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Autore: Rota    25/03/2015    0 recensioni
La notizia di un trasferimento improvviso per motivi di lavoro, annunciata da sua madre dopo una cena sfarzosa, non lo aveva destabilizzato più di tanto. Aveva certo amici, nel vecchio distretto, e una rete di conoscenze più fitta e sicura, ma andare a vivere a Shibuya non voleva dire rintanarsi dall'altra parte del mondo, isolato da qualsiasi sprazzo di civiltà, né tanto meno dover abbandonare in modo definitivo le vecchie amicizie. L'unica cosa che Yukio aveva chiesto a sua madre, in cambio della solita pacifica convivenza familiare, era una scuola con un club di basket, dove poter continuare a giocare ciò che più preferiva. La Touou Academy era stata una delle opzioni possibili, avvicinata con interesse per la sua fama e il suo prestigio rispetto alle altre, e da quello che il ragazzo aveva visto, in quei dieci giorni dall'inizio delle lezioni, non sembrava smentire le dicerie.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shoichi Imayoshi, Touou, Un po' tutti, Yoshinori Susa, Yukio Kasamatsu
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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*Secondo anno – II*

 

 

Imayoshi avrebbe dovuto prevederlo nel momento esatto in cui Yoshinori era entrato in casa sua con quella strana faccia addosso.
Suo padre si trovava a lavoro, distante mezzo distretto dalla propria dimora familiare, mentre la sorella maggiore era ancora impegnata in vicende di vita universitaria, tra libri da cercare in biblioteche disperse e reali servizi scolastici che differivano da quelli proposti o promessi. Lo aveva fatto accomodare lui stesso dalla porta, salvandolo da un acquazzone dei primi giorni di autunno e un vento davvero gelido.
Susa sapeva di pioggia e di cemento, tra i capelli smossi, e aveva dimenticato l'ombrello da qualche parte. Non disse nulla quando Shoichi gli tolse il cappotto dalle spalle, né rispose quando gli propose di bere qualcosa di caldo per evitare che l'umidità entrasse anche nelle sue ossa. Lo seguì in cucina, con passo piuttosto malfermo.
C'erano stati altri giorni come quello, in passato, in cui Imayoshi aveva cercato di ignorare la tensione della sua pelle e intrinseca nel suo sguardo. Non sapeva assolutamente come rispondervi, e questo lo frenava dal compiere qualsiasi tipo di azione - non aveva mai avuto grandi esperienze di amicizia, né l'intimità necessaria per chiedere qualcosa di troppo riservato a quel riguardo che potesse permettergli di fare un piccolo progresso verso il suo spirito e il suo animo. L'empatia, anche questa volta, giocava a suo sfavore, e lui non sapeva come gestirla.
Shoichi gli diede le spalle e cominciò a trafficare con il pentolino dell'acqua, aprendo il rubinetto per recuperare abbastanza liquido per tutti e due. Dandogli le spalle, cercava di evitare di doverlo guardare in faccia.
Ma quando Susa chiuse l'abbraccio attorno al suo petto, stava ancora tremando. Era chiaro che neppure lui riuscisse a spiegarsi una cosa del genere, che benché non si facesse troppo riguardo ad assumersene tutte le conseguenze non comprendeva appieno la portata dei gesti che stava compiendo; di primo acchito, Shoichi sentì molta irritazione nei suoi confronti, tanto da fargli dimenticare qualsiasi forma di cortesia spicciola.
-Yoshinori, lasciami andare.
L'altro non gli diede retta, stringendo invece ancora di più il proprio corpo al suo. Il cuore batteva fortissimo, sembrava impazzito: Imayoshi lo sentì, e capì di essere arrossito molto.
-No.
Si piegò in avanti, con le gambe che gli cedevano. Non vide più niente oltre le lenti trasparenti degli occhiali, e per un attimo il suo respiro venne a mancare.
Poi si calmò, con tutto il proprio autocontrollo, e raccolse quanta più gentilezza possibile per il suo migliore amico.
-Yoshinori- kun, per favore. Lasciami andare.
Purtroppo, anche questa volta ebbe solo un rifiuto indietro.
-Non voglio.
La fronte di lui andò ad appoggiarsi sulla sua nuca scoperta, coprendo anche i ciuffi sottili e scuri dei capelli. Le sue mani, invece, si aprirono e strinsero le dita attorno al tessuto della maglia che Shoichi stava indossando, quasi tirandola un poco.
Sentiva ancora il suo respiro, contro la pelle. Poteva essere una sensazione anche piacevole, se magari Yoshinori avesse evitato di singhiozzare quelle tre volte di troppo.
Imayoshi si ritrovò crudele a proprio svantaggio, e impossibilitato di corrispondere determinati sentimenti – tradito, a modo suo, da qualcuno che non avrebbe mai dovuto toccarlo a quel modo.
Alzò la propria mano sulla sua, coprendola con il palmo aperto. Susa pensò che fosse pronto a scacciarlo di casa e, per sempre, dalla sua vita, per cui lo premette contro il lavello di forza, senza farlo ulteriormente muovere.
-Yoshinori- kun, voglio guardarti in viso.
Susa scosse la testa contro di lui, prendendo a trattenere il fiato. Imayoshi si impose di non sospirare in modo da farsi sentire, perché una cosa del genere era proprio l'ultima che egli desiderava. Glielo chiese di nuovo gentilmente, sporgendo all'indietro il proprio capo e trovando quello di lui, immobile.
-Yoshinori- kun, per favore. Fatti guardare in viso.
Dopo un po', Susa si risolse a lasciarlo andare – ma non troppo, quel tanto che servì per farlo girare nel proprio abbraccio.
Fu lì, con lo sguardo diretto al suo, che Imayoshi gli prese il volto e gli concesse il primo dei proprio baci. Era rude e sesso, fatto di troppi suoni strani e una lingua che prendeva movimenti tutti suoi, senza nessun ordine; occupava la sua bocca con una prepotenza eccessiva, e gli strappava brandelli di coscienza e volontà.
Yoshinori pianse così tanto che quasi pareva doversi sciogliere all'improvviso.

 

Quella mattina più di molte altre gli era stato difficile alzarsi dal proprio letto e assumere l'idea precisa di dover affrontare un'altra giornata della propria esistenza.
Forse perché aveva passato la notte in bianco preso da chissà quale pensiero strano, forse perché l'inverno di stava avvicinando e con quello anche la Winter Cup e l'ennesimo appuntamento della sua trafficata vita – una serie di diversi avvenimenti, in realtà, che lo rendevano un poco più isterico del normale.
Il giorno prima, durante l'allenamento, uno dei suoi senpai era scoppiato, nel bel mezzo della partita tra di loro. Era uno di quelli che avevano fatto molta fatica a diventare titolari e a guadagnarsi la pesante casacca color nero e rosso, e nonostante tutto giocava in proporzione meno degli altri e veniva messo in campo dall'allenatore solo in occasioni di evidente favore. La prospettiva della sua ultima occasione lo aveva caricato di eccessiva ansia, così da renderlo emotivamente instabile e sempre pronto allo scatto; la manager era stata obbligata a richiamarlo e l'allenatore a toglierlo dalla partita per gli ultimi dieci minuti di allenamento, per non forzare troppo il resto della squadra. La sua rabbia, però, li aveva tutti profondamente toccati, e non se n'era ancora andata dal cuore di Kasamatsu.
Yukio aveva preso la metropolitana alla fermata vicino alla propria casa con piedi pieni di abitudine e pochissima volontà, avendo prima aspettato giusto dietro quel poco di coda che a quell'ora sempre occupava la banchina del mezzo e non faceva passare proprio nessuno, neppure il più piccolo infante. La sua mano, mossa dallo stesso tipo di vitalità, si era chiusa attorno a un'asta di metallo freddo di mattino, che gli aveva regalato ben più di un brivido, e lì sarebbe rimasta per i successivi venti minuti, se qualcuno non l'avesse smossa.
-Kasamatsu- senpai!
Yukio alzò lo sguardo dal nulla, ritrovandosi a pochi posti di distanza, seduto sopra un seggiolino di plastica colorata, Wakamatsu Kousuke. Gli si avvicinò d'istinto, senza pensare al significato del proprio gesto; l'altro, vedendosi rivolgere così tanta attenzione, chiuse la rivista che stava sfogliando e rispose al suo sguardo con una punta di imbarazzo e due occhi davvero attenti.
In quel contesto, era così diverso dal solito ragazzo burbero pieno di irritazione che di solito si muoveva in campo, forte di una stazza e di un fisico che impauriva tutti quelli del suo anno. Con i ragazzi più grandi, e in particolar modo per alcuni di loro tra cui proprio lui, Kousuke era sempre molto rispettoso – riservava loro tutta la propria ammirazione e la propria sincera stima, come un ragazzo che ha capito perfettamente il grado di capacità e di talento altrui.
Siccome vide che l'altro non si decideva a rispondergli in qualche modo, si vide costretto a iniziare la conversazione con una semplice considerazione dei fatti.
-Non sapevo abitassi in queste zone.
-Prendo la metropolitana tre fermate prima della tua!
Aprì gli occhi alla sorpresa, per quanto sottile e implicita.
Attorno a loro, correvano palazzi e lunghi edifici, grattacielo e un mare di vetri e impalcature di acciaio e cemento. In lontananza, anche una nuvola di nero smog che aleggiava poco sotto le nuvole scure.
-Io mi sono trasferito qui da poco, non conosco bene tutte le tratte dei mezzi.
-Davvero? Prima dove abitavi?
-Prima abitavo a Kanagawa, dopo mia madre si è dovuta trasferire per lavoro.
Kousuke aggrottò le sopracciglia, ma non sembrò neanche per un secondo cercare di fare una sorta di confronto: elogiava il posto dove era cresciuto con una naturalezza del tutto priva di qualsivoglia malizia.
-Shibuya è un bel posto dove vivere.
Yukio non poté che dargli ragione, con un sorriso accennato.
-La trovo piuttosto esuberante.
Quel ragazzo gli piaceva, davvero. Per quanto energico, il suo modo di fare era sempre diretto e sincero, e per quanto potesse incassare duri colpi per colpa del cattivo carattere dei compagni più grandi o semplicemente della sfortuna della squadra stessa, non aveva ancora vacillato abbastanza da sembrar dover cadere. E questo tipo di pensiero era decisamente rassicurante, per una persona come Kasamatsu, in particolar modo in un momento come quello.
La voce meccanica dell'altoparlante annunciò, alla fine, il nome della loro fermata.

 

***

 

La mensa della Touou Academy non era una sala troppo grande, costruita nei tempi in cui il gettito degli studenti non era ingente quanto gli ultimi anni e non era prevista una presenza di unità superiore ai duecento capi.
Diversi tavoli disposti parallelamente in quattro distinte file, i bagno in fondo a sinistra e tutto il corridoio sgombro di sedie o di altri intoppi – finestre troppo grandi, però, che nelle stagioni fredde non riparavano quasi niente dal gelo dell'esterno.
Il personale messo a disposizione degli studenti era appropriato al loro numero, e il menù discretamente ampio, o quantomeno con una parvenza di possibilità di scelta. Diverse verdure e piatti occidentali più elaborati, tagli di carne e diversa pasta con più o meno ingredienti; appesi, anche, i prototipi dei vari noodles a disposizione.
Imayoshi presentò alla cassa il buono pasto che aveva comprato la mattina, ricevendo in cambio una ciotola di ramen precotto grande quanto metà del vassoio che faceva ancora scorrere lungo la portantina. Ringraziò con un capo la signorina dall'altra parte del bancone e si diresse pian piano, seguendo il ritmo della fila, verso i bollitori alti di acqua calda; se ne versò una dose abbondante dopo aver sparso il condimento sulla pasta, cercando di spargerlo in diversi punti quanto possibile. Riuscì a recuperare anche le bacchette per metterle accanto alla ciotola e quindi partire alla ricerca di un posto dove potersi sedere per i successivi quindici minuti.
Quando lo vide inserito in mezzo alla folla come un pesce fuor d'acqua, fu quasi tentato di lasciarlo da solo al proprio tavolo, senza darsi troppo la pena di risolvere in qualche modo la sua solitudine. Vide anche i proprio compagni di squadra tutti riuniti in un angolo, in prevalenza i compagni del terzo anno che facevano gruppo assieme più qualche sprovveduto ragazzo del secondo. Diversi club di sport, e persino compagni di classe disseminati qui e là – rimase fermo in mezzo al caos per qualche secondo di troppo, tanto che qualcuno gli arrivò quasi addosso e ci mancò poco che gli facesse rovesciare tutto il proprio pranzo per terra.
Kasamatsu lo vide, inevitabilmente, e lui si accorse di essere visto. Con un sorriso buono sul volto, si avvicinò quindi a lui e prese posto esattamente davanti alla sua persona. Yukio impiegò qualche secondo di troppo per registrare il tutto, e quindi non reagì prontamente; si chiuse sul proprio cibo, sperando di essere così ignorato dall'altro e dalla sua insistenza.
In effetti, lo stupì che Shoichi non iniziasse un dialogo con qualsiasi tipo di scusa a sua disposizione – una volta lo aveva riempito di domande sul tempo atmosferico, con il chiaro e solo intento di dargli fastidio per più di cinque minuti – ma in un primo momento si vide bene dal considerare la cosa come un fatto negativo.
Poi, però, mise casualmente gli occhi sul cibo con cui lui si stava nutrendo, e aggrottò quindi le proprie sopracciglia in un'espressione davvero contrariata. Non riuscì a frenarsi.
-Mangi sempre quella roba?
Imayoshi mangiò piano il boccone tra le sue labbra, evitando di schizzare liquido caldo tutt'attorno usando le proprie bacchette. Continuava a sorridergli, imperterrito.
-Costa poco e mi riempie lo stomaco.
-Dovresti cercare di mangiare più sano.
Il vassoio di Kasamatsu presentava un menù a base di pietanze tipicamente giapponesi, tra riso, zuppetta, uova sode e pollo, più l'insalatina condita con la salsa di soia. Quanto di più completo quel posto potesse offrire, in effetti.
La voce di lui prese una discreta nota saccente, senza volerlo.
-Anche una dieta equilibrata fa parte dell'allenamento quotidiano di ognuno di noi.
Imayoshi finse di essere ammaliato, per canzonarlo.
-Non ne dubito, ma a me piace molto questo.
-Puoi sempre mangiarla come spuntino piuttosto che come pasto.
Dovette fare una pausa e cambiare postura delle braccia. Con le bacchette appoggiate accanto alla ciotola dei noodles, sul proprio vassoio, Imayoshi mise il gomito sul tavolo e aprì la propria mano, per posarvici dentro il mento. Aveva un'espressione serena, tranquilla e rilassata.
-Ti interessa così tanto la mia salute?
-Da un certo punto di vista, sì.
Lo disse schietto, senza pensarci più di due attimi. Imayoshi non si sorprese troppo di questo – era più o meno abituato a questo genere di manifestazioni, e quindi non gli facevano troppo impressione. Gli piaceva da un certo punto di vista, e non faceva fatica ad ammetterlo.
-Certo volte invidio la tua incapacità di dissimulare.
Lo guardò storto, mandando in gola qualche chicco di riso in più.
-Le altre volte, invece?
-Mi piacerebbe vedere dove la tua testardaggine riuscirebbe a portarti.
I suoi occhi ebbero un scintillio, uno solo, piuttosto sinistro, o forse solamente d'intesa complice. Yukio sapeva riconoscere una sfida implicita, anche perché Shoichi per certi versi non gli mentiva davvero: era diretto quando parlava, anche nel mentre covava sentimenti non convenienti. L'ipocrisia era l'ultimo dei suoi difetti.
-Hai una predisposizione naturale per la tragedia.
-Mi piace, è solo un'altra forma di passione.
Si tirò indietro, sistemandosi più comodamente sulla propria sedia e guardando per qualche secondo la folla che avevano attorno – il ragazzo che aveva a due posti di distanza si alzò, portandosi dietro il proprio zaino e il proprio vassoio ormai vuoto.
-Come la competizione sportiva.
Yukio posò sul tavolo la ciotola del riso vuota, dedicandosi agli ultimi pezzi di pesce che gli erano rimasti.
-Mi sorprendi con un'affermazione del genere. Spesso sembra che tu non sia così coinvolto nello sport come invece dici di essere.
-Non posso certo andare in giro a uccidere gente.
Lui rise quasi, Kasamatsu no davvero: non lo toccava quel sadismo macabro, neanche quando era tempo di battibeccare verbalmente.
-E quindi per questo giochi a basket?
-È una lotta senza spargimento di interiora.
Dovette però concedergli un sorriso ironico e uno sbuffo veloce, un'alzata di spalle e gli occhi scivolati via, verso qualcosa che non fosse il suo viso da volpe fiera e astuta.
-Io sono uno dei tuoi avversari, giusto?
Quando tornò a guardarlo, seppe di certo di star vedendo il vero e prezioso Imayoshi; le sue parole, dopotutto, implicavano la presenza di una delle più roventi passioni possibili, tutta dedicata alla sua persona.
-Decisamente sì.
Si trovò con le ginocchia tremanti, senza un logico perché.

   
 
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