Fanfic su attori > Robert Pattinson
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Autore: Starsshine    27/03/2015    0 recensioni
Sarah e Robert. Lei psicologa, lui attore. Si incontrano, o meglio lui va da lei. Lui ha bisogno di lei, come lei di lui. Sullo sfondo una meravigliosa città: Londra.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera!
Bentornati in questa storia, oppure benvenuti a chi leggerà stasera per la prima volta questo capitolo e spero anche gli altri quattro.
Grazie mille a tutte le persone che hanno letto e continuano a seguire questa fan - fic. Grazie!
Buona lettura!
Besos.
Federica.


Parcheggiai la mia piccola macchina rossa davanti allo studio, anche questa ennesima giornata di lavoro stava per iniziare.

Notai che la spia gialla della benzina lampeggiava sempre di più, la macchina reclamava “cibo”.

“ Va bene, va bene. Adesso ti ricarico Gigi”.

Gigi è il nome della mia macchina, per chi non lo sapesse. Sì, è strano, da quando sono sola ho la strana tendenza di dare un nome alle cose. Gigi la macchina, Steven il letto, Carlos la vasca da bagno, è strano, lo so, però ho promesso a mia madre che “Appena incontrerò un ragazzo, non darò più i nomignoli agli oggetti”. Gli oggetti sono aumentati, così come i nomignoli.

Penso che sia qualcosa che facciano tutti, intendo quella di dare dei nomi agli oggetti, è naturale, ci portiamo dentro questa cosa fin da quando siamo piccoli.

Da piccola avevo una bambola di pezza, si chiamava Selly, indossava un vestito blu con i fiori gialli, portava delle lunghe trecce bionde, gli occhi verdi, le lentiggini le ricoprivano il viso. Mi piacevano tantissimo quelle lentiggini, le adoravo, avrei voluto averle io quelle lentiggini, ma, sul mio viso non ci sono mai state. Adesso ci sono solo delle occhiaie grigie sotto i miei occhi verdi.

Arrivai davanti al distributore di benzina, tolsi la chiave e spensi il motore.

Scesi dalla macchina, mi accorsi che stava piovendo.

Apri lo sportellino, svitai il tappo, presi l'erogatore, lasciai scorrere la benzina nel serbatoio, richiusi.

Presi la borsa e camminai verso il negozio, spinsi in avanti la porta ed entrai.

I miei occhi si abituarono in fretta a quella luce bianca tipica dei neon, mi fermai dietro ad un ragazzo.

“Salve, distributore numero 4. Venti sterline” disse il ragazzo.

Ad un tratto riconobbi quella voce: Mr. R.

“Oh mamma. Non può essere lui”.

Prese lo scontrino, salutò il cassiere, si voltò e mi passò di fianco. Fortunatamente non si era accorto di me.

“Prego. Il prossimo”.

Il ragazzo dai capelli castani mi guardò “ Signorina, tocca a lei”.

Allungai il passo.

“Mi scusi, distributore numero 5. Dieci sterline”.

Accartocciai tra le mani lo scontrino e tornai in macchina.

Riaccesi il motore e sgommai verso Downey Street.

Quella voce non poteva essere la sua e non poteva essere lui. Sono tre mesi che non viene più, sarà sicuramente andato in cura da un'altra psicologa o psicologo. Certamente si troverà meglio con un maschio, si sentirà meno a disagio. Sarà andata così, ne sono certa.

 

Il Sole fece la sua comparsa nel pomeriggio, Londra si illuminò sotto i suoi raggi.

Aprii gli occhi appena sentii qualcuno bussare alla porta.

“Avanti” risposi schiarendomi la voce.

“Sarah, c'è l'ultimo paziente che ti aspetta fuori”.

Mi voltai verso Annie.

“Un paziente? Ho appena finito il turno, tra poco mi metto a riordinare le schede, vorrei finire per le 18:30, non posso ricevere un'altra persona. Chiedi se può venire domani mattina.”

Annie sbuffò.

“Va bene, inventerò una scusa.”

Le sorrisi.

“Sei fantastica, grazie.”

“Prego.”

Chiusi ancora una volta gli occhi, respirai a fondo e...

“Non può aspettare fino a domani mattina.”

Sbuffai.

“Va bene. Fallo passare.”

Chiuse la porta, si sedette e mi guardò dalla testa ai piedi. Indossava un maglione grigio con il capuccio, un paio di occhiali da sole e una sciarpa. Probabilmente era ammalato.

“Buongiorno, signor...?”

Si alzò dalla sedia, mi strinse la mano, poi tornò a sedersi.

“Mr. R. Si ricorda di me, vero?”

“Sì. “

“Bene, vorrei tornare in cura da lei.”

Sgranai gli occhi.

“Come, scusi?”

“Ho fatto il giro di tutti gli studi e tutti mi hanno risposto che sono pieni, oppure sono dall'altra parte della città e poi non si respira una buona aria come qui. Qui non ci sono musichette fastidiose, persone che urlano o ragazze di sedici anni incinte. Io sto bene qui dentro.”

“Okey, okey, sono contenta che lei si senta bene in questo luogo.”

“Quindi?”

“Quindi, cosa?”
“Quando possiamo iniziare?”

Mi passai una mano sul viso. Un'altra persona in più da curare. Soldi in più nel mio stipendio, ma, non faccio questo lavoro per soldi, voglio aiutare i miei pazienti a vivere meglio, voglio essere la loro “valvola di sfogo” e voglio farli sentire bene. Il mio “ senso del dovere” mi dice questo, ho giurato e devo rispettare il giuramento. Così sia.

“ Quando è libero?”

“Se vuole anche domani mattina.”

“ Va bene. Alle nove?”

“Alle nove.”

Si alzò dalla sedia, aprii la porta ed uscii.

“A domani” dissi sottovoce.

 

   
 
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