spaccarsi il labbro inferiore. Gli ci era voluta più di un’ora per seguire nuovamente le sue traccie: quando riusciva ad allontanarsi, era sempre difficile. Ma ora era lì. Lui lo sapeva. Lui la percepiva. Sentiva il sangue correre nelle sue vene, il suo corpo bruciare come il proprio, ed appoggiarsi sulla stessa terra. Perché lui era tutto lì. Decideva lui la materia che plagiava quel bosco senza una fine e privo d’inizio. Eppure, lei ancora gli sfuggiva. E lui, non riusciva ad andare oltre al percepirla. Sentiva il suo peso sprofondare, ma non riusciva a capire dove. Un'eco del suo fiato animalesco, ancora esagitato e mescolatosi col vento. Per non parlare del mormorio dei suoi pensieri... gli risultavano simili allo scricchiolio dei vecchi mobili durante la notte, o al suono che fa la grandine, poco prima di trasformarsi in neve. Sempre più silenziosi, simili ai petali di una rosa appassita che raggiungevano il suolo, inesorabilmente. Ed inesorabilmente, lui avrebbe raggiunto lei.
Il corvo gracchiò di nuovo e lui si ritrovò costretto a smettere di pensare e tornare ad agire. Alla fine, lui era un uomo d’azione,no?
Scattò in avanti, abbandonandosi alle spalle il passeriforme che, un istante dopo, si itrovava nuovamente a veleggiare sopra gli alberi, invisibile alla vista terrena, invisibile pure a lui. La boscaglia correva insieme a lui, come se nel sospingere il proprio corpo, facesse lo stesso con la natura circostante. Il fucile di nuovo in spalla e lo sguardo attento ad ogni minimo dettaglio. Avrebbe trovato l’anomalia e l’avrebbe annientata, com’era giusto che fosse.
Continuò ad agirarsi a quel modo per un tempo che gli sembrò infinito, quando improvvisamente, la luce flebile del sole, cessò del tutto. Ed immerso in quell’oscurità, non ebbe neanche bisogno di chiudere gli occhi, per tornare a provare internamente il costante mutamento della vita che animava quell’estesa parte di sé. Ed ecco, nuovamente, la percezione di lei. La bestia, sembrava essersi spostata, eppure gli risultava distante allo stesso modo di prima. Dove lui faceva un passo, lei ne compieva uno nella direzione opposta. Se lui si girava, lei faceva lo stesso. Era la sua immagine speculare e, al contempo, tutto quello al di fuori di lui. Era quel che succedeva quando riusciva a metterla alle strette. Ghignò appena e spalancò le braccia, benché fosse consapevole che niente e nessuno  avrebbe potuto vederlo.

«Stiamo giocando a nascondino? »

Aveva urlato, al vuoto, prima di lasciarsi andare ad una risata.

«E’ sempre così, ma lo sai come va a finire.. ogni volta. Perché devi rendere le cose così difficili? Io davvero, non vorrei.. »

Ed il riso, morì con le sue parole. Non volere? Che gran bugiardo che era. Non provare il desiderio di eliminare quel  virus di sistema era tutto fuorché possibile. Desiderava sentire il sangue scorrere sull’erba, sporcandola e finendo inesorabilmente con il fare parte di sé. Perché quella smania di morte che provava verso di lei, non era altro che un tentativo disperato di assimilazione. Voleva che lei diventasse parte di sé. Voleva inglobarla, completamente. E questa cosa, alimentava ogni suo singolo movimento.
E tutti quelli dell’altra, a quanto pareva.
Irritato, dal non sentire nessuna risposta, riprese bruscamente il fucile, impugnandolo in maniera impropria con una sola mano, per poi sparare un colpo verso l’alto. In una situazione normale, probabilmente, il suo braccio non ne sarebbe uscito bene, eppure, non provò il minimo dolore. Il proiettile venne risucchiato dall’oscurità, mentre il rimbombo del colpo rimbalzò contro gli alberi. E allora non ci fu altro che non fosse l’eco di quello sparo, che si disperdeva in lontanaza.

«ALLORA?! Sto aspettando! »

Un altro grido. Stavolta il suo tono oltre che alto, era anche iroso. Ogni volta, ogni singola volta, doveva far così. Lei voleva resistergli.. ma era inevitabile, che venisse scovata, prima o poi. E lui la trovava,sempre. Alcune volte dopo giorni. Altre volte, gli servivano pochi minuti. Ma tutte le volte che le si trovava davanti...

Percepì una consistente variazione di peso sul terreno, e si mise in posizione da combattimento, impugnando nella dovuta maniera il fucile. Era riuscito a convincerla con le buone, quella volta. Forse si era stancata di nascondersi, consapevole quanto lui che fosse tutto stupidamente inutile. Quelle zampe animalesche affondavano lentamente nella fanghiglia, per poi venir ripulite dall’erba e dalle foglie secche, che di tanto in tanto sentiva lasciare il loro posto, per impigliarsi al pelo dell’animale. Le distanze si accorciavano ed il suo cuore forte iniziava a pompare una maggior gittata di sangue. Un’eccitazione mai provata altrove, e per nessun’altro in tutta la sua vita, lo invadeva. Scorse una luce far lentamente capolino dagli alberi. Un’altra elusione del sistema. Ma come diavolo ci riusciva?! Non importava. Una volta fatta sua, lui avrebbe saputo, avrebbe conosciuto tutto di quella mente estranea, di quel corpo pieno di vita impropria. Si leccò le labbra al pensiero,mentre le mani iniziarono a tremargli, appena. In poco tempo l’avrebbe vista. La luce, prima opaca, poi sempre più luminosa continuò ad avvicinarglisi, sparendo di tanto in tanto dietro i grandi tronchi. Quando ormai gli fu a meno di dieci metri di distanza si accorse quella luminescenza gli faceva male agli occhi. Era un dolore che non riusciva a concepire e soprattutto a sopportare, ed allo stesso tempo, qualcosa dal quale era maledettamente attratto. Eppure non si mosse. Sarebbe stata lei a venire.
Sarebbe stata lei ad inginocchiarsi al suo potere, conscia dell’imminente morte che le sarebbe toccata.
Ed ecco che l’animale, continuò con il suo lento ma maestoso incedere verso il suo futuro assassino. E lui strinse i denti, nel vano tentativo di bloccare il tremolio alle mani. Perché era così emozionato? Non aveva senso. No. NO! Scrollò le spalle, cercando di stabilizzarsi, mentre lei ormai non gli stava che a meno di qualche passo di distanza.

«Fatti vedere. Voglio guardarti negli occhi. »

Aveva ordinato, in un ringhio sussurrato e.. cattivo. La luce che l’aveva schermata dalla vista altrui, si affievolì appena.. poi esplose. Lo inondò completamente, facendolo barcollare all’indietro e facendogli serrare gli occhi. Ed in quel momento, improvvisamente, non sentì più niente. Il vento si era spento, l’erba era sparita, insieme alle pietre e gli alberi, gli animali erano stati disintegrati. Anche il corvo non si faceva più sentire. E questa era la cosa più strana. Si irrigidì, mentre il panico lo assaliva. Quell’anomalia di sistema era abnorme, ed andava oltre alla propria comprensione. E, soprattutto, era qualcosa che non sarebbe mai potuto succedere. Non era da copione. Non era minimamente possibile o accettabile. Quando riuscì nuovamente ad aprire le palpebre, la sua vista era alterata. Cerchietti bianchi luminosi e traballanti l’annebbiavano, mentre tutto quel che riusciva a scorgere fra di loro era una distesa bianca ed indefinita. Ogni cosa era candida ed informe. Sembrava che non ci fosse altro, se non quel colore... lui, il suo fucile e quella bestia. Le puntò violentemente la canna contro, cercando di reprimere il panico che lo stava lentamente avvolgendo. Ironico.. quella volta era stata lei, ad incastrare lui. Ma non del tutto. Poteva ancora distruggerla.

«Che cos’è questo?! PARLA! So che puoi farlo! PARLA! »

Si morse la lingua, detestandosi. Non era riuscito a trattenersi dall’urlare in quel modo tanto.. umano. Umano e infantile. Lui era un Dio, lì. Ed unn Dio non poteva comportarsi a quel modo. Ma anche lei, doveva esserlo... di certo ne aveva il sembriante: il pelo grgio e folto aveva un’aspetto invitante, mentre le zampe robuste erano lunghe, come lo erano anceh coda ed orecchie.  Il muso fiero e le fauci, chiuse.  Aveva un portamento eretto, ma non aggressivo. E poi, quegli occhi.. grandi e di un chiaro color nocciola. Erano quasi umani. Molto più di quanto fossero i suoi,  antichi, furenti e stanchi.
Lei non si mosse, lei non parlò, e lui riprese a tremare.

«Ti sto chiedendo dove siamo! PARLA! Parla o ti sparo!»

Ma che senso avrebbe avuto, comunque, cedere a quelle minacce? Entrambi sapevano che lui avrebbe comunque premuto il grilletto. La bestia socchiuse gli occhi e lui si sentì scosso. Sembrava quasi che gli stesse sorridendo. Perché mai, poi? Era uno sporco assassino. Un cacciatore. E lei era la sua silenziosa ed astuta preda. Ma le era permesso di vincere. E lui non ce la faceva più.  Doveva tornare a tenere il controllo.

Ringhiò ancora, sembrando più animalesco di chi gli stava di fronte, e andò a sistemare l’indice della mano destra sul grilletto.

«Me lo dirai domani, allora. Ti farò parlare.

Bad Wolf. »

E dopo aver pronunciato quel nome, premette il grilletto, e tutto si fece nuovamente buio.


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La sveglia stava suonando fastidiosamente da più di cinque minuti, quando John si decise ad aprire gli occhi. La guardò un po’ spaesato, poi allungò il braccio verso il comodino, dandole un colpo deciso con il pugno chiuso per silenziarla. Gli capitava fin troppo spesso di non accorgersi di quel rumoraccio, cosa parecchio strana, visto che lo trovava detestabile. Tornò a mettere la faccia contro il cuscino,mentre si muoveva sotto le coperte, nel vano tentativo di riprendere la sensibilità del proprio corpo. Si andò a massaggiare le tempie con la mano sinistra.. e notò che fossero bagnate. Aveva di nuovo sudato.. l’ennesimo incubo, probabilmente. E poi, mosse un paio di volte le spalle in senso antiorario. Ed ecco un’altra cosa che non andava. La destra gli dolorava in maniera lancinante. Ma che cosa aveva fatto quella notte? Era andato a combattere in qualche pub, preso dal sonnambulismo, per caso? Non sarebbe stata di certo la prima volta. Ma ormai erano anni, che non gli capitva più di uscire addirittura di casa, durante uno dei suoi attacchi. Scosse la testa, mettendosi a sedere, per poi massaggiarsi la spalla dolorante con cura.

«Bel buongiorno... »

Borbottò, buttando un’ultima occhiata alla sveglia. Erano le otto meno un quarto e lui avrebbe dovuto trovarsi dall’altra parte di Londra, in meno di un’ora e mezza.

In pochi minuti s’era alzato, fatto una doccia e ben vestito. Doveva indossare giacca e cravatta, benché non fosse altro che un semplice impiegato. Nella sua società il DressCode era qualcosa considerato quasi ‘vitale’. Alcune volte era stato tentato di abbandonare gli scarponi neri per un paio di converse.. ma si era fermato pensando che, effettivamente, i soldi gli servivano. Mangiucchiato un toast imburrato e con un po’ di marmellata, affiancandolo ad una tazza di thé, s’era andato a guardare rapidamente allo specchio. Notate le occhiaie, pensò che quella routine lo avrebbe ucciso,prima o poi. Una volta imbracciata la sua ventiquattro ore, aveva abbandonato l’appartamento, chiudendo  bene a chiave prima di scendere le scale e raggiungere la fermata del bus. Era felice di vivere a Powelle Estate. Era un bel comprensorio di case, con bella gente ad abitarle. Il posto migliore nel quale si fosse mai trasferito, decisamente. Ed anche i mezzi, passavano in orario. Diede un’occhiata all’orologio da taschino che portava sempre con sé, sorridendo nel vedere che le lancette segnavano le otto e un quarto.. per poi notare l’autobus che girava l’angolo, diretto alla fermata.
Si accomodò tranquillamente al suo solito posto, dopo aver salutato in modo cordiale il conducente, che ormai conosceva bene, e si era messo a sbirciare dentro la borsa, alla ricerca di un paio di pratiche che voleva ricontrollare. Improvvisamente, gli sembrò di sentire una voce, al di fuori del bus. Una voce di donna, che chiedeva di essere aspettata. Si affacciò dal finestrino, sbirciando nella direzione da cui proveniva quel suono. Non notò niente di anomalo, nonostante la voce si facesse più forte... scrollò la testa e chiuse gli occhi, massaggiandoseli con il pollice e l’indice della mano non dolorante.
Aveva dormito davvero troppo poco.

Il bus partì e lui smise di torturarsi il volto, sbattendo le palpebre un paio di volte. Gli sembrò quasi di vedere una ragazza bionda inseguire la vettura, prima di girare nuovamente l’angolo.
  
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