Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: fuoritema    30/03/2015    5 recensioni
[1590 parole | One Shot | Introspettiva | Onirica]
***
— E lei... Lei cosa è?
— Una persona.
— Una persona come?
— Una persona viva — rispondi, dopo un minimo d’incertezza. […]
— Tutto ciò che vorrei essere — ti confida. A quell’affermazione indietreggi di colpo, come se abbia avuto il potere di spaventarti, quando non ci sono riusciti né il buio, né la vocina nella tua testa, né il silenzio. Non riesci a capire come quella maschera, che ti ha seguito per così tanto tempo, possa non essere reale. Così la tocchi, sfiorando con la punta delle dita le sue labbra di cartapesta, pizzicando leggermente un braccio dipinto di nero. Ha la consistenza di un sogno, come quelli che riempiono gli spazi tra i calzini nel tuo comodino. Ma non è spiegazzato. Niente potrebbe essere più liscio della sua pelle. La guardi, mentre cammini sul tappeto rosso e lei ti segue, la guardi ingrandirsi e rimpicciolirsi – come i riflessi nelle case degli specchi.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Ombre e maschere
 

 
Questa storia partecipa alla sfida per scrittori
sul gruppo «EFP: recensioni, consigli, discussioni.»
 
 
 
 
 
Non esiste qualcosa di più diverso da un teatro pieno di un teatro vuoto. E se qualcuno dirà che sono la stessa cosa, non credo ne abbia mai visto uno sul serio. Osservando un sipario chiuso, con i cordoni dorati legati in un morbido nodo e l’ombra che vi disegna sopra una tonalità di rosso più scura, si potrebbe pensare che stia solo dormendo. Un piccolo movimento del tessuto si trasforma in una scena che sta nascendo. Poi ti accorgi, dopo minuti passati a scrutare quel pavimento in legno, che era tutta un’illusione e ti lasci cadere pesantemente su una poltroncina. È comoda, almeno? Non ci fai caso: sei troppo impegnato a seguire i passi degli attori nel retroscena, che stanno tornando alla vita reale tra una sbirciatina a Facebook e qualche parola scambiata con gli altri, per occuparti di una cosa di così infima importanza. Alzi un po’ la testa. Non perché sia basso o il palcoscenico ti sovrasti, ma per quello strano impulso che porta sempre a voler vedere di più, anche quando non c’è, quel di più. Impiegheresti ore per abbandonare quella sedia, se non ci fosse un altro spettacolo dopo, come diceva il manifesto appena fuori alla sala. Eppure non arriva nessuno. 
Ecco, il parquet si è mosso! Dei passi! Sapevi che non era finita lì! Dapprima ti sembrano incerti. Uno è veloce, tocca il legno con uno scatto e subito passa avanti; nel secondo il piede va impercettibilmente indietro, ondeggia, cade. È solo il terzo a convincerti del tutto, mentre decidi di alzarti. Le statue all’entrata sono le mute testimoni della tua presenza: ti guardano, le orbite vuote intercettano di tanto in tanto le tue, poi distogli lo sguardo. L’abisso in quelle pupille ti spaventa, anche se non riesci ad ammetterlo. Ti sposti a destra e lo senti sulle tue spalle; ti giri di scatto e te lo ritrovi davanti, sempre più fisso.  Ecco cosa c’è di diverso tra un teatro vuoto e uno pieno: gli spazi che prima erano riempiti dalle persone, ora sono occupati dal silenzio.
Un senso di inquietudine crescente ti prende alla gola, consigliandoti di scappare al più presto verso la porta e chiudertela dietro per intrappolare la paura nella stanza. Lo sanno tutti che soffoca, senza nessuno da attaccare. Allora ti allontani con lentezza dalla targhetta 29F e – passando la 27F, la 25F e qualche altra – il da farsi si fa sempre più chiaro nella tua testa, nonostante una vocina continui a dirti di andare via. La senti? Flebile ma sicura, si insinua nei tuoi pensieri come un soffio di vento in una giacca. Vacilli. E se ci fosse qualche fantasma come quello del film?, ti chiedi muto, indietreggiando. A fronteggiare quest’interrogativo la certezza che gli spiriti non esistono, e soprattutto non esistono nei teatri ma nelle case abbandonate. Eppure non riesci a convincerti. C’è qualcosa di strano nella sala, ora che le persone non lo nascondono più: quando Romeo declamava a gran voce il suo amore per la ragazza, non sentivi il rumore dei passi così vicino. Era solo un sottofondo, prima.
Cadi. A tirarti su è solo il tocco gentile di una mano guantata, abbastanza forte da sorreggerti quando ti ci aggrappi con la sinistra. Non hai mai visto un essere del genere: con il vestito scuro che gli copre anche i piedi sembra quasi la brutta copia dell’Uomo Nero, se non fosse… per la maschera. È bianca, assume appena una sfumatura rosata vicino agli occhi e alla fessura che funge da bocca, incorniciando quei lineamenti grotteschi in modo sinuoso, e ti guarda. Sai che non c’è niente di strano – le pupille che stanno sotto sono quelle che si muovono, non la maschera – ma non ne sei del tutto convinto.
— Con il sipario calato, il freddo è arrivato — ti informa. Visto? Le due cose sono direttamente proporzionali, come avevi pensato prima. Chissà perché, questa certezza ha il potere di calmarti, diminuendo i battiti del tuo cuore. Puoi quasi contarli, ora.
— Lei chi è?
— Una maschera è l’apparenza, ben diversa è la sostanza.
— Non l’avevo mai vista prima — mormori, in un tono quasi ossequioso. La maschera ti scruta, appoggia le mani sulla poltroncina e risponde, dando un colpetto al pavimento con il piede.
— È perché guardare non significa osservare.
— Cosa ci fate qui? — Per un attimo, sembra quasi essersi offesa, come se il motivo per cui ti sta seguendo sia troppo ovvio per rendertelo noto. Non risponde, limitandosi a seguire i tuoi movimenti passo dopo passo. State un po’ lì, insieme, sedendovi sulla moquette dietro al lume.
— Io qui sono una presenza, ma di lei non potrei fare senza — ti spiega infine, schiacciata sul pavimento. Sembra quasi una grande macchia nera dietro di te, vista così, e ci capisci sempre di meno.
— Sta dicendo che lei dipende da me — tenti ancora. Nell’alzarti, vedi con la coda dell’occhio che lei ti sta seguendo, appoggiandosi al muro come se potesse cadere da un momento all’altro. Non ha lasciato mai un punto d’appoggio, da quando l’hai vista dalla prima volta. Seguendoti, si è avvicinata alla poltroncina, poi alla pianta e ora si è appiattita contro la parete, sottile come un foglio di carta.
— Sì o no. Cosa le risponderò?
Scuote la testa. È allora che ti accorgi di quanto le cavità orbitali della maschera siano profonde, quanto nascondano i veri lineamenti della figura che avete davanti. Nessuno avrebbe un naso così grande e sbilenco e vorresti vedere cosa c’è sotto, anche se non hai il coraggio di chiederlo. Eppure, mentre guardi con interesse quelle morbide curve, la sua voce ti richiama all’attenzione. — E lei... Lei cosa è?
— Una persona.
— Una persona come?
— Una persona viva — rispondi, dopo un minimo d’incertezza. Ancora non capisci cosa voglia da te, ma hai cercato nei meandri del tuo cervello un modo per risponderle. E a stento hai pronunciato tre parole, ma la maschera non si scompone. Ride, a modo suo, di una risata roca e sincera. Non deve averlo fatto molto spesso.
— Tutto ciò che vorrei essere — ti confida. A quell’affermazione indietreggi di colpo, come se abbia avuto il potere di spaventarti, quando non ci sono riusciti né il buio, né la vocina nella tua testa, né il silenzio – tutte conseguenze del teatro vuoto. Non riesci a capire come quella maschera, che ti ha seguito per così tanto tempo, possa non essere reale. Così la tocchi, sfiorando con la punta delle dita le sue labbra di cartapesta, pizzicando leggermente un braccio dipinto di nero. Ha la consistenza di un sogno, come quelli che riempiono gli spazi tra i calzini nel tuo comodino. Ma non è spiegazzato. Niente potrebbe essere più liscio della sua pelle. La guardi, mentre cammini sul tappeto rosso e lei ti segue, la guardi ingrandirsi e rimpicciolirsi – come i riflessi nelle case degli specchi.
— Se non sono indiscreto, come è successo?
— Non mangiavo — risponde semplicemente. Ha persino smesso di cercare rime per le sue ultime parole. Osservandola ora, ti pare più smunta: quello che pochi secondi prima non eri stato capace di cogliere, è che la sua consistenza è quella un sogno infranto, non di un semplice sogno. — Noi ombre nasciamo così. Quando raggiunsi la sottigliezza di un foglio di carta, decidendo di indossare la maschera – e solo allora mi andava bene il mio aspetto – ormai era troppo tardi. Diventai bianca, nera e poi nascesti tu e ti fui affidata. Dicono che al primo vagito di un bambino nascono le fate, ma in realtà nascono le vere ombre.
È il tuo riflesso schiacciato sul muro, lei. I suoi passi sono veri quanto i tuoi, benché non facciano rumore, e ciò che avevi sentito all’inizio era il ticchettare delle tue dita sulla poltroncina. Però l’ombra voleva parlarti. L’hai beccata mentre cercava un piano su cui appiattirsi che non fosse la moquette, rivolgendole una domanda a cui mai avrebbe dovuto rispondere.
— Quindi sei la mia ombra. — Pronunci quell’aggettivo con una sorta di egoistico piacere, perché è qualcosa che ti appartiene sul serio e ti rende felice.
— Sì — risponde lei. — E sono anche la maschera che indossi ogni giorno, quando non vuoi fare vedere ciò che sei in realtà. — E inspiegabilmente capisci e sorridi, appoggiando la mano su quella di lei.
— Posso toccarla? — Sfiori la maschera con la punta delle dita e ti accorgi che è l’unica parte calda del suo corpo. Ti viene quasi voglia di prenderla tra le tue dita, percorrere quei sinuosi solchi dorati, ma poi ci ripensi. La lasci cadere. Hai paura che stringa.
— Sicuro? — D’un tratto si è fatta ansiosa. Muove le mani con irrequietezza, spingendola verso di te. — È comoda, sai? — Si è fatta completamente nera, anche dentro, mentre cerca di ficcartela in tasca. Indietreggi. È cambiata in un soffio, l’ombra, e adesso che la vedi più da vicino, vorresti quasi scappare. Hai paura di diventare come lei, perché l’oggetto ti tenta così tanto che… A stento pronunci le fatali parole.
— Sicuro — rispondi, anche se sicuro non lo sei per niente. Hai giusto il tempo di combattere con l’istinto di afferrarla e poggiartela sul volto per nasconderlo, prima che essa sparisca. L’ombra è tornata ad essere un’ombra ai rintocchi della mezzanotte e la maschera ad essere un ghirigoro di una colonna. Non la tocchi neppure, ora che è nella sua vera forma. Solo, mentre te ne vai dalla sala, guardandoti di tanto in tanto indietro, incontri il suo sguardo nel tuo e la sua bocca si schiude come in un sorriso sbilenco.
— Giusta scelta.
 
 

Notte dell’autrice
 
Sono stata molto combattuta se pubblicare questa OS oppure no, perché il primo giudizio che ne ho ricevuto non era positivo e avevo paura che non fosse un buon lavoro, ma alla fine ho deciso di tentare. È strana. È onirica. Diciamo che rappresenta tutto ciò che volevo scrivere in questo momento e ciò di cui ho bisogno per sentirmi soddisfatta di un lavoro. Perché, nonostante sia un parto plurigemellare, è venuta come me l’immaginavo. <3
Era addirittura nata in seconda plurale, dato che mi ero fissata sul voler fare qualcosa di nuovo. Poi però, per una serie di casini, l’ho modificata, cambiandola in seconda persona singolare. Così è meno disordinata, a mio parere. Non mi vorrei dilungare su questa storia a lungo, né con spiegazioni né con chiarimenti (se ne volete, potete scrivermeli nelle recensioni c:). Sappiate solo che l’ombra rappresenta due cose: il nostro riflesso e ciò che vorremmo essere o in cui ci nascondiamo nella vita quotidiana. L’ultima sembra una frase molto tumblr… Inoltre, i suoi cambi da buona a cattiva sono dettati dal fatto che – differentemente da noi – non riesce a bilanciare le due parti e vuole anche liberarsi del motivo della sua schiavitù. La maschera che ha indossato l’ha costretta, dopo la sua morte, a vivere nell’ombra come un’altra persona, seguendo i suoi movimenti.
Grazie a coloro che hanno letto questo sclero ^^
 

jiminy
 
 
 
 
 

 
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: fuoritema