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Autore: CrHacker98    27/03/2015    2 recensioni
"I love you"
"You..."
Così vicina a lui, quella frase, quel dolore insopportabile nel cuore. Amici, parenti, fratelli che si allontanavano, scomparendo come neve al sole di fronte al suo segreto, disturbati dalla verità, disgustati dalle sue formi rudi e concrete. La vergogna che lo assale, il disprezzo di sè stesso che lo avvolge, cosa dovrebbe farne della sua vita, del suo amore così infame? Forse sarebbe meglio cancellare con il sangue il nome Michael Wayland dalla memoria, spazzando via i suoi peccati e tutto ciò che era sempre stato, tutto ciò che aveva desiderato con la sua anima.
Ma adesso, solo, sperduto, l'unico desiderio che ha è morire e perdersi nei meandri dell'oblio, dell'oscurità, e non ritornare mai più in superficie.
Genere: Malinconico, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michael Wayland, Robert Lightwood
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Don't you know, little boy, they'll lay you to waste man
Little do they know every song is a life span
Never taken one, but I'm taking my last chance
To hold all we know and let go with both hands
Oh don't you know that clouds are made from concrete?
Right through the stone can you hear my heart beat?
Beats through my bones like the memory left me

[Hollywood Undead - Believe]
 
La pioggia cadeva incessante da quasi due ore.
Il cielo era ricoperto da spessi strati di nubi scure e grigie, che si muovevano e si scontravano tra loro ripetutamente generando lampi e tuoni. Le gocce si scaraventavano nell’aria in picchiata l’una vicina all’altra, creando un manto fitto di acqua che la vista difficilmente avrebbe mai penetrato, troppo debole per poter distinguere qualcosa. Pozzanghere e fiumicelli si erano già formati ai lati delle strade fino alla campagna, inondando in quantità massiccia il fiume lontano che tra pochi momenti avrebbe straripato, allagando la terra intorno e forse ampliandosi di qualche metro.
Nonostante i fulmini, la tempesta ed il fischiare del vento nelle orecchie, Michael continuava a camminare dondolandosi avanti ed indietro come un ubriaco, lanciando lamenti acuti sofferenti e cadendo più volte per terra, sporcandosi il viso di terriccio e fango. Non si curava del pensiero di essere ridotto a pezzi, con degli stracci sozzi e puzzolenti addosso, i gomiti e le ginocchia sanguinanti tanto quanto i polpastrelli e le unghie, ignorando la forza della pioggia sulle sue spalle, aguzza come coltelli. La sua testa percepiva solamente quel dolore cupo e forte che gli attanagliava il petto, che stringeva in una morsa violenta il suo cuore e ne faceva uscire stille di sangue. Piangeva, gridava, incespicava e rotolava nel fango del tutto incurante del suo corpo, provando quasi piacere nel ferirsi in quel modo solo per poter eguagliare il male che lo perseguitava dentro. Sentiva gli occhi rossi e gonfi dal pianto, appannati dalla pioggia, il sapore metallico del suo stesso sangue che amaro gli pulsava nella bocca, sulla lingua, tra i denti. Si rialzò ancora, traballò sulle gambe malferme, impotenti, che lo ressero per qualche passo e si arresero sotto il suo peso scaraventandolo ancora una volta sul terriccio duro e sporco.
Il ragazzo rimase lì accasciato tra l’erba, singhiozzando come un bambino, tirando i ciuffi di erba e ferendosi le mani grattando con ossessione la superficie irregolare su cui giaceva. Gli facevano male la gola, la testa, persino il petto e le costole da quanto aveva pianto e quanto aveva sofferto.
Chiuse gli occhi e lasciò che lamenti ed ululati gli scappassero dalle viscere, acuendo e per niente placando il dolore che lo torturava come una lama nella carne.
Era sbagliato.
Tutta la sua vita, il suo stesso respirare e pensare, non era altro che un grande, enorme, osceno errore. Si domandava come faceva qualcosa di così rivoltante come lui a continuare a vivere, ad esistere. Era nato al contrario, era la sua colpa, uno sbaglio stesso della natura: forse la cosa migliore sarebbe stata essere spazzato via, cancellato dalla faccia della terra, chi mai avrebbe rimpianto la sua morte?
Il suo parabatai?
La sua famiglia?
I suoi amici?
Tutti coloro che conosceva e che a loro volta erano al corrente del suo vergognoso segreto non provavano altro che disprezzo e ripugnanza per lui. Il suo stesso migliore amico gli aveva ripetuto di non voler neanche accettare quella sua parte così turpe ed infame, che negava e rigettava la sua stessa essenza di uomo, preferendo invece considerarlo come morto. Valeva meno di uno shadowhunter, meno di un mondano e perfino di un nascosto ed un demone: almeno quelli si accoppiavano secondo le regole, esattamente come la natura aveva prestabilito, e non deturpavano la loro essenza scopando come animali ributtanti.
Un grido angoscioso lasciò le labbra del giovane mentre altre lacrime gli rigavano le guance, confondendosi con le gocce di pioggia che gli coprivano il viso. Il suo intero corpo ed i vestiti erano fradici, pesanti sui muscoli stanchi e indolenziti, spiacevoli a contatto con la pelle rossa ed irritata, marchiata di nero e di cicatrici. I capelli si erano appiattiti contro la testa in ciocche nere ondulate, quasi nascondendo la smorfia di dolore che straziava quel viso così bello, così vile, con quei occhi castani da cerbiatto arrossati e intrisi di tristezza.
Voleva morire. Sarebbe stato così sollevato se si fosse ammazzato in quel momento, ma le dita frenetiche che cercavano intorno ai suoi pantaloni un coltello o un’arma non si strinsero a nulla, grattando allora convulsamente la terra e spezzandosi le unghie ricolme di frustrazione.
Voleva piantarsi una lama nel petto, trafiggersi il cuore, suicidarsi, sparire.
Gridò, urlò, si contorse a terra come il verme che era.
Schifoso. Gli veniva duro se guardava altri uomini, si eccitava e gli veniva il fiatone pesante come quello di uno stallone appena vedeva le schiene ampie, i muscoli delineati, i lineamenti del viso duri e severi. Si masturbava pensando al suo migliore amico, al modo in cui le sue labbra si muovevano quando parlava, a come sudava ed al suo forte odore quando si allenava, oppure alla sua voce roca e bassa che gli accendeva tutte le terminazioni nervose. Tante, troppe volte la sua mente e la sua immaginazione correvano di pari passo mostrandogli davanti agli occhi uomini nudi che si fottevano l’un l’altro, che denaturavano sé stessi e facevano a pezzi il loro onore solo per un orgasmo o due, solo per sentirselo mettere dentro. E lui aveva desiderato con tutto sé stesso essere uno di quei uomini, aveva bramato così tanto essere sbattuto come un donna in calore, poter urlare e sentire sulla faccia lo sperma caldo di qualcuno.
Il cervello a quei pensieri si indolenzì, la sua vista sbiancò per un momento e subito riapparve colorata di rosso non appena quel dolore forte e sordo gli martellò ancora in mezzo al petto. Strinse i denti per non piangere ancora, si prese la testa tra le mani e si rotolò nel fango gemendo ed ansimando per scacciare quelle idee che gli facevano solo desiderare di tagliarsi i polsi. Era giusto, si, era esattamente quello che si meritava: morire come un cane, da solo, in quella sterpaglia strappata via, con la pelle delle braccia aperta in due ed il suo sangue corrotto che gli macchiava i vestiti. Doveva punirsi per i suoi peccati, doveva levare via dalla faccia della terra una creatura così snaturata e rivoltante come lui, doveva farlo subito. Michael cercò di alzarsi ancora una volta, la follia ed il dolore che gli permeavano la mente e lo costringevano come un pazzo a rimettersi in piedi nonostante i tagli e i muscoli strappati che non sopportavano di muoversi di nuovo. Una indicibile sofferenza gli scivolò nei muscoli, strappandogli un altro urlo e facendolo gridare: si, era questo quello che voleva, soffrire, punirsi, affrontare la propria condanna e finalmente sentire la coscienza a posto, essere libero. Un passo strascicato dietro l’altro, una gamba che si alzava e tremante avanzava irrigidita e striata di rosso.
Sorprendeva persino sé stesso con la grandezza del suo desiderio di morte, di sollievo da quel tormento così insopportabile e straziante per lui. Soffriva dentro e fuori, fatto a pezzi sia da dentro l’anima che fuori nelle carni. Si immaginò la felicità delle persone intorno a lui quando avrebbero appreso la notizia della sua morte, la contentezza sui loro visi per non dover più guardare in faccia quel mostro immorale che correva dietro ai cazzi degli uomini, che smaniava di succhiarlo al suo parabatai e nascondeva sotto al letto riviste porno gay.
Sua madre e suo padre non si sarebbero addolorati troppo, mostrandosi in lutto agli amici ma ritrovandosi alla fine gioiosi e pronti a sfornare un altro Wayland che al contrario suo avrebbe continuato la famiglia. Un ghigno gli spezzò l’espressione sofferente sul viso, il pensiero che se solo avesse voluto avrebbe potuto anche lui mettere incinta una ragazza, apprezzando come tutti i suoi coetanei anche i corpi femminili che seducenti gli scorrevano sotto agli occhi. La sua colpa più grande però era Robert: era lui il suo male, il suo più grande dolore.
“I love you, Robert”
“You...”
Quella frase, quelle parole così semplici che gli avevano strappato il cuore dal corpo e l’avevano lasciato sanguinare fino a schiacciarlo e farlo a pezzi. L’angoscia che provava adesso, a causa del dolore acuto nelle gambe e nel cervello, sembrava quasi uno scherzo di fronte a quella fottuta esclamazione.
“You… are disgusting, Michael.”
Così aveva detto. Rivoltante. Infame. Schifoso. L’aveva definito in tutti i modi, l’aveva ucciso almeno mille volte con il semplice muovere delle labbra.
“You are disgustino, Michael”
Quelle labbra così belle, che desiderava da sempre baciare e mordere.
“Do not dare to repeat that shit anymore”
Un altro sprazzo bianco gli oscurò la vista. Forse era stato un tuono, forse la finale arresa del suo corpo che lo lasciava cadere a terra come un pupazzo strappato, la testa che batteva forte sulle rocce sparse per terra. Le parole di Robert gli rimbombavano nei ricordi come una cantilena, una maledizione che gli corrodeva i pensieri e li incanalava verso una muta supplica di morire, un estremo ed umile desiderio di morte.
Singhiozzò un’ultima volta nel fango, la pioggia che lo avvolgeva come un mantello e portava su di lui un gelo che lo scuoteva fino alle ossa. Non voleva muoversi, respirare, piangere ancora: voleva solo scomparire.
Gli sembrò che la notte scendesse verso il basso fino al suo povero corpo sanguinolento e martoriato, abbracciandolo amorevole come avrebbe fatto una madre, non la sua per certo. Un torpore e un’improvvisa insensibilità si avvilupparono intorno a lui mentre i suoi occhi grandi e dolci si fissavano per un ultimo momento su una nuvola lontana, bianca, persa in mezzo alle altre, prima che le palpebre si chiudessero lentamente e l’oblio lo trascinasse lontano da quel posto, cullandolo in un sonno senza sogni.

 
 
Can you believe bad things only happen to me?
God knows one day you will finally see
That scars will heal but were meant to bleed
Do you realize I would lie for you?
Please have my last breath, I would die for you
I know I'm no good but my heart beats true

[Hollywood Undead - Believe]
   
 
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