Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Ricorda la storia  |      
Autore: Madam Morgana    28/03/2015    2 recensioni
Benché avesse un nome francese, L'angle de Venùs era l'atelier più famosa dell'intera Sydney, e Calum Hood ne era orgoglioso. Da quando il suo defunto padre gliel'aveva lasciata in eredità, Calum aveva dato il meglio per farla crescere e non farla andare in malora, perché voleva tenere alto lo stendardo e perché, sì, l'atelier era ormai tutta la sua vita.
«C'è una cliente che vorrebbe vederla, signor Hood»
«come ti chiami?» le chiese Calum.
«Elizabeth » la ragazza aveva chinato il capo, stretto le mani in due piccoli pugni e tossicchiato.
A ventiquattro anni, Calum Hood si era innamorato, per la prima volta.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood, Luke Hemmings, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 



















All'atelier “L'angle de Venùs” c'era sempre un gran da fare.
Sophie e Charlotte accoglievano i clienti in maniera esemplare, sfoggiando graziosi sorrisi e dolci parole. L'attività era sempre andata bene.

Benché avesse un nome francese, L'angle de Venùs era l'atelier più famosa dell'intera Sydney, e Calum Hood ne era orgoglioso. Da quando il suo defunto padre gliel'aveva lasciata in eredità, Calum aveva dato il meglio per farla crescere e non farla andare in malora, perché voleva tenere alto lo stendardo e perché, sì, l'atelier era ormai tutta la sua vita.
Ideava abiti, l'aveva sempre fatto, a lui piaceva inventarne a bizzeffe di parecchi stili, modelli e forme.
Semplicemente amava farlo, immaginandosi le ragazze felici nel giorno più bello della loro vita. Confezionare abiti, per lui, era una gioia. Lo era sempre stato, perché i sorrisi delle clienti gli gonfiavano il cuore d'orgoglio, se solo suo padre fosse stato lì, di certo l'avrebbe abbracciato congratulandosi per il suo operato.

Entrambi gli Hood avevano stili diversi, all'epoca suo padre confezionava abiti in stile anni '60, ma comunque faceva sempre dei grossi affari.
L'atelier era sempre stata gestita dagli Hood, da che Calum ne avesse memoria.

 

Quella mattina, in negozio, c'era un gran trambusto.
Non che fosse curiosa, la cosa, tanta gente si sposava nonostante i periodi erano quel che erano.
Calum pensava spesso che, l'unica cosa ormai valida nella vita piena di affanni insicurezze e rimpianti, era, appunto, il matrimonio.
Forse influenzato dal lavoro, o magari dalle continue chiacchiere della madre, aveva ormai realizzato quel pensiero senza più smuoverlo dalla sua testa.

In quel preciso istante, assorto nei più fitti pensieri, stava cominciando un nuovo schizzo. Poi qualcosa lo disturbò, o semplicemente qualcuno: era Sophie, una delle dipendenti.
«Signor Hood? Posso disturbarla?» Sophie era una ragazza alta poco più di un metro e sessanta, capelli corti e biondi, incarnato pallido, visino minuto con zigomi spigolosi, occhi azzurri e labbra sottilissime, quasi come se fossero state disegnate a matita.
Indossava un grazioso completino di gonna e giacca grigia, perfettamente in ordine – sì sa, Calum Hood era sempre stato maniaco dell'ordine – eppure vedere il Signor Hood l'agitava parecchio.

Ed il vero motivo, Sophie non lo sapeva nemmeno.
«Vieni pure Sophie» aveva risposto il ragazzo, senza però alzare lo sguardo per fissarla. Aveva troppo da fare e conosceva abbastanza bene il viso di Sophie, inoltre odiava essere disturbato nel bel mezzo delle sue opere, ma non poteva farci granché, doveva sempre tendere l'orecchio per ascoltare le sue dipendenti.
«Signor Hood non vorrei proprio disturbarla però ecco vede – »
«Sophie, ascolta, io sarei anche impegnato dunque muoviti che tempo da perdere, con te, proprio non ne ho» un'altra cosa che conoscevano abbastanza bene Sophie e Charlotte era, appunto, il brutto carattere di Calum Hood.
Burbero, spigoloso, schivo e facilmente irascibile, nessuno poteva scalfirlo, solo il sorriso delle sue clienti, ed alle volte nemmeno quello.
Certo, lavorare all'atelier l'aveva sempre reso orgoglioso ed allegro, eppure non lo dava a vedere.
Preferiva mantenere un'aura incessantemente seria, priva di emozioni perché nessuno, così, poteva etichettarlo.
A Calum piaceva essere se stesso, ed aveva tutto il diritto di cambiare personalità e modi di fare quando gli andava e quanto volesse. Non doveva dar retta a nessuno.
Sophie, dal canto suo, aveva chinato il capo in segno di scuse mostrando la sua mortificazione, aveva indietreggiato di poco, torcendosi le dita «C'è una cliente che vorrebbe vederla, signor Hood»
Ed allora Calum Hood aveva riposto la matita sul bloc-notes, alzato lo sguardo e fissato Sophie che lo guardava intimorita, «Perché non l'hai detto subito? Non ti pago per fare la cretina Sophie, dannazione, aspettano da molto? » aveva chiesto, e lei, aveva scosso il capo.
Era mortificata, l'unico a mortificarla era sempre e solo Calum, solo lui riusciva a farla sentire un verme strisciante.
A volte voleva piangere, ma all'atelier non poteva di certo farlo per il semplice fatto che lì, tutti dovevano avere l'aria perennemente felice. Anche se, tantissime volte, non c'era nulla da esserne felici, soprattutto Sophie che nutriva un amore smisuratamente platonico per il suo capo. Spesso pensava a Charlotte, intenta a ritagliare, cucire e confezionare un abito per lei ed il suo matrimonio.
Sophie era una stupida, ma il suo cuore l'avrebbe donato solo a Calum Hood.

«No signore, non aspettano da molto sono appena arrivati» ed allora avevano abbandonato la stanza in cui il moro amava rinchiudersi per fare nuovi progetti, attraversato uno stretto corridoio ed arrivati all'atrio dove, una graziosa signora sulla mezza età ed una ragazza l'attendevano. Entrambe si stavano guardando intorno, con aria stupita di chi era appena approdato su di un'isola colma di pietre preziose e gioielli.
Calum, allora, aveva finto un sorriso, stretto le nocche e schiarito la voce, «Benvenute all'Angle de Venùs, in cosa possiamo esservi utile? » aveva chiesto.
Entrambe le donne si voltarono, ma solo una colpì Calum: la ragazza.

Aveva dei lunghi capelli corvini che le ricadevano morbidi sulle spalle, incorniciando il viso scarlatto, degli occhi grandi color cioccolato ed una bocca carnosa. Il corpo grazioso e mingherlino e di poco, forse, misurava il metro e sessanta.
La donna di mezz'età, allora, parlò interrompendo il silenzio, «Siamo qui per mia figlia, vorremmo un abito» a Calum venne da ridere. Insomma presentarsi ad un atelier e chiedere un chilo di pesce sicuramente era inappropriato.
Soffocò un sorriso volgendo nuovamente lo sguardo alla ragazza, regalandole un sorriso che ella ricambiò timidamente «come ti chiami?» le chiese Calum.
«Elizabeth » la ragazza aveva chinato il capo, stretto le mani in due piccoli pugni e tossicchiato. Era palesemente in imbarazzo e Calum la trovò carina.
Ben presto la donna tornò a gracchiare, «Dicevo, a mia figlia serve un abito, non badi a spese tanto a pagare sarà lo sposo»
Che spreco, pensò Calum.
«Sarete esaudite, signore. La ragazza dovrebbe venire con me, così magari facciamo una bozza del vestito e – »
«Voglio assistere anch'io, se non le dispiace» l'aveva rimbeccato la donna.
Calum diede una rapida occhiata a Sophie e Charlotte, e subito queste avevano capito. Bastava poco per capire Calum Hood, soprattutto quando osservava con i suoi occhi che sembravano fulminare all'istante.

«Signora, la prego, lasci lavorare il capo, lei venga con noi dobbiamo scegliere i ricambi per il velo» ed allora la donna, facilmente variabile, aveva cambiato idea seguendo le due dipendenti con un sorriso sornione sulle labbra raggrinzite.

Calum aveva fatto cenno ad Elizabeth di seguirla, accogliendola nella sua stanza.
Si erano seduti nella scrivania di Calum, questi aveva preso il taccuino e la matita, cominciando ad incidere il nome di Elizabeth sul foglio.
«Parlami un po' del tuo abito, come lo vorresti?»
Elizabeth aveva sospirato, mordendosi le labbra e soffocando qualche lacrima. Calum attendeva una risposta, ma questa non sembrò arrivare. Ed allora alzò il capo, incontrando nuovamente i suoi occhi color cioccolato.
«Ehi?» l'aveva richiamata, ed allora lei era uscita dal suo strano stato di trance.
Aveva annuito, sorriso e stretto i pugni. Era la terza volta che Calum glielo vedeva fare.
Cominciò a pensare che Elizabeth non fosse una delle tante clienti, era diversa. Nascondeva qualcosa.

Tuttavia doveva attenersi al suo lavoro, che fare lo psicologo ficcanaso non rientrava nel suo copione, e nascose a se stesso la curiosità riguardo allo strano comportamento della ragazza.
«Mi piacerebbe del pizzo intorno al girocollo, ed anche nel busto, magari con qualche perla» e Calum aveva cominciato a disegnare, cercando, grossolanamente, di attenersi alle richieste di Elizabeth.
Nonostante lei non era stata abbastanza chiara, abbozzando solo genericamente quello che volesse, Calum riuscì a disegnare un bellissimo vestito, giocando con il chiaroscuro per le ombre, rendendolo ancor più meraviglioso.
Quando lo mostrò ad Elizabeth, questa aveva gli occhi lucidi e le mani tremanti, mentre stringeva il taccuino, eppure Calum sapeva bene che quelle, le lacrime di Elizabeth, la futura sposa, non fossero lacrime di gioia.
«Ti piace?» aveva poi chiesto, considerando che lei non avesse detto nulla in merito.
«E' bellissimo signor Hood, la ringrazio» stava per alzarsi, quando Calum la bloccò da un polso.
«Dovremmo vederci, magari la prossima settimana, così le mie sarte cominceranno a prendere le misure e potrete scegliere anche le stoffe» Elizabeth aveva annuito, fissandolo con i suoi grandi occhi velati.
Ed allora Calum aveva perso un battito, o forse due, o semplicemente non riusciva a giostrare il suo cuore, perché, davvero, batteva troppo forte.
L'aveva accompagnata nuovamente nell'atrio ed aveva ordinato a Sophie e Charlotte di farla congiungere a sua madre e poi mandarle via, perché, stranamente, l'atelier non riceveva più.
Ed era alquanto bizzarro considerando fossero solo le dieci del mattino.

 

 

Calum se ne stava nella sua stanza, ad elaborare il vestito per Elizabeth.
Disegnava, cancellava e strappava i fogli da ormai un'abbondante mezz'ora. Proprio non riusciva a fare uno schizzo decente, 'ché gli occhi della cliente, così grandi ed inespressivi sembravano logorargli le viscere.
Quando Sophie, impaurita, aveva picchiettato alla porta, Calum stava stracciando l'ennesimo foglio, l'ennesimo fallimento.
«Cosa vuoi, Sophie?»
La ragazza aveva poggiato una tazza di caffè sulla scrivania, sospirando «Non ha mangiato nulla, signor Hood»
«Sono solo le dieci, Sophie, mi sembra normale no?» l'aveva canzonata.
«Signor Hood? Cosa c'è che non va? L'atelier non ha mai chiuso prima dell'orario stabilito»
Ed allora Calum aveva ceduto.
Aveva preso la tazzina ancora fumante, soffiato su essa ed infine sorseggiato l'intruglio marrone. Era buono, ma troppo zuccherato. Sophie, ancora, non aveva capito che lui lo preferisse amaro, il caffè, perché si poteva sentire meglio il gusto dell'aroma, della terra che fa nascere queste meraviglie.
Calum aveva una concezione strana delle cose, ma Sophie, questo, non lo sapeva.
«Elizabeth, la cliente ch'è venuta oggi. E' strana Sophie. Mi turba. Solitamente i clienti, quando vengono qui, sono solari e felici. Soprattutto le ragazze che devono farsi confezionare vestiti, le vedo ridere, fanno richieste assurde alle volte, ma sono felici. Di una felicità indescrivibile che forse si prova solo al momento delle nozze. Eppure, Sophie, quella ragazza... Elizabeth, non sembrava essere felice. Nemmeno un po'» aveva spiegato. Perché in pochissimi minuti Calum era riuscito ad inquadrare la situazione della ragazza, a lui non sfuggiva praticamente nulla.
Che fosse un pregio o un difetto, questo non lo sapeva.

Sophie, a quel punto, voleva gridare.
Voleva solo dirgli quanto lei lo amasse, da far schifo, e che ogni giorno anche lei doveva fingersi felice quando non lo era affatto, 'ché lavorare con la persona che si ama, soprattutto se non ricambiata, fa male.
Eppure non parlò, accennò semplicemente un sorriso e si morse il labbro, «Magari era solo agitata, signor Hood»
Ma lui non pensava fosse quella, la ragione dell'oscurità in Elizabeth. «Non credo, Sophie, le persone agitate sono diverse. Elizabeth non era agitata» poi tornò in se quando, ancora una volta, la coscienza gli rivelò che quelli non erano affari suoi. Che lui doveva smetterla di pensare a quella ragazza. Doveva mettersi a lavoro per il vestito, 'ché di screditare la dinastia dei Hood, proprio non voleva.
L'Angle de Venùs era sempre stato ben fornito ed apprezzato, chiunque dovesse sposarsi si recava lì, consapevole che non sarebbe uscito insoddisfatto.
Congedò, dunque, Sophie e si chiuse a chiave, dentro la stanza.
Ben presto Sophie e Charlotte andarono via, perchè rimanere lì, quando non avrebbero più servito i clienti, era del tutto inutile. Calum diede loro la paga, nonostante avessero lavorato solo mezza giornata, e le mandò via.
Si chiuse dentro il negozio, e lì rimase.

Erano le dieci di sera e Calum Hood aveva perso la cognizione del tempo quando, con occhi rossi e gonfi, aveva sospeso il suo lavoro e alzando il capo verso il grande orologio affisso sul muro della stanza, aveva visto l'ora.
Mai, prima di allora, aveva lavorato così tanto. Ed ancora il vestito non era riuscito a disegnarlo. Aveva contato le palle di carta che giacevano per terra, erano più di cento.
Nessun vestito sembrava piacergli, nessun schizzo sembrava appagare la sua fantasia, nessun abito sarebbe riuscito a stare bene ad Elizabeth, e cominciò a chiedersi il perché.
Semplicemente, forse, non riusciva a vedere nessun vestito addosso ad Elizabeth perché lei era diversa.
Con i suoi grandi occhi color cioccolato sempre tristi, con le labbra mai stirare in un sorriso, con la voglia costante di rimanere in silenzio.
Calum non riusciva a disegnarglielo, il dannatissimo abito, e cominciò a pensare – addirittura – che Elizabeth non potesse sposarsi. E tutta sarebbe stata colpa sua.
Cosa saltasse nella sua testa, poi, non era riuscito a saperlo.

Quando il sole aveva fatto nuovamente capolino in cielo, innalzandosi maestoso dietro le siepi e filtrando nella finestra, Calum aveva aperto gli occhi.
Si era addormentato nel laboratorio, con il viso incollato al taccuino e con altre cento palle accartocciate per terra: ora erano duecento.
Si guardò intorno. Tutto ancora era assorto nel più totale riposo. Aveva osservato l'orologio constatando fossero solo le sette del mattino.
Sophie e Charlotte sarebbero arrivate alle otto, perché L'angle de Venùs apriva a quell'ora. Ma quella mattina, avrebbe preferito proprio non aprire, Calum, forse per la mancanza di idee o per il suo fallimento. Ad un tratto pensò addirittura che quel lavoro non facesse più per lui.
Era riuscito a prepararsi una tazza di caffè lungo, grazie alla macchinetta, e l'aveva sorseggiato riprendendo la matita nella mano destra, tornando a disegnare.
Aveva abbozzato un corpetto, con qualche merletto inserito nella scollatura a cuore. Elizabeth aveva un grazioso balconcino, a detta di Calum, pertanto quell'apertura sarebbe stata l'ideale.
Disegnò qualche fiore astratto riempendo la sagoma del disegno, e stranamente lo trovò apprezzabile.
Non appena aveva cominciato a disegnare anche il resto dell'abito, la porta si aprì rivelando Sophie, «Buongiorno signor Hood!» oggi era allegra.
Calum non distolse lo sguardo dal disegno, continuando il suo lavoro, «Ciao a te, Sophie, in anticipo oggi» e lei aveva annuito, mentre riponeva il soprabito nell'attaccapanni. Si era poi avvicinata a Calum, per guardare il vestito.
«E' molto bello» aveva sentenziato, e Calum si sentì meglio. Perché forse stava riuscendo nel suo intento.
«Grazie, ho lavorato molto stanotte, mi sono addormentato con il taccuino incollato al viso, e sono riuscito solo a fare questa cosa, proprio non ci riesco questa volta»
Il cuore di Sophie, allora, sembrò spezzarsi in due. Una parte sembrava sprigionare cuoricini rosa, venerando Calum, trovandolo immensamente bello sexy e perfetto. L'altra parte, però, era parecchio tristi. Perché il suo capo non poteva sottrarsi delle ore di sonno per il lavoro, aveva bisogno di riposo e se solo avesse potuto, sarebbe rimasta con lui ad aiutarlo.
«Sono sicura che riuscirà ad ultimarlo per la data che avete dato alla signorina Elizabeth»
«Signora, Elizabeth» la corresse Calum, perché – anche se mancava davvero poco – Elizabeth si sarebbe sposata da lì a poco.
Si morse la lingua quando assodò quel pensiero, mentre il cuore parve volergli sfuggire dalla gabbia toracica, Strinse i pugni fino a sbiancare le nocche e mandò giù un enorme groppone.
«Oh, giusto» a Sophie, tutto quello, sembrava normale. Perché Calum era sempre stato una persona altezzosa, burbera ed autoritaria «Charlotte oggi non verrà, signor Hood. Non si sentiva molto bene»
Calum scrollò le spalle. A lui non importava, a volte le sue dipendenti le trovava inutili, come adesso. Il suo primato era diventato il vestito, oramai.

 

 

Ormai la settimana era passata e, finalmente, Calum era riuscito ad ultimare il vestito.
L'unica pecca era che, purtroppo, nonostante avesse ultimato l'abito, il pensiero di Elizabeth che indossava quel vestito, salendo ad un altare per sposarsi, non lo entusiasmava come tutte le altre volte.

Questa volta era diverso, il senso che provava sembrava più di sconforto che di felicità.
Guardò il suo operato, mentre Charlotte e Sophie stavano scegliendo le stoffe migliori da far, poi, vedere alla ragazza, mentre Calum se ne stava seduto – comodamente – ad una poltrona, senza mai abbandonare il suo taccuino.
Voleva rendere quell'abito perfetto, ed ogni giorno aggiungeva particolari, sottraendo imperfezioni.
«Signor Hood sta lavorando a quel vestito ormai da troppo tempo» aveva espresso Charlotte, mentre sfiorava una pregiatissima stoffa color avorio.
«Faccio solo il mio lavoro, Charlotte» aveva spiegato lui, nascondendo, invece, la verità.
Non voleva sfigurare davanti la ragazza, e per ragioni a lui ignote quel vestito non sembrava soddisfarlo, nonostante fosse bellissimo.
«Oh, beh questo lo so ma – vede... » e la porta aveva interrotto Charlotte.
Sophie si era precipitata ad aprire, mentre Calum disegnava e cancellava l'ennesimo fiore.

«E' la signorina Elizabeth, signore» ed allora aveva lasciato il taccuino sulla poltrona, sollevandosi dal comfort quasi come se fosse una molla.
Aveva poi deglutito, stretto i pugni ed abbandonato la stanza, indirizzandosi all'entrata. Poi l'aveva rivista, con i suoi gradi occhi vacui, quel sorriso sempre assente ed i bellissimi capelli setosi che incorniciavano il suo viso.

Calum perse un battito, ma poi cercò di riprendersi.
Aveva dato la mano, in segno di saluto, ed Elizabeth l'aveva stretta timidamente.
«Vieni, ti mostro la bozza» e lei l'aveva seguito.
Entrambi, adesso, erano seduti l'uno di fronte all'altra, Calum aveva recuperato il blocchetto e l'aveva fatto scivolare sotto gli occhi di Elizabeth, la quale sembrò mostrare, per la prima volta, un timido sorriso.
«E' bellissimo signor Hood» e Calum aveva sentito il petto gonfiarsi d'orgoglio che, però, non era come tutto quello già provato, perché andò a sgonfiarsi nel momento in cui incontrò le iridi di Elizabeth.
Ed allora aveva assodato.
Ed allora aveva capito tutto; lui, per Elizabeth, si era presa una gran bella cotta.
Ecco perché il vestito non era venuto fuori con così tanta semplicità, ecco perché proprio non riusciva a vederglielo addosso, ed ecco, soprattutto, perché il suo cuore sembrava cimentarsi con salti e capriole.

A ventiquattro anni, Calum Hood si era innamorato, per la prima volta.
'Ché non aveva mai valutato questo sentimento, perché lui conduceva una vita dove, il matrimonio, era all'ordine del giorno. Vedere volti felici ed innamorati era normalissimo e non gli avevano mai suscitato nulla.
Poi, invece, incontrando una ragazza dagli occhi vacui, aveva cambiato idea, ritrovandosi con il batticuore per qualcuno di impossibile.
Elizabeth era già destinata. Quale amore poteva nascere tra lui e lei?
«Sono contento che ti piaccia Elizabeth, davvero» e lei aveva sorriso, di nuovo, mandando a puttane l'orgoglio di Calum e la sua aura da burbero. Così le sorrise e le guance di lei si erano imporporate di un rosa tenue, come i fiori di ciliegio appena sbocciati.
Quando aveva lasciato il negozio, poi, si era portata via anche il cuore del moro, il quale l'aveva osservata fino a quando la sua figura non era sparita oltre l'ennesima via di Sydney.

 

 

«Sei bellissima, Elizabeth» Calum stava osservando, finalmente, la splendida ragazza mentre provava l'abito aiutata dalle sarte.
Questa si guardava allo specchio, notando quanto fosse bello l'operato di Calum e delle sue aiutanti.
Il ragazzo diede uno sguardo alle dipendenti, ed allora Sophie e Charlotte si erano congedate inventandosi qualche scusa.
Calum ed Elizabeth erano soli, adesso.
«Signor Hood?» la voce di lei interruppe il silenzio. Tuttavia Calum riusciva a sentirlo, quel filo di tristezza che abbandonava le labbra carnose di Elizabeth.
«Sì?»
«Sa, io... ecco è strano sentirlo dire da una sposa ma – non voglio sposarmi»
Ed allora Calum aveva sgranato i suoi grandi occhi scuri, osservato la ragazza dallo specchio ed inarcato entrambi sopraccigli.
Com'era possibile?
Ed allora perché si trovava lì? A quale scopo? A fargli perdere la ragione? Calum non sapeva darsi delle risposte, benché di domande ne avesse tante, troppe.

«Cosa?»
«I miei genitori mi hanno costretto. La famiglia del mio ragazzo è abbastanza benestante ed allora contano sull'affidamento di loro per tirare avanti. Ma io non lo amo, Signor Hood, io non lo amo affatto» a Calum tutto ciò, sembrò assurdo. Perché solo nelle epoche trascorse si usava fare tutto quello, sposarsi per soldi ed affari ormai era una cosa vecchia e trapassata.
Le uniche persone che non erano state in grado di capirlo sembravano i genitori di Elizabeth che non si accorsero del male imposto sulla figlia.

«Non dovresti sposarti allora, Elizabeth, la vita è la tua, le scelte sono tue. Non puoi» ed un po' ci sperava, ad un ripensamento di lei, considerando i suoi sentimenti che venivano a nascere, soprattutto adesso che aveva scoperto la ragione della sua tristezza.
Ma lei aveva scosso il capo, l'ennesimo morso alle labbra che gliele avevano rese più rosse di due mele mature.
«Non voglio rendere infelice la mia famiglia»
«Alla tua vita non ci pensi, però?»
A quella domanda lei non aveva risposto. Semplicemente si era congedata con la scusa dell'ora.
Ormai si era fatto troppo tardi.

Con l'aiuto delle sarte sfilò il vestito e rimise i suoi, salutò Calum ed andò via, mentre un senso di disperazione avanzava nel suo cuore.
Calum, invece, era rimasto pietrificato davanti al vestito di Elizabeth. Era tanto bello, quasi perfetto, eppure non sarebbe stato indossato con amore e devozione.
Sentì sprecato tutto quel tempo trascorso a progettarlo. Ormai era inutile, considerando l'idea di Elizabeth.

 

Sophie e Charlotte correvano da un lato all'altro della stanza, scorrazzando e facendo venire a Calum un enorme mal di testa.
Quel giorno, finalmente, era arrivato il momento di consegnare l'abito alla futura sposa.
Calum, per la prima volta, si mostrò per ciò che appariva. Un ragazzo come tanti, con emozioni e cuore infranto.
Non avrebbe più rivisto Elizabeth, non avrebbe più lavorato al suo abito, non avrebbe più fatto nulla che potesse ricongiungerla a lei, e la cosa sembrò frustrarlo molto.

Charlotte era intenta a stirare l'abito, mentre Sophie ultimava la sistemazione del velo dentro una patina di plastica trasparente.
«Sono sicura che pagheranno un bel po', quei signori» Charlotte era sempre stata attaccata al denaro, a lei importava solo di quello.
Ma Calum avrebbe tanto voluto dirle che a lui, dei soldi, non gliene importava nulla.
Non era riuscito a far cambiare idea ad Elizabeth riguardo al matrimonio, e per la prima volta, l'atelier dei Hood aveva servito una sposa infelice.

Calum era distrutto, e Sophie l'aveva capito. Tuttavia non chiese, preferì accettare il silenzio del suo capo.
Quando la cliente apparve in negozio, il moro aveva perso un battito: era bellissima.
Accanto a lei un ragazzo poco più alto, dai capelli biondi raccolti in una cresta sistemata dal gel, gli occhi azzurri e l'incarnato color latte.
«Benvenuti all'atelier» aveva sputato Calum, ipotizzando che quel ragazzo fosse il futuro sposo di Elizabeth.
Questi aveva sorriso, mostrando la sua dentatura perfetta, e Calum avrebbe voluto spaccargliela, quella cazzo di dentatura.
«Io e la mia ragazza siamo venuti a ritirare il vestito» aveva esposto l'altro, mentre Elizabeth se ne stava in silenzio ad osservare Calum, quasi invocando pietà e soccorso.
Allora lui, a malincuore, aveva abbandonato la stanza, oltrepassato il corridoio e preso il vestito, in una delle stanze apposite, tornando subito dopo dai clienti.
«Ecco qui, sono novecento dollari» i novecento dollari più tristi della storia, aveva pensato Calum.
Il ragazzo, senza problemi, aveva pagato.
«La ringrazio per aver scelto L'angle de Venùs» aveva risposto il moro, guardando Elizabeth.
Quando i due si erano indirizzato verso la porta, Calum aveva preso tutto il coraggio che avesse in corpo, «Elizabeth!»
Lei si era voltata, riuscendo a svincolarsi dalla presa del ragazzo, i suoi occhi speranzosi si erano posati su quelli di Calum «Sì?»
«Sii felice»
Amaramente, allora, lei aveva sorriso annuendo, il suo ragazzo l'aveva presa nuovamente dal polso.
Un'ultima occhiata a Calum, il capo dell'atelier, e poi erano andati via.
Elizabeth teneva stretto il vestito in una busta, mentre con l'altra mano era riuscita a portarsi il cuore di Calum.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: Madam Morgana