Ad ogni modo, ciò che doveva modificarsi finalmente l'ha fatto, e posso riprendere a pubblicare.
Perchè? Perchè ora posso assicurarvi (nel mio piccolo, naturalmente) testi di qualità. Negli ultimi tempi infatti le mie storie erano talmente incentrate sul medesimo dolore che mi attanagliava, da risultare per me molto difficili da scrivere. Innanzitutto perchè avevo affrontato l'argomento in talmente tanti modi diversi da non avere più modo di trovare qualche idea originale, sia dal punto di vista stilistico che da quello del contenuto. In secondo luogo perchè, consequenzialmente, mi trovavo talmente cieca alla realtà circostante da non avere neppure più stimoli esterni. Nulla di propositivo, dunque.
Ho passato mesi senza riuscire a scrivere nulla di accettabile, e dopo una lunga catarsi interiore, un bel giorno è improvvisamente uscita fuori la storia che state (spero) apprestandovi a leggere. Ne sono abbastanza orgogliosa, non ve lo nascondo, mentre non vado fiera di tante delle cose che ho scritto e vi ho proposto.
Prima di lasciarvi alla storia, devo un grazie di cuore alle parole che tanti di voi mi hanno riservato, sia nei commenti a Libra, sia in sede privata. Credo davvero di non meritarmi tutte queste attenzioni, ne sono rimasta colpita e commossa. Non ho risposto a nessuno, e me ne dispiaccio moltissimo, ma sono certa che se l'avessi fatto non sarei riuscita ad esprimere tutta la mia gratitudine nei vostri confronti. In effetti, ho evitato consapevolmente di farlo perchè in quel periodo non ne sarei stata in grado. Sappiate comunque che ognuna delle vostre parole mi è servita, davvero tanto. In un modo che non avrei mai creduto possibile.
Ringraziandovi di cuore,
Alicevolevamorire
Mi muovevo in quella strada per portare una staffetta, di ritorno,
rinchiusa nel mio io poichè faceva freddo. Loro mi
guardavano, e Lui sorrideva. Se fossi stata la Fatina dei Denti glieli
avrei strappati tutti, e ne avrei forgiato una collana di perle.
In effetti, nulla si scaricò dal cielo, e sana e salva
tornai alle loro braccia affettuose [dopotutto,erano stati solo pochi
metri].
Ma riflettei sull'umiliazione di chi giunge, poichè chi
permane si incanta nella visione di chi arriva,
e pare quasi che se ne voglia nutrire.[Fu per quello che mi sentii
mancare?]
Intanto, intorno, l'affetto diventava spesso e cieco come ovatta.
Brillava in frammenti dal sapore stantio del sepolcro, che mi facevano
credere di essere morta, perchè solo da cadavere si
può ricevere ciò che ci è dovuto.
Invece stavo bene, e mi facevano ridere, mi regalavano dolcetti alla
mela e mi accarezzavano le braccia. Come se in loro fossi sempre
esistita nella forma di un fiore raro da coltivare con cura.
"Dov'è l'inganno?" Urlavo ai muri "Come possono
amarmi? Comprendono davvero il mio terrificante baratro interno?"
E loro fischiavano, muri bugiardi, pareti torbide,
e nelle mie zoppicanti fantasie
posto non c'era per altri, se non per Lui.
Ma Lui scagliava occhiate e poi si ibernava nella sua
superiorità conquistata. A volte cadeva, ma noi non
vedevamo, poichè era talmente al di sopra di noi che anche
abbassandosi non ci avrebbe raggiunto.
La corte di donne cui avevo confidato la mia passione, si palesava a
Lui con lettere infuocate.
"Dunque non rispettate il mio sentimento" stridevo fra me e me, e la
rabbia mi assaliva rombando fra le ossa.
Splendevano, tutti, e volevano nutrirmi di luce. Mi spaventavano con i
loro quieti sorrisi e le mani in cerca di continui contatti. Erano Dei,
e mi volevano. Mi amavano.
"Parti con noi per le altissime profondità oscure"
salmodiavano, gettandomi zucchero negli occhi
"Lui ti porterà con sè nel suo Olimpo di note
musicali"
dicevano le altre donne, al suono tintinnante dei bracciali.
Mi muovevo avanti e indietro, e Lui mi guardava. Fingevo di amare
estranei, ma Lui sapeva comunque. Si passava il mio cuore fra le dita,
sporcandosi di sangue pulsante, e distrattamente lo spargeva
dappertutto.
Confusamente camminavo storta, e immaginavo un finale in bianco e nero.
Ma sapevo che loro erano tutti suoi burattini adoranti.
E anch'io ero intrappolata, con le mie mani troppo bianche avvolte da
metri di spago.