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Autore: MissMadHatter    29/03/2015    24 recensioni
Ho scritto questa fanfiction come partecipante al concorso indetto dal gruppo di facebook "EFP recensioni, consigli e discussioni". Mi è stato assegnato il tema della bigamia, penso una delle cose più difficili da scrivere per una come perché il 99% delle volte si cade nel banale. Ci ho provato lo stesso e questo è il risultato: The Blue Death. Perché di questo titolo? A dire il vero non avevo affatto in mente il titolo giusto poi ho ripensato a matrimonio, ossia al rito del matrimonio: qualcosa di vecchio, di nuovo, di prestato, una cosa regalata e...una cosa blu. Per chi non lo sapesse questo colore simboleggia la sincerità e la purezza della sposa e, visto il dramma che si consuma all'interno della fanfiction, direi di trovarlo azzeccatissimo! Spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“You and me, we made a vow
For better or for worse
I can believe you let me down
But the proof’s in the way, it hurts”
 
I’m Not The Only One – Sam Smith
 

 
Sono qui, in quella che potrebbe essere la sala da pranzo dei miei sogni, con una tazza di tè che probabilmente non assaggerò mai. Non ho il coraggio di muovere un muscolo, figuriamoci sorseggiare tranquillamente una bevanda come se nulla fosse. Ci guardiamo di sottecchi, io e lei, incapaci di iniziare una vera e propria conversazione. Dopotutto non ci conosciamo nemmeno e vista la situazione immagino che non diventeremo mai migliori amiche. Fissiamo entrambe la tavola intorno alla quale siamo sedute e quando sembra che l’altra non possa vederci alziamo velocemente lo sguardo per scrutarne la figura e altrettanto rapidamente torniamo ad abbassare gli occhi, per timore di essere colte sul fatto. In quei pochi secondi che mi sono concessa per analizzarla ho potuto scorgere la figura di una donna sulla quarantina, con lunghi capelli neri legati di lato. La carnagione non è pallida come la mia ma dubito fortemente che il colorito sia merito delle lampade. Non ho idea di quale sia il suo lavoro ma se vedeste la casa immagino che anche voi arrivereste, come ho fatto io, alla conclusione che debba essere qualcosa di redditizio. Le sue mani affusolate giocherellano con la tazza che le sta davanti (intatta anche la sua, potete scommetterci) e da quando ci siamo accomodate non hanno mai smesso di muoversi. Sistema i capelli che le solleticano il volto, segue il bordo della tazza con fare nervoso, poi comincia a fregarsi le mani come se stesse gelando per il troppo freddo. In tutto questo non posso fare a meno di seguire con lo sguardo la sua mano sinistra o forse dovrei dire la sua fede nuziale. Siamo due complete estranee ma quel particolare ci unisce. Quello e il fatto che mio marito è anche suo marito. Buffo, non trovate? Ne ho avuto la prova qualche settimana fa, ma prima di scatenare un putiferio ho preferito fare qualche ricerca così l’ho seguito senza che quell’imbecille sospettasse niente. Era così dannatamente convinto di essere al sicuro che non ha dubitato, nemmeno per un momento, che io sapessi ogni cosa. Non ho pianto né urlato, non ne vedevo il motivo. Mi sono tenuta tutto dentro, comportandomi come la persona che sono sempre stata: una donna in carriera, una moglie affettuosa e disponibile. Ho fatto tutto come doveva essere fatto, con precisione e soprattutto discrezione. Quando ieri mattina l’ho visto uscire da questa stessa casa, baciando sulle labbra la donna che ho davanti, in quel momento ho capito che era tempo di agire. E così ho fatto, ma non prima di essermi presa una piccola rivincita. Non è affatto difficile immaginare il livello di disagio che aleggia nella stanza in questo esatto istante. Il silenzio è quasi insopportabile: mi riempie la testa con un indistinto e continuo ronzio che pulsa a ritmo del mio cuore impazzito. Unico suono che arriva chiaro alle mie orecchie è quello dell’orologio appeso alla parete.
Tic.
Tac.
Tic.
Tac.
 
*
 
Seguite il mio consiglio: se mai vi capitasse sulla soglia di casa una donna dai modi impeccabili che suona al vostro campanello, con un’aria talmente preoccupata da farvi temere il peggio, non fatela entrare perché quello che ha da dirvi sarà sicuramente peggio del vostro scenario più oscuro. Anzi, non azzardatevi nemmeno ad aprirle la porta, perché con ogni probabilità vi direbbe queste esatte parole: salve, sono la moglie di suo marito.
A me è capitato e vi posso assicurare che nemmeno per un attimo l’ho trovato divertente. Perché? E’ ovvio: so che si tratta della verità. Non avevo mai avuto le prove, certo, e non pensavo che addirittura avesse avuto il coraggio di prendere in moglie non una ma ben due donne, eppure dentro di me sentivo che qualcosa non andava. Quando lei, questa donna con indosso un completo abbinato che puzza di costoso, si è presentata davanti a casa mia ho semplicemente trovato il pezzo mancante del puzzle. Non ha usato giri di parole, nessuna scusa o frase fatta: la verità mi ha colpito in pieno viso come uno di quegli schiaffoni che arrivano quando meno te lo aspetti, apparentemente senza motivo. Nell’arco di quelle sette parole ho sentito il cuore salirmi fino alla gola e poi piombare giù nello stomaco, con un suono sordo. Pum. Avrei potuto fare finta di niente e sbatterle la porta in faccia, ma a che pro? Adesso siamo qui, sedute intorno al tavolo su cui ogni sacrosanto giorno consumo i pasti insieme a mio (suo) marito, una di fronte all’altra. Senza guardarci. Senza parlare. Non ho il coraggio di fare la domanda che più mi preme: quando si sono sposati. Dal canto mio sono passati sei anni dal fatidico giorno del sì e niente sarebbe più insopportabile per me che scoprire con quanta poca fedeltà lui abbia pronunciato i suoi voti. Comunque sia, penso tra me, è stato tutto un inganno. Minuto dopo minuto lui ha tessuto una intricata ragnatela di bugie per far muovere i suoi burattini di carne ed ossa. Dio, quanto sono stata stupida. Sarebbe stato meglio se avessi trovato il coraggio necessario fin dall’inizio, invece di rimandare per paura della verità. Purtroppo mi rendo conto che non trovo nemmeno la forza per iniziare questa inevitabile conversazione. Inconsapevolmente ho rovinato la vita della donna che ho di fronte, così come lei ha messo fine ai giorni felici della mia.
Deglutisco e mi schiarisco la voce con un colpo di tosse, ottenendo la sua attenzione. Quando i suoi occhi incontrano i miei riesco chiaramente a vedere due gemme verdi che chiedono spiegazioni e so, nel mio io, che l’incubo è appena iniziato.
 
*
 
La strada per il ritorno è stranamente poco affollata. Essendo lunedì mattina immaginavo di trovare la solita ressa di auto dirette al lavoro, come sempre. Io invece viaggio esattamente nella direzione opposta, verso casa. Amo avere il lunedì come giorno di riposo, mi permette di cominciare la settimana nella più completa tranquillità. Per me il modo di dire “se il lunedì avesse un volto” non vale affatto. Adesso, dopo un week end movimentato (chiamiamolo così) l’unica cosa che voglio è starmene sul divano a guardare la televisione, magari con un bicchiere di vino in mano. Svolto nella via dove si trova la piccola villetta a schiera comprata giusto qualche mese fa e imbocco il vialetto di casa. Quando suono il campanello e nessuno risponde per un attimo vengo assalito dal panico: dove sono le mie chiavi? Sono quasi sicuro di averle lasciate e invece, dopo una ricerca agitata, le trovo nel cruscotto della macchina. A quanto pare mia moglie non è in casa perché quando alzo la voce per pronunciare «sono tornato» non ricevo alcuna risposta. Sono abbastanza stanco da non prendermi nemmeno la briga di poggiare i vestiti che ho indosso sul letto matrimoniale, nella stanza al piano di sopra. Vado direttamente in bagno, mi spoglio e metto tutto a lavare. Dieci minuti dopo profumo peggio di un mazzo di viole in una stanza di tre metri quadri e sono pronto per stravaccarmi sul divano nuovo di pacca che abbiamo acquistato alla svendita di un negozio di arredi. Faccio in tempo a guardare sì e no la prima mezz’ora di un documentario sui Maya quando Morfeo arriva per portarmi nel mondo dei sogni, dove tutto è vero e niente è quel che sembra. Il mio sonno è  abbastanza movimentato ma quando trovo la voglia di tornare nel mondo terreno vedo che la luce del sole si è quasi del tutto affievolita. L’assenza di rumori in casa mi mette sull’attenti perché sono già le sei e come minimo mia moglie dovrebbe già essere tornata da un pezzo. Faccio un veloce giro al pian terreno per accertarmi di essere veramente solo, dopodiché salgo al piano superiore e controllo tutte le stanze. Forse ho paura di trovare il corpo morto di mia moglie sul letto, per questo lascio la camera da letto per ultima. Se l’avessi fatto subito, non appena arrivato, forse avrei ancora potuto salvare la situazione in extremis. Invece quando varco la soglia della stanza sento il mondo rovesciarsi sotto sopra perché lo scenario che mi si presenta è ancora peggio di quello appena immaginato: le ante dell’armadio sono aperte e il letto è pieno di brandelli di stoffa. Non ci vuole certo un genio per capire che quei coriandoli di tessuto sono tutto ciò che rimane dei miei capi d’abbigliamento. Le fotografie che prima ci sorridevano dalle mensole fanno compagnia alle schegge di vetro sul pavimento, tagliuzzate senza pietà e con rabbia. Le mie cravatte sono state ridotte in brandelli e i dopobarba giacciono per terra insieme al loro contenuto. Ogni cosa che mi appartiene in quella casa, è stata frantumata, bruciata, tagliata, imbrattata o distrutta in ogni modo possibile. Se conosceste mia moglie come la conosco io direste che è una delle persone più pacate che ci siano a questo mondo e difficilmente la vedreste perdere la calma in una discussione. Immagino che ci sia un solo motivo per cui abbia potuto fare una cosa simile. Lo so, eppure tengo questa carta per ultima perché ho la stramaledetta paura di essere nel giusto, per una volta.
In fin dei conti è andato tutto alla perfezione in questi anni. E’ stato certamente faticoso all’inizio, ma il risultato finale è qualcosa che mi riempie di…compiacimento. Il modo migliore affinché tutto funzionasse era trovare due donne che in comune non avevano niente, nemmeno la crema depilatoria. Non si sarebbero mai incontrate, non avrebbero mai finito per diventare amiche. Sarei solo dovuto stare attento al cellulare perché quell’aggeggio è la peste bubbonica dei piani ben calcolati. Chiamate da e verso un numero sconosciuto, un messaggio piccante, foto schiaccianti…un solo errore e sarebbe stata la fine. Una parte del mio cervello, quella che non grida all’impazzata e che mi ha già dato per morto, ripensa a qualcosa che possa avermi tradito. Un qualsiasi indizio, anche il più piccolo mai esistito. Ripenso ai giorni passati ma il comportamento di mia moglie (quella di cui avevo paura di ritrovare il corpo senza vita, per intenderci) era stato normalissimo. Cucina, faccende domestiche, lavoro, ancora cucina, sesso quando si poteva. Forse sto viaggiando troppo con la fantasia. Per quel che ne so può benissimo aver avuto un tracollo psichico ed essersi trasformata in una specie di Edward Mani di Forbice. Scendo le scale e recupero il cellulare, le mani sono diventate tutte ad un tratto fredde e insensibili. Il ronzio che sento nelle orecchie mi fa capire che il cuore sta pompando il sangue ad una velocità maggiore. Sono nel panico. Calmati. Non pensare subito al peggio, mi dico cercando di essere convincente. Ho appena finito di comporre il numero e già una parte di me è certa che non risponderà affatto. Poi noto qualcosa che prima mi era sfuggito: un biglietto di cartoncino rigido  poggiato sul tavolino basso del soggiorno. Se non fosse stato per la cornice che lo sorregge non l’avrei mai notato. Quando lo prendo in mano riconosco senza alcun dubbio la sua calligrafia ordinata:
 
L’inganno viene alla luce da solo
nonostante tutte le cautele
adottate agli inizi.
Tito Livio
 
L’unico pensiero coerente che riesco a comporre riassume alla perfezione la situazione e il mio stato d’animo: sono fottuto!
   
 
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