Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: Elenami55    29/03/2015    4 recensioni
Avete presente uno di quegli incontri che avvengono per puro caso? Provate ad immaginare che il comandante della prima flotta di Barbabianca, Marco la Fenice e quello della seconda, Portgas D Ace, incontrino e costringano ad entrare nella loro ciurma due sorelle di nome Emi ed Umi, entrambe piratesse. Ipotizzate ora che Marshall D Teach alias Barbanera consegni la minore delle due, Umi, alla Marina per poter entrare nella Flotta dei Sette. Come reagirà Barbabianca? Ed il nostro caro Pugno di Fuoco riuscirà a non farsi catturare da Barbanera nonostante sia andato alla sua ricerca?
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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22. Il malore di Emi

- Hey Emi!- mi chiama una voce famigliare.
È una voce femminile, calda, dolce, proprio come la sua…
- Mamma?- chiedo.
Sono confusa: la voce è la sua, ma lei non può essere qui.
- Emi!- mi richiama quella voce.
Non posso credere che sia veramente la sua voce.
- Mamma, sei tu?-
- Certo che sono io!- ride.

Mi volto nella direzione dalla quale proviene la risata e mi ritrovo la mamma dinanzi. Dietro di lei posso vedere chiaramente il negozio di alimentari.
- Ma cosa…?- mi guardo intorno.
- Allora, sbaglio o volevi le patatine?- mi mostra un pacchetto di patatine con la sorpresa, proprio quelle che volevo sempre da bambina.
- Ma…- mi porto la mano alla bocca e calde lacrime iniziano a pungermi gli occhi.
La guardo e lei ricambia sorridendo. Indossa la sua tipica divisa da marine e sulla testa porta il classico berretto, ma messo in modo che la visiera stia dalla parte della schiena. I suoi lunghi capelli castano scuro le ricadono lungo il corpo sino ad arrivarle a metà busto.

- Allora, non le prendi?- mi porge il pacchetto che tiene in mano.
Io non mi muovo, ho paura che se solo provassi a sfiorarla lei scomparirebbe.
- Oi, ti sei incantata?- sbuffa per poi scoppiare a ridere.
A questo punto non riesco più a resistere: la abbraccio ed immergo la testa nell’incavo del suo collo. Inizio a piangere.
- Sai che le ragazze forti non piangono- mi dice con comprensione, accarezzandomi i capelli con la mano libera.
- Ma mamma tu sei… tu sei morta- ancora più lacrime mi scendono lungo il viso.
Improvvisamente lei scioglie l’abbraccio e mi dà le spalle, incamminandosi per la via apparsale davanti. Un bambino ferito compare sulla strada, mia madre si abbassa per soccorrerlo.
Riconosco la scena ed il mio cuore perde un battito.
- No, mamma, non farlo!- corro verso di lei, senza riuscire a raggiungerla.
Più corro e più la distanza che ci separa aumenta.
- Mamma, no!- urlo.

Improvvisamente la figura di mio padre appare davanti alla donna; consapevole di ciò che sta per succedere accelero.
- Spostati, questo bambino è il figlio di un pirata- dice l’uomo.
- Ma è un bambino! Che male ti può aver mai fatto un bambino?! Non dovevi colpirlo!- gli urla contro lei, tamponando la ferita del ragazzino con un brandello della sua divisa.
- È il figlio di un pirata, ti ripeto-
- E allora? Cosa diavolo centra la sua parentela?! Presto, qualcuno chiami un dottore!-
Uno sparo, poi il corpo della mamma che cade a terra.


Mi sveglio di soprassalto da questo incubo e con un po’ di fatica mi metto a sedere sul letto.
- Mamma…- mi rendo conto di avere il fiatone.
Alcune lacrime cadono sui miei pantaloncini. Mamma, mi dispiace… ho continuato a voler bene a quel mostro di padre che mi ritrovo dopo quello che ti ha fatto… ma io non sapevo fosse lui. Altre lacrime scivolano sul mio viso ed il senso di colpa mi invade il cuore. Provo a convincermi che l’aver voluto bene all’assassino di mia madre non sia una colpa, ma con scarsi risultati. Purtroppo all’epoca avevo assistito alla scena da lontano e non avevo capito l’identità del killer, per questo volevo ancora bene a mio padre che, dopo l’uccisione di quella che era la sua compagna di vita, se ne era andato velocemente e senza problemi. Esatto, senza problemi, infondo chi avrebbe mai osato mettersi contro un ufficiale della Marina?
Sospiro e mi massaggio le tempie: ho ancora il forte mal di testa di prima. Magari ho preso l’influenza; può anche darsi, infondo è una malattia abbastanza diffusa. Rivolgo il mio sguardo al difuori della finestra; nel cielo sono già comparse le prime stelle, credo sia ora di cena. Stranamente non ho molta fame, credo che mangerò poco. Con fatica scendo dal letto e un capogiro mi costringe ad appoggiarmi al muro con entrambe le mani. Sto sudando freddo. Lentamente percorro lo spazio che mi divide dalla porta ed esco. Arrivata in corridoio sorrido leggermente: una stupida influenza non mi impedirà di andare dal mio grande amore, il cibo!



 
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Osservo il mio Marco. È in piedi vicino a Barbabianca e ci sta parlando; sembra una cosa seria, data l’espressione del suo viso. Marco è quasi sempre serio, poche sono le volte in cui scorgo sul suo viso un sorriso, ma bastano quelle pochissime volte in cui lo vedo sorridere a farmi accelerare il ritmo cardiaco. Non so perché, ma il suo sorriso mi piace. Mi piace il suo modo di parlare, il suo carattere, la sua indole calma e riflessiva. Mi piace tutto di lui. Oh, quanto vorrei dirgli queste cose; avevo anche preparato un discorso, ma non ho avuto il coraggio di parlare. Peccato, dovrò trovare un altro modo per dichiararmi, magari una lettera. Sì, una lettera. La farò scrivere da Emi: anche se non si direbbe lei è molto brava nell’esprimere i sentimenti su carta. Ora che ci penso, dov’è mia sorella? Non la vedo qui in giro. Che strano: quando si tratta di cibo lei è sempre la prima ad arrivare. C’è solo una possibilità: si vergogna ancora per ciò che ha detto ad Ace, quindi non vuole vederlo. Sì, dev’essere così.
All’improvviso la porta della sala si apre ed entra il soggetto dei miei pensieri. Lentamente si avvicina al tavolo e si siede vicino a me; ha il fiatone.
- Ciao Umi- mi sorride.
- Ciao!- noto che è pallida.
Oltre a ciò, però non noto niente di strano. Forse le sono venute quelle robe da donna, se non sbaglio uno dei sintomi è l’essere pallidi.  L’essere pallidi o il mal di testa? Bah, non mi ricordo.
Emi si riempie il piatto di zuppa ed inizia a mangiarla, facendomi tranquillizzare. Torno ad osservare Marco.
- Heilà Miss! Non ti avevo vista arrivare, allora ce la facciamo una birretta dopo?- domanda Satch a mia sorella, attirando la mia attenzione.
Subito quest’ultima ricade sull’insolito comportamento di Emi: sta rigirando il cucchiaio nella zuppa ed ha lo sguardo perso nel vuoto. Anche Satch nota questo comportamento.
- Miss?- le tocca la spalla.
- Eh?- si risveglia lei.
I suoi occhi lucidi, quasi supplichevoli di aiuto, osservano Pizzetto con aria confusa.
- Stai bene?- intervengo io.
- Sì, benissimo- sorride –una birra dicevi? No, magari domani- conclude rivolgendosi a Satch.
Subito dopo torna a giocherellare con il cucchiaio e la zuppa. Che non le piaccia? Lo dubito: è buonissima. Forse non ha fame. Mmm… Emi che non ha fame, questo è anomalo.
Improvvisamente mia sorella si alza dalla sedia e dichiara di non aver molta fame, per poi incamminarsi verso l’uscita della sala barcollando. Io e il comandante della quarta flotta la osserviamo, quasi certi che qualcosa in lei non quadri. La nostra certezza si trasforma in realtà quando lei si blocca, per poi cadere a terra. Alcuni dei comandanti vedono la scena e ne rimangono stupiti, mentre io e Satch ci precipitiamo da Emi.
- Emi, Emi, che hai?- la scuoto per le spalle.
Una mano mi blocca. È Izo. Dietro di lui ci sono gli altri comandanti.
- Calma, Umi. Non è saggio scuoterla- mi ammonisce.
Satch le prova il polso.
- È debole- storce il naso.
La paura che quella pazza muoia mi fa perdere un battito. La osservo e le lacrime iniziano a scendermi dal viso. Mi stupisco quando lei apre leggermente gli occhi.
- Emi!- urlo avvicinandomi al suo viso per sentire quello che cerca di dirmi.
- Ac-acq-acqua, ho s-sete- mi sussurra all’orecchio, la voce debole.
- Presto, portatele dell’acqua!- urlo, presa dal panico.
Subito arriva un pirata con un bicchiere d’acqua.
- Qua non serve acqua! Serve un dottore! Andate a chiamare Marika!- urla Satch.
- Non c’è tempo, la porto io in infermeria!- esclama Ace per poi prendere il braccio Emi.
Lei sussurra qualcosa, ma riesco solo a vedere le sue labbra muoversi lentamente: la sua voce è troppo bassa e il trambusto che è venuto a crearsi in sala da pranzo è troppo alto perché venga sentita. In compenso riesco a sentire la risposta di Ace.
- Non dire sciocchezze, tu non stai bene!- dice.

Pochi minuti dopo…
- Umi, santo cielo, levati di qui! Ace, anche tu! Andate fuori!- urla Marika.
- No, io rimango qui con Emi!- ribatto.
- Per favore, uscite, ci intralciate solo il lavoro- prova a convincerci Rose.
- Voglio sapere come sta!- esclama il ragazzo di fuoco che non sembra intenzionato a muoversi, come me del resto.
- Se volete proprio restare almeno mettetevi in un angolo e non intralciate il mio lavoro!- grida la capoinfermiera.
Obbediamo ai suoi ordini e la osserviamo mentre toglie la maglietta ad Emi. Appena tolto l’indumento notiamo sulla pelle di mia sorella una lunga striscia rossa che le va dal petto al fianco. Marika capovolge il corpo di Emi. Sulla schiena la striscia continua, fino ad arrivare alla spalla sinistra. Qui sparisce sotto una delle tante bende che ricoprono il corpo della mia sorellona dopo l’ultima battaglia. Con agilità la capoinfermiera sfila la benda ed una ferita sanguinante si presenta ai nostri occhi. La donna preleva dalla ferita un campione di sangue con una siringa, porta il campione sotto una specie di microscopio e lo osserva.
- Come pensavo: avvelenamento- confessa.
Questa rivelazione mi porta indietro con la memoria: mi torna alla mente il dottore di Solat e la siringa di antidoto. Ma certo: Ragno Rosso utilizzava ragni velenosi nei suoi attacchi e probabilmente mia sorella era stata morsa da una di quelle bestiacce!
- Cosa?! È impossibile!- interviene Ace avvicinandosi.
- Ora dovete andarvene- dice secca Marika.
Non abbiamo nemmeno il tempo di protestare che delle infermiere ci buttano fuori dall’infermeria. Provo a rientrare, ma loro chiudono a chiave. Inizio a tirar pugni alla porta: voglio restare con mia sorella!
- Aprite! Devo restare con Emi!-
Sto per battere un altro pugno contro la porta quando Ace mi blocca. Lo guardo con le lacrime agli occhi.
- Lascia stare, è in buone mani- dice con amarezza per poi lasciarmi andare ed incamminarsi per il corridoio.
Poco tempo dopo un rumore di legno rotto giunge alle mie orecchie: Ace ha tirato un pugno contro il muro ed ha bucato la parete; credo che questo sia il suo modo di dimostrare la sua preoccupazione.



 
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Apro gli occhi, sento le palpebre pesanti, vedo le infermiere, mi stanno parlando. Vedo le loro labbra muoversi, ma non sento niente. Provo a chieder loro di parlare con un tono più alto, ma non riesco a far uscire la voce, anzi non riesco nemmeno a muovere le labbra. Mi sento molto stanca e le palpebre stanno diventando sempre più pesanti, finché non vedo altro che il nero.

La mattina seguente…
Apro nuovamente gli occhi e vedo Rose intenta a trafficare con un sacchetto di sangue: lo sta attaccando ad un tubicino. Che strano: che ci fa Rose in sala da pranzo con un sacchetto di sangue? Un attimo, ma questa è l’infermeria! Osservo meglio il sacchetto; c’è un’etichetta attaccata con su scritto “gruppo 0 RH positivo”, sbaglio o è il mio gruppo sanguigno? Seguo con lo sguardo il tubicino che parte dalla sacca; cade giù, poi risale, si arrampica su una barra di metallo e riscende, viene su letto, mi corre di fianco e finisce nel mio braccio. Mi prendo un colpo ed irrigidisco.
- R-rose, levamelo!- vado nel panico.
- Oh, non mi ero accorta fossi sveglia…-
- Levamelo, levamelo, levamelo!!-
- Sta calma, levarti cosa?-
- Quello!- guardo il flebo e mi irrigidisco.
Oddio, ho un coso da cui passa il sangue piantato nel braccio! Non lo voglio, mi fa schifo!
- Mi dispiace, ma non posso togliertelo- mi informa.
- Devi toglierlo, ti prego Rose! Toglilo!- insisto.
Vorrei togliermelo, ma il solo vederlo mi fa irrigidire e non riesco nemmeno a muovere un muscolo.
- Ti prego, Rose!-
- Ma…- lancia un’occhiata verso il fondo dell’infermeria.
- Se non lo vuole è inutile lasciarglielo- risponde al suo sguardo una donna che non conosco.
La osservo attentamente; sembra di grado superiore alle altre infermiere.
- Dimmi, Emi, sai cosa ti è successo?- si siede vicino a me.
- La verità? No- rispondo.
- Sei stata avvelenata- dice pacata –e sai cosa ti succederebbe se ti venisse tolto il flebo?- continua.
Scuoto la testa.
- Beh, diciamo che non arriveresti a pranzo viva- mi illumina.
Deglutisco. Alla fine il flebo non è poi così male…
- Bene, il tuo silenzio mi fa intuire che hai capito- sorride –ah, dimenticavo, io sono Marika, la capoinfermiera- si allontana.
Quella donna è inquietante e poi chi si crede di essere per fare tanto la saputella?! Non mi piacciono le persone che si comportano in questo modo con me! Comunque ha detto che sono stata avvelenata, ecco perché stavo male. Però quando può essere successo? Forse… ma certo! Ragno Rosso, ecco chi. Forse avrei dovuto dare ascolto a quel dottore di Solat che voleva somministrarmi l’antidoto, infondo lo sapevo di essere stata morsa sulla spalla. Già, lo sapevo, ma, piuttosto che fare quel vaccino, avevo preferito convincermi di essere stata morsa da un ragno non velenoso. Vabbeh, ora sto bene ed è questo ciò che conta.
- Come ti senti?- mi domanda Rose.
- Come una nonnetta costretta a stare a letto- fisso il soffitto –posso almeno vedere mia sorella?-
- Mmm… ne dubito-
- Hey capoinfermiera, di un po’ posso vedere mia sorella o devo trucidarvi tutte per poi poter uscire liberamente?- mi rivolgo a quella antipatica.
- Dubito che riusciresti a trucidare qualcuno- tiene una siringa in mano.
Spalanco gli occhi alla vista di quell’aggeggio; forse è meglio che non importuni più la capoinfermiera…
Lancio uno sguardo da cucciolo ferito a Rose: credo che lei sia più facile da convincere. Appena visto il mio sguardo, lei si intenerisce ed inizia ad osservare Marika, indecisa. Il mio piano sta funzionando!
- Scusi, signorina Marika! Ecco… ma è sicura che una visita da parte della sorella farebbe male alla paziente?- domanda alla collega.
Per tutta risposta lo sguardo penetrante della capoinfermiera si posa sulla poveretta, terrorizzandola. Quella donna dev’essere molto temuta sulla Moby Dick.
- Quindici minuti, non un secondo di più!- dice con tono autoritario.
- Grazie!- faccio un sorriso compiaciuto.
La mia amica infermiera Rose, sotto ordine della sua superiora, corre fuori dall’infermeria e poco dopo torna con mia sorella, la quale mi salta subito addosso, abbracciandomi.
- Emi! Sono così contenta di vederti! Non devi più farmi spaventare così tanto!- stringe di più l’abbraccio e piange di gioia.
Sbuffo: sono contenta che mi voglia così tanto bene, ma odio i frignoni. Sto già per rimproverarla quando noto una certa persona appoggiata allo stipite della porta. Ci guardiamo per alcuni interminabili secondi senza dire niente. Il solo guardarlo mi fa tornare alla mente quella sua amarezza di qualche giorno fa e la vergogna per averlo trattato male torna a pesarmi sulla coscienza. Finalmente il ragazzo decide di spezzare il silenzio, avvicinandosi e salutandomi. Umi sorride, scioglie l’abbraccio con me e scende dal lettino, per lasciarmi parlare liberamente con il nuovo arrivato.
- Tieni: ho pensato avessi fame, dato che hai saltato la colazione- mi porge un croissant avvolto in un tovagliolo Ace.
Osservo il dolce offerto.
- E pensi che quel coso basti per sfamarmi?- chiedo con amara ironia.
Il moro non risponde subito.
- Comunque lo prendo lo stesso- afferro la brioche e la mangio.
Bene, ho perso fin troppo tempo; ora devo chiedergli scusa. Il chiedere scusa non è esattamente nel mio stile, ma anche il mio orgoglio ha una fine. Mi metto a sedere sul letto.
- Ace, volevo chiederti scusa per tutte le cattiverie che ti ho detto da quando ti ho incontrato. Giuro che non era mia intenzione offenderti, né farti star male. Riconosco di avere un caratteraccio e di essere davvero difficile da comandare, ma prometto che, dato che mi hai salvato la vita ad Eki Island, mi impegnerò a non offenderti più. Puoi perdonarmi?- dico tutto ad una velocità incredibile, sperando che il moro si perda qualche pezzo del discorso.
Ecco, io le scuse le ho fatte, se lui non ha capito sono affari suoi.
- Sì, ti perdono- risponde sorridendo.
Tiro un sospiro di sollievo: grazie, Ace. Grazie di avermi perdonata! Abbassando lo sguardo sul lettino su cui sono mi rendo conto di un dettaglio all’apparenza insignificante: ho solo un misero lenzuolo che mi copre dalla vita in giù, sono in intimo ed il fiammifero mi sta guardando!
- Ace, fuori!- urlo.










Nota dell’autrice
Salve! È inutile che mi scuso per il ritardo, vero? Scommetto che lo sospettavate già, comunque mi scuso lo stesso. Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e un immenso grazie a tutti! Alla prossima!!
   
 
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