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Autore: thecapitolFB    26/03/2015    5 recensioni
È risaputo che ogni paese abbia le sue leggende, racconti che vengono tramandati di generazione in generazione, che fanno parte della storia del luogo.
Quali sono quelle di Panem? Quali storia narrano gli adulti nelle sere d'inverno, davanti al fuoco, per far sognare i bambini?
In questa raccolta, alcune fan-writers si sono impegnate a inventarne alcune: dai racconti dei minatori di carbone a quelli degli abitanti di Capitol City; storie perdute e ritrovate, nascoste tra le pagine di un libro e nella memoria di un popolo".

O1. Distretto 12 • «La solitudine del Buio»;
O2. Distretto 1 • «La principessa di giada»;
O3. Distretto 11 • «Ed»;
O4. Distretto 4 • «La Sirenetta»;
O5. Distretto 9 • «L'Aviaurea»;
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Famiglia Hawthorne, Finnick Odair, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Premessa. Questa raccolta è stata scritta da alcuni utenti del gruppo Facebook The Capitol. Ogni capitolo racconterà una favola, una leggenda popolare, una tradizione proveniente da uno dei 13 Distretti di Panem (ma ci sarà anche una parte dedicata a Capitol City). In molti dei capitoli faranno comparsa alcuni personaggi della saga (o alcuni OC) che aiuteranno a raccontare le storie dei Distretti da cui provengono. Buona lettura!

 

Storie Perdute –

Le Leggende di Panem

 

District 12|Mining

Senza titolo 1

 

La solitudine del Buio.

Il bambino attese che il padre avesse terminato la cena, prima di saltellargli incontro e allacciarsi al suo collo con le braccia.

“Eccolo qua, il mio vincitore[1]” commentò a quel punto l’uomo con un sorrisetto. “La mamma mi ha detto che questa mattina eri un po’ abbacchiato.”

Il ragazzino annuì, lasciandosi prendere in braccio.

“Non so se sono un vincitore, oggi” mormorò, mettendosi a giocare con una mano callosa del padre. “Mi è di nuovo venuta la febbre. Non riuscivo nemmeno a giocare con Rory.”

L’uomo gli toccò la fronte, per controllarne la temperatura.

“Tu sei sempre un vincitore” lo rassicurò poi, strizzandogli l’occhio. “Febbre o non febbre. Ti chiami Vick, no?”

Il bambino tentennò un po’, prima di annuire. Appoggiò poi la fronte al petto del genitore, tornando a cedere alla stanchezza.

“È solo che mi sento un po’ solo, quando sono malato” confessò, strofinando la guancia contro la casacca da lavoro del minatore. “Perché Rory e Gale vanno a scuola e la mamma deve lavorare.”

Il signor Hawthorne annuì, prima di sfregarsi il volto con insistenza. Si guardò poi la mano, sorridendo ironico alla piccola macchia di polvere nera che si era formata sul suo palmo.

“Sai, ragazzo, mi hai appena ricordato qualcosa” rivelò, accarezzando rozzamente i capelli del bambino. “Una favola che i minatori del Giacimento raccontavano ai loro discoletti quanto ero piccolo io. Potrei raccontartela come premio del giorno” propose, sollevando il mento del ragazzino con due dita. “O oggi non ti senti abbastanza un vincitore per ricevere il tuo regalo?”

Vick si affrettò a scuotere la testa.

“Adesso un po’ vincitore mi sento!” esclamò, alzandosi in ginocchio e fissando speranzoso il padre. “Me la racconti?”

Il signor Hawthorne sorrise divertito.

“È una storia un po’ triste…” ammise poi, tirando indietro la schiena per appoggiarsi alla sedia. “… Ma ti piacerà, vedrai. Parla di qualcuno che si sentiva solo, proprio come te…”

 

*

«Nonostante ai nostri occhi di esseri umani il cielo notturno sembri un gigante cupo e minaccioso, anche lui è stato bambino, in passato. Accadde migliaia di anni fa, quando i nonni dei nostri nonni non erano altro che i protagonisti di una favola, come quella che ti sto raccontando io in questo momento. Una fiaba che le stelle adulte recitavano a quelle bambine e che i mari del Distretto 4, ogni tanto, prendevano in prestito per far addormentare le onde neonate.

In quel periodo, la notte era già gigantesca come la conosciamo adesso, nonostante fosse appena nata. Amava giocare e fare i dispetti, proprio come fanno i ragazzini della tua età. In molti la chiamavano semplicemente ‘cielo’, anche se quello era il suo cognome, che condivideva con il gemello Giorno. Qualche tipetto impressionabile la chiamava Oscurità. I suoi amici, però, la chiamavano semplicemente Buio. All’alba, il Buio veniva coperto dal gemello e restava solo fino al tramonto, quando Giorno, lentamente, scivolava via da lui per andare a dormire. A quel punto il fratello più scuro tornava a mostrarsi alle persone e si divertiva a osservare i lavoratori che rincasavano dal lavoro o i rapaci notturni che cacciavano nei boschi.

Passarono gli anni – moltissimi anni – e il Buio, da neonato, divenne bambino. Una sera, però, si rese conto di una strana tristezza che lo infastidiva di continuo, notte e giorno. Il giorno in cui vide tre cuccioli di stelle che giocavano ad acchiapparella fra le nuvole capì che si trattava della solitudine. Si sentiva solo, perché il suo gemello non poteva tenergli compagnia e nemmeno gli uomini o gli animali, che erano troppo distanti dal cielo. Per di più, molte persone avevano paura del Buio – specialmente i bambini – e questo lo rattristava perché avrebbe tanto voluto giocare con loro. Così, decise di guardarsi attorno per cercare un amico.

Sorvolò Panem per notti e notti e chiese a qualche stella di potersi unire ai suoi giochi, ma le lucette rifiutavano sempre. Siccome il loro passatempo preferito era acchiapparella, avevano paura di giocare con lui: temevano che, bianche e luminose com’erano, si sarebbero sporcate di nero se il cielo color notte le avesse prese. Così, il Buio lasciò perdere e, sconsolato, riprese a cercare. Ci fu una volta, mentre giocava nel Distretto 6, in cui pensò di aver fatto amicizia con un hovercraft, ma quello dopo un paio d’ore perse quota e raggiunse la terra ferma, lasciandolo ancora una volta solo. Il povero Buio aveva ormai perso le speranze. Si fermò sconsolato poco sopra le nuvole del Distretto 12 e incominciò a piangere. Grosse gocce nere caddero a terra, sporcando le strade e le case delle persone. All’improvviso il Buio si sentì chiamare da una sottile vocetta. Smise di tirare su col naso e si guardò intorno: un gruppo di stelle si era raggruppato ai suoi piedi. Una di loro, la più piccola, si arrampicò nel cielo per poterlo guardare negli occhi.

“Perché piangi?” chiese la stella bambina, brillando un po’ più forte.

Il Buio le raccontò della sua solitudine e di quanto si sentisse triste per non avere qualcuno con cui giocare. A quel punto, anche il resto del gruppetto si avvicinò: tutte ascoltavano con attenzione il racconto, scambiandosi occhiate colpevoli.

“Mi dispiace che le nostre cugine ti abbiano trattato male” si scusò alla fine una di loro, quella che sembrava la più grande. “Ma noi… Noi ci comporteremo meglio. Siamo pochine, perché abitiamo nel cielo del Distretto più piccolo, ma sappiamo divertirci.”

“Sappiamo ballare e andare a caccia di gocce di pioggia!” intervenne un’altra, annuendo entusiasta.

“E tu potrai giocare con noi” disse la stella più giovane. “Tutte le volte che vorrai.”

Il buio smise subito di tirare su col naso. Sorrise talmente tanto, che per un attimo sembrò farsi meno scuro. Passati pochi secondi, però, tornò a rabbuiarsi.

“Io sono fatto di nero…” spiegò poi, sfregandosi un occhio. “… E se vi sporcassi? Non brillereste più e non potreste illuminare il cielo per gli umani del Distretto 12.”

“Non ci sporcherai” promise la stella più piccola, annuendo tutta decisa. Il suo corpicino si illuminò. “Ehi, ho un’idea! Perché non giochiamo a Indovina Cosa Sono?”

Le altre stelle brillarono più forte, entusiaste di quella proposta. Il Buio non ebbe nemmeno il tempo di spiegare che non conosceva quel gioco, perché le sue nuove amiche si erano già messe a correre. Si raggrupparono e formarono un cerchio, poi un paio di loro formarono delle righe che partivano da quel tondo centrale.

“Indovina cosa sono?” gridarono tutte assieme, rivolte all’unico partecipante rimasto immobile. Il loro amico ci pensò su per qualche istante.

“Siete il sole!” azzardò infine, un po’ incerto: lui non aveva mai visto il sole, ma il suo gemello gliene aveva parlato talmente tanto che era quasi sicuro di avere ragione.

Le stelle ridacchiarono entusiaste: aveva indovinato. Dopo tre, cinque, dieci turni di gioco, il Buio incominciò a prenderci gusto. Si divertiva come un matto a cercare di indovinare che forma avessero costruito le sue amiche. Erano davvero brave a creare nuove immagini. Ogni tanto qualcuna di loro scivolava, formando sulla pelle del Buio una scia dorata e luminosa. A quel punto lui le prendeva in giro, chiamandole Stelle Cadenti.

Verso l’alba, però, le stelle smisero di giocare. Una a una, a incominciare dalla più piccolina, si misero a sbadigliare e a stropicciarsi gli occhi. Proprio come fai tu, quando torno tardi dal lavoro e ti metti a fare il testardone per aspettarmi, anche se stai morendo di sonno.

“Adesso dobbiamo proprio andare a dormire” disse la più grande, prendendo per mano le altre. “Altrimenti nostra madre, Luna, si arrabbierà.”

Per il Buio fu come se, a un tratto, tutte le lucine che gli brillavano attorno si fossero spente. Tornò a sentirsi triste e spaventato; cercò di convincere le sue nuove amiche a restare, ma le stelle furono irremovibili. Brillarono un’ultima volta e sbiadirono fino a sparire, mentre il cielo si schiariva.

Il Giorno si stiracchiò e, come una specie di coperta, nascose il gemello Buio agli umani del Distretto 12. Il poverino, rimasto solo, incominciò a piangere. Grosse macchie di polvere scura tornarono a cadere sulle case, sui sentieri, sui giocattoli dei discoletti, proprio come è successo con i tuoi soldatini di legno. Smise di piangere solo al tramonto, quando si accorse di un brillio piccolo piccolo: era la stella più giovane che, dopo il suo riposino lungo un giorno, stava tornando nel cielo per tenergli compagnia.

Quella notte, il Buio e le sue amiche giocarono di nuovo fino alle prime luci dell’alba. Quando le stelle svanirono una seconda volta, accompagnate da mamma Luna, lui pianse ancora, pieno di tristezza e solitudine. Continuò a piangere ogni giorno, dalla mattina fino al crepuscolo, quando le amiche tornavano a trovarlo per farlo sentire meno solo.

Ecco perché, qui al Giacimento, le strade sono piene di polvere di carbone. E non solo quelle: guarda me, guarda come si è conciato quel distrattone del tuo babbo! Sono tutto sporco di nero. Ma queste macchioline non sono altro che lacrime, in realtà. Le lacrime di solitudine che il Buio piange all’alba, quando le sue stelle lo lasciano solo.»

 

*

Vick spalancò sorpreso gli occhi, nonostante il sonno si stesse sforzando di chiuderglieli ormai da qualche minuto.

“Sono queste, le lacrime del Buio?” chiese, appoggiando l’indice alla guancia sporca di carbone del padre.

L’uomo annuì.

“Proprio così, ragazzo” confermò, prendendo il dito del bambino e posandoglielo sulla punta del naso. Un puntino nero vi si dipinse sopra e Vick rise, cercando di sfregarselo via. “Anche la polvere che vedi per strada la mattina, quando vai a scuola, viene dal Buio.”

“Deve essere proprio triste, se piange così tanto…” osservò il ragazzino, rabbuiandosi. “… Vorrei giocare con lui, così non si sente più solo.”

“Ma la notte tu devi dormire” gli ricordò il padre, alzandosi con il figlio in braccio per spostarsi nella stanza a fianco. “Altrimenti la mattina non ti alzi nemmeno con il solletico del tuo vecchio!” aggiunse, punzecchiandogli la pancia con le dita. Il bambino si rannicchiò su se stesso per proteggersi.

“All’attacco!” gridò in quel momento una voce alle spalle del signor Hawthorne. Rory si aggrappò alla sua schiena, cercando di aiutare il fratello a fuggire. “Sei spacciato, Quattro Hawthorne[2]! Arrenditi!”

“Fai sul serio?” commentò con un sorrisetto il padre, afferrandolo per la vita. “Ti ci vorranno ancora un paio d’anni per riuscire a farla in barba a me, Scacco[3]!”

L’uomo gettò entrambi i figli sul letto e i due ridacchiarono, tentando poi di aggrapparsi nuovamente a lui.

“E se li aiutassi io?” intervenne qualcun altro, raggiungendoli in camera da letto. Gale cercò di bloccare le braccia del padre, aiutato dai fratellini. Il capofamiglia si divincolò dalla presa dei più piccoli e placcò il maggiore, circondandogli il collo con un braccio.

“Ma sentitelo, vostro fratello!” prese poi in giro Gale, trattenendolo a fatica mentre il ragazzo si divincolava. “Si sente un uomo vissuto solo perché ha trovato la fidanzatina.”

“Veramente ne ho due” scherzò il primogenito, sgusciando via dalla presa del padre. L’uomo lo riacciuffò subito e la coppia riprese a lottare.

“Io tre!” intervenne Vick, sedendosi a gambe incrociate sul letto. “Scherzo” aggiunse subito, nascondendosi imbarazzato il volto nella maglietta.

“Io quattro!” gli fece eco Rory, sorridendo malandrino. “Proprio quattro!” ricalcò, mostrando soddisfatto il numero al padre con le dita.

L’uomo lasciò andare Gale e fece l’occhiolino al suo secondogenito.

“Non avevo dubbi su di te, Scacco.”

“Ehi, maschietti!”

Hazelle raggiunse il resto della famiglia nella camera da letto.

“Qualcuno, qui dentro, sta cercando di dormire” commentò con un sorriso, posandosi una mano sul pancione. “E forse sarebbe ora che anche i suoi fratelli la imitassero.”

Le labbra del signor Hawthorne si incresparono a formare un sorrisetto divertito.

“Date la buonanotte a vostra sorella” ordinò poi, prendendo Vick in braccio e posandolo di fronte alla moglie.

“Che ne sai che è femmina?” osservò perplesso Gale, mentre i piccoli di casa attorniavano il pancione della madre. Il signor Hawthorne gli diede un colpetto sulla nuca.

“Lo so e basta. Io so tutto” annunciò, sorridendo sghembo alla moglie. Hazelle scosse la testa, fingendosi rassegnata.

“Buonanotte, Posy” mormorò Vick, baciando il ventre della donna. “Buonanotte, mamma!” aggiunse, alzandosi sulle punte dei piedi per fare lo stesso con Hazelle. Rory lo imitò.

“ ‘ Notte, sorellina” esclamò allegro, prima di fiondarsi sul letto che divideva con il fratello minore.

Vick allacciò le braccia attorno alla vita del padre e l’uomo lo prese in braccio per posarlo di fianco a Rory. Si rivolse prima al suo secondogenito, che fingeva di essersi già addormentato, nascondendo il volto sotto il lenzuolo.

“Buonanotte, mascalzone” esclamò il signor Hawthorne, arruffandogli i capelli. Raggiunse poi Vick e gli rimboccò le coperte.

Il bambino si rannicchiò su se stesso e chiuse gli occhi, ma li riaprì quasi subito.

“Papà…” mormorò, per non farsi sentire dal fratello. “ … Tu non farai mai come le stelle, vero?”

Il padre gli rivolse un’occhiata interrogativa.

“Non te ne andrai mai, vero? Perché sennò poi mi viene da piangere e io lo so che non si piange” spiegò il ragazzino, indirizzandogli un’occhiata preoccupata. Lui, in realtà, piangeva molto spesso, ma sapeva che a suo padre non piaceva vederlo con gli occhi pieni di lacrime: lo faceva sentire troppo triste.

Il signor Hawthorne scosse la testa.

“Non ti lascerò mai solo, ragazzo” promise, posandosi mano sul petto con espressione solenne. “Parola di Quattro Hawthorne.”

Il bambino annuì, visibilmente rassicurato.

“Buonanotte, papà” sussurrò infine, serrando le palpebre e appoggiando un pugno sul cuscino.

 Il padre gli baciò la fronte; rimase per qualche minuto a osservare i suoi due figli più piccoli, prima di uscire dalla stanza.

“Buonanotte, piccolo vincitore.”

 

Note Finali.

Ecco qui il primo capitolo della nostra raccolta. Per ogni Distretto verrà narrata una storia scritta da un autore ogni volta diverso. Per quanto riguarda questo primo capitolo, ho scelto di approfondire una favola tradizionale del Dodici che avevo già accennato in una vecchia flash-fiction, “Le lacrime del Buio”. Di Rory, Vick e il signor Hawthorne non si sa nulla, per questo ho tentato di dare loro una caratterizzazione mia, sperando che risultino verosimili. Il signor Hawthorne era sicuramente stravolto per la giornata trascorsa in miniera, ma l’ho sempre immaginato molto giocherellone e legato ai suoi figli, per questo ci tenevo a inserire la scena della lotta. Gale, in quel passaggio, è molto meno musone del solito, un po’ perché era più piccolo rispetto a come lo conosciamo noi, un po’ perché credo che lui sia un po’ cambiato sia dopo la morte del padre, che in seguito agli Hunger Games di Katniss.



[1] Riferimento a “The Winner Loses it All”: il nome ‘Vick’ significa ‘Campione, Conquistatore, Vincitore.’

[2] Riferimento ad “Almeno uno dei Tre”, dove il signor Hawthorne spiega come mai suo padre l’avesse soprannominato “Quattro”.

[3] Riferimento a “Checkmate”: Scacco è il soprannome che il signor Hawthorne ha dato a Rory, per via della passione del piccolo per il gioco degli scacchi.

   
 
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