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Autore: civetta_rossa    25/03/2015    1 recensioni
E' la prima storia che pubblico. Diversi sono i temi trattati: la guerra, l'amicizia, le migrazioni, la bellezza dei bambini,la ricchezza della diversità, l'amore per la propria terra. Ho scelto come protagonista Francesco, un bambino rapito dalla sua terra che con un compagno di fuga arriverà in Italia. Francesco inizierà questo racconto, poi voi scoprirete come andrà a finire. Ps. mi farebbe molto piacere leggere le vostre recensioni, sia positive che negative, perchè voglio capire se la scrittura fa per me o è meglio che mi dedichi ad altro ;)
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni giorno camminavamo lungo quella strada seguendo lo stesso verso sapendo, come ho già scritto, che saremmo arrivati da qualche parte ed entravamo nella foresta solo per saziarci.
Poiché per fortuna entrambi conoscevamo la povertà e il valore del cibo, con quelle provviste siamo riusciti a vivere molti giorni. Dopo alcune discussioni decidemmo di aprire una scatoletta di tonno, una barretta di cioccolato o uno di qualsiasi altro tipo di cibo confezionato ogni giorno. Eravamo magri ma non troppo, perché presto imparammo a catturare sempre più  animali ( in due era più facile), a pulirli con il nostro coltellino e a cuocerli nell’asfalto con un po’ di erba secca e un fiammifero. Avevamo imparato anche come utilizzare il fuoco e che riscaldando un fiammifero al sole avevamo molte più possibilità di accenderlo. Il cibo non riuscivamo mai a cuocerlo completamente ma per noi era ugualmente squisito. Uccidevamo uccelli, cavallette, lombrichi e molto altro.
Sia io che Johnny eravamo cresciuti in Africa centrale e avevamo cacciato molte volte, quindi per noi non era difficile capire cosa mangiare e cosa no, cosa poteva far bene al nostro stomaco e cosa invece era velenoso. Le trappole, che tante volte avevamo fatto con i nostri genitori, riuscivano alla perfezione! Il nostro vero problema era l’igiene. Tagliavamo i capelli, che crescevano a vista d’occhio, con il coltello ma non vedevamo acqua limpida da molto tempo. Bevevamo nelle pozzanghere che trovavamo qua e là nella foresta ma mai trovammo tanta acqua per lavarci.
L’occasione arrivò quando finalmente un giorno, dopo tanto tempo che non succedeva, piovve. Iniziammo quindi a spogliarci e a conservare i nostri scarponi, i nostri calzoni e un po’ di rametti secchi in una grotta che controllammo essere disabitata; i vestiti invece li appendemmo ai rami di un albero per far si che la pioggia li pulisse un po’ Poiché ci vergognavamo uno dell’altro, nonostante ormai eravamo molto amici, rimanemmo d’accordo che lui si sarebbe fatto il bagno dieci passi a destra della grotta e io dieci a sinistra. La doccia fu gelata ma sia io che lui alla fine ci sentivamo davvero puliti e notammo con piacere che anche i nostri vestiti erano ritornati ai colori originari. Dopo prendemmo i vestiti, indossammo i piccoli boxer donati dall’esercito e rientrammo nella grotta. Stendemmo i vestiti per terra, lontani dal centro della grotta, accendemmo il fuoco circondandolo con delle pietre come facevamo con i nostri genitori e rimanemmo ad aspettare che asciugassimo completamente. Poi strofinammo il nostro corpo con delle foglie umide molto profumate che tolsero la sporcizia più resistente dalla nostra pelle. Si era fatta sera ma nessuno di noi aveva sonno. A pranzo avevamo mangiato vermi cotti, una scatoletta di carne delle nostre provviste, un po’ di frutta e due uccelli di cui non conoscevamo il nome.
 Da quando eravamo fuggiti non avevamo mai parlato di noi e quella ci parve un ottima occasione. Iniziai io con la mia storia e il mio compagno non mi interruppe mai facendomi alcuna domanda. Quando terminai lo guardai e con un cenno gli chiesi di iniziare a parlare. “Beh … la mia storia non è interessante come la tua ma se proprio ci tieni a sentirla te la racconto. Io sono l’ultimo di una famiglia molto numerosa. Da sempre i miei mi hanno fatto capire che non sono mai stato molto desiderato. Mio padre è, penso sia ancora vivo, un ricco. Un uomo che, mio fratello disse, non era degno di essere definito tale. Ti avverto, non so cosa significa ma si dice che lui ha fatto violenza a mia madre. Sono molto taciturno … -ma quale taciturno! Parlava in continuazione e a volte diventava insopportabile!- … beh forse prima ero taciturno” si corresse. “Con te mi trovo bene e parlo un po’. Non penso che mi hai mai visto alla base. Stavo solo a disegnare con i sassi e non parlavo se non era necessario. Ho deciso di seguirti perché non parlavo con qualcuno da anni e restare solo mi avrebbe fatto diventare pazzo! Ritornando alla mia storia, un giorno uno dei miei fratelli mi consegnò al comandante dicendo che non potevo essere mantenuto e quindi doveva scaricarmi da qualche parte. Lo fece all’insaputa di mia madre che era l’unica che in quella famiglia mi voleva. Questo è tutto”. Non ebbi il coraggio di dire niente. Il fuoco stava perdendo pian piano il suo vigore iniziale e pensammo entrambi fosse meglio rimanere a dormire nella grotta.
Il giorno dopo, non facendo alcun accenno alla sera precedente; prendemmo tutte le nostre cose e ci avviammo verso la strada che ormai sembrava essere infinita. Sentimmo un rumore insolito appena arrivati vicino all’asfalto: sembrava un rumore causato da un veicolo. Strano. Non passava mai nessuno di lì. Ormai da settimane ne eseguivamo il corso ed era sempre stata desolata, priva di qualsiasi visitatore. Ci nascondemmo dietro un masso e osservammo da dietro cercando di capire cosa stesse succedendo. Un camion si era fermato sul centro della strada; trasportava diversi tronchi e rametti secchi fissati per mezzo di un telone. Terminato il rombo dei motori, ci accorgemmo che non c’era nessuno all’interno o fuori a sorvegliarlo. Non pensammo ci serviva il legno ma avevamo bisogno di un passaggio! Salimmo nel camion, questa volta da dietro, passando dalle fessure che c’erano ovunque nel telone. Volevamo approfittare del mezzo per arrivare in fondo alla strada e aspettammo il ritorno del o dei proprietari. Li vedemmo arrivare dalla fessura dalla quale eravamo entrati. Erano due uomini grassi, dal colore della pelle molto più chiaro di Johnny e portavano altra legna da mettere nel camion. Noi, avendo capito il pericolo imminente, avanzammo difficilmente fra i rami verso la parte più vicina al posto di guida separato dal carico tramite una lamina di ferro.
Per nostra fortuna tolsero solo parte del telone e questo ci consentì di rimanere nascosti. Dopo aver fissato i rami al camion ritornarono al posto di guida e partimmo. Il viaggio durò diverse ore in cui, senza pensarci troppo, mangiammo tutte le scorte che ci rimanevano. Dopo un tratto di strada molto lungo ci avvicinammo alla fessura dalla quale eravamo entrati e per un po’ guardammo fuori cercando qualche terreno o parte di asfalto che avrebbe attutito la nostra caduta.  Non so se qualcuno in cielo ci proteggeva o se era solo fortuna ma la strada terminò e sotto il camion vedemmo un bel po’ di fango, dove decidemmo di scendere. Era vero che il terreno attutì la caduta ma comunque non fu molto piacevole, dopo la “doccia” del giorno prima, scendere da un camion in movimento. Il fango ci avvolse quasi completamente ma alla fine pensammo che fu meglio lì piuttosto che l’asfalto.
Ci guardammo intorno. La strada era terminata in un grande campo che era ben curato e delimitato da una staccionata in legno. Il camion si era fermato poco più avanti di noi vicino a una stalla. Vedemmo una stradina formata da ciottoli che iniziava a pochi passi. Non avevamo scelta … ci incamminammo, questa volta non più allegri come i giorni precedenti. Non eravamo più convinti di arrivare alla fine di una strada ma eravamo all’inizio di una nuova.
 “ E’ colpa tua!” disse Johnny;
“Ma che dici! Non fare lo stupido! Per cosa avrei colpa di preciso?!”
“ Per essere voluto scendere nel fango! Non solo siamo tutti sporchi ma abbiamo anche chissà quanta strada da fare! Bravo, bravo non ho parole”
“Vuoi venire con me?! Se vuoi andare da qualche altra parte sei libero di farlo!”
“Ormai dove devo andare?! Sei uno stupido!”
“Si e tu sei un cretino. Basta stai zitto! Camminiamo che è meglio!”
Non rispose ma era evidente che se avessimo scambiato qualche altra battuta sarebbe finita male. Comunque camminammo per un bel po’ e nessuno di noi aveva la voglia di fermarsi. Camminando infatti potevi anche stare zitto ma fermandoti dovevi parlare e nessuno dei due ne aveva voglia. Al tramonto le gambe non mi reggevano più e penso fosse lo stesso per lui. Avevo fame e lui anche perché si guardava continuamente intorno alla ricerca di cibo e quando pensava di aver trovato qualcosa correva per vedere cosa fosse e poco dopo tornava a testa bassa non volendo darmi la soddisfazione di mostrarsi deluso. Era ormai notte fonda quando, mio malgrado, fui costretto a cedere ma feci finta di pensare a voce alta e non a lui. Forse ero meno orgoglioso di lui (e ciò mi dava molto fastidio) ma non potevo dargliela vinta :” Basta io esco i rivestimenti dei sedili e mi corico a tre passi dalla stradella. Lascio lo zaino vicino a me”. Dopo essermi coricato vidi anche lui venire verso di me che fece lo stesso non degnandomi neanche di uno sguardo.
   
 
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