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Autore: PusheenCat    28/03/2015    1 recensioni
[Dal testo:]
Ivanka odiava gli imprevisti. L’aveva dichiarato apertamente non appena il Comandante l’aveva convocata nel proprio ufficio, la prima volta che si erano visti. […]
Afferrò la spalla della figura sotto di lei e la voltò con un gesto rude, trovandosi davanti un volto femminile; gli occhi erano chiusi, i capelli lunghi neri scomposti sulle spalle. Poi la sua attenzione fu attratta dalla maglia, e fu allora che vide la bandiera. Imprecò sottovoce. Che ci faceva il Nemico così vicino ai loro confini? […]
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo Storia: “Certe cose accadono soltanto sottoterra”
Nome Scelto: Ivanka (Russia)
Situazione Scelta: Situazione 16
Bonus: 17
Genere: Azione
Rating: Giallo
Tipo di Coppia (se presente): FemSlash
Note / Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza (numero di parole): 2224 (senza contare lo specchietto)
Breve Introduzione: Ivanka odiava gli imprevisti. L’aveva dichiarato apertamente non appena il Comandante l’aveva convocata nel proprio ufficio, la prima volta che si erano visti. […]Afferrò la spalla della figura sotto di lei e la voltò con un gesto rude, trovandosi davanti un volto femminile; gli occhi erano chiusi, i capelli lunghi neri scomposti sulle spalle. Poi la sua attenzione fu attratta dalla maglia, e fu allora che vide la bandiera. Imprecò sottovoce. Che ci faceva il Nemico così vicino ai loro confini? […]
Note (facoltative): Ho immaginato Amelia con il volto di Liv Tyler. Per Ivanka invece sentitevi liberi di associarle l’aspetto che volete.
 
“Certe cose accadono soltanto sottoterra”
 
 
Ivanka odiava gli imprevisti.
L’aveva dichiarato apertamente non appena il Comandante l’aveva convocata nel proprio ufficio, la prima volta che si erano visti. Lui prima aveva riso sguaiatamente per oltre un minuto, poi, mentre ancora si asciugava le lacrime, aveva aggiunto: “Allora perché diamine ti sei arruolata nell’esercito, Kozlov?”
La ragazza non aveva risposto: non lo sapeva neanche lei. Forse era stata soltanto una sua piccola vendetta personale, abbandonare i propri genitori adottivi ed il fratellastro, che l’avevano sempre vista come un’intrusa nella propria casa, l’uovo del cuculo nel nido del passero. Una volta che aveva raggiunto la maggior età aveva messo tutte le sue cose più importanti in un borsone e si era imbarcata sul primo aereo per Mosca; non aveva salutato nessuno – non che credeva ne sarebbero stati tristi.
L’ultima e unica lettera che aveva ricevuto da Alex, così si chiamava il fratello, diceva che lui si era arruolato nell’esercito tedesco, e che i genitori erano morti durante una sparatoria. Non si era stupita, né aveva pianto lacrime amare per la sfortunata sorte della sua famiglia adottiva; il suo legame con lui non era stato nemmeno tanto forte: si era affezionata al ragazzo come uno spettatore fa con l’orso del circo. Aveva vissuto per troppi anni con persone ipocrite, che l'avevano raccolta dalla strada soltanto per profitto, soltanto per farla lavorare, lavorare, lavorare e poi darla in moglie al primo riccone di turno. La sua storia, sotto certi versi, somigliava a quella di Cenerentola. Ma Cenerentola alla fine perdonava tutti, non rinnegava la propria famiglia arruolandosi nell’esercito nemico. E questo era un bene. Perché lei odiava Cenerentola.
E di certo le scarpette di cristallo le sarebbero state solo d’intralcio in quel momento, mentre stava a fare la guardia sul fronte.
Non c’era vento quella mattinata, e ciò rendeva il freddo ancora più rigido. Il loro confine era segnato da una staccionata e del filo spinato; non si erano lasciati andare in frivolezze inutili come gli americani: cancelli in ferro, sistemi di tecnologia super avanzati e campi minati. Loro non ne avevano bisogno.
Una volta, prima del suo primo scontro, il Comandante era passato tra le file di soldati.
“Il Nemico ha rubato le nostre armi migliori, ha dei sistemi tecnologici che sembrano provenire direttamente da Utopia, delle scorte di cibo che basterebbero a sfamare quasi mezzo mondo.” aveva detto, gli occhi che passavano sui propri uomini “Ma, ricordate bene, sono i soldati che fanno un esercito. Sono loro che stanno lontani dalle proprie famiglie – se sono ancora vive. Sono loro che sudano, si spezzano le ossa e cadono ogni giorno in battaglia”
“Loro potranno anche decimarci, fottersi tutti i nostri beni, ma non potranno mai sconfiggerci fino a quando non ci ammazzeranno tutti”
Aveva sorriso, il Comandante, un sorriso di chi credeva veramente in ciò che diceva.
“Ed ora diamo una bella lezione a quei figli di puttana”
E poi le urla di battaglia, il rumore dei fucili, e la neve tinta di rosso.
Ivanka aveva continuato a ripeterle a sé stessa, le parole di quel discorso, mentre era sotto la doccia, quando si allenava, una piccola litania che le infondeva nuova forza nelle vene.
Se la ripeteva mentalmente anche in quel momento, mentre Milen la guardava con un sopracciglio alzato.
“Vuoi una mappa per tornare nella realtà, Kozlov?”
La ragazza si era voltata, l’irritazione dipinta sul viso.
“Sono abbastanza presente da sentirti, Milen”
Lui fece finta di non sentirla. “Sai, siamo qui per fare la guardia” allargò le braccia, facendo un cenno con la testa al panorama desolato che li circondava “E fare la guardia vuol dire stare attenti”.
L’altro soldato gli lanciò uno sguardo eloquente. Milen Melnikov era più giovane di lei, eppure appena arrivato era stato messo sul confine – non che avesse qualcosa da ribattere: era veloce, attento e molto agile; la sua invece era la sua prima esperienza, altrimenti difficilmente avrebbe lasciato passare invendicata l’osservazione del ragazzo.
Passarono altri minuti di silenzio. Ivanka si guardò meglio attorno: erano a pochi metri dalla fine del loro campo, ed una distesa sterminata di neve si stendeva davanti a lei, incorniciata da montagne; il posto ideale per infiltrarsi inosservati nel campo nemico, pensò con una punta di fredda ironia. Osservò un fiocco di neve che cadeva lento a pochi millimetri dal suo volto. Si accorse troppo tardi che Melnikov le aveva detto qualcosa.
“Scusami?”
L’altro sospirò.
“Vai a fare un giro di ricognizione, dato che vedo che ti stai annoiando”
La ragazza non se lo fece ripetere due volte, facendo finta di non aver notato il sarcasmo nascosto nella frase: detestava stare ferma; in meno di cinque minuti Milen era un puntino lontano. Incontrò altri soldati, a cui chiese dei rapporti dettagliati su tutto ciò che era successo nelle ultime tre ore. Arrivò alla fine della staccionata, che coincideva con l’inizio di un monte, con il respiro affannato che si condensava in nuvolette nell’aria. Alzò la testa, osservando il cielo annuvolato e le ripide pendici del rilievo.
Con un sospirò si voltò, e trattenne un verso di sorpresa quando il suo stivale toccò qualcosa di morbido. Qualcosa di vivo. Si chinò a terra, i sensi vigili pronti a scattare in caso di eventuale pericolo.
Afferrò la spalla della figura sotto di lei e la voltò con un gesto rude, trovandosi davanti un volto femminile; gli occhi erano chiusi, i capelli lunghi neri scomposti sulle spalle. Poi la sua attenzione fu attratta dalla maglia, e fu allora che vide la bandiera. Imprecò sottovoce. Che ci faceva il Nemico così vicino ai loro confini?
***

Quando Amelia aprì gli occhi, mai si sarebbe aspettata di trovarsi legata ad una sedia, unica luce una lampada da scrivania. Si guardò attorno, osservando le pareti in metallo stagno ed i cassetti delle scorte, e stabilì di trovarsi in un bunker sotterraneo. Girò la testa a guardarsi le mani, e con un sorriso constatò che chi l’aveva portata lì era molto bravo a fare i nodi. “O brava” pensò, quando il suo sguardo si posò sulla ragazza che stava davanti a lei. Si fissarono per dei secondi che sembrarono interminabili, fino a quando l’americana non distolse lo sguardo, in un gesto di finta sottomissione. L’altra doveva averlo capito perché si alzò, andandole vicino, e mormorando un “Smettila” che non ammetteva repliche.
La donna notò che sibilava la “s”, e ciò contribuì soltanto ad allargarle il sorriso; che sparì quando vide tutte le proprie armi appoggiate sul tavolo, accanto alla fonte di luce. Sibilò un’imprecazione: erano a circa due metri da lei, e di certo non poteva prenderle come nulla fosse, non legata a quel modo.
La russa girò la testa, seguendo il suo sguardo, e quella volta fu il suo turno di sorridere.
“Già” si voltò di nuovo verso di lei “Ma dovresti mostrarmi un po’ più di gratitudine sai?”
Amy la guardò di sottecchi.
“Perché dovrei, sssscusa?” domandò, prendendola in giro.
L’altra represse a stento la rabbia.
“Perché, se non fosse stato per me, tu ora saresti nel mio campo, e, fidati, non ti piacerebbe essere interrogata dai miei compagni” Si girò, tornando verso il tavolo.
“Ma comunque mi hai portata qui” sussurrò Amelia in tono sibillino “Quindi pretendi delle risposte”
La risata del soldato riempì l’aria.
“Che persona intuitiva, che sei” la guardò in viso, appoggiando il fianco al tavolo. “Trovo un militare del Nemico esanime ai bordi del campo, lo porto in un bunker sotterraneo costruito per difendersi dagli attacchi atomici, aspetto che si svegli e poi lo lascio andare per la sua strada, senza chiedere niente del perché fosse svenuto sul confine, salutandolo con la manina mentre si allontana all’orizzonte” Fece una smorfia. “Sì, certo, contaci”
Passarono altri minuti di silenzio.
“Perché pensi che te lo dirò tanto facilmente?” mormorò lentamente la ragazza. “L’hai detto anche tu, se avessi voluto che mi torturassero mi avresti portata all’accampamento”
“Infatti non lo penso” la russa prese una pistola dalla scrivania, rigirandosela tra le mani come una nobildonna farebbe con un gioiello. “Ed è per questo che ti lascerò senza né bere né mangiare fino a quando non mi confesserai tutto quanto” sfilò un proiettile dalla camera, aprendosi in un mezzo sorriso quando si accorse che era d’argento. Tirò fuori un’altra pistola, la sua, dalla tasca “Decidi tu se morire di una morte che non ti farebbe onore” infilò il proiettile nella propria arma “Oppure tornare dal tuo esercito, la coscienza finalmente libera”
Amelia soppesò quelle parole, poi capì.
“Tu non lo vuoi fare per poi andare a dirlo al tuo capo” disse, una nota di divertimento nella voce “Vuoi che io confessi soltanto per tuo interesse personale” scosse la testa, sorridendo. “Avrei dovuto immaginarlo” le lanciò uno sguardo di sfida “E va bene, ti racconterò tutto. Ma non ti piacerà”
 
***
 
E le raccontò tutto davvero. Le disse che era un po’ di tempo che gli americani tenevano sott’occhio la loro base, e che toccava a lei quel giorno andare in ricognizione – si permettevano di mandare i soldati, aveva aggiunto, perché i russi sotto quell’aspetto non erano molto…tecnologici – ma che era scivolata dalla roccia alla quale era appoggiata, e l’ultima cosa che si ricordava era di aver sbattuto la testa.
“Ho provato sulla mia pelle che la neve non è morbida come si crede” aveva concluso, ridacchiando.
Ivanka non aveva mai smesso di guardare quella ragazza, affascinata, non sapeva neanche lei da cosa. Forse dal modo in cui arricciava il naso quando rideva, o dalle smorfie che accompagnavano ogni sua parola. Oppure le piaceva lei, e basta. Si passò una mano sulla faccia. Quello di certo non era previsto.
“Posso sapere come ti chiami?”
Sollevò lo sguardo, fissando le sue iridi verdi in quelle azzurre di Amelia – aveva letto il nome sull’uniforme.
“Ivanka”
“Bene, Ivanka” sorrise “Promettimi che non rivelerai a nessuno ciò che ti ho detto”
La guardò di sottecchi “L’hai detto tu stessa, volevo saperlo soltanto per puro inte-
L’altra arricciò il naso, questa volta però senza ridere “Non mi fido di voi russi”
L’ammirazione che c’era prima nel soldato fu rimpiazzata dalla furia. “Ti sembra questo il modo di ringraziarmi?” gridò “E cosa dovrei dire io di voi americani? Siete stati voi a dichiararci apertamente Guerra!”
Amy aggrottò le sopracciglia. “Beh, un motivo dev’esserci stato per forza. E poi” aggiunse “non mi sembra che voi abbiate cercato di risolvere la cosa in modo molto pacifico”
Ivanka si costrinse ad uno sforzo immenso per non saltarle addosso. Serrò i denti.
“Dunque” l’altra accavallò le gambe “Ora basta parlare di me”
“E questo cosa significa?” sbottò.
La marines sorrise. “Significa che ora tocca a te confessare”
Il soldato la guardò in silenzio per un po’; poi prese una sedia, la mise davanti alla prigioniera e ci si accomodò. Si sentiva come in debito con quella ragazza, e ciò la irritava non poco. Quella volta fu il suo turno di raccontare.
“Non ho mai conosciuto i miei genitori” cominciò “So solo che venivano da Mosca, e che mi hanno abbandonata nel primo orfanotrofio che hanno trovato” Le disse di quando una famiglia tedesca, ma che viveva a Cardiff – per questo parlava tanto bene inglese - , l’aveva adottata, all’inizio con buone intenzioni, che però poi si erano rivelate essere avare e meschine; della sua vita, là nel Galles, e di quando era arrivata in Russia, in seguito allo scoppio della guerra fredda; quando si era arruolata nell’esercito, l’aria di casa che finalmente poteva ammettere di sentire; fino a quella mattinata, quella in cui aveva trovato un corpo immobile nella neve, e, senza troppi ripensamenti, se l’era caricato in spalla, portandolo in un bunker, all’insaputa di tutti.
Quando ebbe finito, guardò Amy dritto negli occhi. “Adesso tocca a te promettere” si sporse verso di lei “Promettimi che tutto ciò che hai sentito rimarrà in questo bunker, qui sottoterra. Promettimi che cercherai di dimenticare, tornerai al tuo campo e dirai di esserti addirittura infiltrata, ma che sei dovuta scappare perché per poco non ti scoprivano”
La ragazza inclinò il capo, mettendo in mostra il collo bianco “Certe cose accadono soltanto sul campo di battaglia” soffiò sulle sue labbra, aprendosi in un sorriso.
Anche l’altra sorrise, uno dei pochi sorrisi sinceri mai rivolti a qualcuno nella sua vita. “Già” mormorò.
Poi, prima che si potesse rendere conto di ciò che stava facendo, appoggiò la sua bocca su quella rossa della marines. Sentì un mugolio quando affondò i denti nel suo labbro inferiore, mentre le mani dell’altra le si infilarono sotto la maglietta, ed un brivido le scese lungo la spina dorsale. Poi un dolore improvviso ed acuto al braccio. Cadde in ginocchio, mentre Amy si rigirò tra le dita una fermaglio.
“Forcine per capelli” spiegò “Funzionano sempre”
Intanto Ivanka aveva iniziato a vederci doppio, mentre conati di vomito le salivano su per la gola. La ragazza andò alla scrivania, infilando le proprie armi nella cintura.
“Non ti preoccupare” aggiunse, mentre andava verso la porta e si passava un braccio sul  labbro insanguinato “Manterrò fede alla mia promessa” Le fece l’occhiolino. “A presto, Ivanka” disse, prima di sparire oltre la porta.
Il soldato si stese a terra, le ginocchia al petto, un mezzo sorriso dipinto sul volto nonostante il dolore. Pochi secondi, e perse definitivamente i sensi
Ivanka odiava gli imprevisti. Ma, a volte, poteva fare un’eccezione. 
  
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